VIII Congresso europeo CCEE sulle Migrazioni

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IT
VIII CONGRESSO EUROPEO CCEE SULLE MIGRAZIONI
MÁLAGA (ES), 27 APRILE – 1° MAGGIO 2010
S.E. Mons. Antonio Maria VEGLIÒ
Presidente del Pontificio Consiglio
della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti
Analisi e interpretazione della Chiesa in relazione ai cambiamenti
portati in Europa dalla migrazione e dalla mobilità.
Una prospettiva teologica.
Sono grato al Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, il Signor
Cardinale Péter Erdö, e al Presidente della Commissione per le migrazioni, Mons. José
Sánchez González, che hanno promosso questo Congresso europeo. Ringrazio
cordialmente il Segretario Generale, Padre Duarte da Cunha, per l’invito che mi ha rivolto, e
che ho accettato volentieri, di parlarvi sul tema: “Analisi e interpretazione della Chiesa in
relazione ai cambiamenti portati in Europa dalla migrazione e dalla mobilità. Una prospettiva
teologica”.
Saluto cordialmente gli Eminentissimi Cardinali, gli Eccellentissimi Vescovi e tutti voi qui
presenti.
Questo importante Incontro ha come tema “L’Europa delle persone in movimento. Superare
le paure. Disegnare prospettive”. In effetti, il fenomeno delle migrazioni ha sempre
accompagnato la storia dell’umanità, ma negli ultimi decenni ha assunto dimensioni quasi
universali e significati sempre più complessi1. Ogni continente e tutti i Governi sono chiamati
a confrontarsi con esso e con i nuovi aspetti che nel nostro tempo lo accompagnano.
Motivazioni e cause sono stati oggetto di innumerevoli studi e convegni, che riescono spesso
a constatare e documentare soprattutto la drammaticità dei modi in cui molte migrazioni
avvengono, senza però poterne diminuire il costo umano e sociale.
Dati recenti si possono consultare nel Rapporto dell’INTERNATIONAL ORGANIZATION FOR MIGRATION, World
Migration 2008: Managing Labour Mobility in the Evolving Global Economy, 2008. L’International Migration
Outlook 2008, il Rapporto annuale in materia di migrazioni dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo
Sviluppo Economico (OCSE), evidenzia che nel corso del 2006 (l’ultimo anno di riferimento statistico), gli
immigrati regolari permanenti nei Paesi membri dell’OCSE sono aumentati del 5%, una crescita ridotta rispetto
al 12% del 2005 e al 18% del 2004. Complessivamente, circa 4 milioni di persone sono emigrate verso gli Stati
membri dell’OCSE, il 44% per motivi di ricongiungimento familiare e il 14% per lavoro tra gli immigrati
permanenti. Mentre in termini assoluti gli aumenti più significativi dei flussi d’immigrazione si sono registrati
negli Stati Uniti (che hanno ricevuto circa un terzo del flusso permanente con 1,3 milioni nel 2006), nel Regno
Unito (340.000) in Spagna, Canada e Germania, in rapporto alla popolazione totale hanno ricevuto i flussi più
significativi Irlanda, Nuova Zelanda e Svizzera, mentre anche Portogallo, Svezia e Danimarca hanno rilevato
incrementi superiori al 20%; in Austria (-18%) e Germania (-11%) invece le diminuzioni più consistenti.
L’Irlanda, ad esempio, ha registrato un aumento di immigrazione pari al 66% negli ultimi sei anni, la Finlandia
40%. In alcuni Paesi, come Giappone, Germania e Ungheria, il contributo dell’immigrazione non ha permesso di
portare in positivo il saldo demografico nel 2006, mentre nei Paesi dove la popolazione è in aumento
l’immigrazione contribuisce già per il 40% alla crescita, con punte dell’80% nei Paesi dell’Europa meridionale.
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1. L’Europa e gli odierni flussi migratori
Nei 27 Paesi dell’Unione si calcolano attualmente 24 milioni di immigrati, per lo più
provenienti dai Paesi stessi dell’Unione. I due terzi della presenza straniera sono ospitati da
Germania, Francia e Regno Unito, anche se i Paesi mediterranei registrano costanti
aumenti.
È difficile, invece, avere cifre precise circa gli immigrati irregolari, ma secondo valutazioni
recenti sarebbero fra i 4,5 e gli 8 milioni, con un aumento stimato fra i 350 mila e i 500 mila
all’anno2.
