Saggio di Jürgen Maehder sul programma di sala. [file RTF 15,84 KB]

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«La principessa di gelo "alfin redenta"
Studi sulla versione originale del finale di Franco Alfano
Dal saggio di Jürgen Maehder sul programma di sala.
L'opera incompiuta ha esercitato da sempre un fascino speciale sulla fantasia del pubblico.
A differenza delle composizioni puramente strumentali, però, che hanno da sempre potuto
conquistare un loro posto nel repertorio concertistico, sulla sorte di un'opera lirica incompiuta
incide prima di tutto la necessità di portare a termine l'azione. Nelle opere liriche della seconda
metà del secolo, la costruzione drammatica viene rispecchiata dal tessuto di motivi musicali e
dalla distribuzione dei colori strumentali nell'arco di tempo dell'opera. L'orchestra accompagna
l'azione assumendosi il ruolo di interprete delle emozioni dei protagonisti verso il pubblico; il
commento continuo dell'orchestra all'azione segue una logica intrinseca, che viene costituita
dalla costruzione tematica, dall'ordine dei timbri e dal piano tonale. Quindi tagliare una parte di
questa struttura (nel caso specifico interrompere l'esecuzione dopo la morte di Liù), cioè lasciare
in sospeso l'arco dell'azione a causa dell'interruzione del lavoro alla partitura, significherebbe
sottrarre alla costruzione musicale alcuni dei suoi perni strutturali. Per rimanere nell'ambito della
partitura di Turandot, basta citare l'esempio del ritorno del tema dell'aria di Calaf alla fine dell'opera: l'idea strutturale, già fissata da Puccini quando del finale non esisteva che un'idea
generale, una specie di sagoma del discorso musicale, prevedeva una distribuzione prestabilita
dei nuclei tematici. È proprio per questo, dunque, che a tutti gli interessati - gli eredi di Puccini,
Arturo Toscanini e la casa editrice Ricordi - parve naturale e necessario far terminare la
partitura incompiuta di Turandot da un altro compositore.
Puccini, come tutti sanno, lasciò una serie di fogli di appunti preparatori per il finale
dell'opera: quei 23 fogli, con musica su 36 pagine, che portò con sé a Bruxelles, lavorando sul
finale fino alla morte, sono ora custoditi nell'Archivio di Casa Ricordi; altri sono rintracciabili in
varie biblioteche del mondo. Chiunque li abbia visti, sa che sono di difficilissima decifrazione,
eppure subito dopo la morte di Puccini furono messe in circolazione voci che dicevano che il
finale di Turandot esisteva in forma quasi completa, salvo l'orchestrazione degli ultimi brani: era
interesse di Casa Ricordi presentare l'opera come totalmente pucciniana.
Fu Arturo Toscanini a proporre Franco Alfano per il compito di terminare la partitura di
Turandot. La scelta fu in parte certamente dovuta al fatto che Alfano era un compositore di Casa
Ricordi; altrettanto decisivo era probabilmente il successo della sua opera La leggenda di
Sakùntala (Bologna 1921), ambientata, come Turandot, in un paese asiatico. Alfano firmò il
contratto il 25 agosto, dopo aver superato molte perplessità.
Una prima parte del lavoro fu inviato da Alfano a metà dicembre ma evidentemente non
fu gradito, soprattutto da Arturo Toscanini, che - come ormai è accertato - apportò numerosi
tagli alla partitura (più di un quarto). A provare il disagio di Alfano sta il fatto che non assisté
alle prove. Come si sa, la sera della prima mondiale, Toscanini depose la bacchetta dopo la
morte di Liù e pronunciò alcune parole per commemorare la morte del compositore. Solo il 27
aprile 1926, cioè alla seconda recita, Ettore Panizza diresse l'opera con il completamento di
Alfano: si trattava, però, della seconda versione, 'tagliuzzata' come si è detto.
Dopo la prima mondiale del finale alternativo di Luciano Berio (Las Palmas di Gran
Canaria, 2002) e dopo le esecuzioni in teatro di questa partitura a Los Angeles (2002),
Amsterdam (2002), Salisburgo (2002) e Berlino (2003), numerosi teatri in tutto il mondo stanno
ora scoprendo che, sotto il criterio della drammaturgia musicale come anche sotto quello della
filologia musicale, il lavoro di Franco Alfano possiede dei meriti innegabili. Purtroppo i
numerosi tagli che furono imposti da Arturo Toscanini alla musica di Alfano non giovarono alla
logica musicale intrinseca; quest'è vero specialmente per l'orchestrazione, che costituisce un
sistema ben diverso da quello di Puccini, ma sufficientemente autonomo per essere ascoltato
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interamente. Sulla base delle nostre ricerche e riflessioni, una decisione filologica per la prima
versione del finale di Alfano sembra indispensabile.
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