Glomerulonefriti ANATOMIA Nell'uomo sono presenti due reni, posti nell'addome in posizione simmetrica rispetto ai lati della colonna vertebrale, all'altezza della regione lombare. Essi sono esterni rispetto al peritoneo, per cui non sono a contatto diretto con gli organi dell'apparato digerente, e poggiano su uno strato di tessuto adiposo. Ciascun rene ha forma di fagiolo, ed è collocato in modo da rivolgere la parte concava verso la colonna vertebrale. All'incirca nella parte centrale della concavità, si trova l'ilo, che rappresenta il punto d’ingresso nel rene dei vasi sanguigni (arteria renale e vena renale); dall'ilo si diparte l'uretere, un tubulo discendente che sbocca nella vescica. All'interno del rene, l'ilo si apre in una cavità, il seno renale, in cui si trova l'imboccatura dell'uretere, che si apre a formare il bacinetto (o pelvi) renale. Verso il bacinetto renale sporgono strutture dette calici renali, nei quali si raccolgono i dotti collettori, ossia i tubuli nei quali viene convogliata l'urina sintetizzata nelle unità funzionali del rene, i nefroni. Struttura del nefrone Tessuto epiteliale cubico Il tessuto epiteliale monostratificato cubico è caratterizzato da un unico strato di cellule dotate di forma squadrata e molto vicine l'una all'altra. Come risulterebbe in una sezione di tubuli renali, osservata al microscopio ottico e opportunamente colorata, i nuclei delle cellule si vedrebbero piuttosto grossi e di forma tondeggiante; alcune cellule ne sembrerebbero prive perché, nel corso della preparazione del vetrino per l'osservazione al microscopio, la sezione del tessuto è avverrebbe lungo un piano posto al di sopra del loro nucleo. L'epitelio cubico è presente anche sulla superficie delle ovaie e nei dotti escretori delle ghiandole esocrine. Il nefrone rappresenta l'unità funzionale del rene, ossia la più piccola struttura dell'organo in grado di svolgere le funzioni specifiche di questo, ossia la filtrazione del sangue, il riassorbimento dell'acqua e la sintesi dell'urina. Il nefrone è costituito da una struttura a forma di coppa, la capsula di Bowman, formata da un doppio strato di tessuto epiteliale estremamente sottile (possiede un solo strato di cellule). La capsula ospita nella sua cavità una rete di capillari sanguigni arteriosi che forma una sorta di gomitolo e prende il nome di glomerulo. Dalla capsula fuoriesce un lungo tubulo, in cui si possono distinguere diversi tratti: il tubulo contorto prossimale, l'ansa di Henle (lungo tratto a forma di U), il tubulo contorto distale. Il tubulo sbocca, insieme ad altri tubuli di altri nefroni, in un dotto collettore. Numerosi dotti collettori sfociano, a loro volta, nei calici renali e, quindi, nel bacinetto renale. FISIOLOGIA Rene: struttura anatomica Il rene è l'organo in cui avviene la filtrazione del sangue, che porta al riassorbimento di sostanze utili come vari sali minerali, e l'escrezione dell'acqua e di sostanze in eccesso o nocive. L'unità di filtrazione è il nefrone, formato dalla capsula di Bowman e da un lungo tubulo lungo il quale avviene progressivamente la formazione e la concentrazione del prodotto di escrezione, l'urina. La funzione del rene è regolata da ormoni, quali l'aldosterone e la vasopressina. Quest’organo svolge anche una funzione endocrina, mediante la secrezione di eritropoietina; assume inoltre un ruolo fondamentale nella regolazione degli stati di alcalosi e di acidosi Il sangue che circola nei glomeruli si trova sottoposto a un’elevata pressione, a causa del piccolo diametro dei capillari; perciò, l'acqua e alcune delle sostanze presenti in soluzione nel sangue, riescono a passare attraverso la sottile parete dei capillari, vengono filtrate e passano nella cavità della capsula di Bowman. Da qui, il liquido passa nel tubulo prossimale e nell’ansa di Henle, dove, grazie a un processo di trasporto in controcorrente, avviene il riassorbimento di alcune sostanze e la progressiva 1 concentrazione del fluido. In particolare, l'acqua e le sostanze che risultano utili per l'organismo vengono riassorbite; le sostanze di rifiuto, tra cui urea (composto azotato derivante dall'ammoniaca e sintetizzato nel fegato), ammoniaca (molto tossica per l'organismo e derivante dalla degradazione degli amminoacidi), corpi chetonici (derivanti dalla degradazione degli acidi grassi), creatinina, ioni (fosfati, cloruri, calcio, potassio, zolfo ecc.), residui di farmaci, ormoni, vitamine in eccesso, vengono concentrate a formare un liquido (ultrafiltrato), da cui infine si forma l'urina. L'urina dai tubuli scorre nei dotti collettori, da qui si raccoglie nei calici renali ed entra nell'uretere, per raccogliersi infine nella vescica. Trasporto in controcorrente I meccanismi di trasporto passivo, attivo, di co- e controtrasporto, di eso- ed endocitosi permettono scambi tra soluzioni essenzialmente ferme. Tuttavia, molti sistemi biologici si basano su soluzioni che fluiscono in direzioni opposte; in questi casi, intervengono meccanismi di trasporto in controcorrente mediante i quali possono essere scambiati sia materia sia calore.. Il volume medio di urina escreta nelle 24 ore è di circa 1,4 litri; questa quantità può, tuttavia, variare notevolmente in base alla quantità di liquidi assunti e alla loro perdita (attraverso la sudorazione, il vapore d'acqua della respirazione, fenomeni di vomito e diarrea). La produzione dell'urina è regolata da ormoni. L'ormone antidiuretico, ADH, o vasopressina, secreto dall'ipotalamo, determina un maggiore riassorbimento di acqua a livello dei tubuli renali e quindi la formazione di urina più concentrata; l'ormone aldosterone, secreto dalle ghiandole surrenali, determina un maggiore riassorbimento di ioni sodio. Sistema renina angiotensina aldosterone Nei reni viene prodotto un enzima, la renina, che attiva stimola il fegato a secernere angiotensinogeno, che viene trasformato dall’enzima convertitore in angiotensina1 che successivamente a livello dei polmoni si trasforma in. Angiotensina2 che provoca vasocostrizione e stimola la produzione di aldosterone nelle ghiandole surrenali e, quindi, controlla indirettamente il riassorbimento di ioni sodio. Poichè questo riassorbimento determina anche un riassorbimento di acqua, ne consegue un aumento della pressione sanguigna. Le cellule renali producono, inoltre, l'ormone eritropoietina che stimola la funzione emopoietica del midollo osseo, ovvero la produzione di elementi cellulari del sangue. A livello del rene, infine, avviene anche la sintesi di creatina, composto che viene utilizzato soprattutto a livello dei muscoli. Classificazioni delle glomerulopatie Per classificare queste patologia non si usano i normali criteri di classificazione, (eziologico o patogenico) in quanto l’eziologia di più della metà dei casi rimane sconosciuta, e la patogenesi e la sintomatologia risulta simile. Possiamo dividerle in: Sindromi nefritiche Caratterizzate dalla presenza di segni urinari (ematuria proteinuria) associati a ipertensione aumento della creatininemia e dell’azotemia spesso si ha insufficienza renale. Può presentarsi oligo-anuria (diuresi inferiore a 400ml nelle 24 h. La causa più frequente è l’infezione streptococcica Glomerulonefrite post-streptococcica E’ una forma che insorge prevalentemente nell’età infantile, compare generalmente dopo 7-10 