“La riduzione del debito estero dei paesi più poveri”
Riccardo Moro – Membro del Comitato ecclesiale italiano
Roma, luglio 1999
Articolo per AFRICA - Padri Bianchi
"Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete
presso di me come forestieri e inquilini. (…) Ciò che è venduto rimarrà in mano al
compratore fino all'anno del giubileo; al giubileo il compratore uscirà e l'altro
rientrerà in possesso del suo patrimonio. (…) Se un forestiero stabilito presso di te
diventa ricco e il tuo fratello si grava di debiti con lui e si vende al forestiero, dopo che
si è venduto ha diritto di riscatto (…) facendo il calcolo con il suo compratore e
pagando il prezzo del suo riscatto in ragione degli anni che mancano per arrivare al
giubileo. (…) Se non è riscattato in alcun modo, se ne andrà libero l'anno del giubileo:
lui con i suoi figli. (…) (Lv 25, 23. 28. 47-48. 54).
Con meticolosa chiarezza, assai più articolata di quella che abbiamo raccolto in
questa citazione iniziale, il Signore, nel libro del Levitico, ordina al suo popolo di
celebrare ogni cinquant'anni un giubileo. L'anno del giubileo è santo e deve essere
dedicato a proclamare la liberazione del popolo di Israele. In ragione della importanza
e della sacralità di questa festa, le terre, originariamente divise tra le famiglie del
popolo di Israele secondo giustizia, dovranno ritornare ai proprietari originari, i debiti
andranno cancellati e gli schiavi rimessi in libertà.
Lette oggi le parole vibranti del Levitico appaiono piuttosto inconsuete e difficili da
mettere in pratica, immersi come siamo in una organizzazione sociale molto diversa da
quella del popolo a cui erano rivolte. La proclamazione dell'anno giubilare per il 2000,
viceversa, richiama in modo pressante a questo libro dell'Antico Testamento. La lettera
enciclica di convocazione del Grande Giubileo dell'anno 2000, la Tertio Millennio
Adveniente, fa riferimento esplicito al Levitico non solo per convocare l'Anno Santo,
ma anche per collocare in esso alcuni impegni, quali la eliminazione della schiavitù
originata dai debiti. Con autorevolezza il papa chiama i cristiani e le nazioni del mondo
a vivere il Giubileo del 2000 "come un tempo opportuno per pensare, tra l'altro, ad
una consistente riduzione, se non proprio al totale condono del debito internazionale,
che pesa sul destino di molte nazioni" (TMA, 51).
Oggi il peso del debito estero dei paesi poveri è terribile, se raffrontato alle
condizioni economiche dei paesi che ne sono gravati, e inibisce le possibilità di
sviluppo. Non vi è dubbio, ad una prima e sommaria analisi, che sia una questione che
chiama alla solidarietà e alla generosità i paesi più ricchi. Ma una più attenta lettura del
testo biblico e una analisi non superficiale delle cause che hanno portato
all'indebitamento attuale ci mostrano aspetti del problema che non hanno solo a che
vedere con sprechi di ieri e patinata generosità di oggi.
L'economia del popolo di Israele era fondata sull'agricoltura. Si viveva dei frutti
della terra lavorata dall'uomo e dell'allevamento del bestiame. Quelli che in economia
si chiamano fattori produttivi, cioè quegli elementi che concorrono a consentire la
produzione dei beni e la erogazione dei servizi, erano due: il lavoro e la terra. Un uomo
resistente o laborioso produceva più di uno debole o pigro, una terra fertile rendeva più
di una sassosa e secca. La possibilità di produrre stava nella disponibilità dei due fattori
produttivi, cioè di braccia e di terra. La economia del tempo scambiava pochi altri
prodotti, tutti realizzati attraverso il lavoro umano, quali i manufatti artigianali.
Dunque l'importanza data alla terra dal testo del Levitico era legata al suo ruolo
nell'economia, tanto che il ritorno al proprietario originario valeva solo per la terra
lavorabile e le case erette in zone agricole, le case all'interno della cinta muraria
cittadina potevano esser acquistate permanentemente (cfr. Lv 25, 30-31).
