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Chomsky e la grammatica generativa.
di Manuel Barbera (modificato E. Coco)
Chomsky e la grammatica generativa.
Il pensatore e linguista che dopo Saussure è stato più determinante ed influente per la
linguistica contemporanea è probabilmente l'americano Noam Chomsky (1928 - ). Si può
infatti dire che dopo il 1957 (data del suo primo libro, Syntactic Structure) il panorama della
linguistica non sia più stato lo stesso, e la sua teoria, la "grammatica generativotrasformazionale" (o semplicemente "grammatica generativa"), nelle varie forme che ha
assunto nel suo ormai quasi mezzo secolo di vita, è presto diventata un paradigma di
riferimento.
A differenza dello strutturalismo nato con Saussure che poneva l’accento sul ruolo dei
segni e sulla funzione del loro significato (vedendo di conseguenza la comunicazione
come convenzione sociale), la grammatica generativa di Chomsky si concentra soprattutto
sulla sintassi (ossia sulle regole di combinazione dei costituenti) e sulla matrice
biologica, individuale, del linguaggio.
Le due impostazioni presuppongono anche due filosofie radicalmente diverse.
L’inclinazione filosofica di Chomsky si è infatti espressa in una nutrita serie di pubblicazioni
che hanno sempre affiancato la sua produzione più tecnicamente linguistica: al di là degli
interventi politici (molto radicali e di larga diffusione) che non ci interessano in questa
sede, dei suoi numerosi scritti di filosofia del linguaggio dobbiamo tenerne presenti New
Horizons in the Study of Language and Mind, Cambridge (UK), Cambridge University
Press, 2000, una raccolta organica di saggi che costituisce probabilmente la lettura più
illuminante (e caldamente consigliabile) sul pensiero di Chomsky e sul dibattito filosofico
attuale di cui è parte integrante.
Si tornerà più avanti, in modo più diffuso, sulle questioni della teoria generativa che più
hanno interazioni col piano biologico (cognitivismo, apprendimento del linguaggio).
Le basi filosofiche: internismo vs esternismo, la naturalizzazione della mente.
Le posizioni filosofiche tra fine Ottocento ed inizio Novecento riguardo alla teoria del
significato, mostrano due linee: quella di Saussure-Wittgenstein si contrapponeva a
quella che partiva da Frege. Avevamo, ossia, «da una parte una concezione
antropologica per cui il significato è funzione dell'uso, e dall'altra una posizione
"platonica" per cui il significato è funzione di una verofalsità possibile a priori, ossia
insita nei segni stessi che rimandano ad una realtà esterna indipendentemente dall'uso
che ne fa una comunità» Per Frege «l'umanità [deve avere] un patrimonio comune di
pensieri che trasmette di generazione in generazione» (Frege, Senso e denotazione,
in La struttura logica del linguaggio, a cura di Andrea Bonomi, Milano, Bompiani, 1995
[1973], p. 12). Orbene, Chomsky si colloca precisamente sulla linea "platonica" di
Frege (Chomsky, per la verità, con la sua solita mossa di rifarsi al Settecento saltando i
precedenti più diretti, si riallaccia esplicitamente a Cartesio), solo precisando in senso
biologico, genetico, la natura di quel "patrimonio comune di pensieri" che in Frege
restava piuttosto vago. Avremo modo di approfondire in seguito la soluzione "innatista"
1
di Chomsky; ora quello che ci preme è chiarire bene la contrapposizione generale tra le
due possibili impostazioni.
Cosa intediamo per “posizione platonica”?
La filosofia di Platone nasce dall'esigenza di conciliare le conclusioni di Parmenide, il
quale predicava la necessaria eternità e immutabilità di ogni cosa, con l'evidenza del
divenire che si riscontra nella realtà sensibile.
Platone inizia con il definire chi è il vero filosofo: è colui che ama la verità e non insegue
l'opinione (doxa). La verità è conoscenza suprema, la verità è nella conoscenza dei puri
concetti;
l'opinione, per contro, è quella conoscenza fallace che deriva dalla comprensione dei soli
fenomeni sensibili, i quali sono soggettivi quando addirittura contraddittori (argomento già
presente nella riflessione socratica).
(vedi power point per approfondimenti in merito)
Usando molto alla buona una terminologia comune in filosofia, chiameremo le posizioni
"antropologiche" del tipo di quelle di Saussure e Wittgenstein (il significato è funzione
della comunità che lo usa, il linguaggio è pubblico) esterniste e le posizioni
"platoniche", come quelle di Frege e Chomsky (il significato dipende da concetti che sono
dati - idealisticamente o biologicamente - all'interno delle nostre menti, il linguaggio è
individuale) interniste. Si ha dunque una distinzione che in campo filosofico è stata
applicata a diversi domini, quella tra internismo ed esternismo. Ricordate, per esempio,
quanto è stato detto nelle prime lezioni del corso a proposito di Prassi e Teoria e l’esempio
che vi ho fatto sulla nascita della geometria e sulle posizioni di A.Koyré (vedi diapositive
power point).
E’ importante notare che l'internismo chomskyano si differenzia da quello di Frege per il
diverso modo in cui i concetti all'interno delle nostre menti sono concepiti: idealisticamente
(filosoficamente) nel caso di Frege, e biologicamente (organicamente) nel caso di
Chomsky. La differenza è in realtà molto rilevante, e con conseguenza di vastissima
portata dato che comporta una radicale naturalizzazione degli stati mentali.
Cosa vuole dire questa strana espressione? Dobbiamo prendere la cosa un po' da
lontano. Molto spesso, quando una disciplina nuova inizia a prendere forma si trova di
fronte al problema di far riconoscere il proprio status scientifico. Molto spesso la strategia
è stata quella di mostrare come le proprie teorie fossero esprimibili ("riducibili") anche nel
linguaggio di un'altra disciplina già appartenente alle scienze forti (di solito la fisica). Così,
ad esempio, nel Sette-Ottocento, la chimica fu "ridotta" alla fisica, prima di poter tornare a
camminare con le proprie gambe. Quest'operazione di “riduzione” è stata usata molte volte
nella storia della scienza, ma raramente con risultati di lunga durata. Si può dunque
proporre la storia della linguistica chomskiana come un tentativo di rendere la linguistica
una scienza alla pari di tutte le altre. Chimsky riduce gli stati mentali (quelli linguistici in
particolare) ad oggetti naturali, fisici e reali, donando loro una consistenza paragonabile a
quella degli oggetti della fisica e delle altre scienze "forti". Questa particolare riduzione è
appunto la "naturalizzazione" del mentale. Nel fare ciò Chomsky è in compagnia di un
buon numero di filosofi "cognitivi" che pure mirano alla naturalizzazione della
mente, ossia alla sua riduzione agli stati fisici indagabili dai neurologi (si veda oltre).
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1.2.1 La ricorsività.