giorni di latenza e si manifesta con malessere, astenia, anoressia e oliguria che porta ad un aumento del volume circolante intravasale con comparsa di ipertensione e formazione di edemi che possono essere pericoloso (edema polmonare, edema celebrale) e portare fino alla morte. Il reperto istologico è quello della glomerulopatia proliferativa di tipo endocapillare. Il decorso può essere favorevole e così dopo qualche giorno si ripristina la normale diuresi e si ristabiliscono i normali valori, oppure può andare verso un’insufficienza renale cronica. La terapia consiste nel riposo a letto, (per favorire adattamenti emodinamici), dieta scarsa di sale (per non avere la ritenzione idrica, che porterebbe alla formazione di edemi, Dialisi (che permette di 2 eliminare i residui tossici derivanti dal metabolismo cellulare, che altrimenti porterebbero il paziente a morte).Terapia antibiotici (per eliminare la causa) e anticoagulanti (per evitare che si possano formare dei trombi in sede che peggiorerebbero la funzionalità). Sindromi Nefrosiche Con il termine di sindrome nefrosica ci si riferisce ad un quadro caratterizzato da proteinuria di origine glomerulare > 3,5 g/die, grave disprotidemia con albuminemia inferiore ai 3 g/die; edemi ed iperlipidemia. Essa deriva dalla perdita di proteine plasmatiche a livello glomerulare in conseguenza di un danno delle capacità di flitro della parete dei capillari glomerulari che impedisce in condizioni normali la filtrazione di molecole con diametro maggiore di 42 A°; la molecola di albumina che è più piccola (36A°) non può attraversare perché è bloccata dalle cariche polianioniche della MBG, costituite dalle sialoproteine e glicosaminoglicani; l’intensa proteinuria determina una perdita di proteine superiore a 3,5 g/die fino a 20 g/die! E’ selettiva cioè una perdita di proteine a basso peso come l’albumina e la transferrina ed altre proteine plasmatiche come la transferrina o scarsamente selettiva, per es. IgG, IgA e frazioni del complemento, alfa2 macroglobulina. Ne deriva ipoalbuminemia ed incremento di alfa2 e delle beta globuline con riduzione delle gamma globuline e sindrome edemigena, con incremento del sistema reninaangiotensina-aldosterone. L’incremento delle frazioni lipidiche è la conseguenza di un aumento della sintesi lipoproteica epatica in conseguenza della ridotta pressione oncotica plasmatica. Ancora si può avere un calo della TBP, o proteine che legano gli ormoni tiroidei in circolo per veicolarli, ipocalcemia ed ipocalciuria da difetto di vit.D, anemia microcitica, per deficit di transferrina; crisi dolorose addominali. Può essere secondaria a glomerulopatie primarie e secondarie, il quadro fisiopatologico consiste in un’alterazione della capacità filtrante della membrana, perdendo la permeabilità selettiva, così si ha una perdita massiva delle proteine plasmatiche (albumine, globulina) fino ad arrivare ad una proteinuria di 20-25g nelle 24h, che porta ad un’abbassamento della pressione oncotica con conseguente edema delle cavità libere (pleura, peritoneo). La terapia e complessa, si può schematizzare in: Terapia delle lesioni glomerulari: se di origini idiomatiche è molto difficile, per alcune forme si usa la terapia corticosteroidea Si danno steroidi a dosi massive, 1 mg/kg/die, a volte si possono associare farmaci immunosoppressori. Terapia delle alterazioni fisiopatologiche: si normalizza la proteinemia totale con infusioni di Albumina endovena che ripristina la pressione oncotica e fa riassorbire gli edemi Terapia delle complicanze: si da eparina per evitare la comparsa di trombosi e flebotrombosi, si usano antibiotici perché il sistema immunitario, con la diminuzione di proteine ha subito un’alterazione dell’anticorpopoiesi. Con l’introduzione dell’agobiopsia si possono classificare istopatologicamente in correlazione con la sede anatomica. Raggruppandole cosi: Nefropatie Glomerulari Nefropatie vascolari Nefropatie intestiziali Nefropatie tubulari Malattie cistiche Malformazioni congenite 3 Nefropatie Glomerulari Sono affezioni che interessano il glomerulo, e si distinguono in Primitive: a cause ignote (idiomatiche), causate da batteri o virus, oppure da rigetto di trapianto. La dizione primitive è usata in quanto la patologia spesso e dovuta a cause ignote e si limita a provocare nefropatia. Secondarie: le forme secondarie invece si inquadrano nell’ambito di una malattia che interessa altre strutture (diabete mellito, connettiviti) Le lesioni fondamentali elle nefropatie sono rappresentate dal danno a livello capillare e della membrana basale, alterando le strutture che verranno meno alla funzione di filtrazione. Patogenesi Per le nefropatie secondarie la patogenesi è legata alle patologie primitive. Per le nefropatie primarie invece si può ricondurre a tre cause: Forme idiomatiche (ignote) Lesione glomerulare diretta (batteri o virus) immumologica (poststreptococcica, rigetto) La lesione glomerulare diretta è causata dall’arrivo in sede di virus o batteri che provocano una flogosi, che lede le strutture glomerulari con successiva fibrosi secondaria. Nella Patogenesi immonologica sono due i meccanismi che possono ledere il glomerulo: 1. formazione di complessi antigene/anticorpo 2. Formazione di anticorpi anti membrana basale Nefropatie da deposito di immunocomplessi Partendo da un processo infettivo (tonsillite, polmonite) si liberano antigeni batterici che provocano una risposta anticorpale a cui segue la formazione di immunocomplessi che si distinguono in: Piccoli.=>solubili (vengono filtrati attraverso la membrana ed eliminati con le urine) Intermedi.=>scarsamente solubili (si fermano a livello della membrana basale dando luogo ad una flogosi). Grandi.=>insolubili (si depositano a livello del Mesagio, vengono fagocitati ed eliminati) Questi complessi possono localizzarsi in diverse zone dando origine a diversi tipi di glomerulonefriti. Una volta instaurata una lesione glomerolare, con conseguente perdita di funzionalità delle pareti capillari, si avrà un’accumulo di complemento, e si favorirà la coagulazione. Classificazioni delle Glomerulopatie Classificazione secondo L’istologia ottica normale e L’immunoflorescenza. Si possono distinguere cosi: Glomerulopatia a lesioni minime (appare negativa agli esami, questo significa che forse non è di origine immunologia) Glomerulopatia Membranosa (sicuramente di origine immunologia si presenta un ispessimento della membrana basale e presenza di immunoglobuline e complemento) Glomerulopatia proliferativa [si divide in tre varianti, endocapillare, cioè aumento delle cellule dentro la matassa capillare, (leucociti e cellule endoteliali) Mesangiale (aumento della matassa glomerulare per proliferazione delle cellule del mesangio) proliferazione epiteliale[ (proliferazione delle cellule del foglietto viscerale della membrana basale, che assumono un’aspetto a semiluna, questa è una forma maligna).] Glomerulopatia Membranoproliferativa o mesangiocapillare(ispessimento della membrana basale capillare e proliferazione delle cellule Mesangiali) Glomerulopatia scleroialinosica (rappresenta la fase finale di molte glomerulopatia in quanto rappresenta la perdita della funzionalità dell’organo). 