UFFICIO DIOCESANO
DI PASTORALE SOCIALE E DEL LAVORO
REGGIO EMILIA
LA DOTTRINA SOCIALE
DELLA CHIESA
COME MENTALITÀ
LA FEDE CHE ABBRACCIA TUTTE LE DIMENSIONI DELLA VITA
SUSSIDI E DOCUMENTI
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INTRODUZIONE
Il presente opuscolo riporta il contenuto di una lezione di presentazione dei principi fondanti la
Dottrina Sociale della Chiesa: lo scopo che si prefiggeva il relatore era quello di offrire una sintesi
dei criteri di giudizio che sarebbero stati successivamente sviluppati in una serie di incontri
promossi dalla Parrocchia di S. Prospero di Correggio (RE) su tematiche di natura sociale.
Non c’è nei redattori del presente testo, quindi, alcuna pretesa di completezza nell’esposizione di un
patrimonio la cui vastità e tale da rendere estremamente arduo qualsiasi tentativo di sintesi.
Piuttosto, l’intento è quello di fornire alcuni capisaldi che ridestino la curiosità e l’interesse di
compiere un adeguato approfondimento, da affidare a fonti più rigorose e complete del presente
lavoro.
L’obiettivo, quindi, di queste brevi e parziali note sarà stato raggiunto se esse saranno state capaci
di porre di nuovo al centro dell’attenzione dei cristiani quel patrimonio di criteri di giudizio e
principi d’azione che è la Dottrina Sociale della Chiesa.
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PREMESSA



Cos'è la Dottrina Sociale della Chiesa?
Quali sono i contenuti che la caratterizzano?
Quale valenza ha per la nostra vita di uomini e donne immersi nei problemi quotidiani
dell’esistenza?
Quanti cattolici oggi sanno rispondere a queste domande?
Serve una nuova alfabetizzazione sui principi che costituiscono i fondamenti della posizione della
Chiesa Cattolica sulle questioni sociali, allo scopo di fornire chiari punti di riferimento ai cristiani e,
di conseguenza, evitare il rischio di far proprie posizioni completamente estranee alla cultura e alla
tradizione cattolica (situazione purtroppo assai ricorrente all’interno del popolo cristiano di oggi).
Le fonti utilizzate per l’esposizione delle presenti note sono:
 La Sacra Scrittura
 Il Magistero della Chiesa
 Testi e manuali di teologia.
DEFINIZIONE
L’espressione Dottrina Sociale della Chiesa indica un complesso di insegnamenti, mediante i quali
le verità evangeliche sono immesse nel contesto socio-politico allo scopo di identificare criteri di
giudizio e principi d’azione che permettano un giusto affronto della realtà nella sua dimensione
sociale e una soluzione conseguente delle problematiche. Mons. Grillo, Vescovo di Civitavecchia.
In altre parole, si può dire che ciò che sta all’origine della Dottrina Sociale della Chiesa (DSC) è
una grande passione per la realtà, e come tale va percepita. Pur facendo ampio uso delle scienze
umane e degli strumenti che la conoscenza mette a disposizione, essa non è anzitutto
un’elaborazione intellettuale ad uso degli intellettuali, ma descrive una visione della storia e quindi
dell’uomo nella realtà in cui vive.
- Poiché affronta e giudica le questioni inerenti la vita sociale, la DSC non è una costruzione
statica, fissata una volta per tutte.
- Non propone alcun sistema sociale, ma si prefigge di vigilare sul rispetto della dignità
dell’uomo.
- Non è opzionale, ma rappresenta il modo concreto in cui la Chiesa abbraccia l’uomo, offrendogli
una interpretazione della vita.
Quindi la natura della DSC è teologico-pratica (etica, pastorale, ecc.): perché riflette il rapporto
Chiesa e società, interviene nelle questioni sociali, offre orientamenti d’azione per i singoli e le
comunità.
DICIAMOLO FIN DA SUBITO
In chi incontra l’avvenimento di Cristo presente nella storia sorge una nuova moralità (etica), un
sentimento nuovo della vita: che è sentimento di serietà, di responsabilità, di impegno, di creatività,
di libertà che a poco a poco tende ad investire tutto si sé e degli altri. Quindi l’etica non emerge da
scoperte analitiche dell’uno o dell’altro, ma dalla vita trasformata ed investita dall’incontro con
l’avvenimento di Cristo.
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I principali documenti sociali della Chiesa che formano il patrimonio della DSC sono i seguenti:
 Rerum novarum di Leone XIII (1891). Costituisce la prima codifica di tutto quanto la tradizione
della Chiesa aveva fin a quel momento tramandato riguardo ai problemi sociali.
 Quadragesimo anno di Pio XI (1931). Incentrata sulla critica agli errori dei sistemi sociali del
tempo.
 Radiomessaggi di PioXII di Pentecoste (1941) sul diritto al lavoro; di Natale (1942) sui diritti
dell’uomo, di Natale (1944) sulla democrazia.
 Mater et Magistra di Giovanni XXIII (1961). Sui problemi internazionali e le nuove questioni
legate allo sviluppo dei paesi emergenti.
 Pacem in terris di Giovanni XXIII (1963). Enuncia il concetto di segno dei tempi.
 Gaudium et spes. Costituzione conciliare su cultura politica ed economia. Fornisce chiari
indirizzi su persona, famiglia e stato.
 Populorum progressio di Paolo VI (1967). Affronta il rapporto tra giustizia e sviluppo, pace e
libertà.
 Octogesima adveniens di Paolo VI (1971). Sulle nuove forme di oppressione ed i nuovi bisogni
della società.
 Laborem exercens di Giovanni Paolo II (1981). Affronta in modo analitico tutte le
problematiche relative al lavoro ed al rapporto che l’uomo ha con esso.
 Sollicitudo rei socialis di Giovanni Paolo II (1988). Riprende il tema dello sviluppo.
 Centesimus annus di Giovanni Paolo II (1991). Dopo la caduta del muro di Berlino.
PRIMA ELABORAZIONE
Esistono 4 valori fondanti la DSC.
 Verità: corrisponde con l’affermazione di ciò che è l'uomo: è il prenderne atto secondo il
personalismo cristiano (oppure la prospettiva teologica cattolica).