Sembra sempre più evidente che in Europa i flussi della mobilità umana siano percepiti in
maniera negativa dalla popolazione. Lo testimoniano diversi sondaggi, che rilevano
l’impressione largamente diffusa che gli stranieri siano troppi, costituiscano una minaccia alla
cultura e all’identità, all’ordine e alla sicurezza, oltre che il preoccupante aumento di
comportamenti negativi nei confronti degli immigrati, motivati dall’opinione che, almeno in
parte, gli svantaggi in termini di mercato del lavoro siano causati dalla presenza degli
stranieri.
Di fatto, l’Europa, sentendosi “fortezza” assediata, affronta sulla difensiva il fenomeno della
mobilità. La “governance” delle migrazioni e la lotta contro l’immigrazione irregolare sono
prospettate come la soluzione principale per dare sicurezza alle società europee, inserendo
il controllo dell’immigrazione nell’ottica della lotta al terrorismo, soprattutto di matrice
islamica. Viene, così, proposta e ribadita la trilogia inaccettabile “immigrazione – criminalità e
terrorismo – insicurezza”. Per tale reagione, la politica migratoria dell’Europa afferma la
chiusura delle frontiere alle persone, ma la libertà di circolazione alle informazioni, ai beni e
ai capitali. Di fatto, tutti i Paesi europei, seppur in forme diverse, conoscono il paradosso di
frontiere sempre più chiuse o selettive e, contemporaneamente, di flussi migratori irregolari.
Lo stesso, in realtà, si può dire degli altri continenti: si va diffondendo un atteggiamento
politico di rifiuto degli immigrati, mentre le economie continuano a richiederne l’assunzione. È
sotto gli occhi di tutti che ci troviamo di fronte alla tendenza di molti Paesi a trincerarsi, a
chiudersi, ad assicurare il livello di benessere raggiunto dentro le proprie mura, senza
prestare sufficiente attenzione alle necessità di chi si trova fuori le mura con grave omissione
del principio di solidarietà.
Ecco allora che l’obiettivo della politica europea appare quello di limitare il numero degli
immigrati, rendendo difficile e quasi impossibile l’arrivo di quelli regolari e di eliminare gli
irregolari. Si propone di selezionare i flussi migratori perché non siano pericolosi e di
costringere gli immigrati a non inserirsi nelle nostre società, per non creare contaminazioni
culturali ed inquinare l’identità europea, o dei singoli Paesi dell’Unione. Si è di fronte ad una
specie di “deriva etnica” istituzionalizzata, che certamente non favorisce né l’approccio
sereno degli autoctoni verso gli immigrati e neppure il processo di integrazione degli
immigrati nel tessuto delle società di arrivo.
In tempi recenti sono andate aumentando le cosiddette “comunità blindate” e, forse, stiamo
addirittura per assistere alla nascita di “continenti blindati”, con Europa e Nord America in
prima linea. Probabilmente vedremo presto calare nuove cortine di ferro, con serrati
pattugliamenti alle frontiere e nuove misure di difesa delle coste. C’è chi si azzarda ad
affermare che il rafforzamento delle frontiere non serve solo o in primo luogo a fermare i
Secondo l’agenzia europea Frontex, i settori frontalieri dove vengono intercettati o tentano l’ingresso il
maggior numero di migranti irregolari sono il confine tra Slovacchia e Ucraina, tra Slovenia e Croazia, tra Grecia
e Albania, tra Grecia e Turchia. Inoltre, naturalmente, sono considerate zone estremamente calde il confine
esterno dell’Austria rispetto a Schengen, le enclavi spagnole Ceuta e Melilla, le Canarie, la Sicilia ed in
particolare Lampedusa. Fra le nazionalità dei migranti illegali provenienti dal sud dell’Europa si registrano
Marocchini in primis (circa il 70%), seguiti da nazionali dell’Africa Sub-Sahariana, Eritrei ed Egiziani.
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movimenti migratori – i quali di fatto continuano – ma a definire come irregolari i migranti che
le attraversano, dando loro un’identità che li pone in una posizione di inferiorità e di
mancanza di diritti: un esercito di invisibili ricattabile e sfruttabile3.