La ricorsività, o più correttamente "funzione ricorsiva", è propriamente un concetto
matematico con il quale si definisce il dominio dei numeri naturali, che è un insieme infinito
di unità discrete, ognuna delle quali non si può che definire ricorsivamente come la
somma un unità al suo antecedente (se la serie dei numeri naturali è infinita, come
potremmo definirli tutti in modo diretto?).
La «idea of "infinite use of finite means"» viene da Chomsky, con la sua usuale mossa di
ricavarsi gli antenati nel periodo precedente la glottologia otto-novecentesca, fatta risalire
a Wilhelm von Humboldt (1767–1835), poliedrica figura di diplomatico, studioso e linguista.
L'esigenza di spiegare (nei termini, almeno, che saranno poi di Chomsky) «l'apparente
paradosso [...] - per usare le parole di Andrea Bonomi, Le immagini dei nomi, Milano,
Garzanti, 1987, p. 35 - che un insieme finito di mezzi, quali sono appunto i dispositivi
grammaticali di una qualsiasi lingua, producono un insieme virtualmente infinito di
enunciati» risale, in realtà, al filosofo Edmund Husserl (1859-1938), il padre della
fenomenologia che, nelle sue 'Ricerche logiche' (1900-1901) «individua questa capacità
generativa nell'iterabilità delle regole grammaticali» (ibidem; è degno di nota il fatto che le
Ricerche logiche anticipano la prospettiva chomskyana anche nella concezione di una
"grammatica universale" formale, "generativa" ed a regole).
Analogamente, in grammatica generativa, l'accento è sempre sulla capacità delle
regole della lingua di generare (non a caso la teoria è detta "generativa")
ricorsivamente sempre nuove frasi.
La ricorsività investe ogni aspetto della lingua, anche se i generativisti la
evidenziano prevalentemente come capacità di generare infinite frasi semplici (ad
es. "Tizio dorme", "Caio mangia la zuppa", "Piove"), e come possibilità teoricamente
illimitata di incassare frasi dipendenti (ad es. "[Sempronio compra la casa [che ha fatto il
muratore [che viene dal paese [che è nella valle [che è bagnata dal fiume [che nasce dal
monte [dove mia nonna raccontava [che ...]]]]]]]]": uno decide di fermarsi solo per ragioni
pratiche, ma teoricamente potrebbe proseguire all'infinito).
Naturalmente, possiamo aggiungere noi, ciò è vero, evidentemente, anche per il lessico (il
dizionario dei "segni" elementari della lingua, aspetto che interessa di meno alla
prospettiva chomskyana): possiamo sempre introdurre lessemi nuovi per nuovi oggetti
(pensate ad esempio ai frutti "esotici" entrati in occidente: non conoscendo la Bromelia
ananas non avevamo certo una parola per designarla, ma questo non ci ha impedito di
introdurla quando ne abbiamo avuto bisogno, nella fattispecie prendendola indirettamente
dal guaraní, la lingua indigena del Paraguai) o per nuovi concetti (pensate a molti "nuovi"
concetti introdotti dalla scienza come cibernetica, topologia, ecc.).
1.2.2 La dipendenza dalla struttura, il principio di proiezione e la teoria X-barra.
Quando diciamo "Pippo chiama Topolino" non diciamo la stessa cosa di "Topolino chiama
Pippo" in quanto il significato delle due proposizioni è chiaramente diverso, ma quando
diciamo "2+3" e "3+2" il significato, "5", non cambia. Il linguaggio umano, ossia, è
caratterizzato da una dipendenza dalla struttura ("Structure Dependency"), laddove il
linguaggio dell'addizione aritmetica è "indipendente" dalla struttura. Molti linguaggi
"artificiali" (cfr. più avanti), compreso quello dell'aritmetica e compresi molti linguaggi
informatici di programmazione, sono in effetti "structure independent": non così il nostro
linguaggio naturale.
Se, però il linguaggio umano è sempre dipendente dalla struttura, a tutta prima la
"struttura" in questione non sembra essere sempre la stessa. Se confrontiamo, ad
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esempio, in italiano e giapponese la composizione di una frase semplice, una volta
eliminate le combinazioni agrammaticali (tipo "del padre la casa di Taro") e insensate (tipo
"una mela mangia Taro") in entrambe le lingue, otterremo il quadro seguente:
Taro mangia
una mela
Taroo ga
tabe ringo o
....|.... Taro una mela
mangia
....|.... Taroo ga
ringo o
tabe
La tavola evidenzia come l'ordine dei costituenti immediati sia diverso (in giapponese il
verbo è in posizione finale, in italiano centrale).
Chomsky, invece, pensa di potere andare più in là, e sostiene che in realtà alcuni principi
della struttura del linguaggio sono universali.
Cosa intendiamo per trasformazionale?
Il trasformazionalismo, detto anche grammatica generativo-trasformazionale, è una teoria
fondata dal linguista statunitense Noam Chomsky negli anni Cinquanta.
La nuova teoria prende l'avvio da una critica fatta dallo studioso allo strutturalismo.
Chomsky infatti sosteneva che allo strutturalismo era sfuggito un problema fondamentale
che era quello della creatività del linguaggio. Egli afferma che per poter comprendere il
funzionamento di una lingua non è sufficiente scoprirne la struttura come non basta
descrivere i componenti e i rapporti che intercorrono tra essi, né analizzarli e classificarli.
Lo strutturalismo, secondo Chomsky, non sa rispondere alla domanda: "come avviene che
i parlanti di una lingua sono in grado di produrre e di comprendere un numero indefinito di
frasi che non hanno mai udito prima o che addirittura possono non essere mai state
pronunciate prima da qualcuno?".
A questa domanda Chomsky risponde asserendo che esiste una creatività governata da
regole per la quale vengono continuamente generate nuove frasi e pertanto la
capacità linguistica che ciascun parlante possiede non è fatta solamente di un insieme di
parole, espressioni e frasi, ma è un insieme di regole ben definite e di principi.
La teoria di Chomsky, nell'affermare che la grammatica è una competenza mentale
posseduta dal parlante che gli permette di formare infinite frasi, si basa quindi sulla
conoscenza innata dei principi universali che regolano la creazione del linguaggio. Si
viene così ad affermare il concetto di innatismo del linguaggio.
Le frasi vengono quindi trasformate attraverso una “competenza” del parlante.
Esempi di trasformazione:
Trasformazione passiva
il ragazzo mangia la mela
diventa
la mela è mangiata dal ragazzo
Trasformazione nominale
le automobili circolano
diventa
la circolazione delle automobili
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L'opposizione mind - brain e l'emergere di strutture specializzate
Il linguaggio umano, ormai ci è ben evidente, è un sistema estremamente complesso;
come tale deve appoggiarsi a strutture specializzate per poterlo gestire. Alcune di queste
strutture sono propriamente fisiologiche, come l'apparato fonatorio (che esamineremo
perlando della fonetica), l'apparato auditivo, il cervello ed il sistema nervoso, altre più
propriamente mentali come la memoria.
