1 CAPITOLO 1 IL CALORE NELL’INDUSTRIA FARMACEUTICA Il calore viene distribuito nei reparti tramite vapor d’acqua, che viene formato dall’acqua nella centrale termica, cioè nella caldaia (v. Rif. 1, p. 26-29). Queste caldaie trasformano l’energia chimica di un combustibile, cioè metano, il quale viene scelto perché i suoi prodotti di combustione non inquinano, in energia termica e i gas caldi della combustione forniscono calore all’acqua, trasformandola in vapore che viene distribuito nello stabilimento. Si usa l’acqua perché 1) è capace di assorbire e cedere grandi quantità di calore per unità di massa, 2) è non tossica, e 3) è disponibile in grandi quantità. L’acqua può assorbire e successivamente cedere due tipi di calore: 1) calore sensibile 2) calore latente Il calore sensibile si chiama così perché uno scambio di questo tipo di calore può essere avvertito dai sensi, cioè quando un corpo assorbe calore sensibile la sua temperatura aumenta, mentre quando lo cede essa diminuisce. Il calore sensibile è dato da: h = mCST Eq. 1.1 m = massa del corpo che assorbe o cede calore sensibile CS = calore specifico del corpo T = variazione di temperatura che il corpo subisce quando scambia calore sensibile L’acqua scambia calore sensibile quando non subisce passaggio di stato durante lo scambio. L’acqua è capace di assorbire o cedere calore latente quando subisce passaggio di stato. Il calore latente specifico (calore latente per unità di massa) si indica con . Esso è coinvolto nei passaggi di stato. Quando l’acqua passa allo stato di vapore assorbe calore latente, oppure, quando il vapore si condensa ad acqua, cede calore latente. Il calore coinvolto si chiama “latente” perché il processo avviene a temperatura costante e non è evidenziabile sensibilmente (ad es., con un termometro). Consideriamo come varia il contenuto termico dell’acqua quando ad essa viene fornito calore. 2 Se l’acqua assorbe calore aumenta il suo contenuto termico. Se un sistema assorbe o cede calore a pressione costante, varia una sua funzione di stato che è l’entalpia. Il calore scambiato da un sistema, a pressione costante, è quantificato come variazione di entalpia del sistema. L’entalpia è anche detta contenuto termico. Quando si misura l’entalpia bisogna prendere come riferimento uno stato in cui essa sia 0, nel nostro caso assumiamo come riferimento l’acqua a 0C. Quindi: per T = 0C H=0 Immaginiamo di avere un contenitore con dell’acqua; sull’acqua supponiamo che sia posto un pistone. La pressione a cui è sottoposta l’acqua è uguale al peso del pistone per unità di superficie, più la pressione atmosferica; la pressione dunque è costante e la indichiamo con P1. Inizialmente l’acqua è a 0C. 3 Supponiamo di fornire calore: la temperatura dell’acqua aumenta senza che vi siano passaggi di stato. Questa affermazione è verificata nel diagramma di stato dell’acqua. Le curve rappresentano i valori di P e T per cui ci sono due fasi in equilibrio, mentre le zone al di fuori di queste curve sono costituite da una sola fase. Per considerare il processo di assorbimento di calore da parte dell’acqua tracciamo su questo diagramma la condizione da cui si parte: la temperatura di 0C e la pressione P1>1 atm. In tali condizioni l’acqua è allo stato liquido. Mentre si fornisce calore la pressione rimane costante, mentre aumenta la T, cioè l’acqua assorbe calore sensibile, quantificato dall’Eq. 1.1. Lo stato liquido dell’acqua persiste fino a che non si incontra la curva di equilibrio liquido/vapore. Questo punto è definito da P1 e TS. Lo stato liquido dell’acqua esiste nell’intervallo di temperatura: 0°C T TS A TS avviene il passaggio di stato liquido-vapore. La situazione nel nostro contenitore ora deve essere schematizzata in un altro modo: 4 Il pistone, che continua