In una economia di questo tipo il Signore dà alcune indicazioni precise. La terra non
si può vendere in modo definitivo "perché la terra è mia e voi siete presso di me come
forestieri e inquilini" (Lv 25, 23). Quando la si vende il suo prezzo varia in funzione
della distanza dall'anno giubilare, tanto maggiore se il giubileo è lontano, tanto minore
al suo avvicinarsi "perché quello che si vende è un certo numero di raccolti" (Lv 25,
16). Se per qualunque ragione ci si trova in povertà e nella necessità di indebitarsi, i
debiti vengono rimessi nell'anno giubilare. Se per pagarli si è ceduta al creditore la
terra e, nel caso in cui questo non fosse sufficiente, ci si è concessi a lui in schiavitù, al
giubileo la terra torna di proprietà, il debito è rimesso ed è resa la libertà.
Rimanendo sul piano economico, e non volendo quindi esaurire con queste note una
più ampia e competente esegesi del testo biblico, da queste regole possiamo trarre due
indicazioni. IN primo luogo la terra non è nostra, noi ne siamo solo amministratori. In
secondo essa è a disposizione di tutti e non si può, se non in modo temporaneo,
eliminare qualcuno, sia pure a pagamento, dalla possibilità di disporne. Questo nel
linguaggio di oggi significa che il diritto all'accesso ai mezzi di produzione è di tutti.
Tutti hanno diritto di disporre dei fattori produttivi. Non si può togliere in modo
permanente ad una persona o ad una comunità sociale il diritto di disporre dei mezzi di
produzione, il diritto di lavorare!
Nell'economia di oggi l'importanza della terra è praticamente scomparsa soppiantata
dall'importanza delle macchine, anche in agricoltura. Si tende quindi a considerare solo
i fattori produttivi lavoro e capitale. Peraltro proprio per procurarsi le macchine, il
capitale fisico, gli operatori economici utilizzano il risparmi dei consumatori,
facendoselo prestare ad interesse. Il mercato finanziario si è così sviluppato che
sarebbe impossibile immaginare di cancellare i debiti periodicamente. Si pensi che
moltissime persone in tutto il mondo lavorano all'interno del mercato finanziario. Una
cancellazione periodica dovrebbe fare i conti con la sospensione del reddito di milioni
di persone che fanno un lavoro oggi necessario all'economia. Il monito del Levitico va
quindi preso nella sua sostanza più che nella sua lettera. Se da un lato abbiamo già visto
che la prima indicazione fondamentale è quella a consentire a tutti l'accesso al lavoro,
la seconda è quella che invita a considerare l'uomo superiore all'economia piuttosto che
al suo servizio. Gli uomini devono provvedere a garantire meccanismi che consentano
di tornare all'equilibrio di equità iniziale. E questo nelle società di oggi dovrebbe essere
compito della politica. In particolare poi la remissione periodica dei debiti altro non è
che l'affermazione che va garantito ad ogni persona il diritto ad una nuova partenza.
Errori o situazioni sfortunate non possono pesare come una schiavitù permanente
all'interno della comunità umana. Ogni uomo, anche dopo gli errori più macroscopici
deve avere il diritto di ricominciare.
Infine vi è un ultimo insegnamento che possiamo raccogliere, particolarmente
attuale. Se la terra deve essere a disposizione di tutti, ciò significa che gli uomini
personalmente e collettivamente hanno il dovere non solo di garantirne il godimento a
tutti, ma anche alle generazioni future. E' il grande tema della tutela delle risorse
naturali, tanto devastate dalla industrializzazione sviluppata senza regole soprattutto,
ma non solo, nel terzo mondo.
E' da considerazioni di questo tipo che si è fatto riferimento a questa grande
tradizione biblica per fondare l'appello alla cancellazione dei debiti dei paesi poveri.
Oggi il peso del debito estero impedisce ai paesi poveri di fare investimenti di
sviluppo, negando la possibilità di partecipare al commercio internazionale. Errori e
meccanismi perversi hanno generato un indebitamento che non vede soluzione nel
momento in cui internazionalmente non esiste un meccanismo di gestione delle
insolvenze come quello che esiste a livello nazionale per i fallimenti. In questo quadro
i cittadini del Sud del mondo sono condannati ad una vera e propria schiavitù, pagando
di interessi cifra quadruple di quelle che riescono a destinare al finanziamento delle
scuole e della spesa sanitaria, come avviene in Africa.