Dire "mentali", nell'accezione più intuitiva, vale 'dotate senz'altro di un sostrato fisiologico,
ma ad esso non interamente riducibili': in realtà l'opposizione tra mente e cervello o
(come più spesso si dice, essendo la moderna filosofia della mente prevalentemente di
area anglofona) mind - brain è uno dei problemi più dibattuti nella filosofia moderna:
proprio intorno a questo problema si è sviluppata la cosiddetta Cognitive science e molta
parte della moderna filosofia analitica. Cosa, in effetti, possa o debba più precisamente
intendersi per "mentale" è un problema complesso quanto affascinante. Una consistente
parte dei moderni filosofi della mente (tra cui Chomsky) ne sostengono invece la
riducibilità agli stati naturali, ossia la loro "naturalizzazione". Da un lato, pertanto, si
accentua l'opposizione mente - cervello, e dall'altra si cerca di ridurre il più possibile la
mente al cervello.
Le strutture per gestire il linguaggio (assumendo che una distinzione tra l'ordine del
mentale e l'ordine del fisiologico di fatto ci sia, la si spieghi poi come si vuole) va poi
sottolineato che sono frutto dell'evoluzione alla pari di tutti gli altri organi degli esseri
viventi.
Un "sistema nervoso" (che comprende le strutture associate al linguaggio), ad esempio, è
stato sviluppato solo negli animali ("Metazoa"), ma un sistema centralizzato anziché una
mera rete di gangli nervosi è innovazione di un solo gruppo di animali, i "Cordata", al cui
sottogruppo "Vertebrata" appartengono i principali animali superiori (pesci, rettili, uccelli,
anfibi, mammiferi), e pertanto anche l'uomo.
Per rendersi conto della "singolarità" evolutiva dei vertebrati rispetto agli altri animali
considerate la tavola seguente:
La filogenesi dei Metazoa
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Memoria e linguaggio.
Intuitivamente, tutti sappiamo cosa è la memoria, e consideriamo il linguaggio come
qualcosa di strettamente legato (nel senso la langue è qualcosa che deve essere
"ricordato" dall'individuo). In generale, la memoria, le sue strutture fisiologiche ed il suo
funzionamento, sono stati studiati molto approfonditamente, tanto da psicologi e linguisti
quanto da neurologi e medici, sicché possiamo dire di averne una discreta conoscenza.
Il primo dato interessante è che anche la memoria sembra una struttura frutto
dell'evoluzione naturale. Tutti i mammiferi, ad esempio, uomo compreso sembrano
condividere la stessa impostazione di funzionamento:
Il funzionamento della memoria
Il funzionamento della memoria nei mammiferi: riprodotto da Richard F. Thompson, The
brain. A Neuroscience Primer, 3rd edition, New York, Worth Publishers, 2000, p. 354.
L'informazione sensoriale entra in un "registro sensoriale" ("memoria iconica") dove è
mantenuto per un tempo brevissimo (nell'ordine dei decimi di secondo: la dimostrazione
risale a G. Sperling nel 1960). Alcune di queste informazioni sono scartate, altre invece
sono trasferite nella "memoria operativa a breve termine" (nell'ordine delle decine di
secondi), parte delle quali è poi salvata, in genere dopo essere stata adeguatamente
esercitata, nella memoria a lungo termine (di durata teoricamente illimitata), mentre un
altra parte viene definitivamente persa (alcune informazioni visive, inoltre, possono
passare direttamente dal registro sensoriale alla memoria a lungo termine). Seguendo la
via contraria, invece, le informazioni sono recuperate dalla memoria profonda, trasferite
nella memoria operativa, e poste in esecuzione.
Particolarmente interessante è che la memoria operativa sembra coincidere con la
consapevolezza e con quello che chiamiamo di solito "coscienza", mentre la memoria a
lungo termine ha più le caratteristiche dell' "inconscio" (è cioè un gigantesco serbatoio di
conoscenze delle quali non siamo propriamente consapevoli, ma alle quali attingiamo al
bisogno riportandole nella memoria operativa a breve termine). La concezione della
memoria a breve termine come "coscienza", frequente in neuroscienza, converge anche
nella nozione di intenzionalità, così come la avevamo definita, e rende linguisticamente
assai interessante il problema della Animal Consciousness: la tradizione filosofica
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(Cartesio) e la religione (cattolicesimo) occidentali negavano infatti agli animi una
"coscienza"!
Quanto al linguaggio (la "langue") dovrebbe, ragionevolmente, essere depositato nella
memoria a lungo termine. In realtà, dobbiamo ormai specificare ulteriormente il nostro
discorso: quando si parla di "memoria" intendiamo, in effetti, molte strutture diverse, solo
con alcune delle quali il linguaggio ha relazioni:
I principali tipi di memoria a lungo termine
I principali tipi di memoria a lungo termine: riprodotto da Richard F. Thompson, The brain.
A Neuroscience Primer, 3rd edition, New York, Worth Publishers, 2000, p. 365. La
memoria non dichiarativa è procedurale, implicita (è relativa al "come"), quella dichiarativa
è esplicita (ed è relativa al "cosa").
Il linguaggio, nello schema precedente, è posto nella memoria dichiarativa, più
precisamente in quel suo sottotipo che è la "conoscenza semantica" (in base alla quale,
ad es., uno ricorda il significato delle parole o le tabelline aritmetiche, ma non "quando" le
ha imparate) - l'altro sottotipo è la "memoria episodica" (in base alla quale, ad es., uno
ricorda cosa ha mangiato a pranzo, o chi ha incontrato il giorno prima, ecc.).
Un dato interessante dello schema precedente è che le principali strutture "mentali" (tipi di
memoria) sono messi in relazione alle strutture materiali (aree del cervello). Un ruolo
centrale, in particolare, sembra giocato dall' "ippocampo", nel lobo medio temporale (ne
sono presenti due, uno nel lato destro ed uno nel lato sinistro): è infatti famoso nella
letteratura medica il caso di HM, un paziente che dovette subire la rimozione di entrambi
gli ippocampi sviluppando una amnesia anterograda (vive esclusivamente nel presente, in
tutto normale se non nella impossibilità di immagazzinare nuove informazioni ed
esperienze nella memoria a lungo termine).
Analoghe esperienze cliniche hanno però insegnato che le aree del cervello coinvolte
dall'attività linguistica sono soprattutto altre, nell'adulto di solito localizzate nel solo
emisfero sinistro (anche se questa "lateralizzazione" non è assoluta: nel bambino entrambi
gli emisferi sono coinvolti, e solo gradualmente si specializza il sinistro), in particolare
l'area di Broca e l'area di Wernicke:
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le strutture cerebrali usate dal linguaggio
Le principali strutture fisiologiche (emisfero sinistro) del cervello coinvolte nell'attività
linguistica: riprodotto da Richard F. Thompson, The brain. A Neuroscience Primer, 3rd
edition, New York, Worth Publishers, 2000, p. 442.
