Terapia Cellulare e Cellule Staminali Corso di Genetica Umana secondo semestre, sessione estiva 2001 Prof.ssa M.L. Mostacciuolo Introduzione (Gage 1998, Smith 1998, Solter 1999) Lo stato di danno e malattia sono spesso associati con perdita e morte di cellule o con disfunzioni cellulari. Lo scopo della terapia cellulare è sostituire, riparare e aumentare la funzione biologica di un tessuto od organo danneggiato. Il successo di questa terapia a livello clinico richiede un’integrazione di molte discipline includendo biologia cellulare e molecolare, immunologia, ingegneria tissutale, biologia del trapianto e la conoscenza clinica del singolo caso da trattare. In generale i trapianti cellulari riusciti hanno richiesto l’uso delle cellule staminali (SC). Le SC sono definite cellule indifferenziate in grado di produrre figlie identiche e figlie che sono destinate a differenziarsi: sono in grado cioè di autorinnovarsi e dare origine alle cellule progenitrici di qualsiasi tessuto somatico; sono perciò considerate pluripotenti in quanto in grado di accrescersi in tutti i tipi cellulari adulti. Derivano dalla massa interna della blastocisti, da uno stadio embrionale precoce, da particolari tumori germinali o da teratocarcinoma. Un tessuto adulto contiene solo un piccolo numero di SC e progenitori tissutali e sono spesso ristretti a una discreta localizzazione anatomica; sono in uno stato quiescente: sono necessari stimoli ambientali, normalmente assenti, per la loro attivazione. In un organismo in cui un tessuto od organo sia danneggiato, il riparo dipende dalla capacità proliferativa del tessuto stesso: epatociti, cellule endoteliali o mioblasti sono in grado di dividersi e rimpiazzare ciò che è stato danneggiato; negli altri tessuti la sostituzione delle cellule perse avviene con le SC residenti. Ma non solo, studi di trapianto in roditori indicano che cellule derivate da midollo osseo o staminali extraepatiche possono differenziarsi in epatociti: femmine, che hanno ricevuto un trapianto di midollo osseo da maschi, presentavano epatociti cromosomaY positivo dopo danneggiamento epatico (alcuni epatociti hanno proprietà simili a quelle delle cellule staminali suggerendo che siano queste i principali precursori degli epatociti); mentre fegati di femmine trapiantati in maschi presentavano epatociti cromosomaY positivo (dopo un danno epatico, cellule staminali facoltative del dotto biliare si attivano producendo cellule ovali che eventualmente si differenziano in epatociti) (Alison 2000). Anche analisi di muscolo scheletrico hanno evidenziato l’esistenza di precursori diversi dal tessuto preso in esame che partecipano alla sostituzione: il numero di cellule satelliti (precursori mononucleati dei mioblasti) residenti in un muscolo adulto è inferiore a quello dei precursori miogeni che popolano il muscolo dopo un danno; ciò può essere spiegato come migrazione di cellule satelliti da altre fibre o reclutamento alla miogenesi di cellule non miogene residenti (Ferrari 1998). Per i trapianti cellulari la proprietà delle SC di autorinnovarsi è cruciale: mantiene a lungo termine il trapianto e rinnova il tessuto in cui risiede oltre che portare in larga scala alla produzione di cellule per il trapianto. L’isolamento e l’espansione ex vivo di SC sono la prova decisiva per la produzione di cellule immature che saranno componente del trapianto in un tessuto adulto: ma isolamento, espansione e manipolazione genetica di SC hanno avuto solo parziale successo. Sono le cellule staminali embrionali (ESC) che sono geneticamente trattabili, fenotipicamente stabili, si possono espandere indefinitamente e possono essere indotte a differenziare in vitro in linee diverse. Si possono isolare ESC da blastocisti prima dell’impianto ma in molti paesi è vietato: da tessuto fetale abortito è invece consentito isolare cellule staminali pluripotenti (umane, HPC). Le ESC di topo sono tumorigeniche (infatti, crescono da teratocarcinoma quando sono iniettate in qualunque tessuto di topo adulto): la purificazione completa di ESC deve essere perciò assolutamente sicura per il trapianto, in modo da poterne usufruire in terapia. Esiste un dibattito sull’utilizzo