la laicita` ei suoi nemici

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LA LAICITA’ E I SUOI NEMICI
Relazione alla Gran Loggia 2006 del Grande Oriente d‘Italia
intitolata a “Laicità e libertà”, Rimini, 2 aprile 2006
Un’offensiva anti-liberale
A me pare che sia in corso un’offensiva contro il diritto di
ogni persona di vivere la propria vita a proprio piacimento, dunque
che è sotto scacco la nostra libertà individuale. Da liberale ritengo
che gli esseri umani hanno il diritto di sviluppare la loro natura con
tutta la varietà e ricchezza, e all’occasione l’eccentricità, possibili.
Da tempo non conoscevo un attacco così insidioso alla
società liberale e allo stato laico condotto in nome della morale o,
meglio, del moralismo. Sono alcuni dei principi stessi della civiltà
occidentale ad essere messi in questione con arroganza e
ambiguità. Soprattutto con ambiguità perché gli antiliberali che
parlano di etica politica tendono a presentarsi non come neotradizionalisti ma a mascherarsi da liberali.
Non c’è individuo di destra, di centro e di sinistra che non si
dichiari liberale, ma sono pochissimi quelli che si comportano
come tali. Così le vecchie idee e le vecchie distinzioni sono
sconvolte da un attacco dei nemici della laicità che inquinano le
regole elementari della democrazia.
È in corso l’offensiva degli atei devoti, dei laici pentiti e dei
novelli bigotti che ripropongono sotto altre sembianze concezioni
del mondo e ricette logore appartenenti a un passato che pochi
pensavano potesse ricomparire.
È l’offensiva dei nuovi tradizionalisti che esprimono uno stato
d’animo minoritario ma aggressivo di stile clericale e reazionario.
È l’irruzione di un gruppo di pressione che condiziona gli
schieramenti di destra e di sinistra, facendosi forte delle posizioni
teologico-dogmatiche della Chiesa e dell’interventismo politico dei
vescovi italiani.
Il referendum sulla procreazione assistita nel giugno 2005 è
stato il culmine di questa offensiva. Da allora non c’è stato giorno
senza una qualche notizia della petulante opposizione dei neotradizionalisti alle riforme civili e sociali atte ad adeguare la
legislazione italiana ai migliori standard europei
Che si trattasse della procreazione assistita o della ricerca
scientifica; che si tentasse di legalizzare la convivenza civile delle
coppie di fatto, o di alleviare infelici vicende personali imbattutesi
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nel divorzio e nell’aborto, i neo-tradizionalisti si sono messi di
traverso alle ragionevoli innovazioni civili dopo che erano state
messe al bando dalle gerarchie ecclesiastiche.
L’involuzione tradizionalista si è manifestata anche sui
grandi problemi che affliggono il mondo d’oggi. La difesa dal
terrorismo islamista, che richiederebbe una meditata politica di
sicurezza da parte dell’Occidente, è stato considerato il momento
culminante di uno scontro di civiltà. E così pure la questione della
convivenza con gli islamici è stato stravolto con la retorica
agitazione delle radici cristiane di un Occidente assediato.
Il paradosso di un così singolare sconvolgimento di idee sta
tuttavia nella rincorsa che si è scatenata tra i neo-tradizionalisti, i
quali si ostinano a volere essere considerati “liberali” e “laici”, e i
chierici i quali seguitano a fare benissimo il loro mestiere di ministri
della Chiesa. I vescovi, il cui compito dovrebbe essere l’apostolato
evangelico verso i fedeli, pretendono di dettare le leggi che
possono o non possono essere adottate dallo Stato. E gli
intellettuali, che dovrebbero sostenere con moderazione scelte
politiche accettabili dall’intera comunità, preferiscono trasformarsi
in zelanti traghettatori dei codici canonici nei codici civili.