 Giustizia: offrire all’uomo le condizioni di realizzare se stesso. Non è solo l'osservanza formale
di una regola. E’ giusto ciò che realizza la verità della persona che, in altre parole, corrisponde
al disegno di Dio su ciascuno.
 Carità: è l’aiuto a realizzare la giustizia; è il sostengo dato affinché l’uomo realizzi la verità di
se stesso, o la verità di una data situazione o questione. Non è solamente fare l’elemosina o
assistenza: in questo senso la solidarietà o la carità, secondo il personalismo che
contraddistingue la DSC, abbraccia ogni dimensione dell’esistenza umana..
 Libertà: è la responsabilità che deve essere riconosciuta di perseguire e realizzare la verità di sé.
Libertà di ricerca e realizzazione della verità di sé.
Questi quattro valori devono costitutivamente stare insieme: se ne manca anche solo uno, tutti gli
altri decadono.
SECONDA ELABORAZIONE
I principi si cui si basa la DSC sono:
1 - Il principio personalista
2 - Il principio di solidarietà
3 - Il principio di sussidiarietà
4 - Il principio di bene comune.
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Questi principi costituiscono l’orizzonte culturale, la concezione di fondo, mediante la quale poi
vengono elaborati, con l’aiuto delle scienze umane, le affermazioni salienti, i giudizi e le
valutazioni.
Questi principi, interpretati in senso cristiano (istruiti dalla Scrittura nella loro elaborazione
teologica), costituiscono lo specifico della Chiesa in rapporto con il mondo (l’originalità della
Chiesa) sotto ogni profilo: della valutazione, del discernimento, del dialogo, dell’azione.
E’ il modo di essere della Chiesa nel sociale.
Si tratta dunque di valori guida permanenti, che possono essere interpretati, a seconda delle
circostanze, come
- principi fondamentali
- doveri
- criteri di discernimento
- valore etici.
NATURA – IDENTITÀ
Per capire meglio questo “specifico” della Chiesa in rapporto con il sociale dobbiamo usare una
analogia, quella della differenza tra “natura” e “identità”.
Ognuno di noi appartiene alla natura umana, ma ognuno di noi ha una propria identità.
Questi principi della DSC costituiscono la natura e questa natura per esprimersi ha bisogno di una
identità.
In ogni situazione concreta questa natura (i principi permanenti) per essere espressa deve assumere
un’identità, vivere dentro una forma, che deve sempre essere individuata senza rinnegare o tradire la
propria natura.
Ma d’altra parte l’uomo, la sua identità, per esprimersi ha necessità di punti di riferimento cui
affidare la verità del proprio cammino. Se l’uomo non costruisce, come fa a vivere dice Eliot. C’è
quindi una innata necessità nell’uomo di costruire per dare senso e continuità alla propria esistenza,
implicando in ogni proprio atto gli attributi che gli sono propri: volontà, intelligenza, affetto,
creatività, desiderio di migliorare, ecc.
E’ necessario un IO affinché una novità sia comunicata al mondo. Un IO che abbia incontrato un
TU. Così si esprime don Giussani.
La Chiesa si fa carico di tutto questo.
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1. - IL PRINCIPIO PERSONALISTA
Si tratta del principio di maggiore importanza, tale da costituire il punto di riferimento irrinunciabile
e costante.
Perché partire dall’uomo?
Perché questo interesse per l’uomo?
Le ragioni si possono sintetizzare nelle due seguenti osservazioni.
L’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio.
Per l’uomo Cristo si è incarnato, è morto ed è risorto.
La DSC prende in considerazione la persona umana, unitamente nella distinzione tra:
- uomo storico concreto, conoscibile dalla ragione
- uomo come è voluto da Dio, presentato dalla Rivelazione.
Si tratta dunque di una antropologia globale o integrale che presuppone:
- unità tra creazione e alleanza, così come è possibile comprendere con l’ausilio della Cristologia,
dell’ecclesiologia e dell’escatologia.
- la creazione ad immagine di Dio Trinità, quindi uomo destinato alla comunione con Dio Trinità,
che nella sua esistenza è chiamato a vivere una vita di comunione e di dono di sé.
Secondo il personalismo espresso nelle encicliche esistono tre dimensioni costitutive della persona,
correlate tra loro, cioè l’una necessaria all’altra:



l’uomo come essere libero e responsabile
l’uomo come essere sociale
l’uomo come essere trascendente.
a) L’uomo come essere libero e responsabile:
L’uomo si avvale di due tipi di libertà, la prima finalizzata alla seconda:
- libero arbitrio: capacità di scegliere
- autonomia e dipendenza: capacità di legarsi ad un bene
Questo concetto è espresso molto chiaramente nel Catechismo della Chiesa Cattolica:
Dio ha creato l’uomo ragionevole conferendogli la dignità di una persona dotata
dell’iniziativa e della padronanza dei suoi atti …. L’uomo è dotato di ragione, e in
questo è simile a Dio, creato libero nel suo arbitrio e potere (n. 1730).
La libertà di cui l’uomo gode è:
- originaria: fa parte della sua natura
- partecipata: la riceve da Dio
- situata: storicamente connotata
- ferita dal peccato: quindi condizionata.
b) L’uomo come essere sociale
Come tale egli è naturalmente aperto e necessariamente legato agli altri per la realizzazione di sé.
Questa caratteristica dell’uomo è così descritta nel documento conciliare Gaudium et Spes:
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Dio non creò l’uomo lasciandolo solo: fin da principio uomo e donna li creò (Gen. 1,27)
e la loro unione costituisce la prima forma di comunione tra le persone, e senza i
rapporti con gli altri non può vivere né esplicare le sue doti (n. 12).
Nessuno quindi ha il diritto di violare la dignità dell’uomo perché essa lo caratterizza in quanto
essere voluto dal Creatore. La Rerum novarum lo esprime chiaramente:
A nessuno è lecito violare impunemente la dignità dell’uomo, di cui Dio stesso dispone
con grande riverenza, né attraversargli la via a quel perfezionamento che è ordinato
all’acquisto della vita eterna.. Che anzi, neanche di sua libera elezione potrebbe l’uomo
rinunciare ad essere trattato secondo la sua natura, ed accettare la schiavitù dello spirito,
perché non si tratta di diritti dei quali sia libero l’esercizio, bensì di doveri verso Dio
assolutamente inviolabili (n. 32).
