Embargo till 28 April 2010 11.45 a.m. Check after delivery Original: Italian IT VIII CONGRESSO EUROPEO CCEE SULLE MIGRAZIONI MÁLAGA (ES), 27 APRILE – 1° MAGGIO 2010 S.E. Mons. Antonio Maria VEGLIÒ Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti Analisi e interpretazione della Chiesa in relazione ai cambiamenti portati in Europa dalla migrazione e dalla mobilità. Una prospettiva teologica. Sono grato al Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, il Signor Cardinale Péter Erdö, e al Presidente della Commissione per le migrazioni, Mons. José Sánchez González, che hanno promosso questo Congresso europeo. Ringrazio cordialmente il Segretario Generale, Padre Duarte da Cunha, per l’invito che mi ha rivolto, e che ho accettato volentieri, di parlarvi sul tema: “Analisi e interpretazione della Chiesa in relazione ai cambiamenti portati in Europa dalla migrazione e dalla mobilità. Una prospettiva teologica”. Saluto cordialmente gli Eminentissimi Cardinali, gli Eccellentissimi Vescovi e tutti voi qui presenti. Questo importante Incontro ha come tema “L’Europa delle persone in movimento. Superare le paure. Disegnare prospettive”. In effetti, il fenomeno delle migrazioni ha sempre accompagnato la storia dell’umanità, ma negli ultimi decenni ha assunto dimensioni quasi universali e significati sempre più complessi1. Ogni continente e tutti i Governi sono chiamati a confrontarsi con esso e con i nuovi aspetti che nel nostro tempo lo accompagnano. Motivazioni e cause sono stati oggetto di innumerevoli studi e convegni, che riescono spesso a constatare e documentare soprattutto la drammaticità dei modi in cui molte migrazioni avvengono, senza però poterne diminuire il costo umano e sociale. Dati recenti si possono consultare nel Rapporto dell’INTERNATIONAL ORGANIZATION FOR MIGRATION, World Migration 2008: Managing Labour Mobility in the Evolving Global Economy, 2008. L’International Migration Outlook 2008, il Rapporto annuale in materia di migrazioni dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), evidenzia che nel corso del 2006 (l’ultimo anno di riferimento statistico), gli immigrati regolari permanenti nei Paesi membri dell’OCSE sono aumentati del 5%, una crescita ridotta rispetto al 12% del 2005 e al 18% del 2004. Complessivamente, circa 4 milioni di persone sono emigrate verso gli Stati membri dell’OCSE, il 44% per motivi di ricongiungimento familiare e il 14% per lavoro tra gli immigrati permanenti. Mentre in termini assoluti gli aumenti più significativi dei flussi d’immigrazione si sono registrati negli Stati Uniti (che hanno ricevuto circa un terzo del flusso permanente con 1,3 milioni nel 2006), nel Regno Unito (340.000) in Spagna, Canada e Germania, in rapporto alla popolazione totale hanno ricevuto i flussi più significativi Irlanda, Nuova Zelanda e Svizzera, mentre anche Portogallo, Svezia e Danimarca hanno rilevato incrementi superiori al 20%; in Austria (-18%) e Germania (-11%) invece le diminuzioni più consistenti. L’Irlanda, ad esempio, ha registrato un aumento di immigrazione pari al 66% negli ultimi sei anni, la Finlandia 40%. In alcuni Paesi, come Giappone, Germania e Ungheria, il contributo dell’immigrazione non ha permesso di portare in positivo il saldo demografico nel 2006, mentre nei Paesi dove la popolazione è in aumento l’immigrazione contribuisce già per il 40% alla crescita, con punte dell’80% nei Paesi dell’Europa meridionale. 1 2 1. L’Europa e gli odierni flussi migratori Nei 27 Paesi dell’Unione si calcolano attualmente 24 milioni di immigrati, per lo più provenienti dai Paesi stessi dell’Unione. I due terzi della presenza straniera sono ospitati da Germania, Francia e Regno Unito, anche se i Paesi mediterranei registrano costanti aumenti. È difficile, invece, avere cifre precise circa gli immigrati irregolari, ma secondo valutazioni recenti sarebbero fra i 4,5 e gli 8 milioni, con un aumento stimato fra i 350 mila e i 500 mila all’anno2. Sembra sempre più evidente che in Europa i flussi della mobilità umana siano percepiti in maniera negativa dalla popolazione. Lo testimoniano diversi sondaggi, che rilevano l’impressione largamente diffusa che gli stranieri siano troppi, costituiscano una minaccia alla cultura e all’identità, all’ordine e alla sicurezza, oltre che il preoccupante aumento