La teoria della relatività - Dipartimento di Matematica

La teoria della relatività
Le origini
Il concetto di relatività in fisica comincia ad assumere contorni
distinti nel Seicento, con Galilei, che per primo intuisce l’equivalenza
tra sistemi di riferimento che siano, l’uno rispetto all’altro, in moto
rettilineo uniforme oppure in quiete. I fenomeni fisici che hanno luogo
all’interno della stiva di una nave, che scivoli sul mare con velocità
costante e senza beccheggiare, sarebbero soggetti alle stesse leggi di
quelli che avvengono sulla terraferma: l’osservatore non potrebbe
decidere, sulla base di quello che gli accade intorno, se la nave stia
ferma oppure si muova.
Tra tutti i sistemi di riferimento si distinguono quelli in cui vale il
principio d’inerzia: un corpo su cui agisca una forza nulla, resta in
quiete oppure si muove di moto rettilineo uniforme. Galileo diceva:
“A principiare il moto è ben necessario il movente, ma a continuarlo
basta a non haver contrasto.”
La nostra formulazione è invece ripresa dalla prima legge del moto,
enunciata da Newton nel Libro I dei suoi Principia. L’esperienza
suggerì ai primi fisici dell’epoca moderna che sistemi di riferimento
siffatti - detti sistemi inerziali - dovessero esistere: erano tutti quelli
solidali con il cielo delle stelle fisse. In tutti questi valgono le stesse
leggi meccaniche. Il moto di un corpo apparirà però in maniera
diversa in due sistemi di riferimento che si muovano l’uno rispetto
all’altro. Un topolino che il capostazione vede fermo sulla banchina di
una stazione ferroviaria sfilerà, invece, con una certa velocità non
nulla davanti agli occhi di un passeggero di un treno in transito.
Il moto di un corpo nello spazio può essere descritto con formule
matematiche. Un osservatore che veda l’evoluzione di un punto
materiale nello spazio può descriverla fissando un sistema di
coordinate cartesiane x,y,z,
z
O
x
y
ed una misura del tempo, che chiameremo coordinata temporale t.
Quest’ultima individua ogni istante indicando il tempo che è passato
da un certo istante di riferimento t0=0, fissato per convenzione. La
posizione in cui si trova il punto materiale ad ogni istante t, è
individuata dai valori - variabili ad ogni istante - x,y,z delle sue tre
coordinate spaziali: essi sono legati al valore di t da una funzione
f: t  (x(t), y(t), z(t)).
Il moto del corpo è quindi completamente descritto dalle equazioni:
x = x(t)
y = y(t)
z = z(t)
Queste equazioni saranno, in generale, diverse per un qualunque
altro osservatore: anzitutto questo sceglierà un sistema di coordinate
cartesiane differente, che sia in quiete rispetto a lui, e sarà libero di
fissare in maniera diversa l’origine dell’ascissa temporale.
Nell’esempio della stazione immaginiamo che il sistema di coordinate
del capostazione abbia origine nel punto in cui si trova il topolino e
che l’asse delle ascisse sia parallela al binario, e concorde al
movimento del treno. Possiamo supporre che l’asse delle ascisse del
passeggero abbia la stessa direzione e lo stesso verso. Inoltre
assumiamo che entrambi gli osservatori abbiano scelto come istante
iniziale quello in cui il topolino transita per l’origine del sistema di
coordinate del passeggero. Sia v la velocità del treno. Da quell’istante
in poi, e fintantoché il topolino starà fermo, le equazioni del moto del
topolino per il capostazione saranno
x=0
y=0
z=0
(1)
x′ = - vt
y′ = 0
z′ = 0
(2)
e per il passeggero
Dunque la relazione tra le coordinate spazio-temporali x, y, z, t del
capostazione e quelle x′, y′, z′, t′ del passeggero è data dalle equazioni:
(a)
(b)
(c)
(d)
x′ = x - vt
y′ = y
z′= z
t′ = t
Queste vengono dette equazioni del cambiamento di sistema di
riferimento. Esse rimangono valide anche nel momento in cui il
topolino comincia a muoversi: allora cambieranno le (1) e le (2), ma
esse continueranno ad essere legate dalle identità (a)-(d). Queste
ultime esprimono, infatti, il legame esistente tra i due sistemi di
riferimento, e sono, quindi, indipendenti dal particolare moto
osservato. Pertanto esse possono essere utilizzate per determinare le
equazioni del moto rispetto all’osservatore-passeggero a partire da
quelle valide per l’osservatore-capostazione. Se, ad esempio, il
topolino, anziché stare fermo, si muovesse lungo l’asse delle ascisse
con velocità w nel verso in cui avanza il treno, a partire dall’istante
zero le equazioni del moto per il capostazione sarebbero
x = wt
y=0
z=0
Le equazioni per il passeggero si ricavano allora per sostituzione dalle
(a)-(d):
x′ = (w-v)t
y′ = 0
z′ = 0
Esse ci dicono che il topolino, per il passeggero, si muove con velocità
w-v: e ciò non ci stupisce. Il topolino, agli occhi del passeggero,
appare più lento o pare addirittura indietreggiare, se la sua velocità è
minore di quella del treno: in quest’ultimo caso w-v<0 indica una
velocità parallela al treno, ma diretta in senso opposto. Abbiamo
appena visto una facile applicazione del principio di composizione
delle velocità, che è il vero fulcro della relatività galileiananewtoniana.