La società, in ogni sua forma, è al servizio dell’uomo, per il conseguimento della sua piena
realizzazione, rigettando la tentazione sempre in agguato di ridurlo a strumento nelle mani del
potere del momento, piegato agli interessi di alcuni. La Divinis Redemptoris afferma:
Mediante l’unità organica con la società, sia a tutti resa possibile per la mutua
collaborazione l’attuazione della vera felicità terrena; inoltre nel senso che nella società
trovano sviluppo tutte le doti individuali e sociali, inserite nella natura umana, le quali
sorpassano l’immediato interesse del momento, rispecchiano nella società la perfezione
divina, ciò che nell’uomo isolato non può verificarsi (n. 29).
Da ciò discende che l’uomo è anteriore allo Stato, come si evince chiaramente dall’enciclica
Rerum novarum nel passaggio in cui ribadisce che
… non c’è ragione di ricorrere alla provvidenza dello Stato, perché l’uomo è anteriore
allo Stato; quindi prima che si formasse il civile consorzio egli dovette aver da natura il
diritto di provvedere a se stesso (n. 6).
c) L’uomo come essere trascendente
Egli è naturalmente aperto all’Assoluto, luogo in cui l’umano diventa più umano.
Dal Catechismo della Chiesa Cattolica:
La dignità della persona umana si radica nella creazione ad immagine e somiglianza di
Dio; ha il suo compimento nella vocazione alla beatitudine divina: è proprio dell’essere
umano tendere liberamente a questo compimento (n. 1700).
L’immagine divina è presente in ogni uomo. Risplende nella comunione delle persone, a
somiglianza dell’unità delle persone divine tra loro (n. 1702).
L’uomo non si fa da sé e non ritrova in sé l’essenza della propria natura che invece parla
dell’appartenenza e figliolanza a qualcun Altro. Lo riprende la Gudium et spes:
La persona umana partecipa alla luce e alla forza dello spirito divino. Grazie alla
ragione è capace di comprendere l’ordine delle cose stabilito dal Creatore. Grazie alla
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sua volontà è capace di orientarsi da sé al vero bene. Trova la propria perfezione nel
cercare e nell’amare il vero e il bene (n.15).
Dall’uomo alla persona secondo quanto espresso nella Pacem in terris: dove persona è
una natura dotata di intelligenza e di volontà libera; e quindi è soggetto di diritti e doveri
che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e
doveri che sono perciò universali, inviolabili, inalienabili (n. 5).
Dice ancora don Giussani:
La parola verità viene subito dopo la parola DIO. La libertà è desiderio di una
soddisfazione intera, compiuta, ma nell’uomo non è compiuta se non in rapporto con
l’infinito. Per questo parlare di libertà è parlare della religiosità come il cristianesimo la
percepisce, come Cristo ci ha ridestati a percepire. La libertà è esigenza, desiderio,
tensione all'infinito (L’io, il potere, le opere p.100).
L’uomo è alla ricerca del perché che tutto spieghi e tutto compia: soffocare questa ricerca porta
inevitabilmente ad una sua riduzione ed annientamento: l’ideologia. L’uomo è alla ricerca della
sua strada.
Tutto ciò indica come prima e fondamentale libertà quella religiosa.
Infatti, se si mette al primo posto la possibilità e l’impegno di dare un senso alla vita, tutto il resto
(politica, economia, ecc.) diventa strumento; se ciò non accade si rischia quanto meno di
strumentalizzare la persona.
NOTA SULLA LIBERTÀ RELIGIOSA
La libertà religiosa non va confusa, quindi ridotta semplicemente al diritto della persona di
professare credenze e partecipare alle relative liturgie.
Efficacemente, nel discorso per la giornata mondiale della pace del 1999, Giovanni Paolo II scrisse:
La religione esprime le aspirazioni più profonde della persona umana, ne determina la visione
del mondo, ne guida il rapporto con gli altri: offre, in fondo, la risposta alla questione del vero
significato dell’esistenza nell’ambito sia personale che sociale. La libertà religiosa costituisce,
pertanto, il cuore stesso dei diritti umani.
Questo diritto, secondo la prospettiva cristiana, richiamata dallo stesso Pontefice in un testo del
1984, si fonda sull’originalità della persona umana creata ad immagine e somiglianza di Dio e da
Lui chiamata ad una comunione piena con sé.
Se ne ricava che rispettando questo diritto, la persona può così essere libera di cercare Dio. Ma nella
reciprocità tra diritti e doveri, questo diritto suona come richiamo ad una responsabilità. La persona
umana dunque non solo deve poter professare la sua ricerca religiosa ma è chiamata a questo
compito. Un compito che, più in generale, coincide con l’assumersi la responsabilità della propria
crescita umana e spirituale, ossia della realizzazione di sé in quanto persona.
La ricaduta politico sociale è rilevante e non va sottaciuta. La difesa del diritto alla libertà religiosa
costituisce un efficace rimedio alle riduzioni, e spesso aberrazioni, dello stato etico quindi, per altri
aspetti, del relativismo culturale. Infatti, ciò che è autenticamente umano ed eticamente legittimo
non può essere determinato dalle deliberazioni del potere assoluto, né ridotto a rango d’opinione
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con conseguente rinnegamento della verità. Sotto questo profilo, la libertà religiosa diventa
condizione, e nello stesso tempo impegno, per il dialogo interreligioso quale contributo alla pace e
alla promozione umana.
DINAMICA DI QUESTA VISIONE: LA CHIESA
Dalla Populorum progressio:
Vivente com'è nella storia, la Chiesa deve scrutare i segni dei tempi ed interpretarli alla luce
del Vangelo. In comunione con le migliori aspirazioni degli uomini e, soffrendo di vederle
insoddisfatte, essa desidera orientarle a raggiunge la loro piena fioritura, e a questo fine offre
loro ciò che possiede in proprio: una visione globale dell'uomo e dell'umanità....è un
umanesimo plenario che occorre promuovere. Che vuol dire ciò se non lo sviluppo di tutto
l'uomo e di tutti gli uomini? (n. 13).