In particolare, l'area di Broca, che è vicina alle zone "motorie" della corteccia cerebrale che
controllano i muscoli dell'apparato fonatorio (lingua, ecc.), sembra controllare la
coordinazione di questi muscoli nel parlato: lesioni all'area di Broca provocano difficoltà nel
parlare, ma non intaccano la comprensione. L'area di Wernicke, invece, che è più vicina
alle aree che ricevono gli stimoli acustici (Herschel gyrus) e che le connettono (angular
gyrus) con le aree della visione (corteccia visiva), sembra più legata alla elaborazione
semantica: in caso di lesioni all'area di Wernicke la fonazione è fluente, ma senza senso, e
la comprensione è persa. Entro certi limiti, sembra quindi che la distinzione tra signifiant e
del signifié sia riprodotta anche al livello fisico delle strutture cerebrali (da Thompson cit. p.
442, modificato).
Acquisizione del linguaggio: introduzione al problema.
Un altro interessante punto, oltre a dove viene immagazzinato ed quali strutture si
appoggia il linguaggio, è come viene acquisito - e se viene acquisito (non è infatti qui in
questione l'apprendimento di una lingua seconda, "L2", quanto la acquisizione della
propria madrelingua, "L1", ossia de "linguaggio" tout court).
Schematizzando, vi possono essere due modi diversi di impostare il problema, ossia,
estremizzando le posizioni: (1) nasciamo già "sapendo", già possediamo il linguaggio ed
"imparare" vuole solo dire esercitare e portare alla coscienza; (2) alla nascita "non
sappiamo" ancora nulla, non possediamo già il linguaggio, e siamo una tabula rasa che
dobbiamo riempire imparando dall'esperienza.
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Innatismo vs. empirismo in filosofia.
La polarità di questo dibattito tra innatismo ed empirismo, al di là dell'aspetto specifico del
linguaggio, è ben noto si può dire da sempre nella filosofia occidentale. La prima
formulazione esplicita dell'innatismo risale a Platone (427-347 a.C.; cfr. soprattutto i
dialoghi Fedro, Fedone e Menone, dei quali non v'è un e-text in italiano, ma si può
liberamente scaricare almeno la versione inglese dal Project Gutenberg), con la sua
concezione delle idee innate, che l'uomo non deve fare altro che "ricordare"; le prime
critiche, invece, ad Aristotele, con la sua rivalutazione dell'esperienza come fonte di
conoscenza.
È tuttavia alla fine del Seicento che si assiste ad una migliore definizione, in senso
moderno, del problema: da un lato abbiamo la radicale confutazione, su base empiristica,
dell'innatismo da parte dell'inglese John Locke (1632-1704) nel primo libro de An Essay
Concerning Human Understanding, con argomentazioni che riteniamo ancora oggi valide
e conclusive; dall'altro lato abbiamo la riaffermazione idealistica su base razionalistica (la
"mente" fa le veci delle "idee" di Platone ed è distinta dal "corpo" fisico), dell'innatismo da
parte di Cartesio (cfr. anche Descartes' Epistemology), o meglio René Descartes (15961650).
Comportamentismo e funzionalismo in psicologia.
È soprattutto nella psicologia del Novecento, tuttavia, che il dibattito delineato nel
paragrafo precedente ha trovato espressioni che sono state spesso trasportate anche
nella teoria e nella pratica della linguistica.
Un valoroso tentativo di fondare la psicologia su basi empiriste è il comportamentismo (o
behaviourismo), una teoria psicologica fondata dall'americano John Broadus Watson
(1878-1958) nel 1913 (con l'articolo Psychology as a Behaviorist Views It, in "
Psychological Review" XX (1913) 158-77), e sostenuta poi in termini più radicali da
Burrhus Frederik Skinner (1904-90).
Il postulato fondamentale, d'altra parte, del behaviourismo è solo che (1) la psicologia
studia il comportamento e non la mente, e che (2) le fonti del comportamento sono
esterne, nell'ambiente, e non interne, nella mente. Nelle sue formulazioni più radicali (e
non condivisibili), viene tuttavia anche sostenuta la posizione che (3) non esiste (e non
solo che non è direttamente studiabile) altra attività mentale al di fuori dei comportamenti.
Come che sia, in questo quadro teorico il comportamento può essere spiegato senza fare
riferimento ad eventi mentali interni: empiristicamente, dunque, si vuole limitare il ricorso
della psicologia ai soli dati osservabili ed eliminare il problema del dualismo tra "mente" e
"corpo" introdotto da Cartesio "riducendo" la mente al comportamento. Siamo, in ultima
analisi, di fronte ad un tentativo di riduzione del mentale analogo, come strategia, ma ben
diverso nella sostanza, a quello che compieranno i filosofi (come Chomsky)
"naturalizzatori": gli uni riducono gli stati mentali a comportamenti (cioè alle loro
manifestazioni), gli altri direttamente ad oggetti naturali. È, da questo punto di vista,
significativo che il programma behaviourista entri in crisi negli anni '60 proprio quando la
grammatica generativa, il cognitivismo ed il funzionalismo computazionale prendono
vigore: anzi, se si volesse assegnare una data di morte questa dovrebbe essere il 1959, in
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cui viene pubblicata una tranciante recensione, a mano del giovane Chomsky (Syntactic
Structures è di soli due anni prima) di Verbal Behaviour di Skinner (in "Language" XXXV
(1959) 26-58).
Di vero decesso, però, non è forse il caso di parlare dato che una forma ammodernata,
molto più moderata (che tiene buono solo il punto 1, e riformula il 2, del programma
originario) di behaviourismo è oggi risorto ed è una delle scuole psicologiche attualmente
più influenti: il neocomportamentismo.
Oltre al behaviourismo un'altra teoria meno radicale ma ugualmente "riduzionista" è il
funzionalismo, in quanto riduce gli stati mentali a stati funzionali anziché a
comportamenti; e dire "stati funzionali" vuole in generale dire 'stati non sempre
riconducibili a motivazioni empiriche dirette': le "funzioni" sono pertanto di solito più
complesse, nella loro origine e nel loro ruolo, dei semplici schemi "stimolo-risposta" del
behaviourismo.
In realtà, si dovrebbe parlare di vari tipi di funzionalismo, dato che se ne sono date diverse
forme nella storia del pensiero novecentesco. Almeno due accezioni principali vanno
considerate tra le molte.