2. Dialettica delle migrazioni
Il senso di insicurezza, che oggi sperimentano i cittadini europei, è provocato da una parte
dagli inevitabili cambiamenti generazionali e, dall’altra, da una globalizzazione economica
senza regole. Pertanto, scaricare la causa dell’instabilità sui migranti, più che affrontare in
modo realistico le problematiche che hanno radici altrove, appare funzionale a creare
nell’opinione pubblica l’immagine di uno Stato vigile e preoccupato della sicurezza dei suoi
cittadini, alimentando le paure dell’altro e dei migranti in particolare. Nell’attuale situazione di
crisi dell’istituzione dello Stato-Nazione, mentre si sta consolidando l’entità politica e culturale
dell’Unione Europea, si pretende di offrire sicurezza ricompattando il senso identitario
nazionale, senza valutare sufficientemente che le società europee sono diventate di fatto
multiculturali, multietniche e plurireligiose e che bisogna, con coraggio e lungimiranza,
affrontare politiche di integrazione sociale, culturale e politica della componente migratoria,
presente in modo strutturale nelle nostre società.
Dobbiamo ribadire, infatti, che la diversità, portata dalle migrazioni, è ormai un dato di fatto:
vi sono cose, individui e culture differenti. Spesso, lungo la storia, tali differenze sono state
utilizzate per dominare o per discriminare. Raramente sono state valorizzate. Concepire,
invece, la diversità come un valore significa sviluppare una visione pluralistica della realtà,
dove è possibile e auspicabile il riconoscimento, il rispetto e la promozione della diversità.
3. La gestione delle migrazioni
Le migrazioni di oggi sono caratterizzate da una grande complessità di fattori: non va
dimenticato che i migranti stessi non giocano un ruolo passivo, anzi ne sono immediati
protagonisti, tanto sul versante della tutela dei diritti umani fondamentali, quanto su quello
dell’osservanza dei loro doveri. Essi sono spinti da gravi necessità a partire o, in certi casi, a
fuggire dai loro Paesi; ma anch’essi operano scelte, si muovono per realizzare progetti
individuali o familiari di miglioramento delle proprie condizioni di vita, spesso con coraggio e
determinazione. Scelte che tutti noi faremmo se ci trovassimo nelle stesse situazioni.
Un fenomeno di dimensioni epocali come quello delle migrazioni richiede una politica che
sappia considerare i molteplici meccanismi che lo caratterizzano. Le misure punitive non
bastano, spesso nemmeno scoraggiano nuove partenze, le rendono solo più pericolose o
costose. Ancor più dannoso è portare avanti una strumentalizzazione politica delle
migrazioni senza davvero prendere i provvedimenti necessari, anzi scatenando risentimenti
xenofobi nella popolazione locale e, di conseguenza, anche reazioni violente che possono
trovare addirittura giustificazioni nelle parole di questo o quel politico, come “ci vuole
cattiveria con i clandestini”. Piuttosto ci si dovrebbe chiedere come far incontrare la domanda
e l’offerta di manodopera senza che i lavoratori stranieri debbano sempre passare per la
porta dell’irregolarità.
E poi: quanto s’investe nell’integrazione, per costruire una società – già di fatto multietnica –
in cui non manchino la coesione, il rispetto reciproco e il dialogo? Cosa si fa per le scuole,
sempre più messe a confronto con l’inserimento di ragazzi di origine straniera; per i quartieri
più poveri, dove autoctoni e immigrati convivono tra vari disagi sociali? La collaborazione con
i Paesi di partenza e di transito dei migranti può continuare a consistere solo nel
finanziamento di centri di detenzione (o “campi di concentramento”) sul loro territorio?
W. T. CAVANAUGH, “Migrant, tourist, pilgrim, monk: mobility and identity in a global age”, in Theological
Studies 2 (2008) 344.
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“L’emigrazione nella quasi totalità dei casi non è un piacere, ma una necessità...
impedendola si viola una sacro diritto umano, abbandonandola a sé la si rende inefficace... è
l’espressione sincera di uno stato permanente di cose”4, così scriveva Giovanni Battista
Scalabrini già nel 1887. Le migrazioni sono, dunque, una realtà strutturale del nostro tempo:
compito di tutti è governarla per il bene comune, anche sottolineando il rispetto delle
normative, delle tradizioni e dei costumi dei Paesi che accolgono i migranti.