Qual è il messaggio contenuto in questo testo?
La Chiesa si pone al servizio dell'umanità: vuole aiutarla a realizzare le sue migliori aspirazioni.
E come fa la Chiesa ad aiutare l’uomo?
Offrendo la propria visione dell’uomo e dell’umanità, così come emerge dalla tradizione del
cammino del popolo cristiano dalla venuta di Cristo ad oggi.
ALCUNI APPROFONDIMENTI
a) Lo specifico del contributo della Chiesa è la propria visione di uomo e di umanità.
Si tratta di una visione per nulla astratta: al contrario la Chiesa si cala sulla vita quotidiana e sulle
esigenze elementari che possono essere riscontrate in ogni essere umano. Ciò è descritto con
grande realismo nel seguente passaggio tratto dalla Pacem in terris:
Ogni essere umano ha il diritto all’esistenza, all’integrità fisica, ai mezzi indispensabili
e sufficienti per un dignitoso tenore di vita, specialmente per quanto riguarda
l’alimentazione, il vestiario, l’abitazione, il riposo, le cure mediche, i servizi sociali
necessari; e ha quindi il diritto alla sicurezza in caso di malattia, di invalidità, di
vedovanza, di vecchiaia, di disoccupazione e in ogni altro caso di perdita dei mezzi di
sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà (n. 6).
Dalla Gaudium et spes:
Inoltre tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio,
l’aborto, l’eutanasia e lo stesso suicidio volontario; tutto ciò che viola l’integrità della persona
umana ….. tutte queste cose, e altre simili, sono certamente vergognose (n. 27).
Il dato teologico dell’immagine e somiglianza di Dio, è qui ricompreso dalla prospettiva della
promozione umana.
b) Antropologia integrale.
Tutti i documenti sociali insistono sulla necessità che esista una piena armonia tra tutte le
dimensioni della persona. Il Papa, poi, pone un accento particolare su quella trascendente
(religiosa o spirituale).
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Questa dimensione spirituale è un aspetto trasversale a tutte le altre. Tutto l’essere e l’agire
dell’uomo è intriso di spiritualità, di tensione all’infinito, che è Dio.
La censura di questa dimensione dell’essere porta con sé una grave minaccia al compimento
della persona, fino al punto di generare comportamenti individuali e sociali contro la propria
stessa dignità.
Nella Centesimus annus il Papa porta l'esempio di quello che è accaduto nell'Est europeo, dove si
è tentato di edificare una società alla base della quale doveva stare un uomo privato della
dimensione religiosa. L’esito è sotto gli occhi di tutti.
Qui si fonda saldamente il vincolo che viene rivendicato tra etica ed economia, etica e politica.
Ogni ambito sociale, proprio perché è gestito dall’uomo e coinvolge la persona, prima di essere
ricondotto a categoria di natura tecnica, è oggetto etico che chiede sempre e comunque un
affronto scientifico-culturale di carattere interdisciplinare.
In altre parole, non possiamo ridurre i problemi dell’uomo a questioni economiche, o politiche, o
sociologiche. I problemi dell’uomo non si risolvono con la tecnica, perché l’uomo non è una
macchina. L’uomo ha bisogno di un senso da dare al suo fare, prima di fare. L’uomo ha bisogno
di una verità che lo rispetti, lo difenda da se stesso, lo renda capace di bene, di realizzare sé
secondo la sua natura più vera. Se non si riconosce questa dimensione, se non si riconosce questo
non ci potrà mai essere una vera soluzione ai problemi sociali.
c) La persona, in tutte le sue dimensioni, compresa quella trascendente, è soggetto, fondamento e
fine di tutta la vita sociale.
Soggetto: ciò implica che non è mai da considerarsi oggetto o strumento.
Fondamento: la vita sociale ha come sorgente l’intrinseca socialità dell’uomo.
Fine: scopo della vita sociale è contribuire allo sviluppo integrale della persona.
La persona, quindi, deve inserirsi secondo libertà e responsabilità, per poter vivere secondo la
propria natura di essere spirituale (razionale).
Qui si fondano i diritti e i doveri di cui parla la DSC.
Per la Pacem in Terris i diritti sono:
- universali: valgono per tutti gli uomini in qualsiasi luogo
- inviolabili: cioè costitutivi della dignità della persona, diminuendoli si offende la dignità della
persona
- inalienabili: nessuno ha potere e autorità per toglierli
Nella stessa enciclica vengono elencati in modo mirabile tutti i diritti che sempre e comunque
devono essere riconosciuti all’uomo:
- Diritto all’esistenza e ad un tenore di vita dignitoso
- Diritti relativi ai valori morali e culturali (di ricerca, di manifestazione, artistica, di
informazione)
- Diritto alla libertà religiosa
- Diritto alla scelta del proprio stato (uomo, donna, matrimonio, sacerdozio o vita religiosa)
- Diritti economici (libera iniziativa, imprenditoria, lavoro)
- Diritto di riunione e di associazione
- Diritto alla libertà di residenza e di movimento
- Diritti politici.
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Sulla base di questo fondamento (la persona umana) si trova la corrispondenza e reciprocità tra
diritti e doveri. Ciò significa che:
- Ad ogni diritto corrisponde un dovere (corrispondenza)
- Ogni diritto comporta il dovere di essere riconosciuto (reciprocità).
Insomma: se l’uomo ha un diritto (lavoro), egli ha anche un dovere (di lavorare); tale diritto, poi,
deve essere riconosciuto.
Esistono poi i diritti e doveri connessi alla vita umana:
- Difesa della vita
- Divieto dell’uccisione
- Tutela dell’incolumità fisica
- Diritto al necessario sostentamento
- Valutazione e protezione della capacità lavorativa.
Sulla base di questo fondamento si esprime anche il riconoscimento dei diritti sociali, o per
meglio dire, della dimensione sociale dei diritti: non solo il singolo ha questi diritti (e doveri) ma
anche la famiglia, le associazioni e i corpi intermedi.
E’ facile proiettare tutto quanto sopra esposto alla pratica politica.
Coloro che si occupano di politica da cristiani è a questi principi che dovrebbero riferirsi per
trovare le linee guida della loro azione, non dalle mode dettate dai potenti del momento (mass
media, ideologie, potentati economico-politici).