ad esercitare la pressione P1, si alza perché si forma vapore d’acqua che è in equilibrio termodinamico con l’acqua liquida. Questa situazione si ha, appunto, per T=TS. In questo passaggio di stato il calore viene assorbito dall’acqua come calore latente e questa situazione permane fino a che è presente acqua liquida nel sistema. TS è la temperatura del vapore saturo. Si definisce vapore saturo il vapore che è in equilibrio termodinamico con la fase liquida. Tecnicamente, questo vapore è definito vapore saturo umido perché è in presenza di acqua liquida. Se si fornisce calore fino a che tutta l’acqua liquida è passata allo stato di vapore, ma la T è ancora TS, la situazione sarà ancora cambiata: 5 Nel contenitore sarà presente soltanto vapore. Se la temperatura è ancora TS, esso sarà vapore saturo, cioè, le sue condizioni sono definite da P1 e TS, un punto che si trova ancora sulla curva di equilibrio, solo che ora non c’è più acqua liquida. Questo è vapore saturo secco. Forniamo ancora calore. Il passaggio di stato è finito e il vapore saturo secco, assorbendo calore, si riscalda. Si passa, nel diagramma di stato, nella zona costituita da solo vapore (zona G). Il vapore non è più saturo, dato che non è in equilibrio con l’acqua liquida, ma è vapore surriscaldato. Il volume aumenta; la pressione è sempre P1. Si ha una espansione che è tanto maggiore quanto maggiore è l’aumento di temperatura. Il vapore a questo punto obbedisce alla legge dei gas perfetti, anche se non rigorosamente, dato che si tratta di un gas reale e non di un gas ideale. Il calore che viene assorbito dal vapore surriscaldato è calore sensibile, in quanto il suo assorbimento comporta un aumento della temperatura del vapore (Tsurr). I vari tipi e quantità di calore che l’acqua ha assorbito durante tutto questo processo sono riportati sui normali manuali di chimica-fisica, in tabelle del vapore d’acqua. I valori riportati sono quelli del calore sensibile e del calore latente dell’acqua, e del calore sensibile del vapore surriscaldato. Numericamente questi valori dipendono dalla pressione. Che cambiano i valori del calore sensibile al variare di P si vede dal diagramma di stato. Ad 6 es., ad una P più bassa, la variazione di T da 0°C a TS è minore, oppure, se prendiamo una P più alta questa variazione è maggiore. Consideriamo ora i valori di calore sensibile e calore latente riportati nelle tabelle del vapore. In queste tabelle è riportato il calore sensibile per unità di massa. Se m=1, l’Eq. 1.1 diventa: h = CST Per esprimere il contenuto di calore sensibile per unità di massa consideriamo che T varia da 0°C a TS. Quindi: h = CSTS Poiché TS dipende direttamente dalla pressione (v. diagramma di stato), anche il valore di h dipende dalla pressione. Nelle tabelle sono riportati valori di h relativi a diverse pressioni. Nelle stesse tabelle sono anche riportati i valori di (calore latente specifico) relativi a diverse pressioni. Le tabelle riportano anche il valore del contenuto termico dell’unità di massa del vapore saturo secco (HS): HS = h + Questa equazione presuppone che tutta l’unità di massa di acqua sia passata allo stato di vapore saturo e quindi sia diventata vapore saturo secco. Viene riportato anche il contenuto termico del vapore surriscaldato: Hsurr = h + + hsurr hsurr = calore sensibile che il vapore ha assorbito durante il riscaldamento da TS fino a Tsurr: hsurr = CP (Tsurr – TS) CP = calore specifico del vapore a pressione costante. Utilizzo del vapore Il vapore è introdotto negli scambiatori per fornire calore ad un altro fluido. Uno scambiatore di calore consente lo scambio di calore fra due fluidi attraverso una parete solida. Gli scambiatori di calore sono costruiti in modo da massimizzare la superficie di questa parete e