L`esotismo è tra le principali vene dell`arte ottocentesca e

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L’esotismo è tra le principali vene dell’arte ottocentesca e novecentesca: Mario Praz
insegna ch’è un vero complesso di fuga da che la cultura occidentale è toccata; e quando
alla lontananza di spazio si aggiunge la lontananza di tempo, in un vagheggiamento
d’un Altrove sempre più distante, l’intossicazione è al culmine. Produce capolavori
sin dal Settecento: il romanzo Vathek di William Beckford e Il ratto dal serraglio di
Mozart; i culmini sono certe poesie di Baudelaire e di Rimbaud, il sommo romanzo di
Flaubert Salammbô, che si svolge a Cartagine fra la prima e la seconda delle guerre
puniche, e il terzo dei meravigliosissimi Trois contes, Erodiade, che si svolge a
Gerusalemme regnante Erode Antipa. Ne deriverà, fra l’altro, la Salome di Oscar
Wilde donde Strauss ricava la sua Opera più celebre.
L’esotismo musicale si vuole incominciato con l’”Ode sinfonica” Le Désert di un
notevole compositore saintsimonista, Félicien David, eseguitasi nel 1844: essa ebbe
notevoli influenze persino su Verdi il quale addirittura se ne ricorda per i Balletti
dell’Otello in francese (1894); e terminato con la Sinfonia Turangalîla di Olivier
Messiaen, del 1949. In realtà la bella Sinfonia è un’appendice d’un’esperienza
conclusa; e assai prima di David la corrente è aperta dal Ferdinand Cortez che
Napoleone commissionò a Gaspare Spontini e fece eseguire a Parigi nel 1809. Anche
la fine dell’esotismo musicale è italiana, sebbene dai francesi questo venga ignorato o
occultato: ed è la Sakuntala di Franco Alfano, composta durante la prima guerra
mondiale ed eseguita per la prima volta nel 1921. Quando l’ascoltò uno dei più grandi
direttori d’orchestra del Novecento, Fritz Reiner, riconoscendone la straordinaria
forza mitica dichiarò: “E’ il Parsifal italiano!”.
Alfano scrisse egli stesso il poema drammatico traendolo dal dramma Il
riconoscimento di Sakuntala di Kalidasa, poeta indiano fiorito verso il V secolo dopo
Cristo: che sin dalla fine del Settecento aveva affascinato la cultura europea e lo
stesso Goethe. Sfrondato e ridotto a tre atti, Alfano vi costruisce intorno una
partitura preziosissima eppur sintetica. Le suggestioni della modalità dell’antica
musica indiana e anche i ritmi quantitativi della sua poesia sono mescolati con un
cromatismo lussureggiante e una concezione armonica grazie alla quale consonanza e
dissonanza quasi sono equiparate. Che una delle vette del dramma musicale
novecentesco, e anche un’Opera di autentica avanguardia, si debba a un musicista
nato a Posillipo nel 1875 è da noi italiani non compreso. Alfano è considerato solo
colui che terminò l’incompiuta Turandot di Puccini; ed è un sommo compositore del
quale la musica da camera e le Sinfonie vanno ricordate a fianco dei grandi titoli di
teatro. Risurrezione, da Tolstoi, qualche volta viene citata; qualche grande teatro
dovrebbe riallestire un capolavoro come L’ombra di Don Giovanni: la Scala ove si
rappresentò la prima volta e il San Carlo, per onorare il più grande compositore
napoletano del Novecento.
Intanto il merito di aver fatto riascoltare la Sakuntala va al “Massimo Bellini” di
Catania in un’ edizione esemplarmente diretta da Niksa Bareza con ottimi regia,
scene e costumi di Massimo Gasparon. Dopo Gianluigi Gelmetti (2006) per la
Sakuntala ci voleva un croato a Catania…
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