in terapia di queste cellule dovuto alla considerazione di che cosa sono le ESC: sono in grado di sviluppare un embrione? Lo zigote (cellula germinale fecondata) è la sola cellula totipotente in grado di generare qualsiasi tipo cellulare per qualsiasi tessuto dell’embrione ed extraembrionale; Le ESC, in particolari esperimenti (chimera di uno zigote tetraploide e ESC), si sono dimostrate in grado di formare tutti i tipi cellulari dell’organismo ma non è chiaro se possano formare i tessuti extraembrionali: è accertato però che ESC impiantate in utero non sono in grado di sviluppare un embrione. Materiale (Gage 1998, Smith 1998, Solter 1999) Sostanzialmente esistono solo due tipi di approcci per ottenere le cellule per il trapianto: si può purificare SC dal tessuto adulto o servirsi del nucleo di cellule di tessuto adulto. La programmazione a cellule del tessuto desiderato può avvenire in modi diversi: isolamento, espansione e manipolazione delle cellule staminali di un tessuto adulto clonazione terapeutica: in un oocita (di mammifero) denucleato è iniettato un nucleo di cellula adulta (proveniente da una biopsia di cellule somatiche); dalla massa interna della blastocisti che si formerà in cultura, per immunochirurgia, s’isolano ESC, che dopo espansione, differenzieranno nelle cellule desiderate secondo il protocollo adottato La scelta della sorgente delle cellule per il trapianto è dipendente da molti fattori: deve essere facilmente accessibile, abilmente coltivabile, moltiplicabile e manipolabile. Possono essere cellule autologhe: l’uso di cellule dello stesso organismo è immunologicamente privilegiato ma ha una fornitura limitata (ecco la moltiplicazione in vitro e la crioriserva); ci sono esempi di trapianto di keratinociti per vittime di scottature estese, condrociti per danni alle cartilagini articolari ed esempi di aumento della risposta immunitaria contro deboli antigeni o l’induzione delle cellule tumorali ad esprimere più determinanti antigenici di superficie. Oppure cellule allogeniche: l’uso di cellule di organismi della stessa specie fornisce una gran quantità di materiale ma è immunologicamente svantaggioso (ecco l’immunosoppressione del paziente e l’incapsulamento del trapianto). Esistono tipi cellulari che stimolano fortemente la risposta immunitaria come leucociti e cellule endoteliali: se si usano popolazioni pure si ha una risposta minima come avviene con mioblasti; oppure inducendo nell’ospite la tolleranza specifica per le cellule del donatore, si può minimizzare la risposta immunitaria. La tecnologia dell’incapsulamento del trapianto vede l’isolamento delle cellule del trapianto, con una barriera impermeabile, da cellule ed agenti ormonali del sistema immunitario dell’ospite; i requisiti di un incapsulamento di successo includono la diffusione bidirezionale attraverso la membrana di piccole molecole come ossigeno o glucosio e prodotti cellulari delle cellule della capsula. È requisito sia per trapianti autologhi sia allogenici fare il cariotipo periodicamente per non introdurre riarrangiamenti cromosomici. Sorgente di cellule da trapianto possono essere anche cellule xenogeniche: l’uso di cellule di specie diverse presentano una gran fornitura di materiale (ecco ancora incapsulamento ed immunosoppressione oltre che immunità mascherata geneticamente) ma possono potenzialmente trasferire nuovi virus alla popolazione umana. Infine si possono utilizzare le linee cellulari che sono facilmente clonabili e mantenute come popolazione omogenea, più maneggevole per l’ingegneria genetica a produrre nuove cellule che possono sintetizzare e secernere prodotti genici terapeutici; gli svantaggi sono trasformazione e immortalizzazione che spesso fanno perdere la loro abilità a differenziarsi pienamente. Ma è possibile sviluppare linee cellulari con l’espressione regolabile di oncogeni: cellule trasformate o immortalizzate per induzione sono create inserendo, con un vettore retrovirale, il gene vmyc ad espressione controllata dalla presenza (repressione del gene) o assenza della tetraciclina. Anche le linee cellulari possono avere lo svantaggio della risposta immunitaria. Trapianti di mioblasti o