Politica e morale
Il tratto che affratella i tradizionalisti antiliberali è l’ambigua
commistione tra questione morale e questione politica. La
distinzione delle due sfere è, come noto, l’effetto della
secolarizzazione che ha separato ragione e fede ed ha dato vita
alla moderna civiltà liberale. Ciononostante, anche al giorno
d’oggi, non mancano le correnti di pensiero che postulano forme di
intreccio tra etica e politica
L’idea di rivestire lo Stato e la società di connotati etici e di
visioni morali sì da alludere alla possibilità di un qualche paradiso
in terra è stata praticata nel Novecento dagli autoritarismi e dai
totalitarismi. I fascismi, i nazismi, i comunismi, i militarismi, i
populismi e tutte le altre forme contemporanee dittatoriali hanno
sventolato le bandiere della moralità e dell’eticità per meglio
controllare la società di massa. E sono stati proprio i pensatori
antiliberali, con le loro teorie intrise di tradizionalismo moralistico e
di identitarismo etnico o etico, che hanno fatto da supporto alle
dittature d’ogni colore.
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La tradizione liberale e laica, invece, non ha mai prescritto
soluzioni moralmente ed eticamente corrette. Il metodo
democratico non può servire a tradurre negli affari terreni verità
assolute o principi trascendentali non negoziabili. In questo senso
la rivoluzione liberale ha distinto le questioni di coscienza,
religiose e morali, dalla politica, il cui compito è di mediare tra le
varie idee e i contrapposti interessi per formare il governo che
meglio corrisponde alle aspettative non di una parte ma dell’intera
comunità.
L’avanzata della libertà, dei diritti e della laicità, che i neotradizionalisti vorrebbero rimettere in discussione, viene da
lontano, dall’Habeas corpus inglese del 1679, dalla Legge sulla
tolleranza, dalla Dichiarazione di diritti dell’uomo del 1789 fino al
Bill of Rights americano del 1791. Le sue tappe storiche –
umanesimo, protestantesimo, etica della tolleranza e
secolarizzazione della politica – hanno contrassegnato la civiltà
contemporanea e quindi anche l’identità italiana.
Lo Stato neutrale che ne è risultato, non assume in sé un
determinato sistema di valori, ma permette il libero confronto tra le
componenti religiose e culturali della società al fine di adottare un
sistema di valori tollerante e inclusivo. In una visione laica, il bene
e il male non può essere stabilito né dallo Stato né da qualsiasi
altro potere, e l’individuo deve essere padrone di scegliere la sua
morale.
L’idea dello Stato etico, così come l’illusione della società
perfetta o giusta o buona, non appartiene alla politica
secolarizzata quale si è andata affermando a difesa delle libertà
nel confronto con i totalitarismi. Già nell’Ottocento i padri del
pensiero liberale, John Stuart Mill e Benjamin Constant, bollavano
come illegittima la pretesa della morale cristiana di essere assunta
nelle istituzioni civili come unico modello etico per la vita
dell’uomo.
Rimettere in gioco la distinzione tra fede e ragione, e quindi
privare ogni persone del diritto a vivere secondo i suoi legittimi
costumi morali non significa supplire al presunto vuoto etico del
nostro tempo. Significa solo proporre il rovesciamento del
pensiero moderno che ha consentito lo sviluppo di società
religiosamente pacificate, civilmente tolleranti e la separazione tra
Stato e Chiesa premessa della libertà religiosa prima di tutto per i
credenti.
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La democrazia è relativista
Non è un caso che la condanna del relativismo etico e
dell’edonismo laicista, ritenuti fonti di decadenza morale nella
società occidentale, sia stata ripetutamente decretata da Joseph
Ratzinger, prima come responsabile dell’ex Sant’Uffizio e poi
come pontefice che considera l’agnosticismo il maggiore ostacolo
allo sviluppo della libertà religiosa.