4. L’Enciclica Caritas in veritate
È in tale ampio contesto che esprimiamo gratitudine al Santo Padre per averci donato
l’Enciclica Caritas in veritate, che dedica alle migrazioni il n. 62, all’interno del capitolo V, che
ha come titolo “La collaborazione della famiglia umana”. Di fatto, il tema migratorio scaturisce
dalla riflessione dell’Enciclica sullo sviluppo umano integrale, al quale il Santo Padre
esplicitamente rimanda. Ecco, dunque, che il fenomeno attuale delle migrazioni “impressiona
– dice il Papa – per la quantità di persone coinvolte, per le problematiche sociali,
economiche, politiche, culturali e religiose che solleva, per le sfide drammatiche che pone
alle comunità nazionali e a quella internazionale”.5
La mobilità umana, del resto, è stata da sempre al centro dell’attenzione e della sollecitudine
della Chiesa, anche se fu a partire dalla seconda metà del 1800 che i suoi interventi
cominciarono ad essere sistematici. Inizialmente fu affidato a Congregazioni religiose
missionarie il compito di assistere i migranti: ricordiamo, senza essere esaustivi, i primi
interventi dei salesiani di Don Bosco in Argentina, l’attività di Santa Francesca Cabrini negli
Stati Uniti d’America, la fondazione di una Congregazione missionaria da parte del Beato
Giovanni Battista Scalabrini per i migranti italiani nelle Americhe e, in corrispondenza,
l’Opera Bonomelli per l’Europa.
Vi furono, poi, importanti pronunciamenti della Santa Sede, fino alla pubblicazione
dell’Istruzione Erga migrantes caritas Christi, del nostro Pontificio Consiglio, nella quale i
segni dei tempi e i cambiamenti delle modalità delle migrazioni trovano giusta attenzione,
con richiamo all’unità e alla comunione fra i popoli come occasione provvidenziale, nel
reciproco rispetto e nella difesa della dignità e della vita umana in tutte le sue forme.
5. L’apporto specifico alle migrazioni della Caritas in veritate
La Chiesa, quindi, ha continuato ad offrire un prezioso contributo nel complesso e vasto
fenomeno della mobilità umana, facendosi portavoce delle persone più vulnerabili ed
emarginate, ma intendendo anche valorizzare i migranti, all’interno della comunità ecclesiale
e della società, come coefficiente importante per l’arricchimento reciproco e per la
costruzione dell’unica famiglia dei popoli, in un fecondo scambio interculturale.
Pertanto l’Enciclica Caritas in veritate conferma che i flussi migratori, con tutti i componenti di
movimento in entrata, transito e uscita, non sono più esperienza limitata di alcune aree del
pianeta, ma costituiscono un fenomeno mondiale e permanente, tenendo conto che accanto
alle migrazioni internazionali si verificano anche spostamenti massicci all’interno della
G. B. SCALABRINI, L’emigrazione italiana in America. Osservazioni, Amico del Popolo, Piacenza 1887, 8.
Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004, curato
dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, afferma che “l’immigrazione può essere una risorsa,
anziché un ostacolo per lo sviluppo” (n. 297), per cui “la regolamentazione dei flussi migratori secondo criteri
di equità e di equilibrio è una delle condizioni indispensabili per ottenere che gli inserimenti avvengano con le
garanzie richieste dalla dignità della persona umana” (n. 298). Inoltre, “gli immigrati devono essere accolti in
quanto persone e aiutati, insieme alle loro famiglie, ad integrarsi nella vita sociale. In tale prospettiva va
rispettato e promosso il diritto al ricongiungimento familiare. Nello stesso tempo, per quanto è possibile, vanno
favorite tutte quelle condizioni che consentono accresciute possibilità di lavoro nelle proprie zone di origine”
(Ibid.).
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medesima regione e che l’urbanizzazione è ormai fatto caratteristico delle società moderne,
anche come conseguenza degli squilibri economico-produttivi interni e internazionali. Di
fatto, scrive Benedetto XVI, “siamo di fronte a un fenomeno sociale di natura epocale, che
richiede una forte e lungimirante politica di cooperazione internazionale per essere
adeguatamente affrontato” (n. 62).
Poste tali premesse, il Santo Padre articola la sua densa riflessione scandendo un itinerario
che compendia argomenti salienti della Dottrina sociale della Chiesa. Infatti, anzitutto mette
in rilievo l’esigenza di “una stretta collaborazione” tra i Paesi di partenza e di arrivo dei
migranti, ai quali dovremmo aggiungere altresì il coinvolgimento responsabile e attivo di
quelli di transito. Per analogia, partecipano al medesimo processo anche le comunità
cristiane e tutti gli organismi, nazionali e internazionali, che si dedicano ai movimenti
migratori. È nell’ambito dei principi di solidarietà e di sussidiarietà, perciò, che si rendono
necessarie “adeguate normative internazionali” cui devono armonizzarsi quelle nazionali (n.