4 Cardiopatie Ischemiche Definizione La Cardiopatia Ischemica è una patologia cardiaca caratterizzata da una riduzione progressiva o improvvisa del flusso sanguigno dovuto ad un restringimento o ad un’ostruzione completa delle arterie coronarie, i vasi sanguigni attraverso cui l’ossigeno e tutte le sostanze nutritizie raggiungono le cellule cardiache. Eziologia La principale causa delle varie forme di cardiopatia ischemica è l’aterosclerosi, un processo degenerativo che interessa tutti i vasi arteriosi, ma con frequenza più elevata nei confronti delle arterie coronarie con conseguente restringimento fino all’occlusione competa del vaso colpito per la formazione di trombi. Esistono dei fattori di rischio che spesso coesistono con la patologia ischemica. Essi sono: ipercolesterolemia, obesità e sovrappeso, ipertensione, diabete mellito, fumo, familiarità, sesso femminile, età superiore ai 50-55 anni. Angina stabile: sintomatologia In base alla sintomatologia e al decorso clinico, la cardiopatia ischemica può presentarsi sotto differenti quadri clinici: angina stabile (cronica), angina instabile, infarto cardiaco Quadro clinico caratterizzato dalla comparsa di dolore toracico sempre dello stesso tipo ed intensità. Il dolore può manifestarsi come senso di fastidio, oppressione, costrizione, bruciore al torace e bruciore irradiato al braccio sinistro, o al giugulo, o allo stomaco. Generalmente insorge dopo sforzi, o dopo pasti abbondanti o in seguito al freddo, o dopo un’emozione. Il dolore dura pochi minuti, massimo 15, e regredisce fino a scomparire spontaneamente o 1-2 minuti dopo l’assunzione di farmaci coronarodilatatori (nitroglicerina es. Carvasin sub-linguale). Angina instabile: sintomatologia Quadro clinico caratterizzato da una sintomatologia molto più varia. Infatti, il dolore può insorgere anche a riposo senza alcuna relazione con eventi particolari, in qualunque ora del giorno o della notte, ed ha una durata spesso superiore alla forma stabile (> 15 min.). Spesso il dolore è resistente alla somministrazione di farmaci coronarodilatatori sub-linguali e pertanto è sempre consigliato il ricovero in ambiente ospedaliero. Decorso L’angina stabile (cronica) ha un decorso meno complicato e più facilmente controllabile rispetto alle altre forme di cardiopatia ischemica. E’ necessaria l’assunzione di farmaci vasodilatatori, controllare gli eventuali fattori di rischio coesistenti (ipertensione, diabete, fumo, ipercolesterolemia) e sottoporsi a frequenti controlli cardiologici; può evolvere verso la forma di angina instabile. L’angina instabile ha un decorso più complesso, con un’insorgenza atipica ed improvvisa del dolore, ed il decorso può essere spesso complicato da aritmie atriali e/o ventricolari talvolta minacciose, insufficienza cardiaca e, se si prolunga eccessivamente può degenerare nel quadro più grave dell’infarto cardiaco. Cardiopatia ischemica: diagnostica Esistono una serie di indagini strumentali e di laboratorio cui il paziente con cardiopatia ischemica deve essere sottoposto. L’elettrocardiogramma (ECG) è un esame fondamentale che permette di valutare: frequenza cardiaca e disturbi del ritmo ingrandimento del cuore sofferenze ischemiche 5 Il Test da sforzo consiste nella registrazione di un ECG durante uno sforzo come pedalare su una cyclette o camminare su un tappeto rotante. Permette di diagnosticare: la presenza di ischemia valutare la tolleranza allo sforzo valutare l’efficacia della terapia osservare l’eventuale insorgenza di aritmie Il test da sforzo si dice essere positivo quando durante la prova compaiono segni sull’ECG tipici di ischemia miocardica associati anche a dolore anginoso. La Scintigrafia miocardica è un’indagine che viene eseguita somministrando una sostanza radioattiva che consente di valutare la perfusione miocardica e di rilevare eventuali zone vitali e/o necrotiche. Viene eseguita sia a riposo sia sotto sforzo o dopo somministrazioni di farmaci particolari che mimano una condizione di sforzo cardiaco. L’esame si dice positiva quando mette in luce un quadro di sofferenza ischemica. L’ecocardiografia è un esame indolore che permette di “vedere” la funzionalità delle pareti del cuore, delle valvole cardiache. La coronaroventricolografia è un esame diagnostico che deve essere necessariamente eseguito in ospedale durante un ricovero di 2-3 giorni. Consiste nell’introduzione nelle arterie coronarie e nel cuore , tramite dei “cateteri”, di un mezzo di contrasto, che permetterà di valutare gli eventuali restringimenti coronarici e giudicarne l’operabilità. Non tutti i pazienti devono essere sottoposti a questo tipo di esame. I pazienti cui si consiglia l’esecuzione di questo esame sono quelli con test da sforzo e scintigrafia positivi, o pazienti affetti da infarto miocardico che hanno superato la fase critica. Terapia La terapia nella cardiopatia ischemica è medica e chirurgica La terapia medica viene impostata nei casi di angina stabile e si avvale di farmaci vasodilatatori arteriosi e coronarici, farmaci che riducono il consumo di ossigeno del cuore, e l’uso della ”aspirina” che riduce il rischio di trombosi coronarica. La terapia chirurgica è necessaria qualora la terapia medica non da risultati accettabili tale da garantire una buona qualità di vita ed un alto indice di sopravvivenza a distanza. Molti centri cardiologici e cardiochirurgici adottano in casi selezionati, come alternativa all’intervento chirurgico di “by-pass aorto-coronarico” l’angioplastica, che consiste, con una procedura simile alla coronarografia, di dilatare con un piccolo palloncino i restringimenti coronarici. Anche questa procedura non è esente da rischi, è può essere effettuata solo in pazienti con una o al più due arterie coronarie malate. L’intervento chirurgico di by-pass ha attualmente dei rischi bassissimi (2-3%) variabili in base alle condizioni di base del paziente, richiede una degenza post-operatoria di 5-6 giorni. I condotti utilizzati per confezionare i by-pass sono: l’arteria mammaria interna, una grossa arteria che decorre sotto lo sterno, la vena grande safena che viene prelevata di lunghezza adeguata dall’arto inferiore. Nei soggetti giovani si preferisce utilizzare più arterie possibili, in quanto la loro durata rispetto a quella della vena è nettamente superiore nel tempo. Per cui si preferisce prelevare le due arterie mammarie e, se si rende necessario anche l’arteria radiale, grossa arteria che decorre 6 nell’avambraccio. Generalmente dopo l’intervento chirurgico i pazienti possono continuare a praticare anche terapia medica come supporto ai by-pass, e cardine fondamentale della terapia rimane la somministrazione di aspirina Infarto miocardico: etiologia Quadro clinico caratterizzato dalla occlusione (dovuta ad un trombo) di una o più arterie coronariche, o da uno spasmo coronarico prolungato tale da condurre a morte (necrosi) un distretto di cellule miocardiche vascolarizzato dall’arteria coronaria interessata dall’occlusione. Più sono le arterie coronarie colpite maggiore sarà il danno cardiaco il quale è a sua volta direttamente proporzionale alla durata dell’ostruzione. Sintomatologia Il dolore dell’infarto miocardico è spesso acuto e si manifesta come senso di bruciore intenso, o dolore trafittivo, o oppressivo con frequente irradiazione al braccio sinistro, al collo, alle spalle. Ha una durata prolungata (anche 1-2 ore) e non regredisce dopo l’assunzione dei farmaci coronarodilatatori sub-linguali. Decorso Quando viene sospettato un infarto é fondamentale raggiungere un pronto soccorso in tempi brevi in quanto il decorso può essere severamente complicato fino all’exitus. Frequente è infatti la comparsa di aritmie ventricolari minacciose, o l’insufficienza ventricolare. Oggi, la somministrazione di farmaci detti trombolitici (in quanto “sciolgono” il trombo) a migliorato notevolmente il decorso clinico del paziente infartuato. Ma per avere un buon risultato terapeutico e importante inziare la terapia trombolitica entro 3-4 ore dall’insorgenza dei sintomi. Infatti dopo 12 ore l’efficacia è scarsa in quanto già esisterà un danno miocardico irreversibile (necrosi cellulare). 