Ma se il relativismo è la bestia nera della teologia, non lo è
altrettanto per lo spirito culturale e politico di matrice laica: “Il
contrario del relativismo è l’assolutismo
La democrazia politica occidentale ha come fondamento il
pluralismo che, solo, può conciliare pacificamente i conflitti
derivanti da diverse concezioni del mondo, da diversi interessi
materiali e da diverse spinte etiche. Pluralismo etico e democrazia
politica sono due parti della stessa faticosa conquista, mai
definitiva, del liberalismo del nostro tempo.
L’inganno dell’identità
L’identità cristiana è divenuta materia di riflessione anche in
politica. Ho tuttavia l’impressione che le idee che si vorrebbero a
fondamento di una politica “sana” per l’Occidente, presentino più
d’un punto debole. Infatti la storia d’Europa, come effettivamente
si è dipanata, dovrebbe insegnare che le radici cristiane sono solo
una parte della tradizione nazionale e continentale. Anzi, sarebbe
facile sostenere che la modernità sviluppatasi con l’Illuminismo ed
affermatasi con la democrazia pluralistica, ha spesso incontrato
l’ostilità delle chiese nazionali, particolarmente del cattolicesimo
italiano
Non metto in dubbio che l’identità sia importante per tutti e in
particolare per l’uomo occidentale. Ma si dovrebbe tenere conto
dell’insieme delle vicende politiche, culturali e civili che hanno dato
forza e identità alle popolazioni occidentali. È sì vero che in tutte le
alleanze antitotalitarie, anche le Chiese hanno avuto un ruolo
importante. Ma l’Occidente, lo stesso che oggi è sotto assedio del
terrorismo islamista, ha trovato se stesso nella democrazia
politica, nei diritti individuali e nel libero mercato più che nelle
radici religiose, peraltro assai diversificate e spesso in conflitto
reciproco. Chi oggi volesse restringere la questione dell’identità
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occidentale alle radici cristiane dividerebbe e non rafforzerebbe
intellettualmente il fronte che separa l’Europa dai suoi nemici.
Non c’è persona ragionevole che possa negare la realtà
dello scontro in atto con l’Islam.. Scambiare però le particolari
iniziative della minoranza fondamentalista con la totalità del
mondo islamico sarebbe un errore che faciliterebbe i nostri nemici.
Non è lungimirante avallare concetti come “scontro di civiltà”
oppure ricorrere alla storia dei secoli passati per rievocare la
contrapposizione, magari a Lepanto, tra Cristianità e Islamismo. Si
fa un torto alla realtà ad ignorare che nell’Islam molto può
cambiare se l’Occidente non radicalizza le sue posizioni.
La migliore politica occidentale in materia si è avuta quando
la realtà è stata affrontata con flessibilità pragmatica che ha
messo da parte le rigidità ideologiche, gli assiomi valoriali e il
feticismo delle identità. Temo che percorra un binario morto chi
oggi rincorre certezze identitarie come premesse per ricette
politiche da applicarsi all’interno e su scala internazionale. Se il
discorso sull’identità può gratificare intellettualmente, rischia di
produrre catastrofi politiche.
Risveglio religioso e società laicizzata
I neo-tradizionalisti sostengono che la necessità del
superamento della secolarizzazione discenderebbe dal grande
risveglio spirituale legato alla Chiesa cattolica. Certo, il carisma
mediatico di papa Giovanni Paolo II specialmente verso gli
extraeuropei, ha avuto un significato che non si può ignorare.
Ma la sensazione di nuova religiosità di alcuni settori della
società è sufficiente per assegnare, oggi, in Italia, alle direttive
della Chiesa il valore di leggi generali dello Stato? Spetta alla
politica, e solo alla politica, attraverso il Parlamento, il Governo, la
legislazione e la giurisdizione di sciogliere il nodo del rapporto
civile con la religione.
È si vero che anche in Italia si assiste a un certo risveglio
religioso nei giovani ma il fenomeno si combina con il suo
opposto, la secolarizzazione dei comportamenti della gente
comune. L’’Italia si sta allineando ad altri paesi occidentali in cui il
credo religioso, in particolare quello cattolico, da fenomeno
genericamente diffuso nella maggioranza diviene caratteristica
intensa di una minoranza della popolazione.