62).6
L’orizzonte che non bisogna perdere di vista, comunque, è la centralità della persona umana,
“primo capitale da salvaguardare e valorizzare… nella sua integrità” (n. 25), con attenzione
alla tutela dei diritti sia dei singoli migranti e delle loro famiglie, sia delle società che li
accolgono.
Trattandosi di questioni tanto ampie, poi, è opportuno il richiamo del Santo Padre a
considerare che “nessun Paese da solo può ritenersi in grado di far fronte ai problemi
migratori del nostro tempo” e, pertanto, trova giusta collocazione la raccomandazione rivolta
a tutti ad essere attenti “al carico di sofferenza, di disagio e aspirazioni che accompagna i
flussi migratori”, anche perché “il fenomeno migratorio è di gestione complessa” (n. 62).
Se, tuttavia, gli aspetti problematici balzano in primo piano con relativa facilità, non si devono
sottovalutare gli elementi di positività, anche soltanto dal punto di vista dell’economia legata
allo sviluppo. In effetti, “i lavoratori stranieri, nonostante le difficoltà connesse con la loro
integrazione, recano un contributo significativo allo sviluppo economico del Paese ospite con
il loro lavoro, oltre che a quello del Paese d’origine grazie alle rimesse finanziarie” (ibid.).
Proprio nell’ambito del sistema di mercato, ad ogni modo, la voce del Santo Padre risuona
con toni di allarme e di denuncia, soprattutto perché siano messi in guardia coloro che
sfruttano la condizione di debolezza e di vulnerabilità dei migranti, dal momento che “tali
lavoratori non possono essere considerati come una merce o una mera forza lavoro. Non
devono, quindi, essere trattati come qualsiasi altro fattore di produzione” (ibid.).
La dichiarazione conclusiva del n. 62, infine, ripropone principi sui quali la Chiesa non è
disposta a negoziare, appunto perché, nel mistero dell’incarnazione e della redenzione,
contempla la dignità e il rispetto di ogni creatura, voluta “ad immagine e somiglianza” del
Creatore. E, dunque, “ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede
diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione” (ibid.).
6. Una visione nel segno della positività, non senza denuncia
L’Enciclica Caritas in veritate, poi, fa esplicito riferimento alla mobilità umana in altri due
passaggi. Il primo si colloca nel capitolo secondo, che ha come tema “Lo sviluppo umano nel
Benedetto XVI ha altresì ribadito che “è importante tutelare i migranti e le loro famiglie mediante l’ausilio di
presidi legislativi, giuridici e amministrativi specifici, ed anche attraverso una rete di servizi, di punti di ascolto
e di strutture di assistenza sociale e pastorale”, nell’Angelus del 14.01.2007: People on the Move XXXIX (104,
2007) 31. Ciò in consonanza con la precisazione che “la Chiesa offre, in varie sue Istituzioni e Associazioni,
quell’advocacy che si rende sempre più necessaria”, nel Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e
del Rifugiato 2007: People on the Move XXXVIII (102, 2006) 42.
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nostro tempo”, ed è inserito nell’elenco di fattori che il Santo Padre definisce “decisivi per il
bene presente e futuro dell’umanità” (n. 21).
Pertanto, “gli imponenti flussi migratori, spesso solo provocati e non poi adeguatamente
gestiti” (ibid.), spingono la comunità internazionale, ma anche tutti gli uomini e le donne di
buona volontà, a considerare con la dovuta attenzione tutte quelle situazioni attuali che
esigono nuovi orientamenti e coraggiose prese di posizione per il bene comune degli Stati e
per quello universale.
Le migrazioni, in tale quadro, affiancano “le forze tecniche in campo, le interrelazioni
planetarie, gli effetti deleteri sull’economia reale di un’attività finanziaria mal utilizzata e per lo
più speculativa,[...]lo sfruttamento sregolato delle risorse della terra” (ibid.). Le migrazioni, in
più, hanno una duplice connotazione di valore: in primo luogo, esse hanno raggiunto oggi
dimensioni considerevoli e, anche soltanto per tale peso quantitativo, non possono essere
trascurate; in secondo luogo, è sempre più chiaro il volto ferito dei migranti, nel turbine di
movimenti che non sono espressione di libera scelta, ma “spesso provocati”, cioè causati da
politiche sbagliate, in particolare nel contrasto all’immigrazione irregolare. In effetti, più le
misure sono restrittive e più aumenta il numero dei migranti irregolari e dei trafficanti di
manodopera straniera.7 Così, anche i confini nazionali più protetti vengono quotidianamente
varcati da persone che fuggono condizioni di vita inaccettabili e che non si arrestano di fronte
a pericoli e ostacoli di ogni genere.