I quattro valori citati in apertura, verità, carità, giustizia, e libertà, diventano allora perno per
qualsiasi elaborazione politico-sociale.
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2. - IL PRINCIPIO DI SOLIDARIETÀ
Il termine deriva dal latino “solidum” (intero, comune, tutto). Il suo utilizzo fu originalmente di
carattere giuridico.
Per la Chiesa ogni realtà sociale forma un tutto unico, i cui membri sono gli uomini che ne fanno
parte e che, in forza della comune origine, sono responsabili gli uni degli altri e tenuti all’aiuto
reciproco.
CONCETTO DI BASE
Un tutto vive nelle sue parti, le parti vivono nel tutto e del tutto.
Esiste un rapporto di reciprocità tra il singolo e il tutto.
RIMANDI FILOSOFICI
Verso la fine dell’800, durante i notevoli mutamenti economici e sociali, comparve il concetto di
solidarietà nell’ambito della corrente sociologica e positivista di Compte.
La prospettiva di questa scuola si basa sull’idea che tutti gli uomini, in quanto nascono e vivono
nella medesima società, contraggono obbligazioni verso di essa, perché in ogni atto fruiscono del
patrimonio che le generazioni passate hanno loro tramandato. Così la collaborazione e l’aiuto
solidali vanno considerati e vissuti come obblighi derivanti dal debito verso gli antenati.
Sempre in quegli anni trovò consenso anche una diversa concezione di solidarietà, elaborata dal
filosofo e economista cattolico tedesco Heinrich Pesch.
Qui la solidarietà si collega alla concezione teologica secondo cui l’umanità vive in un “ordine
universale” voluto da Dio stesso e ciascun uomo è considerato in relazione a tale progetto.
Di qui il carattere essenziale della relazionalità, (la persona è “sociale” per natura), e sempre per
natura, in forza di questo è legato alle altre persone. Ne consegue il vincolo morale della solidarietà
in quanto tutti sono compartecipi della stessa natura e dello stesso ordine creato quindi dello stesso
fine.
Oggi il concetto o l’idea di solidarietà è frequentemente fatta coincidere con il volontariato o
l’elemosina o comunque con l’assistenza a beneficio di coloro che si trovano in difficoltà.
Tale concezione è evidentemente riduttiva, così come si può evincere da una più accurata analisi
delle premesse culturali (filosofiche e teologiche) che costituiscono il fondamento della concezione
cristiana della solidarietà.
Dal punto di vista filosofico.
L’uomo è essere comunitario (personalismo cristiano) per indigenza e per sovrabbondanza.
Per indigenza perché la persona non può realizzare se stessa se rimane isolata, senza i rapporti
umani, ha bisogno di essere complementato per crescere come essere umano. Siamo segnati dal
bisogno. Il mettersi insieme per aiutarsi è connaturale. L’autosufficienza è ontologicamente una
contraddizione.
Per sovrabbondanza perché essendo comunicativo per natura ha sempre qualcosa da dare: è capace
di amore, di donazione, si realizza donando. Siamo allora intrinsecamente aperti alla comunicazione
della conoscenza e dell’amore.
Dopo quanto accennato è logico affermare: io non posso concepirmi senza gli altri dei quali io ho
bisogno e verso i quali ho da dare. La persona è originariamente movimento verso altri, essere
verso (Mounier).
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Dal punto di vista teologico
a) La solidarietà è un concetto originario.
E’ il primo e originario modo con cui Dio si presenta all’uomo e con cui l’uomo scopre Dio e lo
descrive. Dio non rimane nella sua gloria, ma partecipa alla condizione umana. E’ un Dio
personale, capace di relazione.
Il grado supremo di solidarietà di Dio con l’uomo è Cristo nell’incarnazione: è Dio che cerca
l’uomo, non viceversa.
Quindi Dio è alla base del rapporto personale e della solidarietà: al modo di essere di Dio deve
corrispondere il modo di essere dell’uomo; anche nell’infedeltà dell’uomo, Dio non cessa di
stare dalla parte dell’uomo.
Allora, Dio è Dio in quanto è solidale ed è solidale in quanto Dio e difende l’uomo più
dell’uomo.
Il cristiano è tenuto a praticare la solidarietà non essenzialmente per bontà d’animo ma perché
questo è il metodo che Dio ha usato nei confronti dell’uomo.
b) La solidarietà è un concetto storico-salvifico
Noi conosciamo la solidarietà di Dio nella storia, essa è legata alla storia di Dio raccontata dalla
storia dell’uomo. E’ una storia raccontata da Dio stesso che diventa storia dell’uomo: Dio
racconta qualcosa di sé e così facendo racconta l’uomo. In questa storia Dio è alleato dell’uomo,
è colui che ha compassione dell’uomo (si vedano la vicenda di Abramo, Emmaus).
c) La solidarietà è un concetto cristologico
Essendo essa legata alla storia della salvezza ha evidenti e naturali riferimenti a Cristo.
Nell’Antico Testamento la solidarietà aveva una dimensione limitata: era strettamente collegata con
l’appartenenza alla stirpe e alla razza, era una solidarietà naturale; nella Nuova Alleanza si passa ad
una solidarietà personale proveniente e donata dall’Altro. E’ Dio stesso, con l’incarnazione, che si
inserisce nell’umanità e la eleva ad una solidarietà divina. Gesù allora supera la solidarietà naturale
ponendosi come fondamento di una nuova concezione dell’umanità. Con l’incarnazione Cristo si è
unito in un certo modo ad ogni uomo (Redemptor Hominis).
Tutto questo è contemplato dalla DSC, come dimostrano le tre definizioni contenute nella
Sollicitudo rei socialis.
-
Non vaga compassione ma determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il
bene comune (38).
La solidarietà ci aiuta a vedere nell’altro un simile, un essere da rendere partecipe al
banchetto della vita a cui tutti gli uomini sono invitati da Dio (39).
La solidarietà è una virtù indubbiamente cristiana,....riveste le dimensioni
specificatamente cristiane, della gratuità totale, del perdono e della riconciliazione
(40).
Ne consegue che la solidarietà non è l’elemosina né la giustizia distributiva o il dare a chi ha meno,
ma è dimensione costitutiva dell’uomo.
