Omelie per un anno
Volume 1 - Anno “B”
Anno “B”
5ª DOMENICA DI PASQUA
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At 9,26-31 - Barnaba raccontò agli apostoli come durante il
viaggio Paolo aveva visto il Signore.
Dal Salmo 21- Rit.: A te la mia lode, Signore, nell'assemblea dei
fratelli.
1 Gv 3,18-24 - Questo è il suo comandamento: che crediamo e ci
amiamo.
Canto al Vangelo - Alleluia, alleluia. Rimanete in me ed io in voi,
dice il Signore; chi rimane in me porta molto frutto. Alleluia.
Gv 15,1-8 - Chi rimane in me ed io in lui fa molto frutto.
Tensioni e pace
Luca, nella la lettura, traccia un ritratto ideale della Chiesa: «La
Chiesa era in pace... cresceva e camminava nel timore del Signore,
colma del conforto dello Spirito Santo». Non tutto, di fatto, era così
perfetto tra i primi cristiani; infatti Luca stesso ci informa che alcuni
di lingua greca tentarono di uccidere Paolo.
Anche tra noi ci sono tensioni e conflitti sia all'interno della comunità
ecclesiale sia nella società civile. In un convegno si è proposto proprio
di affrontare questo problema per far valere la proposta cristiana di
riconciliazione. Non dobbiamo né minimizzare né banalizzare le
divisioni o le tensioni, né dobbiamo cercare frettolose soluzioni in
generici inviti al «vogliamoci bene». Anzitutto prendiamo coscienza
che divisioni, conflitti, tensioni sono frutto dei nostri peccati. Se ci
lasciamo riconciliare dal Signore Gesù, allora vivremo in pace colmi
del conforto dello Spirito. La proposta di Gesù, in questa domenica, è
che diventiamo una comunità di « figli di adozione», di «credenti in
Cristo», ai quali è data la libertà e la vera eredità fraterna» (colletta).
È la proposta di una comunità nuova, di una «assemblea di fratelli»
(salmo responsoriale).
Le nostre tristezze, la nostra solitudine, i conflitti e le divisioni che
amareggiano la nostra vita quotidiana dipendono dal fatto che non
accogliamo pienamente, con tutto il cuore e con tutta l'anima, la
proposta di Gesù. Egli vuole fare di noi una vera comunità fraterna,
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non violenta, una società dell'amore vicendevole, espressione della
vita e ambiente della libertà. Ma Gesù oggi ci dice anche: «Senza di
me non potete fare nulla». Il nostro peccato è di voler fare, vivere e
costruire senza Gesù!
Tensioni ecclesiali
La 1ª lettura ci offre un ritratto delle forti tensioni presenti nella
primitiva comunità cristiana. Paolo, dopo la sua conversione, andò a
Gerusalemme, dove «cercava di unirsi ai discepoli, ma tutti avevano
paura di lui, non credendo che fosse un discepolo». Diffidenza, paura,
sospetti: non avevano tutti i torti, conoscendo quel che Paolo aveva
fatto contro i cristiani.
Barnaba allora presentò Paolo agli apostoli raccontando la sua
conversione: così Paolo poteva «andare e venire a Gerusalemme».
Paolo è disprezzato dai suoi ex-correligionari giudei come un
rinnegato; è visto con diffidenza dai cristiani che stentano a credere
alla sua conversione. In questa solitudine spirituale, Paolo fa valere la
sua audacia apostolica: «Parlava apertamente nel nome del Signore».
Ma egli si scontra con gli «ellenisti», giudei di lingua greca convertiti
al cristianesimo, probabilmente originari della diaspora. Essi
«tentarono di ucciderlo». E Paolo è costretto a fuggire. Fu un triste
episodio, che Luca contrappone all'ideale di Chiesa riconciliata per la
forza e la consolazione dello Spirito Santo.
Criteri del vero amore
La 2ª lettura è un logico proseguimento della 1ª: l'amore fraterno è
ciò che conduce la comunità cristiana alla pace. Ma quali sono i criteri
per discernere il vero amore? Giovanni ne indica alcuni fondamentali.