di comportamenti negativi nei confronti degli immigrati, motivati dall’opinione che, almeno in parte, gli svantaggi in termini di mercato del lavoro siano causati dalla presenza degli stranieri. Di fatto, l’Europa, sentendosi “fortezza” assediata, affronta sulla difensiva il fenomeno della mobilità. La “governance” delle migrazioni e la lotta contro l’immigrazione irregolare sono prospettate come la soluzione principale per dare sicurezza alle società europee, inserendo il controllo dell’immigrazione nell’ottica della lotta al terrorismo, soprattutto di matrice islamica. Viene, così, proposta e ribadita la trilogia inaccettabile “immigrazione – criminalità e terrorismo – insicurezza”. Per tale reagione, la politica migratoria dell’Europa afferma la chiusura delle frontiere alle persone, ma la libertà di circolazione alle informazioni, ai beni e ai capitali. Di fatto, tutti i Paesi europei, seppur in forme diverse, conoscono il paradosso di frontiere sempre più chiuse o selettive e, contemporaneamente, di flussi migratori irregolari. Lo stesso, in realtà, si può dire degli altri continenti: si va diffondendo un atteggiamento politico di rifiuto degli immigrati, mentre le economie continuano a richiederne l’assunzione. È sotto gli occhi di tutti che ci troviamo di fronte alla tendenza di molti Paesi a trincerarsi, a chiudersi, ad assicurare il livello di benessere raggiunto dentro le proprie mura, senza prestare sufficiente attenzione alle necessità di chi si trova fuori le mura con grave omissione del principio di solidarietà. Ecco allora che l’obiettivo della politica europea appare quello di limitare il numero degli immigrati, rendendo difficile e quasi impossibile l’arrivo di quelli regolari e di eliminare gli irregolari. Si propone di selezionare i flussi migratori perché non siano pericolosi e di costringere gli immigrati a non inserirsi nelle nostre società, per non creare contaminazioni culturali ed inquinare l’identità europea, o dei singoli Paesi dell’Unione. Si è di fronte ad una specie di “deriva etnica” istituzionalizzata, che certamente non favorisce né l’approccio sereno degli autoctoni verso gli immigrati e neppure il processo di integrazione degli immigrati nel tessuto delle società di arrivo. In tempi recenti sono andate aumentando le cosiddette “comunità blindate” e, forse, stiamo addirittura per assistere alla nascita di “continenti blindati”, con Europa e Nord America in prima linea. Probabilmente vedremo presto calare nuove cortine di ferro, con serrati pattugliamenti alle frontiere e nuove misure di difesa delle coste. C’è chi si azzarda ad affermare che il rafforzamento delle frontiere non serve solo o in primo luogo a fermare i Secondo l’agenzia europea Frontex, i settori frontalieri dove vengono intercettati o tentano l’ingresso il maggior numero di migranti irregolari sono il confine tra Slovacchia e Ucraina, tra Slovenia e Croazia, tra Grecia e Albania, tra Grecia e Turchia. Inoltre, naturalmente, sono considerate zone estremamente calde il confine esterno dell’Austria rispetto a Schengen, le enclavi spagnole Ceuta e Melilla, le Canarie, la Sicilia ed in particolare Lampedusa. Fra le nazionalità dei migranti illegali provenienti dal sud dell’Europa si registrano Marocchini in primis (circa il 70%), seguiti da nazionali dell’Africa Sub-Sahariana, Eritrei ed Egiziani. 2 3 movimenti migratori – i quali di fatto continuano – ma a definire come irregolari i migranti che le attraversano, dando loro un’identità che li pone in una posizione di inferiorità e di mancanza di diritti: un esercito di invisibili ricattabile e sfruttabile3. 2. Dialettica delle migrazioni Il senso di insicurezza, che oggi sperimentano i cittadini europei, è provocato da una parte dagli inevitabili cambiamenti generazionali e, dall’altra, da una globalizzazione economica senza regole. Pertanto, scaricare la causa dell’instabilità sui migranti, più che affrontare in modo realistico le problematiche che hanno radici altrove, appare funzionale a creare nell’opinione pubblica l’immagine di uno Stato vigile e preoccupato della sicurezza dei suoi cittadini, alimentando le paure dell’altro e dei migranti in particolare. Nell’attuale situazione di crisi dell’istituzione dello Stato-Nazione, mentre si sta consolidando l’entità politica e culturale