7 DISTURBI TIPICI IN GRAVIDANZA Alterazione parametri I° Trimestre Frequenza cardiaca Press Arteriosa Sistolica Press.arteriosa Diastolica Volume Ematico Gittata Cardiaca Lieve Assenza Variazione II° Trimestre III° Trimestre Travaglio Moderato di Moderato Ribasso Lieve Ribasso Lieve Lieve Moderato Ribasso Moderato Grande Aumento Post Parto Grande Variabile Aumento di Lieve Assenza Variazione Aumento Grande Diminuzione di Assenza Variazione di Lieve Assenza Variazione Aumento Grande Moderato Aumento Moderato Grande Aumento di Assenza Variazione Perdita Del 10-30% Grande Aumento Una gravidanza normale può accompagnarsi ad alcuni disturbi che generalmente non devono destare preoccupazione. Verso molti di questi disturbi sarà possibile agire con una terapia sintomatica. Nausea e vomito Circa la metà di tutte le donne in gravidanza sperimentano, con intensità variabile, questi sintomi che sono legati alla situazione ormonale gravidica e, in particolare, agli alti livelli di gonadotropina corionica (HCG), l'ormone prodotto dalla placenta che abbiamo già considerato in un'altra pagina di questo sito poiché è lo stesso ormone che consente la diagnosi di gravidanza. Una corretta informazione, la rassicurazione riguardante la benignità di questi disturbi e alcuni semplici consigli su come attenuare questi sintomi sono spesso misure sufficienti a risolvere il quadro clinico. Per limitare l'entità di questi sintomi è utile aumentare il numero dei pasti riducendo la quantità di cibo per ciascun pasto. Occorre preferire cibi secchi, non grassi, non particolarmente odorosi o speziati. Limitare il bere durante gli spuntini e bere invece acqua tra un pasto e l'altro per limitare la disidratazione e l'acidosi (bere a sufficienza in caso di vomito per ripristinare i fluidi corporei!). Si tratta di disturbi presenti generalmente nel primo trimestre della gravidanza; successivamente tendono ad autolimitarsi. Solo in pochi casi (1/1000 circa) si rendono necessari l'assunzione di antiemetici e/o un ricovero ospedaliero, quando il vomito sia incoercibile e occorra correggere drasticamente la disidratazione, l'equilibrio elettrolitico e l'ipovitaminosi. Acidità gastrica (pirosi gastrica) E' presente in circa il 10% delle donne in gravidanza e dipende da un rigurgito gastro-esofageo, cioè una piccola quota di succhi gastrici riesce a "risalire" sopra lo stomaco, nell'esofago, la cui mucosa viene così irritata causando dolore bruciante. Nel terzo trimestre di gravidanza questo disturbo può 8 essere peggiorato dal dislocamento dello stomaco provocato dall'ingrossamento dell'utero. Anche la stazione supina, cioè lo star sdraiate, può peggiorare il sintomo. Come rimedi possono essere utilizzati i cambiamenti di posizione che soggettivamente migliorino il dolore e il bere del tè caldo. In casi più disturbanti il medico curante potrà prescrivere sostanze ad azione antiacida. Salivazione abbondante E' un disturbo banale delle prime fasi della gravidanza che si risolve spontaneamente senza creare particolari fastidi. Stipsi L'andare di corpo può subire un rallentamento durante la gravidanza, probabilmente a causa degli effetti ormonali del progesterone e a causa della dislocazione dell'intestino determinata dall'aumento di volume dell'utero. E' importante che la gestante assuma sufficienti quantità di acqua e di fibre alimentari durante la giornata. Se non vi sono controindicazioni (ad esempio ipercontrattilità uterina con minaccia di parto prematuro), anche l'esercizio fisico moderato può contribuire a migliorare la stitichezza. L'uso di blandi lassativi naturali potrà essere utile in casi più impegnati. Mal di schiena Quasi tutte le donne in gravidanza sperimentano vari gradi di dolore lombare, che dipende solitamente da affaticamento, spasmo muscolare e dal maggior rilassamento legamentoso causato dagli ormoni steroidei presenti in questo periodo. Il miglioramento del mal di schiena può essere raggiunto attraverso l'impiego di posture adeguate del corpo nei vari momenti della giornata: in generale la gestante deve vincere il peso uterino che tende a portarla in avanti, cercando di raddrizzare la schiena a livello lombare (tenendo dentro la pancia e ruotando le natiche verso il basso). Se i disturbi lo richiedono potrà essere previsto un programma di ginnastica medica. Perdite vaginali Durante la gravidanza gli estrogeni esercitano una maggiore stimolazione delle secrezioni del collo dell'utero e della vagina, causando più abbondante muco, leucorrea (perdite biancastre) o idrorrea (perdite acquose trasparenti) che a volte è così abbondante e repentina da simulare una rottura del sacco amniotico ("rottura delle acque")! Si tratta solitamente di perdite non clinicamente rilevanti. La leucorrea deve far sospettare una vera e propria infezione vaginale solo quando sia persistentemente abbondante e si accompagni ad insistente prurito. Ipotensione e svenimenti Soprattutto all'inizio della gravidanza l'instabilità vasomotoria determinata dal rilassamento della muscolatura dei vasi sanguigni indotta dal progesterone causa abbassamento della pressione arteriosa con possibilità, in alcuni casi, di svenimento. Il consumare tanti piccoli spuntini, come già visto a proposito della nausea, può migliorare le sensazioni di mancamento. Il medico curante potrà a volte consigliare l'uso dei "sali", del tè e del caffè. Vene varicose, emorroidi Lo stesso meccanismo ormonale di rilassamento delle pareti dei vasi sanguigni può portare alla formazione di varici venose nelle gambe e sulle grandi labbra vulvari, nonché alla formazione di emorroidi. Per contrastare questi problemi si potrà ricorrere all'elevazione delle gambe, a passeggiate per sfruttare l'azione dei muscoli delle gambe intorno alle vene varicose, all'uso di calze elastiche, all'uso di preparazioni antiemorroidarie. In tutti i casi sarà opportuno controllare fin dall'inizio della gravidanza il peso corporeo, cercando di evitare un aumento eccessivo di peso nel corso dei nove mesi. Un eccesso di peso corporeo conduce ad un cattivo "ritorno venoso" con maggior ristagno di sangue nella parte inferiore della persona. Gonfiore (edema) delle caviglie 9 Si sviluppa in circa i due terzi delle gravide nel terzo trimestre. Quando l'edema non è eccessivo ed è limitato alle caviglie è solitamente fisiologico, dovuto a ritenzione di liquidi e all'aumento del ristagno venoso spiegato al punto precedente. Un edema più generalizzato a tutto il corpo deve essere approfondito con la misurazione della pressione arteriosa e prove di funzionalità renale, poiché potrebbe essere la spia