Il "primo" funzionalismo, come potremmo chiamarlo, o "funzionalismo classico", è quello
fondante, fortemente legato alla filosofia americana di fine Ottocento ed alla tradizione del
pragmatismo. È stato principalmente espressa ne The principles of Psychology (1890) di
William James e ne The New Psychology (1884) di John Dewey. Per riassumere
drasticamente, potremmo dire che, in una prospettiva al contempo pragmatista ed
evoluzionista, questa teoria sosteneva che le funzioni mentali sono attività globali e non
scomponibili (ossia non interpretabili se non olisticamente), ossia "processi dinamici" di
carattere strumentale utili all'adattamento.
Accanto a questa prima varietà tardo-ottocentesca ed evoluzionista, l'altra forma
importante di funzionalismo è quella del funzionalismo computazionale (o
"funzionalismo da macchina di Turing") proposto negli anni '60-'70 del Novecento dal
filosofo e matematico Hilary Whitehall Putnam (nato il 31 luglio 1926), una delle figure
più importanti della filosofia analitica dei nostri giorni. In questa teoria le "funzioni" sono
considerate, anziché delle reazioni adattive, come delle specie di programmi, la mente
come una sorta di computer, (o meglio, come la sua forma più semplice: la "macchina di
Turing") e gli uomini come sostanzialmente degli "automi probabilistici". La macchina di
Turing è così chiamata dal matematico Alan Turing (1912-1954) che la propose nel 1936
diventando di fatto il padre dei computer moderni. La sua macchina, antenato dei nostri
computer, è un semplice automa a stati finiti
una macchina di Turing per il calcolo dell'addizione
«A Turing machine is an abstract
representation of a computing device. It
consists of a read/write head that scans a
(possibly infinite) one-dimensional (bidirectional) tape divided into squares, each of
which is inscribed with a 0 or 1. Computation
begins with the machine, in a given "state",
scanning a square. It erases what it finds
there, prints a 0 or 1, moves to an adjacent
square, and goes into a new state. This
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behavior is completely determined by three parameters: (1) the state the machine is in, (2)
the number on the square it is scanning, and (3) a table of instructions. The table of
instructions specifies, for each state and binary input, what the machine should write,
which direction it should move in, and which state it should go into. (E.g., "If in State 1
scanning a 0: print 1, move left, and go into State 3".) The table can list only finitely many
states, each of which becomes implicitly defined by the role it plays in the table of
instructions. These states are often referred to as the "functional states" of the machine. A
Turing machine, therefore, is more like a computer program (software) than a computer
(hardware).»
Putnam, in realtà (Shangrir 2005 cit.) sviluppa la sua teoria in due fasi. Nei primi scritti si
limita a proporre l'analogia tra menti e macchine.
È solo negli scritti successivi che Putnam mette in campo una vera teoria sulla natura degli
stati mentali ed identificandoli con gli stati funzionali.
Il funzionalismo computazionale, va infine detto, ha avuto molto successo fino agli anni
Settanta ed Ottanta, ma è oggi considerato abbastanza superato, e Putnam stesso negli
anni Novanta se ne è esplicitamente distaccato.
I tentativi, in effetti, anche se da un certo punto di vista nobili, del behaviourismo e del
funzionalismo, non risolvono certo tutti i problemi, ad esempio il primo non rende conto
degli stati mentali non accompagnati da comportamento, ed il secondo tanto degli stati
mentali soggettivi e privati quanto degli stati intenzionali come le credenze ed i desideri.
Entrambi questi punti sono stati dimostrati dal filosofo John Searle con il famoso
"esperimento mentale della Camera Cinese" (J. Searl, Minds, Brains and Programs, in
"Behavioural and Brain Sciences" III (1980) 417-457 e The Chinese Room Revisited,
ibidem V (1982) 345-348), indirizzato, in realtà, soprattutto contro il "funzionalismo da
macchina di Turing".
«Immaginate di essere chiusi a chiave in una stanza che ha due finestre; attraverso una
delle due finestre vi passano un fascio di fogli con dei segni che sembrano scrittura. Si
trattano in effetti di ideogrammi cinesi, ma voi non sapete il cinese: per voi sono solo dei
ghirigori senza senso. Ma vi vengono anche passate delle istruzioni (scritte in italiano, che
voi conoscete) che vi dicono come fare corrispondere i segni che entrano dalla prima
finestra a degli altri segni, per voi non meno incomprensibili, che vi si chiede di far passare
attraverso l'altra finestra. Dopo un po', diventate abilissimi a seguire le istruzioni, sicché la
messa in corrispondenza dei segni si svolge molto velocemente; ma ancora non capite
che cosa sta succedendo. Ora, si scopre che la prima serie di segni erano domande (in
cinese), e le istruzioni vi insegnavano a far loro corrispondere le risposte pertinenti (erano i
segni che facevate passare dalla seconda finestra). Non sapevate il cinese prima, e
continuate a non saperlo ora nonostante l'abilità che avete acquisito nel far corrispondere
le due serie di segni; siete certamente in grado di manipolare i segni molto rapidamente
seguendo le istruzioni che avete ricevuto, ma ancora non li comprendete. Ora, secondo
Searle un computer su cui è implementato un sistema di comprensione del linguaggio
naturale è esattamente nelle vostre condizioni: è in grado di manipolare simboli (che
identifica in base alla loro forma) secondo regole tanto da emulare una seduta di domande
e risposte, o qualsiasi altra prestazione linguistica; ma non capisce i simboli che manipola
più di quanto voi, chiuso nella stanza, comprendiate il cinese.»
(Diego Marconi in La competenza lessicale, Roma - Bari, Laterza, 1999, pp. 161-2)
11
1.4.5 Apprendimento ed innatismo in grammatica generativa.
Ad ogni buon conto, pur tra singoli problemi, il panorama della scena filosofica e
psicologica fino all'inizio degli anni Sessanta del Novecento, era dunque sostanzialmente
dominato da teorie di tipo empiristico, per cui tutti gli stati mentali sono determinati
dall'esterno da fatti del mondo, apprendimento del linguaggio compreso. A spezzare il
fronte è stato nel 1957 Noam Chomsky (di cui già abbiamo parlato) con la linguistica
generativa, cui presto si alleeranno il cognitivismo in psicologia, la filosofia e le
altre scienze cognitive.
Avendendo visto nel la filiazione filosofica platonico-cartesiana dell' innatismo, è facile
immaginare come Chomsky non possa non posizionarsi su questa linea. Al di là delle sue
preferenze filosofiche, comunque, l'argomento principe che Chomsky usa è di tipo
piuttosto empirico che non teorico. Si tratta della facilità con cui un bambino impara
uno strumento complesso come il linguaggio in relativamente poco tempo ed in
modo naturale e spontaneo (l'adulto è limitato alla correzione sporadica, non interviene
remunerando od allenando), soprattutto paragonata alla difficoltà con cui un adulto impara
una lingua straniera: l'output (strutture linguistiche che il bimbo produce) sembra superare
l'imput (stimolo dato dalle persone che circondano il bimbo).