dell’Unione Europea, si pretende di offrire sicurezza ricompattando il senso identitario nazionale, senza valutare sufficientemente che le società europee sono diventate di fatto multiculturali, multietniche e plurireligiose e che bisogna, con coraggio e lungimiranza, affrontare politiche di integrazione sociale, culturale e politica della componente migratoria, presente in modo strutturale nelle nostre società. Dobbiamo ribadire, infatti, che la diversità, portata dalle migrazioni, è ormai un dato di fatto: vi sono cose, individui e culture differenti. Spesso, lungo la storia, tali differenze sono state utilizzate per dominare o per discriminare. Raramente sono state valorizzate. Concepire, invece, la diversità come un valore significa sviluppare una visione pluralistica della realtà, dove è possibile e auspicabile il riconoscimento, il rispetto e la promozione della diversità. 3. La gestione delle migrazioni Le migrazioni di oggi sono caratterizzate da una grande complessità di fattori: non va dimenticato che i migranti stessi non giocano un ruolo passivo, anzi ne sono immediati protagonisti, tanto sul versante della tutela dei diritti umani fondamentali, quanto su quello dell’osservanza dei loro doveri. Essi sono spinti da gravi necessità a partire o, in certi casi, a fuggire dai loro Paesi; ma anch’essi operano scelte, si muovono per realizzare progetti individuali o familiari di miglioramento delle proprie condizioni di vita, spesso con coraggio e determinazione. Scelte che tutti noi faremmo se ci trovassimo nelle stesse situazioni. Un fenomeno di dimensioni epocali come quello delle migrazioni richiede una politica che sappia considerare i molteplici meccanismi che lo caratterizzano. Le misure punitive non bastano, spesso nemmeno scoraggiano nuove partenze, le rendono solo più pericolose o costose. Ancor più dannoso è portare avanti una strumentalizzazione politica delle migrazioni senza davvero prendere i provvedimenti necessari, anzi scatenando risentimenti xenofobi nella popolazione locale e, di conseguenza, anche reazioni violente che possono trovare addirittura giustificazioni nelle parole di questo o quel politico, come “ci vuole cattiveria con i clandestini”. Piuttosto ci si dovrebbe chiedere come far incontrare la domanda e l’offerta di manodopera senza che i lavoratori stranieri debbano sempre passare per la porta dell’irregolarità. E poi: quanto s’investe nell’integrazione, per costruire una società – già di fatto multietnica – in cui non manchino la coesione, il rispetto reciproco e il dialogo? Cosa si fa per le scuole, sempre più messe a confronto con l’inserimento di ragazzi di origine straniera; per i quartieri più poveri, dove autoctoni e immigrati convivono tra vari disagi sociali? La collaborazione con i Paesi di partenza e di transito dei migranti può continuare a consistere solo nel finanziamento di centri di detenzione (o “campi di concentramento”) sul loro territorio? W. T. CAVANAUGH, “Migrant, tourist, pilgrim, monk: mobility and identity in a global age”, in Theological Studies 2 (2008) 344. 3 4 “L’emigrazione nella quasi totalità dei casi non è un piacere, ma una necessità... impedendola si viola una sacro diritto umano, abbandonandola a sé la si rende inefficace... è l’espressione sincera di uno stato permanente di cose”4, così scriveva Giovanni Battista Scalabrini già nel 1887. Le migrazioni sono, dunque, una realtà strutturale del nostro tempo: compito di tutti è governarla per il bene comune, anche sottolineando il rispetto delle normative, delle tradizioni e dei costumi dei Paesi che accolgono i migranti. 4. L’Enciclica Caritas in veritate È in tale ampio contesto che esprimiamo gratitudine al Santo Padre per averci donato l’Enciclica Caritas in veritate, che dedica alle migrazioni il n. 62, all’interno del capitolo V, che ha come titolo “La collaborazione della famiglia umana”. Di fatto, il tema migratorio scaturisce dalla riflessione dell’Enciclica sullo sviluppo umano integrale, al quale il Santo Padre esplicitamente rimanda. Ecco, dunque, che il fenomeno attuale delle migrazioni “impressiona – dice il Papa – per la quantità di persone coinvolte, per le problematiche sociali, economiche, politiche, culturali e religiose che solleva, per le sfide drammatiche che pone alle comunità nazionali e a