Ma il richiamo a ricreare condizioni di equità fra gli uomini a livello internazionale
diventa drammaticamente più esigente nel momento in cui si analizzano le ragioni che
hanno determinato la situazione attuale.
L’origine della crisi
La forte esposizione debitoria dei paesi in via di sviluppo ha avuto la sua origine in
occasione della prima crisi petrolifera internazionale. Tra il 1971 e il 1973 i prezzi
delle materie prime quadruplicarono e i paesi produttori (in particolare i paesi arabi) si
trovarono con una enorme disponibilità finanziaria, largamente superiore alle capacità
di spesa interna e al fabbisogno di quei paesi.
Le banche commerciali raccolsero questa abbondante liquidità (i cosiddetti
petrodollari) e la offrirono sul mercato internazionale. La grande massa finanziaria
disponibile fece scendere i tassi di interesse rendendo poco costoso l’indebitamento (la
grande offerta di un bene ne fa diminuire il prezzo e per la moneta il prezzo è costituito
dal tasso di interesse). Era un periodo di alta inflazione internazionale, generata dalla
impennata dei prezzi petroliferi, e la combinazione di alta inflazione con bassi tassi di
interesse rendeva l’indebitamento molto vantaggioso. Per un certo periodo il tasso di
interesse reale risultò addirittura negativo1 e le grandi banche commerciali spinsero
fortemente all’indebitamento i paesi del Sud del mondo, che avevano il maggior
fabbisogno di capitali per migliorare strutture e infrastrutture interne.
I PVS si indebitarono e per qualche anno la situazione rimase sotto controllo. Con la
seconda crisi petrolifera però, nel 1979, si verificò una nuova impennata dei prezzi del
petrolio che generò sì una nuova inflazione internazionale, ma accompagnata questa
volta da un surriscaldamento dei tassi di interesse. Il fatto nuovo era costituito dalla
affermazione delle politiche monetariste e neoliberiste negli Stati Uniti e in Inghilterra,
concretizzate in politiche monetarie restrittive che spingevano alle stelle i tassi di
interesse 2 . Le politiche dei due paesi determinarono effetti a catena nella stessa
direzione negli altri paesi del Nord e tutta la struttura dei tassi interesse si innalzò in
modo impressionante, determinando notevoli difficoltà per i paesi indebitati. I prestiti
erano sottoscritti in dollari e a tasso variabile. Paesi che avevano iniziato il rapporto
debitorio pensando di dover pagare circa il 5% ogni anno, si trovarono a pagare il 30%.
In qualche caso l’aumento fu così forte da determinare l’impossibilità di restituire
quote di capitale e consentendo solo il pagamento della quota di interesse.
Peraltro, a fronte dell'aumento dei pressi del petrolio, le materie prime non
petrolifere non subirono variazioni di prezzo. Anzi, la recessione che la crisi petrolifera
generava spinse verso il basso i prezzi delle materie prime, che costituivano in genere
la parte principale delle esportazioni dei PVS. Si verificò così un peggioramento delle
ragioni di scambio dei paesi debitori, che rese più grave il peso del debito e degli
interessi. In sostanza a fronte della stessa quantità di merce esportata - e cioè di lavoro
- le entrate finanziarie erano inferiori.
Al maggior onere per il servizio del debito determinato dall'aumento dei tassi e dal
peggioramento delle ragioni di scambio si aggiunse un ulteriore fattore. Gli Stati Uniti
avevano l’obbiettivo di innalzare il valore del dollaro e le politiche di stretta monetaria
erano funzionali anche a questo3. Il dollaro a partire dal 1979 aumenta il proprio valore
Immaginiamo un imprenditore che si indebiti per 100 lire. Supponiamo che il tasso di interesse sia del 15% e l’inflazione
del 20%. Dopo un anno occorrerà restituire 115 lire (100 di capitale e 15 di interessi). Se all’inizio dell’anno
l’imprenditore avrà acquistato con le 100 lire un bene rivendibile, a fine anno potrà rivenderlo a 120. Restituirà le 115 al
suo creditore e gli saranno rimaste in tasca 5 lire grazie alla differenza tra inflazione e tassi di interesse nominali. Questo
è il caso appunto di tasso di interesse reale negativo (tasso nominale – tasso di inflazione). Se, in alternativa, le 100 lire
fossero state investite in attività produttive, avrebbero dato un rendimento di almeno 3 o 4 lire più il tasso di inflazione,
che a fine anno avrebbe determinato un valore di 123 o 124, con una differenza rispetto al valore del debito ancora
maggiore. Naturalmente per un paese vale lo stesso meccanismo ed ecco perché con tassi reali negativi è conveniente
indebitarsi!