Non si possono concepire i rapporti umani (tutti, di ogni ordine e grado) senza questo principio,
pena il decadimento, l’impoverimento della persona.
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CRISI DEL SIGNIFICATO DELLA SOLIDARIETÀ OGGI
Oggi il valore della solidarietà è messo in crisi da:
a) crisi delle ideologie
alcune di esse la ritenevano importante anche se la deformavano
b) crisi della metafisica (pensiero debole)
sono state messi in crisi gli strumenti conoscitivi razionali della persona e delle sue dimensioni
costitutive
c) soggettivizzazione della morale (relativismo etico)
è il singolo, o un’aggregazione di singoli, a fissare i valori a decidere cosa sia il bene e il male.
Sono state formulate posizioni di pensiero che si oppongono alla visione appena illustrata.
- Luhmann: che considera arcaici, quindi non più valori, quelli identificati come: “ragione,
libertà, giustizia, e solidarietà”. Per lui essere tutti responsabili di tutti porta allo sfascio del
sistema.
- Ackermann: dice che la fraternità non si può imporre. Le parole d’ordine di una nazione
moderna sono: libertà, uguaglianza, individualità.
- Hayek: addirittura afferma che una società aperta e pacifica è possibile solo se rinuncia alla
solidarietà. Io devo essere libero, quindi non devo essere recettore del tuo bene, del bene che
vuoi farmi. Andiamo d’accordo solo se ci facciamo “i fatti nostri”.
Sono queste le posizioni dello
- storicismo: il senso e il significato dei principi lo si ricava dalla contingenza storica.
- neo-contrattualismo: dove il valore della solidarietà non è sufficientemente fondato: al
momento che la solidarietà non può essere vissuto naturalmente, occorre un contratto sociale
per regolare i rapporti sociali.
Per la Chiesa il singolo e la comunità sono legati tra loro da un’unione solidale e da una dinamica di
responsabilità reciproca, tale che nessuna delle due parti venga ridotta all’altra.
La DSC ritiene inadeguati all’essere umano sia il liberismo che il collettivismo, in quanto
affermano un aspetto eliminando l’altro.
LIBERISMO: sostenendo che l’affermazione del singolo, nei suoi interessi particolari, porti
necessariamente al massimo del profitto comune, porta alla ricerca sfrenata degli interessi
individuali con evidenti squilibri tra gruppi di uomini.
COLLETTIVISMO: credendo di poter garantire il profitto del singolo attraverso la concentrazione
del potere sullo stato, ha portato ad una società in cui la persona perde la propria identità e diviene
forzatamente omologata.
La solidarietà basata sulla continua interazione tra il tutto e la persona e tra le persone tra loro, si
caratterizza concretamente in tre livelli:
Livello individuale: la solidarietà coincide con la carità fraterna (soccorso ai bisogni, inserimento
nella vita sociale).
Livello nazionale: è necessario l’impegno da parte di tutti i membri della società affinché tutti
abbiano un lavoro e siano adeguatamente retribuiti.
Livello internazionale: creare le condizioni perché i paesi in via di sviluppo possano trovare una
loro strada che li renda interlocutori paritari dei processi di crescita dell’umanità.
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Giovanni Paolo II nella Sollicitudo rei socialis esprime in modo compiuto quale deve essere la
posizione delle nazioni nei confronti del principio di solidarietà, invitando a superare gli ostacoli
che si frappongono alla realizzazione di un rapporto di pace, di collaborazione e di vero sviluppo.
Gli ostacoli indicati dal Papa sono: nazionalismo, razzismo, imperialismo. Dice il Papa:
La pace nel mondo è inconcepibile se non si giunge, da parte dei responsabili, a riconoscere
che l’interdipendenza esige di per sé il superamento della politica dei blocchi, la rinuncia ad
ogni forma di imperialismo economico, militare e politico, e la trasformazione della reciproca
dipendenza in collaborazione. Questo è appunto l’atto proprio della solidarietà tra individui e
Nazioni (n. 39).
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3. - IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ
LA SITUAZIONE OGGI
- Si è fatta via via più acuta l’insofferenza verso lo stato centralista e centralizzato
- E’ aumentata la rivendicazione di autonomia da parte degli enti locali
- Lo stato imprenditore in economia ha vissuto una profonda crisi creando le condizioni per una
diffusa politica di privatizzazioni
- Trattati a livello europeo quali quello di Maastricht hanno espressamente recepito il principio di
sussidiarietà
- Sia i programmi di partito che i discorsi di uomini politici di tutte le provenienze reclamano a
chiare lettere tale principio.
- La società sta prendendo più chiaramente coscienza di un diverso equilibrio tra iniziativa statale
e non.
LA DEFINIZIONE
Il concetto di sussidiarietà costituisce un apporto veramente interessante e originale nella DSC;
Höffner (nel suo manuale) la presenta così.
Il termine Sussidiarietà deriva dal latino “subsidium” che indica le truppe di riserva; la
terminologia militare romana distingue infatti le coorti che combattono sul fronte dalle coorti
di riserva che stanno pronte dietro il fronte.
La Sussidiarietà applicata alla società indica l’intervento compensativo e ausiliario degli
organismi più grandi a favore dei singoli o dei gruppi sociali più piccoli.
La Sussidiarietà esprime, originariamente, l’idea del sostegno, dell’intervento di supplenza, che va
incontro alle esigenze di un organismo sociale minore senza però sostituirsi ad esso.
In questo senso il principio di Sussidiarietà è l’articolazione, l’esplicazione, la coniugazione sociale,
la modalità tipicamente sociale di concretizzare l’altro principio, quello della solidarietà.
Allora: la società deve essere solidale verso i gruppi ed i singoli in modo che venga rispettata la loro
autonomia. La definizione classica è contenuta nella Quadragesimo anno.
Non è lecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con l’industria propria per
affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società quella che
dalle minori e inferiori società si può fare, perché l’oggetto naturale di qualsiasi intervento
della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non
già distruggerle o assorbirle (80).
Occorre tenere presente che questo brano fu scritto da Pio XI nel 1931, cioè in piena epoca fascista
dove i totalitarismi erano già una drammatica realtà che andava progressivamente espandendo la
propria area di influenza sulle coscienze.