quella internazionale”.5 La mobilità umana, del resto, è stata da sempre al centro dell’attenzione e della sollecitudine della Chiesa, anche se fu a partire dalla seconda metà del 1800 che i suoi interventi cominciarono ad essere sistematici. Inizialmente fu affidato a Congregazioni religiose missionarie il compito di assistere i migranti: ricordiamo, senza essere esaustivi, i primi interventi dei salesiani di Don Bosco in Argentina, l’attività di Santa Francesca Cabrini negli Stati Uniti d’America, la fondazione di una Congregazione missionaria da parte del Beato Giovanni Battista Scalabrini per i migranti italiani nelle Americhe e, in corrispondenza, l’Opera Bonomelli per l’Europa. Vi furono, poi, importanti pronunciamenti della Santa Sede, fino alla pubblicazione dell’Istruzione Erga migrantes caritas Christi, del nostro Pontificio Consiglio, nella quale i segni dei tempi e i cambiamenti delle modalità delle migrazioni trovano giusta attenzione, con richiamo all’unità e alla comunione fra i popoli come occasione provvidenziale, nel reciproco rispetto e nella difesa della dignità e della vita umana in tutte le sue forme. 5. L’apporto specifico alle migrazioni della Caritas in veritate La Chiesa, quindi, ha continuato ad offrire un prezioso contributo nel complesso e vasto fenomeno della mobilità umana, facendosi portavoce delle persone più vulnerabili ed emarginate, ma intendendo anche valorizzare i migranti, all’interno della comunità ecclesiale e della società, come coefficiente importante per l’arricchimento reciproco e per la costruzione dell’unica famiglia dei popoli, in un fecondo scambio interculturale. Pertanto l’Enciclica Caritas in veritate conferma che i flussi migratori, con tutti i componenti di movimento in entrata, transito e uscita, non sono più esperienza limitata di alcune aree del pianeta, ma costituiscono un fenomeno mondiale e permanente, tenendo conto che accanto alle migrazioni internazionali si verificano anche spostamenti massicci all’interno della G. B. SCALABRINI, L’emigrazione italiana in America. Osservazioni, Amico del Popolo, Piacenza 1887, 8. Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004, curato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, afferma che “l’immigrazione può essere una risorsa, anziché un ostacolo per lo sviluppo” (n. 297), per cui “la regolamentazione dei flussi migratori secondo criteri di equità e di equilibrio è una delle condizioni indispensabili per ottenere che gli inserimenti avvengano con le garanzie richieste dalla dignità della persona umana” (n. 298). Inoltre, “gli immigrati devono essere accolti in quanto persone e aiutati, insieme alle loro famiglie, ad integrarsi nella vita sociale. In tale prospettiva va rispettato e promosso il diritto al ricongiungimento familiare. Nello stesso tempo, per quanto è possibile, vanno favorite tutte quelle condizioni che consentono accresciute possibilità di lavoro nelle proprie zone di origine” (Ibid.). 4 5 5 medesima regione e che l’urbanizzazione è ormai fatto caratteristico delle società moderne, anche come conseguenza degli squilibri economico-produttivi interni e internazionali. Di fatto, scrive Benedetto XVI, “siamo di fronte a un fenomeno sociale di natura epocale, che richiede una forte e lungimirante politica di cooperazione internazionale per essere adeguatamente affrontato” (n. 62). Poste tali premesse, il Santo Padre articola la sua densa riflessione scandendo un itinerario che compendia argomenti salienti della Dottrina sociale della Chiesa. Infatti, anzitutto mette in rilievo l’esigenza di “una stretta collaborazione” tra i Paesi di partenza e di arrivo dei migranti, ai quali dovremmo aggiungere altresì il coinvolgimento responsabile e attivo di quelli di transito. Per analogia, partecipano al medesimo processo anche le comunità cristiane e tutti gli organismi, nazionali e internazionali, che si dedicano ai movimenti migratori. È nell’ambito dei principi di solidarietà e di sussidiarietà, perciò, che si rendono necessarie “adeguate normative internazionali” cui devono armonizzarsi quelle nazionali (n. 62).6 L’orizzonte che non bisogna perdere di vista, comunque, è la centralità della persona umana, “primo capitale da salvaguardare e valorizzare… nella sua integrità” (n. 25), con attenzione alla tutela