2
Le tesi monetariste e neoliberiste sostengono che l’inflazione sia un male perverso per l’economia e che l’unica sua
causa sia la eccessiva quantità di moneta in circolazione. Riducendo la quantità di moneta si determina una riduzione della
domanda (pochi soldi pochi acquisti…), quindi è necessario avviare politiche di stretta creditizia che riducano la base
monetaria e ostacolino la domanda di moneta rendendola più costosa (=tassi di interesse più alti). Questa politica negli
States aveva anche un secondo obiettivo: quello di apprezzare il dollaro..
3
Gli elevati tassi di interesse USA attiravano capitali (l’investimento finanziario è più remunerativo laddove i tassi di
interesse sono più alti). I capitali in arrivo dall’estero venivano cambiati in dollari generando una domanda molto forte di
1
rispetto a tutte le altre valute, originando un fenomeno praticamente senza precedenti
nella storia dell’economia. Quel fenomeno fu terribile per i paesi debitori, perché il
cosiddetto servizio del debito (la spesa per interessi più le rate di restituzione) non solo
era aumentato a causa dell’aumentare del tasso di interessi, ma si moltiplicava per la
rivalutazione della moneta americana. Il valore dell’unità di misura (il dollaro)
cambiava ai danni della moneta in base alla quale si producevano le risorse per ripagare
i debiti contratti (le valute locali dei PVS).4
Questa situazione rese insostenibile il servizio del debito che sino a quel momento
era sempre stato onorato dai PVS nel 1982 il Messico per primo dichiara la propria
insolvenza, seguito a ruota da quasi tutti i pesi debitori avviando così la crisi del debito
estero dei paesi in via di sviluppo.
Le cause collaterali
La successione dei fatti che abbiamo descritto fu la causa scatenante della crisi, ma
altri fenomeni esistono contemporaneamente:
Modelli di sviluppo che scimmiottavano quelli del nord senza tenere conto della
caratteristiche locali, anche solo dal punto di vista della formazione professionale.
(Non si può impiantare ‘qualunque’ impianto industriale in ‘qualunque’ sito senza
progettare gli interventi necessari perché quell’impianto possa essere mantenuto in
funzione e in efficienza, senza tenere conto delle persone che lo dovranno mantenere).
Lo sperpero di denaro pubblico in spese militari.
La fuga dei capitali (il denaro prestato veniva “rubato” da politici e dirigenti per
reinvestirlo al nord).
Il finanziamento al consumo anziché a investimenti di sviluppo. (Spesso il denaro
veniva utilizzato – comprensibilmente – per agevolare i consumi di prima necessità,
troppo cari per molta parte della popolazione. Questo impiego però non produceva
alcun rendimento, come avrebbe potuto invece fare l’utilizzo per investimenti. Occorre
aggiungere però che in molti casi il finanziamento al consumo non beneficiò affatto la
popolazione ma esclusivamente le classi dirigenti o i singoli leader dei paesi, senza
alcuna destinazione a scopi sociali).
questa valuta a cui corrispose una vera e propria impennata del suo corso rispetto a tutte le altre valute, comprese quelle
del Nord.
4
Facciamo un esempio con le lire italiane. Chi avesse acceso un prestito di 1000 dollari prima del 1978, equivalenti a
circa 600.000 lire, doveva pagare per gli interessi ogni anno circa il 5% vale a dire 50$, cioè 60.000 lire. Con l'esplosione
dei tassi di interesse si trovò nel 1980 a pagare il 30% e cioè 300$, un terzo della somma ricevuta in prestito solo per gli
interessi. Ma, a causa dell'apprezzamento del dollaro, nel 1980 quei 300$ non valgono più 500 lire l'uno, ma 2200, cioè
ben 660.000 lire! A fronte di un prestito di 1000$ = 600.000 lire, ci si trova a dover pagare 660.000 lire di interessi
annuali (più dell'intero capitale allora ricevuto in prestito!!!). Allo stesso modo i 1000$ di debito contratto non valgono
più 600.000 lire, ma 2.200.000, una cifra quattro volte più pesante da restituire!