La meccanica classica, di cui abbiamo appena visto i principali
aspetti della trattazione matematica, è fondata su tre presupposti, che
fino all’Ottocento erano considerati naturali e irrinunciabili:
1. Lo spazio in cui avvengono i fenomeni fisici è quello della
geometria euclidea.
2. Le distanze sono le stesse per tutti gli osservatori (principio dello
spazio assoluto).
3. La misura del tempo è la stessa per tutti gli osservatori (principio
del tempo assoluto).
Il punto 3 corrisponde all’identità (d), il punto 2 si deduce, nel
nostro esempio, con semplici passaggi algebrici. Immaginiamo che
sulla banchina sia collocato un righello, lungo l’asse delle ascisse del
sistema di coordinate del capostazione. Siano x1 e x2 (ove x1 è minore
di x2 ) le ascisse degli estremi del righello. La lunghezza del righello
per il capostazione è allora d = x2 - x1. Se il passeggero calcola la
lunghezza del righello in un generico istante t, in virtù della (a) trova
ugualmente:
x′2 – x′1 = (x2 – vt) - (x1 – vt) = x2 - x1 = d.
La relatività ristretta
Nella teoria della relatività sviluppata da Einstein agli inizi del
Novecento, i principi 2 e 3 furono i primi a cadere. Nella teoria della
relatività ristretta spazio e tempo cessano di essere assoluti: essi
variano da un osservatore all’altro e le coordinate spazio-temporali
cambiano secondo la cosiddetta trasformazione di Lorentz, una
particolare isometria dello spazio-tempo. Le isometrie dello spaziotempo formano un gruppo di trasformazioni, detto gruppo di
Poincaré.
Le identità (a)-(d) vanno sostituite dalle seguenti, in cui c è la velocità
della luce.
(a)'
x' 
x  vt
v2
1 2
c
(b)'
y' 
y
v2
1 2
c
(c)'
z' 
z
v2
1 2
c
v
x
2
c
t'
v2
1 2
c
t
(d)'
Da queste è possibile ottenere le equazioni inverse, che esprimono x,
y, z, t in funzione di x′, y′, z′, t′.
(a)"
(b)"
x
y
x'vt'
v2
1 2
c
(c)"
v2
1 2
c
v
x
2
c
t
v2
1 2
c
t '
y'
v2
1 2
c
z'
z
(d)"
Supponiamo che il passeggero osservi il righello all’istante t′=0. Le
ascisse degli estremi del righello nel sistema di riferimento del
passeggero si ricavano dalla (a)"e dalla (d)". Si trova che
v2
x'2  x'1  ( x1  x2 ) 1  2
c
Il moto del passeggero provocherebbe dunque una contrazione delle
lunghezze. Come si può facilmente verificare, un’altra conseguenza è
la dilatazione dei tempi: due eventi che hanno luogo sulla banchina
saranno separati, per il passeggero, da un lasso di tempo maggiore
che per il capostazione. In particolare, il passeggero vedrà le lancette
dell’orologio della stazione girare più lentamente di quelle del suo
orologio da polso.
Ricordiamo, però, che c = 300.000 km/s. Nei fenomeni macroscopici
che possiamo osservare sulla Terra, la velocità v è, naturalmente, una
piccolissima frazione di c. Dunque il valore di v/c è molto vicino allo
zero, e lo sono, ancor di più, i valori di v/c2 e v2/c2. Essi si possono
allora trascurare: nessuna misurazione compiuta sul moto di un
topolino, di un corridore, di un’auto è in grado di rivelare la
minuscola differenza.