Come intendere allora questa “solidarietà” tra la società maggiore e quella inferiore?
Secondo i pontefici, questo principio, correttamente inteso, implica:
- Primato della persona
- Limiti di competenza
- Responsabilizzazione primaria.
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a) Primato della persona
Ogni uomo e ogni società “minore” hanno autonomia e diritti propri che lo stato deve
riconoscere, tutelare e promuovere. La finalità, dunque, dello stato è la valorizzazione e la
realizzazione dell’uomo in quanto persona, perché attore e costruttore della società.
Si scorge chiaramente in questa posizione l’intento di proteggere la persona dal potere, affinché
il potere sia al servizio dell’uomo e non viceversa.
Già prima di Marx, il potere ha aspirato ad assorbire in sé tutto: già in Hobbes la sovranità non
poteva riconoscere spazio a quelli che oggi chiameremmo i corpi intermedi, perché avrebbero
costituito un pericolo permanente del male assoluto ossia la guerra civile.
Rousseau, nel suo totalitarismo e Hegel nel suo idealismo concordano nell’affermare che per
ritrovarsi l’uomo deve perdersi nello stato.
E’ importante precisare che sussidiarietà non significa in alcun modo abolizione o svuotamento
delle funzioni dello stato (o Regioni o Enti locali in genere). Se l’obiettivo è la persona e (quindi
i gruppi sociali) il compito dello stato, così come ricorda la Mater et Magistra è di orientamento,
stimolo, coordinamento, di supplenza e di integrazione (n. 59).
b) Limiti di competenza
In questo senso la società “superiore” non deve prevaricare su quelle minori, ma rispettare la loro
natura e i loro compiti, quindi aiutarle, supplire alle loro mancanze, integrarle in vista della loro
promozione globale, comprensiva della crescita della loro autonomia, della loro emancipazione,
del recupero della loro capacità di autorealizzazione.
c) Responsabilizzazione primaria dei singoli e delle società più vicine alle persone nella risposta ai
vari bisogni.
La sussidiarietà pone come condizione irrinunciabile la presenza, il dinamismo, la vitalità e la
capacità imprenditiva e gestionale delle società “minori” (dalle famiglie ai gruppi sociali più
complessi e numerosi). In altre parole presuppone un senso di responsabilità e di partecipazione
alla vita sociale che può essere trasmesso e rinnovato sulla base di valori e identità forti.
Il principio di sussidiarietà si applica bene anche al rapporto tra famiglia e stato, nel senso che
quest’ultimo deve mettere la famiglia in condizione di svolgere pienamente il suo compito
educativo e tutto ciò che le compete.
Dice Giovanni Paolo II secondo nella Familiaris consortio:
Certamente la famiglia e la società hanno una funzione complementare nella difesa e nella
promozione del bene di tutti gli uomini e di ogni uomo. Ma la società, e più specificatamente
lo stato, devono riconoscere che la famiglia è una società che gode di un diritto proprio e
primordiale, e quindi nelle loro relazioni con la famiglia sono gravemente obbligati ad
attenersi al principio di sussidiarietà (n.45).
In altre parole: lo stato (o società superiore) è davvero solidale con quelle inferiori quando le
responsabilizza e le rende più autonome e indipendenti.
Von Nell-Breuning che ha redatto con Pio XI la Quadragesimo anno afferma che il principio tratta
dell’aiuto che la comunità deve ai suoi componenti, cioè che il miglior aiuto è l’aiuto ad aiutarsi.
Tutto ciò comporta:
- rifiuto di ogni monismo sociale, assolutizzante lo stato, le regioni, o qualsiasi altro attore sociale
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-
valorizzazione del pluralismo sociale quale via connaturale e necessaria per l’espressione e il
compimento delle persone
il postulare quindi una società partecipativa, democratica, non un regime puramente
rappresentativo
il presupporre una solidarietà sussidiaria. ossia uno scambio organico tra società minori e
superiori.
Un campo di estrema importanza, per la valenza che possiede all’interno della vita di ogni popolo, è
quello dell’educazione. In esso il principio di sussidiarietà trova particolare applicazione. Dice
mons. Grillo:
L’educazione non è propriamente e direttamente compito dello stato, essendo essa uno dei
compiti fondamentali che la natura affida alla famiglia. Di conseguenza, lo stato in questo
campo deve agire in modo sussidiario, cioè integrativo rispetto alla famiglia, in quanto è
tenuto a rispettarne il diritto e la preminenza e ad astenersi da qualsiasi tendenza a
monopolizzare l’educazione (Itinerario di luce p. 177).
CONSEGUENZE PRATICHE
- Più società meno stato.
Questo slogan va calato nella complessità delle varie situazioni, al fine di individuare i corretti
ambiti di attuazione di un effettivo decentramento di una serie di attività che la società è in grado
di gestire meglio dello stato. Ci si riferisce in particolare al ripensamento del “Welfare State”. Si
va consolidando la convinzione che si dovrà andare verso un sistema misto: stato – profit – non
profit.
- Si impone anche un cambiamento di mentalità: privilegiare il politico, il sociale, cioè la
“cittadinanza sostanziale” dove il cittadino non è soggetto passivo ma attivo nella comunità
sociale. A tal fine è necessario fare un serio lavoro di ridefinizione delle modalità di azione
politica e sociale.
- E’ necessario promuovere una prassi educativa che favorisca le esperienze di volontariato,
cooperazione, partecipazione ed auto promozione.
- In negativo questo chiede: opposizione ad ogni forma d’accentramento, massificazione,
burocratizzazione, pianificazione generalizzata, assistenzialismo, eccedenza della sfera pubblica
nei riguardi del privato, contro ogni logica monopolistica. Seppure non è sempre facile
intravedere il confine tra giusto controllo statale e ingerenza statalista.
Attenzione alla differenza tra Sussidiarietà verticale e orizzontale:
- Verticale (si confonde con federalismo): identifica la cessione di poteri dallo stato alle regioni,
province ecc.
- Orizzontale: è quella che valorizza le forze e i gruppi intermedi presenti nel sociale.