La somma di questi fattori determinò la crisi che perdura tuttora, sottraendo notevoli
risorse allo sviluppo. Oggi la situazione non è cambiata significativamente. La
comunità politico finanziaria del Nord ha proposto al Sud al massimo accordi di
riscadenzamento e programmi di aggiustamento strutturale che, concepiti per
economie sviluppate, hanno ottenuto come risultato il gravissimo impoverimento della
popolazione generando, ad esempio, problemi di fame anche in aree dove storicamente
non si erano mai verificati.
Le ragioni dell'appello
A questo punto, effettuata una rilettura delle dinamiche macroeconomiche che
hanno portato alla crisi, è possibile esaminare le ragioni che fondano la richiesta di
rimettere il debito ai paesi in via di sviluppo, o quanto meno di ridurlo sino a
raggiungere una soglia di sostenibilità.
Una ragione storica
Una tesi che viene espressa con forza soprattutto dal mondo africano è quella che
vede il problema del debito in prospettiva storica. Nel periodo del colonialismo il Sud
del mondo, e in particolare l'Africa, è stato defraudato delle proprie ricchezze naturali.
I paesi del Nord hanno disposto a proprio piacere delle ricchezze minerarie, agricole e
persino umane dei popoli del Sud. Nessuno ha tenuto una contabilità di quanto è stato
sottratto. Nessuno può fare un calcolo di quanto valga una vita ridotta in schiavitù. In
prospettiva storica le popolazioni del Nord sono debitrici verso quelle del Sud di valori
letteralmente "non restituibili". Quando il pagamento degli interessi sul debito in un
paese africano oggi supera in media di quattro volte la spesa sanitaria annuale (a fronte
di tassi di mortalità infantile entro il quinto anno di vita spesso superiori al 30%),
qualunque cittadino africano ha diritto di dire che gli interessi non vanno più pagati e
che, anzi, il debito va azzerato, per ridurre di un'inezia il credito di cui egli è titolare
verso di noi, a causa delle spoliazioni dei secoli scorsi. Questa posizione ovviamente
esula da ogni inquadramento tecnico del problema, ponendolo su un piano prettamente
politico. Ma per quanto metta in gioco considerazioni di carattere forse troppo generale
è, ovviamente, autenticamente fondata.
Una ragione di convenienza
Una seconda ragione che fonda la richiesta di cancellazione è quella che parte dalla
considerazione che i paesi indebitati partecipano in forma scarsissima al commercio
internazionale. Oggi l'Africa, con i suoi 700 milioni di abitanti, partecipa per il 4% al
commercio mondiale. Liberare i paesi dal peso del debito consentirebbe loro di
destinare a investimenti produttivi le risorse oggi usate per la restituzione del capitale e
il pagamento degli interessi. Un rilancio della produzione darebbe loro nuova
possibilità di accedere con vitalità al commercio mondiale, ottenendo come risultato
una maggiore domanda anche dei beni venduti dal Nord. Rinunciando al pagamento
degli interessi e del debito, i paesi creditori otterrebbero in cambio la possibilità di
avere nuovi clienti per i loro prodotti, quindi maggiori entrate, (con benefici, ad
esempio, anche sulla occupazione del Nord). In sostanza molti ritengono che
cancellare il debito comporti vantaggi non solo per i debitori, ma anche per i creditori,
e vantaggi duraturi.
Una ragione di solidarietà
La terza ragione afferma che le condizioni di povertà in cui versano molti paesi
indebitati è scandalosa. I creditori ricchi non possono rimanere indifferenti vedendo il
tipo di vita condotto dai debitori e continuare a ricevere da questi il pagamento degli
interessi. Qualunque coscienza eticamente sensibile non può non sentirsi provocata.
Questa leva, quella morale, clamorosa nella sua evidenza, è quella che ha consentito di
arrivare oggi a parlare di cancellazione del debito, sia pure parziale, anche negli
ambienti delle istituzioni finanziarie internazionali come Banca Mondiale e Fondo
Monetario Internazionale.