Se omettiamo quei termini dalle (a)'-(d)'
riotteniamo le (a)-(d): la meccanica classica non risulta dunque
inficiata dalla teoria di Einstein. Quest’ultima dà, al contrario, una
conferma della fondatezza della prima, sia pure con ottima
approssimazione: allo stesso tempo, però, ne limita il campo di
validità ai fenomeni terrestri che coinvolgano velocità molto inferiori
a quelle della luce.
Le trasformazioni di Lorentz suggeriscono, indirettamente, un
importante corollario della teoria della relatività ristretta: la presenza
del radicando 1  v2/c2 a denominatore presuppone che questa
differenza non possa mai divenire negativa o nulla. Ciò significa che,
nei fenomeni meccanici, la velocità v è sempre inferiore a quella della
luce. Resta da chiedersi cosa succeda applicando la trasformazione di
Lorentz alla propagazione della luce, cioè per v=c. Tornando
all’esempio, immaginiamo che il capostazione accenda un torcia
elettrica e la diriga lungo l’asse delle ascisse, nel verso in cui procede
il treno. In questo caso la prima delle equazioni (1) diventa
x = ct.
Sostituendo questa espressione nella (a)' e nella (d)' si ottengono le
identità:
x' 
v
(1  )t
c
t' 
v2
1 2
c
(c  v)t
v2
1 2
c
da cui, infine:
x′ = ct′
Abbiamo appena dimostrato che, contrariamente a quanto avveniva
per il topolino, la velocità della luce è uguale a c anche per il secondo
osservatore. In altri termini: alla luce non si applica il principio di
composizione delle velocità.
La relatività generale
La relatività ristretta, come quella galileiana-newtoniana, riguarda
solo i riferimenti inerziali, o comunque, solo coppie di riferimenti che
si muovano, l’uno rispetto, all’altro, di moto rettilineo uniforme.
Nessuna delle due costituisce dunque una teoria fisica soddisfacente.
Per formulare una teoria che abbracci tutti i possibili sistemi di
riferimento, Einstein
si vede costretto a rinunciare anche al
caposaldo 1: in un sistema di riferimento qualunque le coordinate
non saranno necessariamente quelle dello spazio euclideo (x,y,z) con
l’aggiunta dell’ascissa temporale t. Lo saranno solo localmente, in
piccole regioni, in cui il campo gravitazionale può essere considerato
uniforme. In generale esse verranno sostituite dalle coordinate
gaussiane x1, x2, x3, x4 di una varietà Riemanniana di dimensione 4.
Questa rappresenta l’intero universo, e la sua forma è determinata
dalla distribuzione di materia. Due osservatori diversi adotteranno, su
questa varietà, due diversi sistemi di coordinate gaussiane: le
equazioni che esprimono le leggi fisiche rispetto alle coordinate x1, x2,
x3, x4 rimarranno valide se a queste ultime si sostituiranno le
coordinate x′1, x′2, x′3, x′4 di un altro osservatore. Viene a cadere la
distinzione tra coordinate spaziali e temporali, la quaterna delle
coordinate non è che un’espressione matematica per indicare un
evento, le singole coordinate perdono ogni valenza fisica oggettiva e
possono essere liberamente scambiate. Inoltre, i valori che esse
assumono non sono necessariamente numeri reali: possono variare in
tutto il campo dei numeri complessi.
Una proprietà delle coordinate gaussiane è la seguente: dati due
eventi (x1, x2, x3, x4) e (x1+dx1, x2+dx2, x3+dx3, x4+dx4), ove i valori di dx1,
dx2, dx3, dx4 sono molto piccoli (“infinitesimi”), la loro distanza
ds2= dx12+ dx22 + dx33+ dx42
anch’essa infinitesima, è costante in ogni sistema di riferimento. Se
(x, y, z, t) e (x', y', z', t') sono le coordinate spazio temporali di due
sistemi di riferimento inerziali della teoria della relatività ristretta,
allora la proprietà è verificata dalle quaterne di coordinate
x1 = x, x2 = y, x3= z, x4 = ict
x′1 = x, x′2 = y, x′3 = z, x′4 = ict′,
dove i è l’unità immaginaria. Ecco allora che, nel modello matematico
della relatività generale, l’ascissa temporale della relatività ristretta
viene ad assumere tutti valori immaginari.
=i