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4. - IL PRINCIPIO DI BENE COMUNE
E’ da considerarsi il fine dell’agire sociale, spetta primariamente all’autorità costituita realizzarlo.
Comprende l’insieme delle condizioni che favoriscono il pieno sviluppo della persona e dei gruppi
intermedi e chiede uno sforzo comune. E’ un concetto antichissimo: già Platone, Aristotele e Seneca
ne parlarono. L’idea è quella del corpo e delle membra: tutti necessitano dello sforzo di tutti.
Per san Tommaso il bene comune è detto principalissimum perché comprensivo anche del bene dei
singoli e delle società inferiori: pertanto, è una categoria morale.
Nella storia delle dottrine politiche questo concetto ha assunto diverse formulazioni, più o meno
restrittive: da quella tomista che lo vedeva come mezzo per raggiungere il bene comune
soprannaturale, fino a quelle moderne che lo intendevano ristretto allo stato: bene comune come
bene dello stato, secondo diverse accezioni.
La Rerum novarum (n. 26) tende a vederlo come adempimento fondamentale dello stato per la
soluzione della questione sociale: esso deve promuovere anzitutto i beni morali e spirituali nella
società affinché possa essere conseguito un bene complessivo.
La definizione più ricorrente proviene dalla Gaudium et Spes:
Il bene comune si concreta nell’insieme di quelle condizioni sociali che consentono e
favoriscono negli esseri umani, nelle famiglie e nelle associazioni il conseguimento più pieno
e più rapido della loro perfezione” (n. 74).
La Chiesa non accetta né la concezione liberale né quella marxista del bene comune: la prima infatti
è eccessivamente individualistica, la seconda eccessivamente collettivistica. Il problema essenziale
diventa l’equilibrio tra la persona e la comunità.
Se in nuclei ristretti di costituzione naturale è piuttosto facile individuare le modalità in cui si attua
la ricerca del bene comune (famiglia, libere aggregazioni, ecc.) non altrettanto facile è delinearne le
caratteristiche in ambito più ampio quale è lo stato. Certamente il perseguimento e raggiungimento
del bene comune è compito precipuo dello stato, il quale deve trovare tutte le forme più appropriate
perché tutte le componenti della società siano poste nella condizione di sviluppare al massimo le
proprie potenzialità.
Nella Centesimus annus viene data una descrizione molto precisa di come debba essere inteso il
bene comune in ottica cristiana:
Esso non è la semplice somma degli interessi particolari, ma implica la loro valutazione e
composizione fatta in base ad un’equilibrata gerarchia di valori ed, in ultima analisi, ad
un’esatta comprensione della dignità e dei diritti della persona (n. 47).
Certamente è un principio molto ampio, non definibile una volta per tutte. E’ solo un punto di
riferimento che va sostanziato con la riflessione teologica e prima ancora con l’insegnamento
magisteriale nei vari tempi e nei vari luoghi.
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LE NUOVE SFIDE
Una serie di nuove problematiche si affacciano sulla scena umana ed interrogano la coscienza degli
uomini della società contemporanea. Di fronte a tali interrogativi i principi e criteri di
discernimento offerti della DSC vengono fortemente interpellati e provocati.
Di seguito solo alcuni fattori di preoccupazione.
- Il crescente potere della finanza, capace di orientare la politica e i destini dei singoli come dei
popoli.
- La new-economy o net-economy, con la capacità che sta mostrando di cambiare i rapporti tra
uomo e lavoro e tra gli uomini.
- Il fenomeno della globalizzazione, supportato dall’accelerazione degli scambi impresso dalle
tecnologie informatiche ed il conseguente timore di perdere le singole identità culturali.
- L’ingegneria genetica, che minaccia l’integrità dell’uomo, ma promette anche di curare malattie
oggi considerate letali. La conseguente nascita della bioetica.
- I flussi migratori verso i paesi occidentali di interi popoli che mettono in discussione consolidate
sicurezze.
- La minaccia all’occidente cristiano portato da una cultura, quella islamica, che, mostrandosi
sempre più invadente, va ad occupare gli spazi vuoti lasciati dalla cultura laicista.
Ognuna di queste questioni dovrà essere affrontata con quel bagaglio di saldi principi che la Chiesa
offre attraverso la DSC. Ma perché essa porti i frutti desiderati è necessario che venga accolta da
una comunità cristiana nella quale l’incontro con Cristo sia diventato decisione matura di seguirlo.
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CONCLUSIONI

La DSC, prima che una teoria, è la descrizione di una posizione, di una visione del mondo
definita da un fatto accaduto 2000 anni fa e che ancora oggi ci affascina: l’incarnazione di Cristo
nella storia dell’uomo. Cristo che irrompe nella storia dell’uomo: non esiste altro punto di
partenza e di arrivo.
 Allora la DSC deve diventare il contenuto di una mentalità diversa, capace di dialogare con
l’uomo moderno e di porre una novità all’interno del tessuto sociale .
 Ma perché la DSC possa diventare mentalità è necessario che l’avvenimento di Cristo fatto
uomo diventi esperienza, una concretezza che cambia i connotati della vita: incontro con un
fatto eccezionale che si manifesta in una compagnia da seguire.
 Nell’esperienza cattolica il rapporto con Cristo si prolunga in un rapporto tra uomini che si
muovono nella storia senza parzialità o faziosità, nella totalità dei fattori che costituiscono la
realtà. Non esiste quindi angolo della vita che non possa essere investito dalla novità di
quell’avvenimento: tutto è parte di me, tutto mi interessa.
Le citazioni sono prese dai seguenti testi
GIROLAMO GRILLO, Itinerario di luce. Un secolo di dottrina sociale della chiesa. Marietti, Genova 2001
LUIGI GIUSSANI, L’io, il potere, le opere. Contributi da un’esperienza. Marietti, Genova 2000
Per un approfondimento
MARIO TOSO, Welfare Society. L’apporto dei pontefici da Leone XIII a Giovanni Paolo II, LAS, Roma 1995
MARIO TOSO, Verso quale società? La dottrina sociale della Chiesa per una nuova progettualità, LAS, Roma 2000
MARIO TOSO, Umanesimo sociale. Viaggio nella dottrina sociale della Chiesa e dintorni, LAS, Roma 2001
Reggio Emilia, Settembre 2002
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