Anzitutto i fatti: «Non amiamo a parole né con la lingua, ma con i
fatti».
Un secondo criterio è «amare nella verità», che non significa
semplicemente «amare in modo sincero». La «verità» è Cristo, poiché
lui ci dà la rivelazione che è la verità. «Amare nella verità» vuol dire,
allora, amare come ama Gesù Cristo, guidati e diretti dalla sua parola
e dal suo esempio, dalla sua forza. È un amore che scaturisce dalla
fede, ossia dalla accoglienza della verità. Per questo Giovanni afferma
che se «crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo», allora «ci
amiamo gli uni gli altri».
Un terzo criterio per discernere il vero amore è l'osservanza dei
comandamenti: «Chi osserva i suoi comandamenti dimora in Dio ed
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egli in lui». L'amore viene da Dio e si esprime anche nei
comandamenti divini: chi osserva i comandamenti fa proprio l'amore
di Dio e, di conseguenza, riesce ad amare di amore autentico. Chi
pretende di amare senza osservare i comandamenti, pretende di
essere lui a stabilire qual è il vero amore e non Dio. Un quarto criterio
è la fede nella presenza dello Spirito Santo in noi: «Da questo
conosciamo che dimora in noi: dallo Spirito che ci ha dato». La fede e
l'esperienza della presenza in noi dello Spirito di Cristo è un criterio
per sapere se amiamo come Cristo o se seguiamo il nostro «spirito»,
ossia i nostri egoistici istinti.
Gesù è la vite
Il brano evangelico di questa domenica è strutturato in modo da far
risaltare, in fasi successive e progressive, quale sia la posizione del
cristiano nel mondo. Naturalmente Giovanni parte da Dio che opera
per mezzo di Gesù al fine di trasformare la nostra esistenza.
Dapprima parla dell'attività di Dio Padre (vv. 1-2); poi espone a quali
condizioni i cristiani possono portare frutto (vv. 3-4); infine spiega
quale debba essere la scelta che il discepolo deve fare per portare
frutto e avere la vita (vv. 5-6). I vv. 7-8 li considererei meglio collegati con quanto segue, perciò li lasciamo fuori dal nostro
commento. Tuttavia un nesso con quanto precede ce l'hanno, in
quanto sottolineano che la fedeltà a Gesù è la condizione del portare
frutto.
Tutto proviene dall'iniziativa gratuita del Padre che «pota», cioè
elimina i fattori di morte perché il tralcio, che rappresenta
simbolicamente il discepolo, possa portare frutti. Dio Padre sfronda la
sua vigna, ma lo scopo della sua azione dolorosa non è negativo, anzi
è la vitalità stessa del tralcio. Il Padre è l'agricoltore: la sua prima
attività è di innestare nella vite; la seconda mira alla fecondità del
tralcio. La potatura o purificazione avviene attraverso la parola di
Gesù: «Voi siete già mondi per la parola che vi ho annunziato».
Il tralcio non ha vita propria, non può portare frutto se non è inserito
nella vite da cui riceve linfa e quindi capacità di fare frutti: «Come il
tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così
anche voi se non rimanete in me». L'unione con Gesù è la condizione
irrinunciabile per poter vivere e portare frutti.
Che cosa sono i «frutti» che il «tralcio», ossia il discepolo, deve
produrre? Il «frutto» simboleggia la vita comunitaria fraterna, la
formazione di una società alternativa e nuova che comincia con Gesù e
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da lui è resa possibile. Non è infatti realizzabile una vita comunitaria
nuova se non in comunione con Gesù. La «sterilità» del tralcio
simboleggia una vita egoistica e individualistica, quale è quella del
tralcio staccato dalla vite: la sua fine è la morte. Gesù invita dunque a
fare una scelta tra la propria realizzazione che è inseparabile da una
vera vita comunitaria e il proprio fallimento. La Chiesa può sperare e
attuare il superamento delle tensioni, dei conflitti e delle divisioni se
decide di «convertirsi» più profondamente al suo Signore.
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