dei diritti sia dei singoli migranti e delle loro famiglie, sia delle società che li accolgono. Trattandosi di questioni tanto ampie, poi, è opportuno il richiamo del Santo Padre a considerare che “nessun Paese da solo può ritenersi in grado di far fronte ai problemi migratori del nostro tempo” e, pertanto, trova giusta collocazione la raccomandazione rivolta a tutti ad essere attenti “al carico di sofferenza, di disagio e aspirazioni che accompagna i flussi migratori”, anche perché “il fenomeno migratorio è di gestione complessa” (n. 62). Se, tuttavia, gli aspetti problematici balzano in primo piano con relativa facilità, non si devono sottovalutare gli elementi di positività, anche soltanto dal punto di vista dell’economia legata allo sviluppo. In effetti, “i lavoratori stranieri, nonostante le difficoltà connesse con la loro integrazione, recano un contributo significativo allo sviluppo economico del Paese ospite con il loro lavoro, oltre che a quello del Paese d’origine grazie alle rimesse finanziarie” (ibid.). Proprio nell’ambito del sistema di mercato, ad ogni modo, la voce del Santo Padre risuona con toni di allarme e di denuncia, soprattutto perché siano messi in guardia coloro che sfruttano la condizione di debolezza e di vulnerabilità dei migranti, dal momento che “tali lavoratori non possono essere considerati come una merce o una mera forza lavoro. Non devono, quindi, essere trattati come qualsiasi altro fattore di produzione” (ibid.). La dichiarazione conclusiva del n. 62, infine, ripropone principi sui quali la Chiesa non è disposta a negoziare, appunto perché, nel mistero dell’incarnazione e della redenzione, contempla la dignità e il rispetto di ogni creatura, voluta “ad immagine e somiglianza” del Creatore. E, dunque, “ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione” (ibid.). 6. Una visione nel segno della positività, non senza denuncia L’Enciclica Caritas in veritate, poi, fa esplicito riferimento alla mobilità umana in altri due passaggi. Il primo si colloca nel capitolo secondo, che ha come tema “Lo sviluppo umano nel Benedetto XVI ha altresì ribadito che “è importante tutelare i migranti e le loro famiglie mediante l’ausilio di presidi legislativi, giuridici e amministrativi specifici, ed anche attraverso una rete di servizi, di punti di ascolto e di strutture di assistenza sociale e pastorale”, nell’Angelus del 14.01.2007: People on the Move XXXIX (104, 2007) 31. Ciò in consonanza con la precisazione che “la Chiesa offre, in varie sue Istituzioni e Associazioni, quell’advocacy che si rende sempre più necessaria”, nel Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2007: People on the Move XXXVIII (102, 2006) 42. 6 6 nostro tempo”, ed è inserito nell’elenco di fattori che il Santo Padre definisce “decisivi per il bene presente e futuro dell’umanità” (n. 21). Pertanto, “gli imponenti flussi migratori, spesso solo provocati e non poi adeguatamente gestiti” (ibid.), spingono la comunità internazionale, ma anche tutti gli uomini e le donne di buona volontà, a considerare con la dovuta attenzione tutte quelle situazioni attuali che esigono nuovi orientamenti e coraggiose prese di posizione per il bene comune degli Stati e per quello universale. Le migrazioni, in tale quadro, affiancano “le forze tecniche in campo, le interrelazioni planetarie, gli effetti deleteri sull’economia reale di un’attività finanziaria mal utilizzata e per lo più speculativa,[...]lo sfruttamento sregolato delle risorse della terra” (ibid.). Le migrazioni, in più, hanno una duplice connotazione di valore: in primo luogo, esse hanno raggiunto oggi dimensioni considerevoli e, anche soltanto per tale peso quantitativo, non possono essere trascurate; in secondo luogo, è sempre più chiaro il volto ferito dei migranti, nel turbine di movimenti che non sono espressione di libera scelta, ma “spesso provocati”, cioè causati da politiche sbagliate, in particolare nel contrasto all’immigrazione irregolare. In effetti, più le misure sono restrittive e più aumenta il numero dei migranti irregolari e dei trafficanti di manodopera straniera.7 Così, anche i confini nazionali più protetti vengono quotidianamente varcati da persone che fuggono condizioni di vita inaccettabili e che non si arrestano di fronte a pericoli e ostacoli di ogni genere. Si