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Tale trasformazione è visibile nella stessa cultura di massa.
Dalla televisione ai comportamenti esibiti, dalla pubblicità all’etica
corrente, ovunque si constata un notevole ripiegamento della
religiosità. Gli italiani si sposano sempre meno in chiesa e sempre
più in municipio. I battesimi e le comunioni, benché
profondamente radicati nel costume popolare, diminuiscono. Le
cremazioni, un tempo al bando, oggi sono tollerate e crescono a
vista d’occhio. Nelle scuole sono sempre più i giovani che
chiedono l’esonero dall’ora di religione. Il tasso delle nascite nel
nostro paese è ai livelli più bassi del mondo con un’infausta
prospettiva di declino demografico, segno anche dello scarso
ascolto della Chiesa.
Se i diritti vengono da Dio
Qual è, dunque, il nodo della nuova contesa tra i laici e i
liberali che distinguono la ragione dalla fede e i neo-tradizionalisti
antiliberali che sostengono le richieste della Chiesa italiana per
ottenere un più ampio spazio pubblico per la religione?
Le ragioni della Chiesa sono state di recente chiarite dallo
stesso Pontefice quando ha indicato che in “una società libera i
valori cattolici dovrebbero essere fatti propri anche dalla cultura
laica positiva”, intendendo con tale espressione quello “Stato laico
che non difende soltanto interessi profani, ma tutela il diritto di
ogni cittadino a vivere la propria fede religiosa con autentica
libertà in ambito pubblico”. Secondo la visione di Benedetto XVI
“uno Stato sanamente laico” non dovrebbe fare altro che
riconoscere nella legislazione un adeguato spazio all’etica della
Chiesa in quanto “la dignità dell’uomo e i suoi diritti fondamentali
che rappresentano valori previi a qualsiasi giurisdizione statale,
non vengono creati dal legislatore ma sono iscritti nella natura
stessa della persona umana, e sono pertanto rinviabili
ultimamente al Creatore”1.
Di fronte a tali rivendicazioni che sembrano discendere
direttamente dalla concezione tomistica dei diritti naturali occorre
rispondere che ci vuole l’intervento dell’uomo per dare corpo ai
diritti naturali e che l’universalismo laico ha preceduto la Chiesa
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nell’affermazione del carattere fondamentale dei diritti dell’uomo e
del cittadini.
È tradizione liberale che la mediazione tra sentimento
religioso (o etico) e politica riguardi essenzialmente la coscienza
personale. Non che lo spazio pubblico nella società laica e nello
Stato neutrale sia precluso allo spirito religioso e all’etica
individuale, ma la distanza tra un approccio clericale e uno laico,
anche nei credenti, si misura nell’accettazione o nel rifiuto del
ruolo del potere.
Vorrei finire con una citazione di Gaetano Salvemini sulla
laicità dello Stato: “La ideologia del laicismo nega alle autorità
ecclesiastiche il diritto di mettere legalmente a servizio delle loro
ideologie le autorità secolari. Le autorità ecclesiastiche hanno il
diritto di ‘consigliare’ i fedeli, e magari di condannarli al fuoco
eterno, ma nell’altra vita. Se avessero la facoltà di imporre
giuridicamente a fedeli e non fedeli i loro consigli e le loro
condanne in questa vita, i loro consigli diventerebbero “leggi”. I
peccati diventerebbero delitti. Il laicismo – inteso in questo senso,
e non so in quale altro senso si possa intendere – è la
secolarizzazione delle istituzioni pubbliche”.
---------------------------------------------------------------------------------------Le considerazioni qui svolte sono sviluppate nel pamphlet
LAICI. L’imbroglio italiano,
in libreria dal 20 aprile 2006 per Marsilio editore
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