minimizzare il volume dello scambiatore. Se, per esempio, si usa un tubo come scambiatore, questo sarà avvolto a serpentina. Nell’industria spesso si utilizza il fascio tubiero: un contenitore al cui interno c’è un fascio di tubi paralleli collegati tra loro. Nei tubi scorre un fluido, all’esterno dei tubi, quindi nel contenitore, ne scorre un altro e lo 7 scambio avviene attraverso la parete dei tubi. Essendoci tanti tubi, la superficie di scambio è molto grande, mentre l’ingombro è relativamente piccolo (v. Rif. 1, p. 27). Nello scambiatore si può introdurre acqua liquida a pressione atmosferica, come fluido che fornisce il calore, se la temperatura a cui si vuole riscaldare l’altro fluido è molto minore di 100 °C. Nei casi più frequenti, però, si introduce il vapore. Sarà conveniente usare il vapore per cui è massima la quantità di calore disponibile per unità di massa; quindi, se si deve scegliere tra vapore saturo umido e vapore saturo secco, conviene usare il vapore saturo secco, perché la parte preponderante nel contenuto termico del vapore saturo è costituita dal calore latente, come si potrebbe vedere confrontando numericamente, nell’espressione di HS, il valore di h e il valore di . Poiché solo il vapore, e non l’acqua, contiene il calore latente, il vapore saturo secco, che non contiene acqua, contiene una quantità di calore per unità di massa maggiore rispetto al vapore umido. Si è visto che è più conveniente l’uso del vapore saturo secco rispetto al vapore saturo umido. Si può dimostrare (ma non lo facciamo qui) che è più conveniente usare il vapore saturo secco piuttosto che il vapore surriscaldato. Dunque, nelle tubazioni di distribuzione del vapore scorre vapore saturo secco. Quando questo vapore saturo secco cede calore si condensa e diventa vapore saturo umido che quindi, ogni volta che avviene uno scambio di calore, deve essere separato dall’acqua perché, essendo saturo umido, è meno efficiente negli scambi di calore. Per questo si usano apposite trappole, che sono apparecchi che servono a separare il vapore dall’acqua liquida (per la loro descrizione, v. Rif. 4, p. 158-160). E’ importante che quando si usa il vapore saturo secco per riscaldare un sistema si usi la temperatura minima possibile, che garantisca però lo scambio termico a una velocità soddisfacente. Il calore fluisce infatti tanto più rapidamente attraverso la parete di uno scambiatore quanto maggiore è la differenza di temperatura fra la sorgente del calore, che in questo caso è il vapore, e il sistema che si vuole riscaldare. Tuttavia, se la temperatura del vapore è molto elevata è difficile evitare lo scambio termico tra il vapore e l’ambiente esterno quando questo vapore viene trasportato nelle tubazioni da un reparto ad un altro. E’ vero che le tubazioni sono coibentate (isolate termicamente), però una certa frazione di calore viene perduta durante questa distribuzione e questa frazione è tanto più alta quanto più alta è la temperatura del vapore. Quindi bisogna che questa temperatura sia abbastanza elevata da garantire lo scambio in modo sufficientemente rapido con il sistema da 8 riscaldare, ma che sia la minima possibile per limitare la perdita di calore in fase di distribuzione. Un’altra ragione per cui il vapore saturo dovrebbe essere usato ad una temperatura più bassa possibile è che il calore latente specifico dipende dalla pressione del vapore (e, quindi, dalla temperatura, che è correlata direttamente con la pressione) ed è maggiore a P e T più basse. Il vapore inoltre non dovrebbe contenere aria. Supponiamo infatti che il vapore contenga aria e consideriamo l’unità di massa di questa miscela aria-vapore. E’ solo il vapore che scambia calore latente, mentre l’aria scambia calore sensibile. Quindi, se consideriamo l’unità