tratta, infine, di inadeguata gestione quando l’integrazione è ostacolata da impraticabili condizioni e la partecipazione di tutti alla gestione del bene comune rimane un proclama che non trova modalità per concretizzarsi. Due, pertanto, sono gli estremi da evitare: quello dell’assorbimento, della completa assimilazione nella società dominante con pregiudizio della identità del migrante, e quello dell’esclusione, che comporta il pericolo dell’emarginazione.8 7. Una lettura di fede Anche nell’ambito del fenomeno migratorio si propone, quindi, una lettura piena di fede e di speranza perché, al di là dei risvolti drammatici che spesso accompagnano la storia dei migranti, i loro volti e le loro vicende portano il sigillo della storia della salvezza e della teologia dei “segni dei tempi”. Pertanto, pure i migranti sono provvidenziale risorsa da scoprire e da valorizzare nella costruzione di una umanità nuova e nell’annuncio del Vangelo. Benedetto XVI, nella Caritas in veritate, affida a tutti la responsabilità di promuovere e garantire uno sviluppo sostenibile, Giovanni Battista Scalabrini, già nel 1888, in una lettera aperta all’onorevole Paolo Carcano, sottosegretario alle Finanze, denunciava l’opera negativa degli agenti di emigrazione e li definiva “fiutatori di cadaveri… negozianti di carne umana”: Il disegno di legge sulla emigrazione italiana. Osservazioni e proposte, Tipografia dell’Amico del Popolo, Piacenza 1888. 8 In tale ampio contesto non sono mancati pronunciamenti dei Vescovi, che hanno fatto sentire la loro voce negli interventi che qui segnaliamo fra gli altri: “We are aliens and transients before the Lord our God”, 2006, della Conferenza Episcopale Canadese; “La Pastoral de las Migraciones en España. Reflexión pastoral y Orientaciones Prácticas para una Pastoral de Migraciones en España a la luz de la Instrucción Pontificia ‘Erga migrantes caritas Christi’”, 2007, a cura della Conferenza Episcopale Spagnola; “Graced by Migration”, pubblicato nel 2008 dalla Conferenza Episcopale Australiana. Tra il 2000 e il 2003, i Vescovi Statunitensi hanno pubblicato tre importanti lettere pastorali: “Welcoming the Stranger Among Us: Unity in Diversity”; “Asian and Pacific Presence: Harmony in Faith” e “Strangers No Longer: Together on the Journey of Hope”, scritta in collaborazione con i Vescovi del Messico. A sua volta, il “Service National de la Pastorale des Migrants et des Personnes Itinérantes”, in Francia, ha emanto il documento “Artisans de communion. Aumôneries et aumôniers des Communautés des catholiques de la migration”, nel 2007. 7 7 compresi i Paesi emergenti e le élites di quelli poveri. Nel rispetto dei principi della solidarietà e della sussidiarietà si fa strada la legittima rivendicazione delle diversità. Certamente si apre, poi, non senza fatica, la via della scoperta che l’altra faccia della differenza è la somiglianza e che la somiglianza non coincide affatto con l’uniformità, ma è il criterio più ragionevole per la costruzione dell’unica famiglia dei popoli, con radice nella rivelazione biblica e nella feconda storia del cristianesimo. 8. Alcuni fondamenti teologico-pastorali Proprio questi rilievi, dunque, permettono di individuare alcuni pilastri sui quali si edifica la sollecitudine pastorale ecclesiale, da un punto di vista biblico-teologico. Anzitutto vi è l’affermazione della pari dignità delle persone umane: “Ogni uomo è amato da Dio. Nessuno è escluso dal suo amore. È questo il principio della salvezza universale”, affermò Giovanni Paolo II nel Messaggio per la Giornata mondiale del migrante del 1987.9 Tale punto di partenza sollecita e promuove il principio della solidarietà dei popoli e quello della sussidiarietà, come leggiamo nella Sollicitudo rei socialis, ai numeri 23 e 38.10 Da qui deriva altresì la responsabilità comune verso i migranti, che è cresciuta in seguito al fenomeno della globalizzazione. Ora, i fondamenti del rispetto e dell’accoglienza dei migranti sono contenuti, per noi credenti, nella Parola di Dio. Da Dio stesso infatti giunge l’invito ad amare lo straniero: “Quando uno straniero si stabilirà nella vostra terra, non opprimetelo; al contrario, trattandolo come se fosse uno dei vostri connazionali, dovete amarlo come voi stessi. Ricordatevi che anche voi siete stati stranieri in