Una questione di giustizia
Vi è una quarta considerazione, infine, che sostiene le ragioni della sanatoria, ed è
una considerazione che fa leva sulla giustizia piuttosto che sulla solidarietà e risale alle
dinamiche macroeconomiche che abbiamo esaminato.
Le politiche di USA e Gran Bretagna, provocando l'impennata dei tassi di interesse e
del dollaro, determinarono lo sviluppo della crisi e moltiplicarono gli esborsi, in valuta
locale, dei paesi debitori. Si verificò insomma un fenomeno, provocato volutamente
dalle scelte politiche dei creditori, che penalizzò i debitori e avvantaggiò i creditori.
Se si ricalcolano le somme dovute e le somme restituite utilizzando come unità di
misura non il dollaro, ma un paniere di monete che tenga conto delle variazioni di
valore di tutte le monete, comprese quelle locali, si ottiene che per quasi tutti i paesi il
debito è stato già restituito completamente e in qualche caso anche più volte, dunque
nulla più è dovuto.
Questa tesi si fonda sul convincimento che nella logica della giustizia liberale ciò
che i sottoscrittori firmano, e dunque ciò che li vincola nel negozio giuridico, è la
sostanza del complesso di diritti e doveri individuati. La lettera del contratto altro non è
che la rappresentazione di quella sostanza. Se, per qualche ragione, mutano
radicalmente le condizioni del contesto all'interno del quale si giocano i diritti e doveri,
al rispetto dei quali ci si era reciprocamente impegnati, occorre verificare che la lettera
degli accordi sottoscritti mantenga la capacità di rappresentare la sostanza che si era
sottoscritta. In questo caso il mutamento del contesto ha fatto cambiare il linguaggio,
ha fatto sì che la lettera dei contratti esprimesse una sostanza fino al 1978, ed
esprimesse tutt'altro significato appena 18 mesi dopo. Le grandezze cui facevano
riferimento i contratti di finanziamento sottoscritti dai PVS sono
mutate
profondamente dalla stipula, cambiando, sino a snaturarla, la sostanza dei termini che
creditori e debitori inizialmente avevano concordato.
In un contesto nazionale la legge tutela le parti di un negozio giuridico e definisce
come modificarlo (o rescinderlo) nel caso in cui i termini con i quali il contratto viene
“misurato” mutino radicalmente, cambiando in modo sostanziale il complesso dei
diritti e dei doveri che le parti avevano sottoscritto. In Italia abbiamo avuto il recente
caso della ridiscussione dei mutui casa a seguito del consistente abbassamento dei tassi
di interesse. E' un esempio di come sia possibile, in un contesto giuridico liberale e di
mercato, intervenire legislativamente per garantire il rispetto della sostanza degli
impegni presi. A livello internazionale invece oggi non esiste un organismo a cui fare
riferimento per svolgere questa funzione. E' anche a partire dalla questione del debito,
in ragione della distorsione che abbiamo descritto che oggi da molte parti si richiede la
riforma delle relazioni finanziarie internazionali e, in particolare, delle istituzioni
multilaterali, cioè della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale
Tutt'e quattro le considerazioni elencate portano a individuare nella cancellazione
del debito la soluzione da perseguire. Ma è la quarta quella che guarda con più
autenticità alle donne e agli uomini del Sud e fa chiedere con maggiore autorevolezza
di sanare la contabilità del debito. Non si tratta infatti di condonare, ma di sanare le
distorsioni di una contabilità perversa che usa sempre l'unità di misura del Nord e mai
quella del Sud. La questione riguarda la giustizia prima della solidarietà. Il debito non
va cancellato perché c'è un debitore senza dignità che non sa essere autosufficiente, ha
fame e tende la mano. Le scritture del debito vanno stornate perché il debitore ha
già pagato.
Occorre che questo venga affermato in modo esplicito, per non fuggire
l'ammonimento che l'Apostolicam Actuositatem rivolge con chiarezza: "siano
anzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia, perché non avvenga che si offra come
dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia.” (AA, 8).