fibroblasti ingegnerizzati a secernere enzimi in quantità fisiologiche hanno risolto molte lesioni in alcuni organi come cervello, fegato, isole del pancreas e milza. In situazioni che richiedono più funzioni complesse oppure in cui le SC (residenti nel tessuto adulto) sono localizzate in spazi critici alla loro utilità, sono utilizzate altre sorgenti: epitelio pigmentato della retina da cadavere o feto per degenerazioni all’occhio; e per danni al sistema nervoso centrale o al midollo spinale, cellule neurali fetali. Il morbo di Parkinson provoca disturbi di postura e deambulazione collegati alla degenerazione dei neuroni dopaminergici della sostanza nera (pars compacta) che terminano nel corpo striato da cui parte la risposta extrapiramidale ai motoneuroni di muscoli di postura ed arti. Trapianti di dissezioni fetali di sostanza nera contenenti neuroni dopaminergici hanno dato effetti a lungo termine in alcuni pazienti affetti. Per malattie legate alla linea ematopoietica, le sorgenti primarie per i trapianti clinici includono midollo osseo e cellule progenitrici del sangue periferico (PSPC) ma più di recente anche sangue di cordone ombelicale. Tecniche Un modello per crescere cellule di midollo osseo umane in vivo è quello di iniettarle in un topo immunodeficiente. Le HPC possono essere trasdotte (poi in cultura distinte per la resistenza alla neomicina: contenenti cioè il costrutto inserito con il vettore retrovirale), cresciute in un modello simile per poi essere recuperate con citofluorimetro ed analizzate con PCR per il gene della resistenza alla neomicina; questo per purificare ed amplificare le HPC che saranno utilizzate in trapianto. Sistemi in vitro sono inadeguati per l’analisi della biologia e trasduzione delle HPC: i progenitori del tessuto espandendosi in cultura offuscano la differenziazione della progenie dalle rare HPC che possono esservi presenti (Nolta 1996). È interessante anche l’utilizzo di cellule del midollo osseo ottenute da topo transgenico per il gene lacZ sotto il controllo di un promotore muscolo specifico: iniettate nel muscolo danneggiato formano precursori per il tessuto muscolare. Secondo l’estensione del danno queste possono espandersi o mantenere il pool di precursori miogeni: nuclei betagalattosio positivo sono stati ritrovati in fibre nucleate immature e mature in posizioni diverse, rispettivamente, centrali e periferici. Confrontando questi dati coi controlli (iniezione, nel muscolo danneggiato, di cellule satelliti lacZ: precursori mononucleati dei mioblasti provenienti dal topo transgenico per il gene lacZ sotto il controllo di un promotore muscolo specifico) è emerso che la cinetica delle due popolazioni (cellule derivate dal midollo osseo e cellule satelliti) era differente: i nuclei delle cellule satelliti betagalattosio positivo erano presenti nelle fibre nucleate già dopo cinque giorni, mentre le cellule derivate dal midollo osseo solo dopo due settimane dall’iniezione. Ciò suggerisce che queste ultime debbano passare un processo a più stadi che comprende migrazione, divisione cellulare, diventare parte della linea miogena ed eventualmente maturazione terminale con fusione. Le cellule satelliti non possono essere prese in considerazione per un’applicazione terapeutica per la loro limitata potenzialità di autorinnovamento: decresce con l’età oppure si può esaurire in un processo rigenerativo cronico (Ferrari 1998). Discussione È importante arrivare ad affinare e standardizzare i metodi di purificazione delle SC di tessuto adulto o carcinogeno: la tecnica di selezione più utilizzata è basata sul citofluorimetro e perciò si basa sulla fluorescenza di determinati marcatori presenti all’interno della cellula o sulla superficie cellulare. Solo la linea ematopoietica è in questo campo molto avanzata ma in questi ultimi anni l’isolamento di altre SC di altri tessuti, come le SC di keratinociti (Tani 2000), ha portato a migliorare anche il metodo della separazione: le SC sono cellule indifferenziate e di conseguenza non presentano marcatori della linea del tessuto in cui si trovano; perciò si purificano per l’assenza o la presenza minima di marcatori caratteristici della