Si tratta, infine, di inadeguata gestione quando l’integrazione è ostacolata da impraticabili
condizioni e la partecipazione di tutti alla gestione del bene comune rimane un proclama che
non trova modalità per concretizzarsi.
Due, pertanto, sono gli estremi da evitare: quello dell’assorbimento, della completa
assimilazione nella società dominante con pregiudizio della identità del migrante, e quello
dell’esclusione, che comporta il pericolo dell’emarginazione.8
7. Una lettura di fede
Anche nell’ambito del fenomeno migratorio si propone, quindi, una lettura piena di fede e di
speranza perché, al di là dei risvolti drammatici che spesso accompagnano la storia dei
migranti, i loro volti e le loro vicende portano il sigillo della storia della salvezza e della
teologia dei “segni dei tempi”.
Pertanto, pure i migranti sono provvidenziale risorsa da scoprire e da valorizzare nella
costruzione di una umanità nuova e nell’annuncio del Vangelo. Benedetto XVI, nella Caritas
in veritate, affida a tutti la responsabilità di promuovere e garantire uno sviluppo sostenibile,
Giovanni Battista Scalabrini, già nel 1888, in una lettera aperta all’onorevole Paolo Carcano, sottosegretario
alle Finanze, denunciava l’opera negativa degli agenti di emigrazione e li definiva “fiutatori di cadaveri…
negozianti di carne umana”: Il disegno di legge sulla emigrazione italiana. Osservazioni e proposte, Tipografia
dell’Amico del Popolo, Piacenza 1888.
8
In tale ampio contesto non sono mancati pronunciamenti dei Vescovi, che hanno fatto sentire la loro voce negli
interventi che qui segnaliamo fra gli altri: “We are aliens and transients before the Lord our God”, 2006, della
Conferenza Episcopale Canadese; “La Pastoral de las Migraciones en España. Reflexión pastoral y
Orientaciones Prácticas para una Pastoral de Migraciones en España a la luz de la Instrucción Pontificia ‘Erga
migrantes caritas Christi’”, 2007, a cura della Conferenza Episcopale Spagnola; “Graced by Migration”,
pubblicato nel 2008 dalla Conferenza Episcopale Australiana. Tra il 2000 e il 2003, i Vescovi Statunitensi hanno
pubblicato tre importanti lettere pastorali: “Welcoming the Stranger Among Us: Unity in Diversity”; “Asian and
Pacific Presence: Harmony in Faith” e “Strangers No Longer: Together on the Journey of Hope”, scritta in
collaborazione con i Vescovi del Messico. A sua volta, il “Service National de la Pastorale des Migrants et des
Personnes Itinérantes”, in Francia, ha emanto il documento “Artisans de communion. Aumôneries et aumôniers
des Communautés des catholiques de la migration”, nel 2007.
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compresi i Paesi emergenti e le élites di quelli poveri. Nel rispetto dei principi della solidarietà
e della sussidiarietà si fa strada la legittima rivendicazione delle diversità. Certamente si
apre, poi, non senza fatica, la via della scoperta che l’altra faccia della differenza è la
somiglianza e che la somiglianza non coincide affatto con l’uniformità, ma è il criterio più
ragionevole per la costruzione dell’unica famiglia dei popoli, con radice nella rivelazione
biblica e nella feconda storia del cristianesimo.
8. Alcuni fondamenti teologico-pastorali
Proprio questi rilievi, dunque, permettono di individuare alcuni pilastri sui quali si edifica la
sollecitudine pastorale ecclesiale, da un punto di vista biblico-teologico. Anzitutto vi è
l’affermazione della pari dignità delle persone umane: “Ogni uomo è amato da Dio. Nessuno
è escluso dal suo amore. È questo il principio della salvezza universale”, affermò Giovanni
Paolo II nel Messaggio per la Giornata mondiale del migrante del 1987.9
Tale punto di partenza sollecita e promuove il principio della solidarietà dei popoli e quello
della sussidiarietà, come leggiamo nella Sollicitudo rei socialis, ai numeri 23 e 38.10
Da qui deriva altresì la responsabilità comune verso i migranti, che è cresciuta in seguito al
fenomeno della globalizzazione.