Egitto: Io sono il Signore vostro Dio” (Lev 19,33s). Il Nuovo Testamento, poi, raccomanda con insistenza l’ospitalità, l’accoglienza e il rispetto per la pari dignità di tutti gli esseri umani. La lettera di Paolo agli Efesini, ad esempio, proclama che non siamo più “stranieri né ospiti, ma concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio” (Ef 2,19). Purtroppo, non sempre i messaggi biblici in favore dello straniero hanno avuto adeguata applicazione nella catechesi e nella prassi. Anzi, forse la poca attenzione data al testo biblico è una delle ragioni per cui l’Europa è stata ed è così cedevole ai nazionalismi e alle chiusure xenofobe. La presenza di migranti in mezzo a noi ci ricorda che, dal punto di vista biblico, libertà e benessere sono doni e come tali possono essere mantenuti solo se condivisi con chi ne è privo. Dunque, dal momento che valorizziamo la persona e la dignità di ognuno in quanto immagine di Dio, diventa importante impegnarsi perché si concretizzi l’eguaglianza di tutte le persone umane. 9. La priorità del dialogo In tale visione, nel Messaggio inviato in occasione della giornata di studio organizzata dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e dal Pontificio Consiglio della Cultura, il 3 dicembre 2008, Benedetto XVI ha affermato che il tema del dialogo tra culture e religioni è oggi “una priorità” per l’Europa e ha spiegato che “l’Europa contemporanea, che si affaccia sul Terzo Millennio, è frutto di due millenni di civiltà. Essa affonda le sue radici sia nell’ingente e antico patrimonio di Atene e di Roma sia, e soprattutto, nel fecondo terreno del Nel Messaggio dell'anno precedente, il Papa affermò che “L’impegno a realizzare una vera uguaglianza e la volontà di tutelare i settori sociali più deboli, verso cui spesso confluiscono discriminazioni e razzismo, portano alla costruzione di una società più giusta e quindi più umana”. 10 “Una Nazione che cedesse, più o meno consapevolmente, alla tentazione di chiudersi in se stessa, venendo meno alle responsabilità conseguenti ad una superiorità nel concerto delle Nazioni, mancherebbe gravemente ad un suo preciso dovere etico” (n. 23). 9 8 Cristianesimo, che si è rivelato capace di creare nuovi patrimoni culturali pur recependo il contributo originale di ogni civiltà”.11 “Il tema del dialogo interculturale e interreligioso – ha aggiunto il Papa – emerge come una priorità per l’Unione europea e interessa in modo trasversale i settori della cultura e della comunicazione, dell’educazione e della scienza, delle migrazioni e delle minoranze, fino a raggiungere i settori della gioventù e del lavoro”.12 Infine, il Santo Padre ha concluso il Messaggio invitando i credenti ad essere “pronti a promuovere iniziative di dialogo interculturale e interreligioso, al fine di stimolare la collaborazione su temi di interesse reciproco, come la dignità della persona umana, la ricerca del bene comune, la costruzione della pace, lo sviluppo”. 10. La “cultura dell’accoglienza” Accanto a questi argomenti di riflessione teologico-pastorale, non possiamo dimenticare il tema dell’accoglienza e, più in particolare, l’elaborazione di una “cultura” e di un’“etica dell’accoglienza” nelle condizioni di vita attuali. Il mio predecessore alla Presidenza del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, il Cardinale Renato Raffaele Martino, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato del giugno 2008, ha affermato che “l’accoglienza dello straniero è il cuore dell’identità Europea”. In effetti, le migrazioni dei popoli pongono oggi seri interrogativi: come accogliere i nuovi immigrati? Fino a quale punto spingersi nell’accettazione delle tradizioni di vita di chi arriva da altre culture? Quali reali possibilità abbiamo di sperimentare un incontro delle civiltà che non sia piuttosto uno scontro o un conflitto? Tali domande non ammettono risposte semplicistiche che tanto più attraggono quanto più sono demagogiche e velleitarie. Nel nuovo e irreversibile contesto pluriculturale, quale convivenza sociale costruire perché sia giusta e solidale? Come deve essere la società perché sia a servizio delle persone e dei diversi gruppi umani che la compongono? Nel tentare una risposta, si può ipotizzare un triplice modello: una società che rifiuta le differenze; una