di una gestosi (preeclampsia, ipertensione indotta dalla gravidanza). Il trattamento dei casi fisiologici potrà essere costituito dall'elevazione delle gambe ed eventualmente dall'uso di calze elastiche e dalla restrizione dietetica del sale (sodio). L'uso dei diuretici in gravidanza è sconsigliato. Crampi muscolari Possono presentarsi soprattutto dopo essersi coricate. Probabilmente sono dovuti ad affaticamento, riduzione della circolazione e ad un relativo eccesso di fosfati rispetto al calcio. Capitano in particolare al polpaccio e il trattamento sintomatico consiste nella flessione del piede sulla gamba, con lieve massaggio e applicazione di calore. Dolori addominali In gravidanza l'aumento di volume dell'utero può generare senso di peso. E' utile il coricarsi sul fianco (preferibilmente il sinistro) frequentemente per alleviare questo fastidio. L'aumento di volume dell'utero è pure causa di tensioni sui legamenti di questo organo che procurano dolori saltuari e poco intensi che non devono destare alcuna preoccupazione. Si consiglia di approfondire unicamente un dolore di tipo acuto e persistente. I DISTURBI LEGATI ALLA GRAVIDANZA I cosiddetti "fenomeni simpatici" o "neuro-vegetativi" legati alla gravidanza si possono manifestare nella futura madre con una gamma di condizioni variabile da piccoli disturbi a vere e proprie patologie come l'"iperemesi gravidica". La nausea ed il vomito fanno la loro comparsa nel I trimestre, in genere alla 6 a settimana di gravidanza, per lo più al mattino, e durano fino alla 12a-14a settimana circa. Si calcola che più della metà delle gestanti (60%), specialmente le primigravide, ne siano interessate. Se questi sintomi si mantengono entro certi limiti di intensità e frequenza ("emesi gravidica") non costituiscono in genere un grosso problema per la donna e possono essere evitati facilmente controllando l'alimentazione (dieta a base di cibi asciutti e leggeri). Se invece questi limiti vengono superati siamo in presenza di una vera e propria patologia ("iperemesi gravidica") che rende difficile l'assunzione di alimenti e di liquidi con conseguenti denutrizione e disidratazione. Queste forme più gravi interessano lo 0.5-2% delle gestanti. Il vomito in genere non ha rapporto con l'assunzione di cibo, anche se poi di fatto la ostacola, ma viene stimolato da fattori esterni (determinati odori, ecc.). Fra le cause dell'iperemesi gravidica viene data attualmente importanza, oltre all'alto clima estrogenico ed alla prevalenza del tono parasimpatico a livello del sistema nervoso autonomo, ai fattori psicologici che giocherebbero un ruolo determinante nel condizionare l'intensità e la frequenza di questi disturbi (vi sarebbe in pratica una specie di inconscia "reazione di rifiuto" verso la gravidanza). Questa tesi è stata rafforzata dall'osservazione del miglioramento e addirittura della scomparsa di questi sintomi in gravide allontanate da situazioni o ambienti psicologicamente stressanti. Si tratta comunque di una patologia di origine multifattoriale: entrerebbero in gioco, infatti, anche reazioni allergiche verso sostanze di derivazione embrionale, deficienze vitaminiche (come la vitamina B6), deficit di ormoni corticosurrenalici e, soprattutto, livelli eccessivi di gonadotropina corionica (hCG). Quest'ultimo fattore, in particolare, spiegherebbe l'aumento della sintomatologia caratteristico delle gravidanze multiple e delle patologie del trofoblasto. Anche la fisiologica riduzione della secrezione, del tono e della motilità gastrica è sicuramente in gioco come fattore predisponente. Dal momento che questi disturbi compaiono di solito nelle prime ore del mattino, il loro trattamento può essere rappresentato dall'assunzione di cibi asciutti (fette biscottate, crackers) prima di alzarsi dal letto. Nei casi in cui la nausea insorgesse nel corso della giornata, si dovrà fare in modo di non 10 tenere mai lo stomaco vuoto, con pasti piccoli e frequenti, possibilmente con cibi mai tiepidi (quindi o caldi o freddi) contenenti carboidrati (non grassi) e assumendo le bevande separatamente (evitare le bevande gassate). Talvolta può essere necessario ricorrere alla somministrazione di soluzioni glucosate o polisaline o alla prescrizione di un farmaco antiemetico come la piridossina (vitamina B6) o la metoclopramide. Al momento dell'insorgenza di nausea o vomito, converrà stendersi qualche minuto in una stanza tranquilla e poco illuminata. Ben più grave può rivelarsi il quadro clinico della "gestosi", che può mettere in serio pericolo la vita sia della madre che del feto. La gestosi è caratterizzata da tre sintomi fondamentali: edemi (E), proteinuria (P) ed ipertensione (H). Dal punto di vista della nomenclatura, gli Americani la chiamano toximia, riconducendo alla denominazione un concetto eziopatogenetico. In realtà, il concetto di tossiemia è al di fuori delle attuali concezioni sull'eziopatogenesi di questa malattia. L'Organizzazione Mondiale della gestosi circa 20 anni fa propose una nomenclatura diversa: "EPH-gestosi", dando ai sintomi la possibilità di modulare ed inquadrare le varie forme in base alla loro gravità: E1, E2, E3, P1, ecc. Più recentemente, si è tentato di ritrovare una unitarietà di classificazione e quindi ci si attiene ad una classificazione che vede: 1. ipertensione gestazionale, accompagnata o no da edemi o proteinuria; 2. ipertensione pregressa alla gravidanza, che accompagna la gravidanza, la complica e che in gravidanza potrà complicarsi con edemi e proteinuria; 3. forme non classificabili, ad esempio pazienti che arrivano all'osservazione al 6° mese con un'ipertensione, ma non si sa se prima erano ipertese. Per la gestosi l'elemento più caratteristico è dunque l'ipertensione. Sull'eziopatogenesi della gestosi, nel passato si è pensato a: 1. forma immunologica: come se l'impianto in qualche maniera, avendo un patrimonio genetico di spettanza paterna, risultasse incompatibile come un trapianto di tessuto per la madre, che ne attua il rigetto dando la sindrome gestosica; 2. produzione di tossine da parte del feto e del distretto uterino: tali tossine creavano tutta una sintomatologia indipendentemente da quelle che sono le più probabili cause eziopatogenetiche; in realtà però molti aspetti concomitanti possono provocare lo scatenamento di questa sintomatologia; 3. errori e carenze alimentari della madre: in Europa l'incidenza della gestosi è del 3%, nei Paesi Africani del 13-14%; 4. incremento ponderale materno errato; 5. fattori climatici (umidità, pressione atmosferica): sono però concause. Esistono forme cliniche di gestosi molto diverse fra loro: ci sono forme in cui l'accrescimento fetale è molto compromesso, forme cliniche gravi per la madre ma in cui non vi è ridotto accrescimento fetale, forme che insorgono precocemente in gravidanza e forme che invece si manifestano tardivamente. Siamo quindi di fronte ad una patogenesi che, se è la stessa, è diversamente modulata da una forma all'altra; oppure, nei casi di forme precoci e tardive, la patogenesi è diversificata. Ciò che oggi sappiamo sull'ipertensione in gravidanza ci viene dai concetti di fisiologia: 1. refrattarietà vascolare in gravidanza; 2. decidualizzazione della tonaca muscolare delle arteriole spirali. 