Si vedano a questo punto le pp. 85-104 del Musgrave (in allegato)
12
Noam Chomsky, La linguistica contemporanea
intervista rilasciata a Cambridge - U.S.A. il 28-5-92
Enciclopedia Multimediale delle scienze Filosofiche
A chi dobbiamo, Professor Chomsky, i contributi più significativi nello studio del
linguaggio in epoca moderna?
All'inizio dell'Ottocento un grande linguista, Karl Wilhelm von Humboldt, osservò che il
linguaggio in qualche modo ci fornisce dei mezzi finiti per usi infiniti. I mezzi che abbiamo
per esprimerci sono collocati nel cervello, il che significa che sono finiti, mentre l'uso per il
quale possiamo impiegarli è illimitato, sconfinato e infinito. Già Cartesio però sosteneva
che per capire se un'altra creatura avesse una mente come la nostra, la migliore
indicazione stesse proprio nel suo poter usare il linguaggio in quel modo creativo così
caratteristico degli esseri umani. Egli intendeva un'uso del linguaggio prima di tutto infinito
e, in secondo luogo, evidentemente non causato da situazioni esterne né da una
disposizione interna.
Ci può dire invece quando ci si è posti la domanda di come si sia formata questa
attitudine?
La questione di come possa essersi sviluppata questa capacità creativa riguarda un altro
aspetto dello stesso problema, che può essere fatto risalire, ancora più in là di Cartesio, ai
dialoghi Platonici. In questo senso l'interrogativo si estende anche alla spiegazione di
come sia possibile agli uomini comprendere la grande quantità di cose che di fatto
comprendono, dato il carattere limitato dell'esperienza disponibile. Se si considera più da
vicino il linguaggio, infatti, è possibile dimostrare facilmente che qualsiasi bambino piccolo
usa quei mezzi finiti per esprimere alcuni pensieri limitati senza avere quasi nessuna
esperienza pertinente. Quello che si potrebbe definire "il problema di Platone", e cioè la
domanda, "Come è possibile sapere tante cose avendo esperienze così minime?" può
essere trasferita nel linguaggio traducendola nella formula seguente: "Come si possono
sviluppare i mezzi finiti che ci mettono in grado di esprimere pensieri illimitati in maniera
creativa, non causata, ma appropriata?". Fino a circa cinquanta anni fa non è stato mai
possibile affrontare in modo molto preciso tali questioni fondamentali, che pure sono state
sollevate più volte nel corso del tempo. L'idea, infatti, di un uso infinito di mezzi finiti rimase
una metafora fino al ventesimo secolo. Da allora questo concetto è stato chiarificato anche
in altri campi quali la matematica, lo studio dei sistemi logici e la computazione.
Quali effetti ha prodotto in linguistica questa impostazione del problema?
Il concetto di un uso infinito di mezzi finiti divenne molto chiaro e comprensibile. Esso fornì
gli strumenti intellettuali per affrontare quei problemi che Humboldt, per esempio, riuscì a
discutere solo in modo metaforico e creò così le condizioni per convertire quelle domande
in un programma di ricerca veramente vivo. Solo allora, infatti, fu possibile formulare un
progetto di ricerca specifico, il programma di grammatica generativa, con il quale si è
cercato di definire l'esatto sistema di principi e di modi di computazione usati dal cervello
nell'esprimere pensieri in quel modo illimitato. Non appena si giunse a questo risultato, ci
si accorse presto del fatto che il materiale disponibile nelle grammatiche tradizionali o
anche, in maggior copia, nelle grammatiche strutturalistiche moderne, non si avvicinava
nemmeno lontanamente alla quantità di conoscenze di cui dispone ogni persona normale
o, di fatto, ogni bambino piccolo.
13
Dalla formulazione precisa di questi principi, che collocavano il problema su una scala
diversa da quella che si poteva immaginare, si arrivò ad approfondire il "problema di
Platone", il render conto di come questa capacità umana si fosse sviluppata. Le
conclusioni a cui si giunse riguardo tale questione non furono poi diverse da quelle a cui
giunse lo stesso Platone e cioè che questa capacità ha potuto svilupparsi sulla base
dell'esperienza solo perché era già presente come parte di ciò che oggi chiameremmo la
dotazione biologica o genetica. Questi concetti furono sviluppati in quella che fu definita la
"rivoluzione cognitivista" degli anni '50 e che rappresentò un cambiamento di prospettiva
alquanto significativo in relazione allo studio del comportamento, del pensiero e
dell'intelligenza umana. Si spostò l'attenzione dai comportamenti ai meccanismi interni che
rendono possibile quei comportamenti, e lo sviluppo della grammatica generativa interna
rientrò in questo programma rappresentando, di fatto, un grande stimolo allo sviluppo delle
moderne scienze cognitive. Da quel periodo in poi abbiamo assistito a molti sviluppi
importanti nel tentativo di formulare i principi che realmente rendono conto della nostra
conoscenza delle frasi espressive e di ciò che esse significano. Ci si rese conto di come la
complessità di questi meccanismi andasse molto aldilà di quanto potessimo mai
immaginare.
Professor Chomsky, secondo quali principi funziona il linguaggio nell'ottica della
grammatica generativa?
Qualsiasi sia l'aspetto del linguaggio che noi consideriamo, si tratti del significato delle
parole o del modo in cui le parole si combinano in frasi, del modo in cui si possano
formare certe costruzioni, come nel caso delle domande o anche delle relazioni
semantiche tra parole, oppure si tratti delle relazioni tra un pronome e un antecedente o
un nome, ci si affaccia subito su un vasto orizzonte di complessità. Alle questioni
tradizionali - come quelle citate - sono connessi, inoltre, una serie di paradossi. Uno è
quello per cui sembra di essere costretti a creare sistemi di regole estremamente intricati e
complessi, in parte condivisi dalle varie lingue, e in parte differenti da lingua a lingua. I
tentativi comunque di affrontare gli interrogativi connessi al "problema di Platone", di come
si faccia ad acquisire il sapere, solo nel corso degli ultimi quarant'anni sono andati avanti
seguendo un percorso naturale e abbastanza proficuo, cioè secondo un'idea di base che
era quella di cercare di dimostrare che le regole semplici erano quelle veramente giuste.
Lo sforzo è consistito nel mostrare l'esistenza di una regola elementare e di una semplice
relazione strutturale tra i vari fattori, che sono universali e fissati in modo semplice nella
natura del linguaggio, per cui questi interagiscono in svariate maniere in modo da rendere
il ventaglio delle complessità fenomeniche. Questo, si dimostrò un programma di ricerca
molto proficuo, col quale si proseguì per circa venticinque anni in modo attivo, su una
varietà crescente di lingue, a partire dagli anni '50. Attorno al 1980, questo indirizzo giunse
a una sorta di punto di svolta evidenziando un nuovo quadro che indicava una rottura
davvero radicale rispetto alla tradizione dei duemila e cinquecento anni precedenti.