linea presa in esame. Un’essenziale ricerca dovrà poi essere mirata alle tecniche di trasferimento di geni alle cellule staminali. La trasduzione di HSP potrà essere importante per una varietà di disordini genetici. Sembra che la trasduzione seguita dall’analisi delle cellule sia un buon metodo ma i vettori retrovirali hanno la capacità di trasportare inserti di 7kb, quando invece un gene medio conta 10-15kb (con variazioni enormi e tralasciando le sequenze fiancheggianti il gene che potrebbero regolarlo). Esistono anche vettori virali basati su adenovirus (in grado di contenere inserti che raggiungono le 30kb) e vettori sintetici basati sui liposomi (con capacità di trasportare inserti di lunghezza illimitata) i quali però presentano, rispettivamente, forte immunogenicità e frequenza di integrazione cromosomica molto bassa (Strachan 1999). Molte sono le sorgenti da cui si possono prelevare cellule per la terapia cellulare e Gage scrisse (1998) che non esiste un singolo tipo cellulare che può fare da donatore universale. Molti articoli anche qui riportati, evidenziano però l’enorme potenzialità delle cellule staminali derivate da midollo osseo o da PSPC nell’originare tipi cellulari diversi, se indotte, quali cellule epatiche (Alison 2000) e muscolari scheletriche (Ferrari 1998). Più recentemente sono stati condotti degli studi su topi immunodeficienti (Krause 2001) per dimostrare la capacità di autorinnovo e di differenziazione delle HSC. Cellule di midollo osseo di maschio sono frazionate via elutriazione (Fr25), raccolte con citofluorimetro per l’assenza del marcatore lin e marcate con PKH26 per poi essere iniettate intravena in femmine irradiate in modo letale; due giorni dopo, con citofluorimetro sono recuperate le cellule PKH26 positivo; ogni cellula PKH26 positivo è trapiantata in altre femmine irradiate; il controllo era un trapianto di 102-103 cellule marcate PKH26+ Fr25lin- in femmine irradiate. I 5/30 sopravvivono e la loro analisi (con immunocolorazione per citokeratina e FISH per identificare i nuclei cromosomaY positivo) rivela un sorprendente repertorio di differenziazione; le cellule trapiantate avevano sostituito i tessuti epiteliali danneggiati da radiazione di stomaco, esofago, intestino, cellule stellate, tubuli renali, bronchi e pneumociti e pelle. L’incorporazione epiteliale rivelava frequenze differenti in organi diversi e questo può dipendere dal grado di danno tissutale indotto dalla radiazione, dal trapianto, dalle capacità rigenerative delle cellule staminali tessuto specifiche residue e dal normale tasso di turnover cellulare dei tessuti. Questo porta a due modelli di incorporazione epiteliale di cellule derivate da midollo osseo: ripopolazione su larga scala come risposta a danno; basso livello d’incorporazione come cellule singole e sparse in assenza di marcati danni. È possibile poi che le cellule siano chiamate a comparire sul sito del danno da fattori secreti dall’organo danneggiato. Sarebbe molto interessante riprovare l’esperimento analizzando con identica FISH per identificare i nuclei cromosomaY positivo ma immunocolorazione per marcatori di linee cellulari diverse. Bilardi Alessandra 422689/SB Bibliografia Alison, M.R., et al, Hepatocytes from non-hepatic adult stem cells, Nature 2000, 406:257 Ferrari, G., et al, Muscle regeneration by bone marrow-derived myogenic progenitors, Science 1998, 279:1528-1530 Gage, F.H., Cell Therapy, Nature 1998, 392(suppl):18-24 Krause, D.S., et al, Multi-organ, multi-lineage engraftment by a single bone marrow-derived stem cell, Cell 2001, 105:369-377 Nolta, J.A., et al, Transduction of pluripotent human hematopoietic stem cells demostrated by clonal analysis after engraftment in immunedeficient mice, Proc.. Matl. Acad. Sci. USA 1996, 93:2414-2419 Smith, A., Cell Therapy: in search of pluripotency, Curr. Biol. 1998, 8:R802-R804 Solter, D., Gearhart, J., Putting stem cells to work, Science 1999, 283:1468-1470 Strachan, T., Read, A.P., Human molecular genetics, 19992, BIOS Scientific Publishers Ltd Tani, H., et al, Enrichment for murine keratinocyte stem cells based on cell surface phenotipe, Proc.. Matl. Acad. Sci. USA 2000, 97:10960-10965