La azione per la riduzione del debito
Nel quadro internazionale, nel quale convivono ragioni e sensibilità diverse, non è
stato facile tenere alta la voce di chi chiedeva con urgenza un intervento della comunità
internazionale. Tra le voci che chiamano ad una sensibilità ed una azione concreta su
questo argomento si è levata con particolare autorevolezza e gravità quella del Papa.
Rispondendo a quell'appello in Inghilterra CAFOD e Christian Aid (le ONG
cattolica e anglicana) hanno lanciato la campagna Jubilee 2000, a cui ha aderito anche
la CIDSE, la rete internazionale delle ONG cattoliche, che ha presentato al summit del
G8 di Colonia il 19 giugno 1999 l'appello per la cancellazione firmato da circa 20
milioni di persone con una bellissima catena umana di 35 mila persone che hanno
abbracciato l'intera città. Collegate alla Jubilee Campaign 2000 si sono sviluppate
numerose campagne nazionali praticamente in tutti i paesi del mondo.
Durante il 1998 CIDSE e Caritas Internationalis hanno presentato, con contributo di
Volontari nel mondo-FOCSIV, la Federazione italiana, il documento "Putting Life
before Debt" ("Far passare la vita prima del debito", pubblicato sul numero 4-97 di
Volontari e Terzo Mondo disponibile presso la segreteria di Volontari nel
mondo-FOCSIV).
L'impegno della chiesa cattolica continua con CIDSE e Caritas Internationalis
coordinando quest'anno l'adesione delle rispettive campagne nazionali agli eventi
internazionali. In particolare a Colonia è stato presentato una settimana prima del
vertice un documento firmato da vescovi cattolici dei sette paesi partecipanti al summit
e di molti paesi debitori.
Per quanto riguarda la Chiesa italiana, la Conferenza episcopale ha approvato nel mese
di gennaio la CAMPAGNA ECCLESIALE PER LA RIDUZIONE DEL DEBITO ESTERO DEI
PAESI PIÙ POVERI. Questo è il frutto di un lavoro corale di circa un anno di
preparazione, sviluppato con tutte le componenti ecclesiali. Dopo la proposta fatta da
Volontari nel mondo - FOCSIV all'ufficio Cooperazione fra le Chiese all'inizio del
1998, si è creato un gruppo di lavoro provvisorio con la partecipazione di tutte le
componenti ecclesiali che si occupano di terzo mondo (FOCSIV, missionari, Caritas).
Nel gruppo di lavoro sono stati coinvolti anche i rappresentanti delle principali
associazioni e movimenti ecclesiali che hanno attività pastorali in Italia (l'Agesci,
l'Azione cattolica, le Acli, Comunione e Liberazione, i Focolarini etc.). L'obiettivo del
gruppo di lavoro infatti era quello di realizzare un cammino di Chiesa per proporre una
campagna che coinvolgesse non solo gli ambiti che si occupano naturalmente del Sud
del mondo, ma anche quelli educativi e pastorali italiani, per diffondere l'attenzione a
questo tema nel modo più diffuso possibile all'intera comunità nazionale.
La CEI ha lanciato la campagna costituendo un comitato presieduto da Mons. Nicora
con vicepresidenti mons. Andreozzi (Dir. uff. cooperazione fra le Chiese) e don
Damoli (Dir. Caritas italiana). Segretario è Luca Jahier (Pres. Focsiv) e coordinatore
della parte tecnica del progetto Riccardo Moro (Focsiv).
La campagna intende rendere efficace in Italia l'appello per la cancellazione del debito
dei paesi poveri, cogliendo l'occasione per avvicinare le persone che vivono nel nostro
paese a quelle che vivono nei paesi del Sud. Sono stati individuati quindi tre indirizzi
della campagna.
1. L'indirizzo pastorale ed educativo
L'obiettivo è informare tutta la comunità ecclesiale. Il tema del debito non è privo di
difficoltà e non è ben conosciuto. Si intende far passare le informazioni relative alle
origini e cause del debito, alla situazione attuale, alle possibili vie di soluzione perché
ad ogni persona della comunità ecclesiale sia possibile conoscere le attuali condizioni
di vita al Sud, confrontarle con quelle del Nord e avviare stili di vita che consentano
coerenza tra i nostri comportamenti e la richiesta di vita dignitosa nel terzo mondo.