11 In ogni gravidanza l'impianto embrionale comporta una serie di modificazioni sugli organi materni: 1. rene: aumenta il filtrato glomerulare; 2. cuore: aumenta la gittata cardiaca; ipotensione nel distretto vascolare materno, essenzialmente spiegabile con l'apertura di uno shunt, che è il nuovo letto vascolare uterino. Ciò che è abbastanza caratteristico della donna gravida è la refrattarietà agli agenti pressori. Se vengono dati degli agenti pressori ad una donna in gravidanza, questa risponde molto meno rispetto ad una donna in situazione pregravidica. Al contrario, donne con gestosi hanno perduto questa refrattarietà, ed usando le stesse sostanze vasoattive la risposta era molto aumentata. Su questi concetti di base partivano circa 30 anni fa gli studi nei laboratori di Boston, dove venne fatta la prova dell'angiotensina: venne preso un ampio gruppo di madri (la gestosi ha maggiore incidenza in donne giovani ed in primipare anziane) sotto i 18 anni e sopra i 38 anni, presumendo di trovare quindi una buona percentuale di ipertensione gestazionale in queste madri; a queste donne venne somministrata angiotensina e si vide che vi era un gruppo di donne che con pochissima quantità di angiotensina avevano immediatamente un aumento dei valori pressori, addirittura con una dose anche minore di quella necessaria al di fuori della gravidanza: si trattava di donne che stavano perdendo la refrattarietà vascolare (proprio questo gruppo aveva poi sviluppato l'ipertensione nel corso della gravidanza). Gli studiosi Americani trassero la conclusione che l'angiotensina era sì in causa nella eziopatogenesi della sindrome ipertensiva, però guardando meglio si resero conto che l'angiotensina era un effettore di problematiche più a monte. Infatti, la gravida ipertesa è caratterizzata da una concentrazione del volume circolante: ha l'ematocrito più alto, perdita di proteine, ecc. Reintegrando queste gravide con liquidi e facendo dei dosaggi di angiotensina si resero conto che non era l'angiotensina circolante diversa nelle donne in gravidanze normali o ipertese, ma era l'effetto che l'angiotensina aveva sulla parete vascolare che era diverso. Riassumendo, per quanto riguarda l'eziopatogenesi della gestosi, pur non essendo questa ancora troppo chiara, sappiamo che esistono alcune forme ad espressione talmente precoce nei riguardi dell'impianto da potere ipotizzarsi pertanto come forme genetiche, nel senso di una modificata reattività vascolare della donna, ed esistono poi altre forme ad espressione più tardiva. è chiaro che le forme precoci avranno una gravissima compromissione fetale, che risulterà in un ritardo molto spiccato dell'accrescimento e con problemi di nutrizione e di ossigenazione che potranno portare alla morte in utero. Nelle forme più tardive ci sarà una grossa sintomatologia nella madre, ma spesso c'è un corretto accrescimento del feto con pochi problemi a livello neonatologico. In entrambe le forme viene persa dalla madre una caratteristica della gravidanza, e cioè la refrattarietà agli agenti vasoattivi. Infatti, se si prova a stimolare una donna in gravidanza con varie sostanze, essa risponde meno di una donna al di fuori della gravidanza. La perdita di questa refrattarietà è una situazione patognomonica della gestosi. Sono state chiamate in causa varie sostanze vasoattive: angiotensina, sistema delle prostaglandine e delle prostacicline, progesterone. Tutte queste sostanze possono ripristinare o modificare la reattività vascolare e ciò ci fa capire che si tratta più di un problema recettoriale che non di un problema della singola sostanza, e che tutti questi agenti si attivano a livello dei loro recettori, determinando modificazioni endocellulari sulla parete vascolare sotto forma di modificazioni della pompa del calcio. Poiché la patogenesi della gestosi è ancora così incerta, è difficile anche valutare gli aspetti preventivi. Alcuni autori Anglosassoni hanno provato a trattare le donne a rischio con bassi dosaggi di Aspirina fin dall'inizio della gravidanza, pensando di modificare l'assetto delle prostacicline, con risultati incoraggianti. Le pazienti a rischio per la gestosi sono le mamme molto giovani (età inferiore a 18 anni) o più anziane (35-40 anni) alla prima gravidanza. Le pazienti con questa sindrome si presentano con rialzi della pressione, in genere ci sono errori nell'incremento ponderale, spesso ci sono edemi e proteinuria. Questa forma è detta "preeclampsia": si tratta di una forma piuttosto grave, che potrebbe successivamente sfociare in una forma ancora più grave, detta "eclampsia gravidica", che si manifesta con perdita di coscienza, 12 convulsioni tonico-cloniche e possibili danni distrettuali in alcuni organi (occhio, rene, fegato, encefalo, ecc.), solo in parte reversibili. Questa è una situazione molto grave sia per la madre che per il prodotto del concepimento. L'incremento ponderale è la concausa che più frequentemente concorre allo scatenamento della sindrome ipertensiva. Chiaramente, in questo caso si parla dell'ipertensione gestazionale, perché in una donna con ipertensione precedente alla gravidanza si attua una prevenzione nel corso della gravidanza stessa, rivolta al monitoraggio dell'accrescimento fetale, al controllo dell'incremento ponderale ed al monitoraggio dei suoi parametri ematochimici. In genere le ipertensioni pregravidiche, se ben controllate e senza danni renali, hanno un esito buono per la madre e per il feto; al contrario, le situazioni con nefropatia hanno un esito molto grave, perché questa condizione si complica con proteinuria ed edemi. Nelle forme gestazionali è determinante l'errore nell'accrescimento ponderale. Il corretto accrescimento ponderale dipende da molti fattori di tipo sociale, ambientale, dalla razza, ecc.; comunque, è difficile che si stabilisca una sindrome ipertensiva se l'incremento ponderale in gravidanza ha un andamento lineare; invece, indipendentemente dal peso globale che una donna raggiunge al termine della gravidanza, se si va incontro a bruschi aumenti di peso concentrati in poco tempo è più facile avere ritenzione di liquidi e rialzi pressori. In gravidanza la quantità di ormoni circolanti è molto alta: fra questi i più elevati sono gli estrogeni prodotti dalla placenta. Gli estrogeni hanno la capacità di metabolizzare i mucopolisaccaridi del connettivo: quindi, se c'è un brusco aumento ponderale sarà favorita l'attività estrogenica nel trattenere acqua extravascolare. Questa è una spiegazione attendibile, ma non completa: è chiaro che in una situazione di questo tipo vengono alterati i meccanismi renina-angiotensina-aldosterone, che costituiscono un sistema di controllo distrettuale della funzione renale. Quando ci sono bruschi incrementi ponderali si altera questo meccanismo e si modifica pertanto l'idrofilia tessutale. Con l'ipertensione, le sostanze proteiche subiranno piano piano una perdita a livello vascolare e quindi nelle forme più gravi ci sarà una ipoproteinemia e si attiverà così un circolo vizioso: ipoproteinemia -> caduta della pressione oncotica -> fuoriuscita di liquidi -> stimolazione del sistema vasoattivo nel tentativo di compensare la perfusione dei vari organi. Quando i liquidi fuoriescono viene attivato il sistema reninaangiotensina-aldosterone, che causerà un rialzo pressorio perché il flusso nel distretto renale materno sia mantenuto e, a maggior ragione, sia