società che tollera le differenze; una società che include le differenze. La Chiesa intende affermare la cultura del rispetto, dell’uguaglianza e della valorizzazione delle diversità, capace di vedere i migranti come portatori di valori e di risorse. Per queste motivazioni essa invita a rivedere politiche e norme che compromettono la tutela dei diritti fondamentali, come quello del ricongiungimento familiare, dell’accesso alla cittadinanza, della stabilità del proprio progetto migratorio. Esprime inoltre un forte dissenso rispetto alla E continua dicendo che “Il nuovo umanesimo, sorto dalla diffusione del messaggio evangelico, esalta tutti gli elementi degni della persona umana e della sua vocazione trascendente, purificandoli dalle scorie che offuscano l’autentico volto dell’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio. Così, l’Europa ci appare oggi come un prezioso tessuto, la cui trama è formata dai principi e dai valori scaturiti dal Vangelo, mentre le culture nazionali hanno saputo ricamare una immensa varietà di prospettive che manifestano le capacità religiose, intellettuali, tecniche, scientifiche e artistiche dell’Homo europeus. In questo senso possiamo affermare che l’Europa ha avuto e ha tuttora un influsso culturale sull’insieme del genere umano, e non può fare a meno di sentirsi particolarmente responsabile non solo del suo futuro ma anche di quello dell’umanità intera”. 12 Il Santo Padre, proseguendo, spiega che “Una volta accolta la diversità come dato positivo, occorre fare in modo che le persone accettino non soltanto l’esistenza della cultura dell’altro, ma desiderino anche riceverne un arricchimento. Il mio Predecessore, il servo di Dio Paolo VI, indirizzandosi ai cattolici, enunciava in questi termini la sua profonda convinzione: ‘La Chiesa deve entrare in dialogo con il mondo in cui essa vive. La Chiesa si fa parola, la Chiesa si fa messaggio, la Chiesa si fa conversazione’ (Enc. Ecclesiam suam, n. 67). Viviamo in quello che si suole chiamare un ‘mondo pluralistico’, caratterizzato dalla rapidità delle comunicazioni, dalla mobilità dei popoli e dalla loro interdipendenza economica, politica e culturale. Proprio in quest’ora, talvolta drammatica, anche se purtroppo molti Europei sembrano ignorare le radici cristiane dell’Europa, esse sono vive, e dovrebbero tracciare il cammino e alimentare la speranza di milioni di cittadini che condividono i medesimi valori”. 11 9 prassi sempre più restrittiva in merito alla concessione dello status di rifugiato e al ricorso sempre più frequente alla detenzione e all’espulsione dei migranti. La Chiesa continuerà a impegnarsi affinché siano intensificati gli incontri e il dialogo interreligioso e si adopererà perché le legislazioni sulla libertà religiosa siano improntate a uno spirito di correttezza e di reciproco rispetto. Continuerà altresì ad accogliere con fraternità i migranti che provengono da Chiese sorelle, a condividere con loro la ricchezza della diversità e ad annunciare insieme il Vangelo attraverso la parola e l’azione. Senza dubbio, la luce del messaggio biblico induce i cristiani ad assumere con rinnovato impegno le proprie responsabilità all’interno delle comunità nazionali e delle istituzioni Europee e nello stesso tempo a promuovere la giustizia sociale all’interno dei popoli ed in particolare a superare l’abisso che separa il ricco dal povero. Conclusione La Chiesa, di fronte al fenomeno della mobilità umana, pone urgenti interrogativi di natura storica, culturale, economica, sociale e politica, richiamandosi al Vangelo, il quale sollecita i cristiani dell’Unione Europea, le Chiese sorelle e le società civili a contribuire insieme, affinché venga concessa una accoglienza umana e dignitosa a uomini e donne migranti, ai profughi, ai rifugiati e a quanti sono coinvolti nelle diverse forme di mobilità. Inoltre la Chiesa, consapevole delle tragedie passate, sa che l’integrazione piena di ogni minoranza è essenziale per il mantenimento della concordia civile e della democrazia. Sul fondamento della fede cristiana, essa intende contribuire alla costruzione di un’Europa dal volto più umano, in cui siano tutelati i diritti umani e i valori basilari della pace, della giustizia, della libertà, della tolleranza, della partecipazione e della solidarietà. Grazie!