2. La animazione della società e la pressione politica
Si intende far crescere la consapevolezza di questo problema in tutta la società civile
italiana e non solo nella comunità ecclesiale, in modo da far maturare la coscienza
politica sulla responsabilità delle nazioni industrializzate nelle questioni internazionali
che mettono in gioco la vita di milioni di persone. La chiesa italiana intende quindi
premere presso Governo e Parlamento perché siano attivati interventi di cancellazione
del debito che rendano più facile la vita nei paesi debitori e consentano nuovo sviluppo.
Alle istituzioni italiane si chiede di promuovere l'istanza di cancellazione anche nelle
sedi internazionali, quali quelle del Fondo Monetario Internazionale e della Banca
mondiale e, in particolare, negli incontri dei G7.
3. Una assunzione di responsabilità
Infine, per provocare una reazione alla richiesta di cancellazione la Chiesa italiana,
tramite il comitato costituito, lancerà una grande raccolta di fondi per finanziare una
operazione di conversione di debito di alcuni paesi (debt swap). Si tratterà di acquistare
dai creditori, in linea di massima il governo italiano, il debito di uno o più paesi
particolarmente indebitati con l'Italia. I debitori pagano ogni anno gli interessi, ma
l'ammontare del capitale dovuto è troppo grande perché possa essere restituito (ciò a
causa della eccessiva rivalutazione del dollaro negli anni '80 e all'imposizione di tassi
di interesse elevatissimi). Proprio per la mancata restituzione del capitale il valore reale
del debito è minore rispetto a quello nominale. Il creditore è disposto a cedere il credito
anche a fronte del pagamento di una somma minore di quella nominale. La Chiesa
italiana acquisterà il debito di uno o più paesi poveri al suo valore reale, estinguendo
quindi il debito con lo stato italiano, e contemporaneamente il governo locale metterà a
disposizione, su un fondo di contropartita in valuta locale, la stessa somma pagata dalla
Chiesa. Il denaro raccolto, con questa operazione, arriverà comunque al Sud, ma
ottenendo anche la estinzione del debito. Il fondo di contropartita servirà a finanziare
progetti di sviluppo umano e sarà amministrato dalla chiesa italiana con la chiesa
locale e i rappresentanti della società civile locale. In questo modo il debito, da
ostacolo si trasforma in opportunità per lo sviluppo, e la dimensione qualificante della
operazione non sarà tanto nella raccolta di fondi per cancellare, quanto piuttosto nel
progettare insieme gli interventi da realizzare nei paesi individuati.
Il futuro
A fronte dell'impegno che oggi è diffuso in tutto il mondo, occorre guardare davanti
a noi con realismo. Interessanti cambiamenti si mostrano, sia pure timidamente,
nell'atteggiamento di chi nella comunità internazionale ha le responsabilità maggiori. Il
summit di Colonia si è concluso con un documento in cui compare un linguaggio
nuovo: per la prima volta si parla di coinvolgimento della società civile dei paesi
debitori nelle decisioni che riguardano la gestione del debito e l'utilizzo delle risorse
che si liberano dalla sua riduzione o cancellazione. Si è parlato di cancellazione totale
di tutto il debito originato dai crediti di aiuto, e altro ancora. Non è ancora sufficiente,
naturalmente, ma è un cambiamento importante.
Da parte nostra occorre mantenere alta la guardia non solo a che gli interventi della
politica siano tempestivi ed efficaci, ma anche verso noi stessi, a verificare sempre che
il nostro rapporto con in fratelli del Sud non sia, per quanto fondato sulla solidarietà, un
rapporto paternalistico in cui si sostituisce allo sfruttamento un accompagnamento
soffocante, con la presunzione di avere tutto da insegnare e nulla da imparare.
A Colonia, consegnando insieme le firme ai sedicenti grandi della Terra, chi non può
curare il proprio figlio o non riesce a farlo studiare perché deve pagare a noi gli
interessi su un debito che altri hanno contratto e negoziato ci ha ricordato che
qualunque intervento, qualunque passo in avanti, fino a che anche solo uno di questo
nostri fratelli vivrà questa condizione, è ancora drammaticamente troppo poco.
(Documento stilato dall’autore)
Roma, luglio 1999
Riccardo Moro
Membro del Comitato ecclesiale italiano
per la riduzione del debito estero dei paesi più poveri