mantenuto il flusso nel distretto fetale. Il circolo vizioso fa sì che al feto arrivi sempre meno flusso e sempre più il sistema si attivi: quindi l'ipertensione tende ad aumentare continuamente. Tutto questo è inoltre inserito nella situazione della mancata refrattarietà vascolare della madre e mancata decidualizzazione delle arterie spirali: l'aumento delle prostaglandine ad azione vasocostrittrice (trombossano) e del progesterone stimolati dalla perdita di liquidi determina rialzi pressori notevoli, estremamente dannosi per la madre e per il feto. Questi meccanismi sono finalizzati a portare più sangue al feto: infatti, i livelli pressori hanno la caratteristica funzione di compenso al ridotto arrivo di nutrienti e di ossigeno a livello fetale. Tutto ad un tratto questi meccanismi si scompensano ed ecco la sindrome gestosica. è importante ribadire che la mancata decidualizzazione delle arterie spirali e la mancata refrattarietà vascolare non possono costituire la prima causa eziopatogenetica della gestosi stessa. L'ipertensione gestazionale è molto poco controllabile con i farmaci ipotensivi. Bisogna anche considerare il fatto che se si riducono i livelli pressori diminuisce la quantità di sangue in arrivo al feto. Si tratta quindi di modulare le nostre possibilità diagnostiche e terapeutiche e comprendere quando è razionale fare un'estrazione fetale. Nella diagnosi per il controllo del feto in una situazione di ipertensione, il primo punto è la diagnostica ecografica, che ci permette di valutare l'accrescimento fetale nel tempo e così pure l'arrivo di nutrienti e di ossigeno nel distretto fetale. Si possono utilizzare anche aspetti dinamici del bambino: movimento, respiro, tono muscolare, deglutizione, movimenti oculari, maturazione neurologica. Tutti questi sono detti "stati comportamentali" e si differenziano da quelli biometrici, statici, che ci dicono solo se il bambino cresce. Gli stati comportamentali ci dicono se un bambino sta bene o meno: infatti, se arriverà meno ossigeno il bambino modificherà immediatamente il suo atteggiamento. Questo non è tutto: uno dei meccanismi che il feto privilegia in utero è quello della 13 centralizzazione del circolo, cioè quando si trova in difficoltà gli shunts anatomici presenti gli permettono di distribuire il sangue dove vuole. Nel feto si parla di "gittata ventricolare combinata" perché il cuore del feto non va in serie come quello dell'adulto, ma contemporaneamente, in parallelo, e così attraverso il dotto di Botallo e quello di Aranzio può distribuire il sangue dove più è necessario. Durante le contrazioni del travaglio arriverà meno ossigeno ed il bambino centralizza il circolo verso il cervello, la ghiandola surrenale ed il cuore, rispetto allo scheletro ed agli arti che sono meno fondamentali. In situazioni di sofferenza fetale cronica il meccanismo è abbastanza simile: crescita encefalica abbastanza mantenuta e perdita della crescita a livello del torace (si avrà cioè una crescita asimmetrica, disarmonica). In realtà, però, per definire il momento dell'estrazione ci affidiamo ancora alla cardiotocografia, perché una perdita della variabilità a breve termine in un feto è un indice di carenza di ossigeno; se c'è una perdita stabile della variabilità a breve termine non possiamo tenere il bambino più di qualche giorno in quella situazione se non vogliamo rischiare un danno cerebrale irreversibile. Più recentemente, la flussimetria ci è utile per valutare come si è modificata l'emodinamica fetale in situazioni di tipo ipertensivo. In sintesi, le concause che contribuiscono all'instaurarsi della sindrome gestosica sono molte: esse determinano il rialzo pressorio, la ridotta filtrazione renale, gli edemi, ecc.; questi eventi possono essere anche abbastanza improvvisi. Le concause più frequentemente in gioco sono quindi: bruschi aumenti ponderali circoscritti in pochi giorni, eccessivi aumenti ponderali, stress, affaticamento, sovrammissione di forme infettive. Un segno di patologia è il rialzo della pressione diastolica oltre i 90 mmHg, perché tutto il periodo gestazionale normalmente è caratterizzato da una ipotensione. Gli aspetti terapeutici per questa prima forma clinica sono piuttosto limitati: bisogna sedare la paziente, metterla in un ambiente tranquillo, a riposo fisso a letto, per tentare con il riposo di migliorare la perfusione renale e correggere gli squilibri metabolici che la gestosi comporta (la riduzione del volume plasmatico e la ipoproteinemia, causata dalla diuresi e dal passaggio di proteine al di fuori del distretto circolatorio); bisogna anche dare una dieta regolare ed iperproteica. In genere, con questi presidi terapeutici si riesce a stabilizzare i livelli pressori; in altri casi ciò non basta perché da queste forme si passa a situazioni più gravi e cioè alla preeclampsia: la pressione tende a salire indipendentemente dai presidi instaurati e chiaramente si attiverà la funzione renale, comportando una serie di aspetti elettrolitici e metabolici che si accompagneranno però, in ultima analisi, ad una riduzione della funzione renale stessa. I vari agenti terapeutici ipotensivanti in genere hanno scarsi risultati e non si riesce quindi a stabilizzare la pressione; questo sia che si usino ipotensivi "centrali" tipo la reserpina, sia che si usino ipotensivi come l'idralazina, sia che si usino ipotensivi a livello vascolare, sia infine che si usino i calcio-antagonisti. Vengono usati anche dei farmaci che bloccano la giunzione neuro-muscolare, come ad esempio il solfato di magnesio, con lo scopo di prevenire la fase successiva, che è quella eclamptica. Si usano quantità elevate di tale farmaco: 12 g al giorno, distribuiti nell'arco della giornata, con infusioni per flebo. Si monitorizza la magnesiemia e si utilizza l'antidoto calcio se si va incontro ad una iporiflessia (valutabile tramite il riflesso patellare). Un sovradosaggio di magnesio può anche causare disturbi respiratori, quindi bisogna stare molto attenti. Occorre valutare con la massima attenzione la diuresi, verificando se il bilancio fra i liquidi somministrati e la diuresi stessa è in parità. Il diuretico farebbe perdere sodio e, dopo un beneficio transitorio, ci si ritroverebbe nella situazione di partenza. Se la situazione si stabilizza e siamo in un periodo gestazionale tale da poter pensare al parto, è chiaro che si procederà all'estrazione del feto: infatti, l'unica terapia della gestosi è quella di far nascere il bambino e la situazione si normalizzerà da sola. Se invece l'epoca gestazionale è bassa o c'è un ritardo di maturazione del feto, non si può fare l'estrazione fetale e si deve cercare di guadagnare altro tempo. Le forme di preeclampsia possono portare alla eclampsia, ma questa può anche manifestarsi all'improvviso; nella maggior parte dei casi (60%) questo fenomeno avviene nelle ultime settimane di gestazione, nel 30% dei casi avviene durante il travaglio ed in un 10% dei casi avviene in puerperio. Quando l'eclampsia insorge così bruscamente, la paziente in genere ha dei segni premonitori. La paziente infatti sta male e presenta disturbi visivi, dolori epigastrici a sbarra o 14 dolori addominali che possono mimare una colica epatica o renale. Inoltre, la pressione sale con una progressione impressionante, fino a che la paziente va incontro agli attacchi tonico-clonici ed alla perdita di coscienza con coma. I maggiori danni che la gestosi comporta alla madre sono la diretta conseguenza dell'eclampsia: a livello cerebrale si ha un vasospasmo centrale con ischemia cerebrale, a cui segue edema cerebrale. Possono quindi residuare dei danni centrali permanenti. A livello oculare, il brusco innalzamento pressorio può dare emorragie retiniche anche di grado elevato, fino al distacco retinico. A livello renale, si hanno notevoli lesioni anche irreversibili a causa della anuria e del deposito di fibrina. A livello epatico, si ha uno shock notevole: prima si poteva arrivare anche all'atrofia giallo-acuta del fegato, dovuta alle gravissime forme di gestosi eclamptiche trascurate; oggi questi quadri non si vedono più, ma non è infrequente osservare l'esito sclerogeno dell'insulto subito dal fegato. La terapia della forma eclamptica si attua su più strade: 1. 