Secondo questi nuovi orientamenti quali erano gli elementi innati e quali quelli da acquisire
nell'apprendimento del linguaggio?
I bambini possiedono già disponibili i concetti, come parte della loro natura interna e, pur
con una quantità limitata di esperienza, sono in grado di legare questi concetti con suoni
particolari. Essi, nei periodi di più intenso apprendimento acquisiscono circa dieci nuove
parole al giorno nel loro ambiente; il che significa che stanno acquisendo parole sulla base
di una singola esposizione e che perciò alla base devono già avere fissi il concetto e la
struttura sonora. Ciò che invece imparano è il legare le due cose tra loro, acquisiscono
14
cioè il legame tra concetto e struttura sonora. C'è un aspetto per il quale le lingue variano
ma, al di fuori di questo aspetto, sembra che le loro variazioni esistano soltanto nei tratti
periferici delle parti non sostantive del lessico.
Quali sono propriamente gli aspetti del significato per cui le lingue differiscono e quelli per i
quali invece si assomigliano?
Come per i sistemi computazionali, le diverse lingue non differiscono affatto, se non per
alcune variazioni marginali, come per esempio il caso delle parole "house" e "home" in
inglese. Per spostare una "house" da New York a Boston è necessario spostare un
oggetto fisico, mentre per spostare una "home" non c'è affatto bisogno di spostare alcun
oggetto fisico, pur essendo anche "home", in inglese, un oggetto fisico. La differenza tra
"house" e "home" è una differenza che il bambino deve acquisire. In altre lingue
l'equivalente della parola "home" è di fatto un avverbio, come nel caso del francese "chez
moi" o come nel caso dell'italiano, "vado a casa" dove, in quest'espressione, all'oggetto
concreto viene data un'interpretazione astratta.
Nella lingua, secondo il concetto saussuriano di arbitrarietà, Z3:0 "house" può avere un
certo suono in inglese e un diverso suono nella lingua vicina e le strutture sonore possono
variare in un certo margine. Le parole possono essere imparate molto rapidamente,
perché essenzialmente esse sono già note mentre la sola cosa che va conosciuta è come
i concetti si legano ai suoni e il modo di sistemare il ventaglio di variazioni esistenti, per
quanto ridotto. Posto dunque che il sistema computazionale è fissato e la variazione pare
essere così come essa si manifesta nella sua articolazione in suoni e posto che anche
nella mente le cose paiono procedere nello stesso modo è possibile, partendo da queste
premesse, affrontare quello che è stato definito "il problema di Platone" che è lo stesso
problema sollevato da Humboldt. A questa domanda si risponde essenzialmente con la
natura del sistema computazionale che ha precisamente la proprietà di generare una serie
illimitata di pensieri che possono essere espressi con un meccanismo finito.
Al problema posto da Cartesio circa la creatività dell'uso linguistico è più difficile
rispondere. E' possibile, infatti, parlare del tempo, di ciò che si mangia a cena e di
qualsiasi cosa senza che ci sia nulla nello stato interno di chi parla che possa determinare
ciò che si sta per dire. Da ciò deriva un comportamento fondamentalmente libero e non
casuale appropriato però alle situazioni. Un comportamento tale da evocare nelle menti di
chi ascolta pensieri che egli, prima di allora, non avrebbe mai avuto ma che può adesso
pensare e che avrebbe potuto esprimere nello stesso modo. Per Cartesio questa
collezione di proprietà diventò l'indicazione dell'esistenza di una mente distinta da un
meccanismo. La domanda su come ciò sia possibile resta oggi misteriosa quanto allora e
si può semplicemente osservare che queste sono le proprietà di cui evidentemente gode il
linguaggio. Per il momento, rimane ancora un mistero il modo in cui un meccanismo
biologico possa avere simili proprietà.
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Chomsky etc – a cura I Steila, docente Università di Torino
Nella riabilitazione della postulazione di oggetti mentali nella spiegazione dei processi
cognitivi, ebbe un ruolo decisivo il linguista americano Noam Chomsky (1928-)
Nel 1959 Chomsky pubblica una recensione del Comportamento verbale di Skinner, in cui
critica assai duramente il comportamentismo.
«Per quanto riguarda l’acquisizione del linguaggio, sembra chiaro che il rinforzo,
l’osservazione casuale, e la naturale curiosità (accoppiate con una forte tendenza
all’imitazione) sono fattori importanti, come lo è la notevole capacità da parte del bambino
di generalizzare, ipotizzare ed “elaborare le informazioni” in una varietà di modi molto
specifici e chiaramente assai complessi che non possiamo ancora descrivere o cominciare
a comprendere, e che possono essere in gran parte innati o possono svilupparsi
attraverso qualche tipo di apprendimento o attraverso la maturazione del sistema nervoso.
Il modo in cui tali fattori operano ed interagiscono nell’acquisizione del linguaggio è
completamente sconosciuto. E’ chiaro comunque che ciò che è necessario in questo caso
è la ricerca, non le affermazioni dogmatiche e del tutto arbitrarie basate su analogie con
quella piccola parte della letteratura sperimentale alla quale capita di interessarsi.»
Secondo Chomsky per spiegare l'acquisizione del linguaggio bisogna supporre che la
mente dei bambini sia dotata di dispositivi innati, di regole che determinano a priori le
strutture grammaticali possibili. La prima esposizione della teoria generativista risale a Le
strutture della sintassi del 1957, in cui Chomsky prospettò la sua dottrina della grammatica
generativo-trasformazionale. La grammatica universale è una teoria della facoltà del
linguaggio, il modulo - relativamente isolato - della mente umana devoluto alla conoscenza
linguistica.
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Prima considerazione critica all’ipotesi di Chomsky
E. Coco
Martin Hollins e Steven Lukes, non meno di altri autori (si pensi a Chomsky) hanno
ipotizzato l’esistenza di “universali culturali” comuni e uguali in tutti gli esseri umani. Tali
universali garantirebbero un’intesa sicura tra soggetti appartenenti a culture differenti. Un
esempio di tale intesa si manifesta allorché si provi a tradurre per la prima volta parole in
una lingua del tutto sconosciuta. Da dove cominciare infatti se non si dispone di nessuna
parola di partenza con cui descrivere il significato delle altre?
Si può rispondere a questo tema anti-relativista – come fanno Barnes e Bloor –
osservando le modalità di apprendimento del linguaggio. Il bambino, infatti, non si richiama
ad un universali culturali, ma apprende dagli adulti come associare una parola ad un
determinato significato. L’esempio riportato è quello del sostantivo “uccello”. Eventuali
errori, come chiamare uccello un aeroplano, saranno prontamente corretti dai genitori o
dagli altri appartenenti alla comunità. L’apprendimento del linguaggio (e a maggior ragione
ogni tipo di traduzione) è quindi determinato dall’ambiente in cui viviamo e dagli individui
che ci circondano.