Ora, i fondamenti del rispetto e dell’accoglienza dei migranti sono contenuti, per noi credenti,
nella Parola di Dio. Da Dio stesso infatti giunge l’invito ad amare lo straniero: “Quando uno
straniero si stabilirà nella vostra terra, non opprimetelo; al contrario, trattandolo come se
fosse uno dei vostri connazionali, dovete amarlo come voi stessi. Ricordatevi che anche voi
siete stati stranieri in Egitto: Io sono il Signore vostro Dio” (Lev 19,33s). Il Nuovo
Testamento, poi, raccomanda con insistenza l’ospitalità, l’accoglienza e il rispetto per la pari
dignità di tutti gli esseri umani. La lettera di Paolo agli Efesini, ad esempio, proclama che non
siamo più “stranieri né ospiti, ma concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio” (Ef
2,19).
Purtroppo, non sempre i messaggi biblici in favore dello straniero hanno avuto adeguata
applicazione nella catechesi e nella prassi. Anzi, forse la poca attenzione data al testo biblico
è una delle ragioni per cui l’Europa è stata ed è così cedevole ai nazionalismi e alle chiusure
xenofobe. La presenza di migranti in mezzo a noi ci ricorda che, dal punto di vista biblico,
libertà e benessere sono doni e come tali possono essere mantenuti solo se condivisi con
chi ne è privo. Dunque, dal momento che valorizziamo la persona e la dignità di ognuno in
quanto immagine di Dio, diventa importante impegnarsi perché si concretizzi l’eguaglianza di
tutte le persone umane.
9. La priorità del dialogo
In tale visione, nel Messaggio inviato in occasione della giornata di studio organizzata dal
Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e dal Pontificio Consiglio della Cultura, il 3
dicembre 2008, Benedetto XVI ha affermato che il tema del dialogo tra culture e religioni è
oggi “una priorità” per l’Europa e ha spiegato che “l’Europa contemporanea, che si affaccia
sul Terzo Millennio, è frutto di due millenni di civiltà. Essa affonda le sue radici sia
nell’ingente e antico patrimonio di Atene e di Roma sia, e soprattutto, nel fecondo terreno del
Nel Messaggio dell'anno precedente, il Papa affermò che “L’impegno a realizzare una vera uguaglianza e la
volontà di tutelare i settori sociali più deboli, verso cui spesso confluiscono discriminazioni e razzismo, portano
alla costruzione di una società più giusta e quindi più umana”.
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“Una Nazione che cedesse, più o meno consapevolmente, alla tentazione di chiudersi in se stessa, venendo
meno alle responsabilità conseguenti ad una superiorità nel concerto delle Nazioni, mancherebbe gravemente
ad un suo preciso dovere etico” (n. 23).
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Cristianesimo, che si è rivelato capace di creare nuovi patrimoni culturali pur recependo il
contributo originale di ogni civiltà”.11
“Il tema del dialogo interculturale e interreligioso – ha aggiunto il Papa – emerge come una
priorità per l’Unione europea e interessa in modo trasversale i settori della cultura e della
comunicazione, dell’educazione e della scienza, delle migrazioni e delle minoranze, fino a
raggiungere i settori della gioventù e del lavoro”.12 Infine, il Santo Padre ha concluso il
Messaggio invitando i credenti ad essere “pronti a promuovere iniziative di dialogo
interculturale e interreligioso, al fine di stimolare la collaborazione su temi di interesse
reciproco, come la dignità della persona umana, la ricerca del bene comune, la costruzione
della pace, lo sviluppo”.
10. La “cultura dell’accoglienza”
Accanto a questi argomenti di riflessione teologico-pastorale, non possiamo dimenticare il
tema dell’accoglienza e, più in particolare, l’elaborazione di una “cultura” e di un’“etica
dell’accoglienza” nelle condizioni di vita attuali. Il mio predecessore alla Presidenza del
Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, il Cardinale Renato Raffaele
Martino, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato del giugno 2008, ha affermato
che “l’accoglienza dello straniero è il cuore dell’identità Europea”.
In effetti, le migrazioni dei popoli pongono oggi seri interrogativi: come accogliere i nuovi
immigrati? Fino a quale punto spingersi nell’accettazione delle tradizioni di vita di chi arriva
da altre culture? Quali reali possibilità abbiamo di sperimentare un incontro delle civiltà che
non sia piuttosto uno scontro o un conflitto? Tali domande non ammettono risposte
semplicistiche che tanto più attraggono quanto più sono demagogiche e velleitarie. Nel
nuovo e irreversibile contesto pluriculturale, quale convivenza sociale costruire perché sia
giusta e solidale? Come deve essere la società perché sia a servizio delle persone e dei
diversi gruppi umani che la compongono?