2. 3. 4. 5. interrompere gli attacchi tonico-clonici; ristabilire l'assetto metabolico materno; stabilizzare la funzione renale; controllare l'assetto emocoagulativo della madre; controllare il feto. Per interrompere gli attacchi tonico-clonici si usano i barbiturici, per la sedazione centrale materna, ed il solfato di magnesio, per ridurre il grado di responsività della giunzione neuro-muscolare. I diuretici o le soluzioni glucosate ipertoniche hanno un senso solo per diminuire l'edema cerebrale. Si deve inoltre ristabilire una normale volemia facendo un continuo monitoraggio plasmatico ed un conseguente riequilibrio idroelettrolitico. ò importante sapere che solo nelle forme gravi con attacchi eclamptici c'è un deposito della profibrina in vari distretti (rene, placenta, ecc.); questo comporta un'alterazione del sistema emocoagulativo. Inoltre, in gravidanza normalmente l'organismo tende di più alla coagulazione, finalizzata al momento del parto dove c'è una perdita abbondante di sangue. In questa situazione, una perdita di fibrina facilita l'attivazione della coagulazione intravascolare disseminata (CID), di cui una conseguenza immediata è quella di un distacco totale della placenta. Se questo evento non è riconosciuto c'è un gravissimo rischio per la madre. Alla apertura dell'addome si vede un utero disgregato, infarcito di sangue, che è impossibile recuperare, ed una perdita imponente endoaddominale di sangue. Inoltre, la CID attivata causa notevoli emorragie diffuse. È chiaro che le forme eclamptiche si riducono tanto più quanto migliore è l'assistenza ostetrica, quanto migliore è la prevenzione e quanto maggiori sono i controlli della paziente in gravidanza. In Italia assistiamo ad una diminuzione percentuale delle forme eclamptiche, mentre aumentano le forme di ipertensione gestazionale. In Paesi a ridotto sviluppo socioculturale come nel Terzo Mondo, le forme eclamptiche costituiscono una gran parte delle complicanze della gestosi. Bisogna anche valutare la situazione fetale: circa 20-30 anni fa non ci si preoccupava del bambino perché la situazione materna era così grave che si controllava soprattutto la madre, tentando di prevenire le ripercussioni a distanza. Infatti, quando il bambino moriva in utero ed il quadro della gestosi migliorava, era comunque un successo dal punto di vista medico. Oggi, con le migliorate tecniche della terapia intensiva ostetrica e neonatale, si tende ad estrarre i bambini prima possibile, compatibilmente con la loro maturità. Spesso, però, si tratta di bambini con un netto ritardo nell'accrescimento di tipo asimmetrico (cioè con un mantenimento della crescita fetale nelle 15 porzioni cefaliche e con una drastica diminuzione dell'accrescimento del torace e degli arti). Oggi si può fare un'estrazione fetale anche alla 27a-30a settimana e quindi possiamo avere bambini di peso fino a 600 g. Il problema più importante è quello di tipo cerebrale: infatti il bambino in questo periodo, benché non sia ancora in grado di centralizzare il circolo, ha i vasi cerebrali sensibili alla tensione di ossigeno e tutte le volte che questa si abbassa i vasi cerebrali si dilatano, indipendentemente da qualunque altro meccanismo di compenso; così il bambino può sopperire alla bassa tensione di ossigeno encefalica mantenendo un buon metabolismo centrale. Però la vasodilatazione lo espone maggiormente agli episodi emorragici: pertanto è bene, usando la flussimetria, tenere sotto controllo il feto e la vasodilatazione dei suoi vasi cerebrali. Il secondo problema è quello della maturazione polmonare: fisiologicamente le sostanze attive sulla superficie alveolare, cioè i surfattanti, vengono prodotti verso la 35a-36a settimana di gravidanza. Nei casi di patologia c'è un'anticipazione notevole delle vie metaboliche che producono la lecitina attiva: infatti, nei bambini di madre gestosica si trova la lecitina attiva anche alla 30a settimana, ed in alcuni casi anche un po' prima; quindi, raramente questi bambini andranno incontro alla malattia delle membrane ialine. Inoltre, negli ultimi anni abbiamo a disposizione dei surfattanti sintetici, da somministrare ai bambini appena nati proteggendoli dai problemi polmonari. Un altro problema, forse il più importante per questi bambini estratti precocemente, è quello nutrizionale: il latte della madre è finalizzato ad un bambino ormai sviluppato, alla 40 a settimana circa. Per un bambino più precoce, anche di 10 settimane in meno, questo latte non va bene e bisogna nutrirlo più o meno con le stesse cose di cui si nutriva in utero. Negli ultimi tempi si parla infatti di "latte fetale", che ha una diversa distribuzione protidica, glucidica e lipidica e con diversa composizione di aminoacidi in base all'epoca in cui il bambino verrà estratto. Molto importante è il follow-up di questi bambini, perché si tratta di bambini ad altissimo rischio. D'altronde, però, il circolo vizioso della gestosi si interrompe solamente con l'estrazione del bambino stesso. L'atteggiamento dell'ostetrico deve mediare fra due tendenze: quella di portare il bambino ad un peso appropriato, con una madre che rischia l'eclampsia, e quella di proteggere la madre dall'eclampsia, ma estrarre un feto con notevoli problemi di sviluppo. Bisogna inoltre considerare che l'ipertensione è un meccanismo di compenso per la crescita fetale. Quindi, fino a che l'accrescimento fetale è abbastanza buono e la sintomatologia della madre è sotto controllo, si cerca di far procedere la gravidanza, per favorire l'accrescimento fetale. Al contrario, indipendentemente dall'accrescimento fetale, quando la situazione materna non è più controllabile, bisognerà pensare ad un'estrazione fetale; lo stesso si fa anche se la situazione clinica della madre è sotto controllo, ma l'accrescimento fetale si sta fermando. La profilassi della gestosi si attua soprattutto nel campo delle ipertensioni gestazionali; sono ormai molti i gruppi di ricerca che utilizzano bassi dosaggi di Aspirina per prevenire l'ipertensione gestazionale, mantenendo la refrattarietà vascolare. I dati pubblicati danno dei risultati molto buoni. In mancanza di conoscenze più approfondite sulla situazione eziopatogenetica della sindrome gestosica, bisogna comportarsi in maniera personalizzata da caso clinico a caso clinico, osservando bene la situazione materna soprattutto nei valori pressori ed il benessere del feto. 16