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LINGUISTICA: DA ROCHESTER E S. DIEGO L'ULTIMO ATTACCO ALLA TEORIA INNATISTA
DI CHOMSKY (di Carlo CALABRÒ )
Sono trascorsi esattamente quarant'anni da quando Noam Chomsky, pubblicando il
volume Syntactic Structures, rivoluzionava irreversibilmente il mondo della ricerca sulla
linguistica introducendo il concetto e la teoria della costruzione della grammatica
generativo-trasformazionale.
Il mondo della ricerca, entrato immediatamente in ebollizione, percepì che quella
elaborazione teorica così innovativa avrebbe rappresentato il nodo cardanico su cui
sarebbero confluiti gli strali di tutte le correnti di pensiero interessate ad un immediato
ridimensionamento dei suoi contenuti. Oggi sono attivi in tutto il pianeta oltre mille
specialisti della linguistica raggruppati in varie scuole di pensiero e tutti, per un verso o per
l'altro, sono tributari della "rivoluzione chomskiana".
Ma vediamo quali sono i lineamenti essenziali della teoria della linguistica generativotrasformazionale che hanno segnato una svolta epocale nella metodologia di ricerca sul
linguaggio che, da Platone, Aristotele e dagli stoici fino agli anni `50, ha seguito uno
sviluppo di impronta filosofica, basato fondamentalmente sull'idea che il linguaggio sia una
riproduzione di immagini mentali e, pertanto, dimensionato sulla logica e sulla
diversificazione fra tre elementi costitutivi determinanti: il segno, il significante ed il
significato.
L'ipotesi di fondo su cui Chomsky ha impostato la teoria della grammatica generativa,
connotata come "teoria standard" , assume la competenza quale elemento discriminante
principale di cui ogni parlante nativo di un idioma linguistico dispone per il riconoscimento
e l'etichettamento dei sintagmi grammaticali e contestualmente evidenzia che la
prerogativa cognitiva gli consente la loro distinzione dalle sequenze a-grammaticali.
Assolvono una funzione eminentemente esecutiva e rimangono estranei alla "realtà
psicologica" tutti i processi di costruzione e percezione della fraseologia utilizzata nella
interazione con il contesto ambientale e con i gruppi sociali.
Numerose indagini sperimentali di verifica cui è stata sottoposta la "teoria standard" hanno
sottolineato che alcuni fenomeni linguistici non obbediscono ai protocolli di indagine.
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Chomsky, incalzato dalle obiezioni che da più parti piovono addosso alla sua dottrina,
appronta una proposta evolutiva della teoria innatista originaria denominandola "teoria
standard estesa" nella quale, armonizzando gli studi fatti da R.S. Jackendoff, R.C.
Dowgherty e J. Emonds, esamina la possibilità di dimostrare l'esistenza di principi a
valenza universale (rintracciabili in lingue di ceppo diverso) e non oggettivabili sulla scorta
di dati esperienziali, che possano essere definiti innati. Al termine di un tormentato
percorso di indagine individua alcuni principi di tipo biologico che farebbero parte
integrante del patrimonio genetico del genere umano e che nel loro insieme delimitano la
regione cognitiva, qualificata come "grammatica universale" che funge da cornice
all'interno della quale i diversi linguaggi hanno la facoltà di differenziarsi, trasformarsi,
evolversi e predisporre i meccanismi di base per ulteriori costruzioni marginali o interventi
di ristrutturazione radicale soggiacenti alla discontinuità generazionale (molti autori, sulla
scorta della formulazione chomskiana, annettono molta importanza alla circostanza che
ogni generazione deve percorrere un iter di maturazione che gli consente di acquisire ex
novo la lingua e alla predisposizione del bambino ad armonizzare i paradigmi sintattici e
tassonomici che implicano la propensione ad innovare semplificando).
Nel corso dei decenni larghe schiere di studiosi hanno dato vita ad un vivacissimo dibattito
ideologico che ha fatto di Chomsky e della sua teoria innatista il bersaglio preferito dei
tentativi di falsificazione della grammatica generativo-trasformazionale.
Ultimo in ordine di tempo e probabilmente il più incisivo e gravido di conseguenze lo studio
di alcuni ricercatori dell'Università di Rochester i quali, in una ricerca condotta in ambiente
sperimentale appositamente predisposto, sottoponendo bambini di 8 mesi all' ascolto di
una serie di cluster di sillabe ripetute ad intervalli di frazioni di secondo e mescolate ad
interferenze acustiche (rumori di sottofondo) hanno constatato che i bambini, dopo 120
secondi di martellanti input, non solo sono in grado di riconoscere l'inizio e la fine di una
parola, ma riescono a distinguerla ed estrapolarla dal contesto. L'esperimento è stato
sottoposto, successivamente, alla valutazione di E. Bates e J. Elman, psicologi di scuola
cognitivista dell'Università di S. Diego. Essi, dopo un' attenta analisi, non hanno esitato ad
affermare che, in effetti, se l'esperimento dovesse avere ulteriori conferme, rimetterebbe in
discussione la teoria innatista di Chomsky e avvalorerebbe la tesi dell'apprendimento
progressivo del linguaggio.
Chomsky, trovandosi in Italia nel mese di gennaio per una serie di conferenze
all'Università di Milano, coglie l'occasione offertagli dalla domanda di uno studente per
controbattere per la prima volta ai severi attacchi provenienti da Rochester e da S. Diego.
Egli contesta che i riscontri sperimentali dei ricercatori di Rochester sono viziati dalla
approssimazione con cui è stato predisposto l'impianto scenografico della
somministrazione dello stimolo e che, comunque, un isolato esperimento, non confortato
dai risultati di ulteriori indagini, non possa costituire elemento di apodittica certezza circa la
confutazione delle tesi esposte nella teoria della grammatica generativa.
Senza contare che la supposta capacità di elaborazione statistica dei dati, dimostrata dai
bambini, non fa altro che confermare che è prerogativa biologica e genetica dell'uomo il
possesso del corredo di Immagini Mentali che gli permettono di elaborare le categorie del
linguaggio e gli consentono di interagire con il contesto in cui si sviluppa la sua personalità
e di modulare gli interventi correttivi, adattandoli alle proprie esigenze di crescita.
L'antica disputa tra sostenitori dell' innatismo e dell' apprendimento che ha appassionato i
filoni teorici della ricerca non solo nell' area linguistica, ma anche e soprattutto, in quella
psicologica e antropologica, si arricchisce di un nuovo capitolo che rende sempre più
affascinanti le problematiche emergenti dal dibattito epistemologico in corso.
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