Nel tentare una risposta, si può ipotizzare un triplice modello: una società che rifiuta le
differenze; una società che tollera le differenze; una società che include le differenze.
La Chiesa intende affermare la cultura del rispetto, dell’uguaglianza e della valorizzazione
delle diversità, capace di vedere i migranti come portatori di valori e di risorse. Per queste
motivazioni essa invita a rivedere politiche e norme che compromettono la tutela dei diritti
fondamentali, come quello del ricongiungimento familiare, dell’accesso alla cittadinanza,
della stabilità del proprio progetto migratorio. Esprime inoltre un forte dissenso rispetto alla
E continua dicendo che “Il nuovo umanesimo, sorto dalla diffusione del messaggio evangelico, esalta tutti gli
elementi degni della persona umana e della sua vocazione trascendente, purificandoli dalle scorie che offuscano
l’autentico volto dell’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio. Così, l’Europa ci appare oggi come un
prezioso tessuto, la cui trama è formata dai principi e dai valori scaturiti dal Vangelo, mentre le culture
nazionali hanno saputo ricamare una immensa varietà di prospettive che manifestano le capacità religiose,
intellettuali, tecniche, scientifiche e artistiche dell’Homo europeus. In questo senso possiamo affermare che
l’Europa ha avuto e ha tuttora un influsso culturale sull’insieme del genere umano, e non può fare a meno di
sentirsi particolarmente responsabile non solo del suo futuro ma anche di quello dell’umanità intera”.
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Il Santo Padre, proseguendo, spiega che “Una volta accolta la diversità come dato positivo, occorre fare in
modo che le persone accettino non soltanto l’esistenza della cultura dell’altro, ma desiderino anche riceverne
un arricchimento. Il mio Predecessore, il servo di Dio Paolo VI, indirizzandosi ai cattolici, enunciava in questi
termini la sua profonda convinzione: ‘La Chiesa deve entrare in dialogo con il mondo in cui essa vive. La
Chiesa si fa parola, la Chiesa si fa messaggio, la Chiesa si fa conversazione’ (Enc. Ecclesiam suam, n. 67).
Viviamo in quello che si suole chiamare un ‘mondo pluralistico’, caratterizzato dalla rapidità delle
comunicazioni, dalla mobilità dei popoli e dalla loro interdipendenza economica, politica e culturale. Proprio in
quest’ora, talvolta drammatica, anche se purtroppo molti Europei sembrano ignorare le radici cristiane
dell’Europa, esse sono vive, e dovrebbero tracciare il cammino e alimentare la speranza di milioni di cittadini
che condividono i medesimi valori”.
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prassi sempre più restrittiva in merito alla concessione dello status di rifugiato e al ricorso
sempre più frequente alla detenzione e all’espulsione dei migranti.
La Chiesa continuerà a impegnarsi affinché siano intensificati gli incontri e il dialogo
interreligioso e si adopererà perché le legislazioni sulla libertà religiosa siano improntate a
uno spirito di correttezza e di reciproco rispetto. Continuerà altresì ad accogliere con
fraternità i migranti che provengono da Chiese sorelle, a condividere con loro la ricchezza
della diversità e ad annunciare insieme il Vangelo attraverso la parola e l’azione.
Senza dubbio, la luce del messaggio biblico induce i cristiani ad assumere con rinnovato
impegno le proprie responsabilità all’interno delle comunità nazionali e delle istituzioni
Europee e nello stesso tempo a promuovere la giustizia sociale all’interno dei popoli ed in
particolare a superare l’abisso che separa il ricco dal povero.
Conclusione
La Chiesa, di fronte al fenomeno della mobilità umana, pone urgenti interrogativi di natura
storica, culturale, economica, sociale e politica, richiamandosi al Vangelo, il quale sollecita i
cristiani dell’Unione Europea, le Chiese sorelle e le società civili a contribuire insieme,
affinché venga concessa una accoglienza umana e dignitosa a uomini e donne migranti, ai
profughi, ai rifugiati e a quanti sono coinvolti nelle diverse forme di mobilità. Inoltre la Chiesa,
consapevole delle tragedie passate, sa che l’integrazione piena di ogni minoranza è
essenziale per il mantenimento della concordia civile e della democrazia. Sul fondamento
della fede cristiana, essa intende contribuire alla costruzione di un’Europa dal volto più
umano, in cui siano tutelati i diritti umani e i valori basilari della pace, della giustizia, della
libertà, della tolleranza, della partecipazione e della solidarietà.
Grazie!