di massa del vapore puro, questo ha un calore latente per unità di massa che è uguale a . Viceversa, se è presente una certa frazione di aria, la frazione di massa di vapore si abbassa e si abbassa anche la quantità di calore latente per unità di massa di miscela disponibile per lo scambio. Si deve anche considerare che la presenza dell’aria nel vapore ne abbassa la temperatura, infatti: P0 = PV + Paria P0 = pressione totale della miscela aria-vapore; PV = pressione parziale del vapore saturo; Paria = pressione parziale dell’aria. Se Paria=0 P0=PV, viceversa, se il vapore contiene aria, la pressione del vapore è minore di P0 e anche la sua temperatura è più bassa di quando il vapore è puro, perché c’è una dipendenza diretta tra la pressione del vapore saturo e la temperatura del vapore saturo: se la pressione parziale del vapore saturo si abbassa per la presenza dell’aria, si abbassa anche la sua temperatura. Inoltre, l’aria non ci deve essere perché quando avviene lo scambio termico l’aria tende a disporsi tra il vapore e la parete dello scambiatore, quindi il calore ceduto dal vapore deve attraversare una barriera d’aria prima di attraversare la parete dello scambiatore e arrivare al sistema da riscaldare. Dato che l’aria ha una conducibilità termica piuttosto bassa, essa fa da isolante e si oppone allo scambio di calore. Si deve quindi evitare che ci sia aria nel vapore e se c’è, essa deve essere allontanata. Le valvole che si usano allo scopo specifico di allontanare l’aria dal vapore sono descritte nel Rif. 4, p.159, Fig. 12.8. PRODUZIONE DEL FREDDO 9 Nell’industria farmaceutica per la produzione del freddo si usano gli impianti frigoriferi, che sono basati sulla compressione di un fluido, detto fluido frigorigeno e sulla sua successiva espansione. Quando questo fluido, che viene compresso e condensato a liquido, viene fatto poi evaporare, nell’evaporazione esso assorbe calore latente, sottraendo calore al sistema in contatto termico con esso. Questo è il principio su cui si basano gli impianti frigoriferi, che sono descritti nei dettagli nel Rif. 1, p. 30-34. 10 CAPITOLO 2 FLUSSO DEL CALORE Nell’industria il calore passa da un sistema, che in genere è un fluido, ad un altro sistema fluido attraversando una parete, la parete dello scambiatore, che è una parete solida, attraversata dal calore per conduzione. A noi interessa l’espressione della velocità con cui il calore attraversa questa resistenza termica. Vogliamo trovare l’equazione che esprime la velocità con cui il calore attraversa questa parete per conduzione. La attraversa per conduzione perché la parete è solida, quindi l’attraversamento della parete avviene attraverso trasmissione di energia cinetica tra le molecole che compongono la parete solida in seguito agli urti tra di esse. Le molecole a temperatura più alta hanno energia cinetica maggiore. Queste, urtando le molecole a temperatura più bassa, trasmettono loro energia cinetica e in questo modo si propaga il calore per conduzione. Il trasporto di calore per convezione invece prevede una miscelazione di masse più calde con masse più fredde, mentre l’irraggiamento comporta il trasporto di energia attraverso onde elettromagnetiche. Fig. 2.1 Impostiamo l’equazione differenziale che esprime la velocità di trasferimento del calore per conduzione attraverso la parete. Il calore si propaga da una zona a temperatura più alta ad un’altra a temperatura più bassa. Supponiamo che sulla faccia della parete che è a contatto con il compartimento 1, che è il fluido che cede calore, la temperatura sia maggiore che non sull’altra faccia della parete che è a contatto con il fluido 2, che riceve il calore. Quindi: T1>T2. Poniamo x=0 in 11 corrispondenza della faccia 1, e x=L in corrispondenza della faccia 2. Se immaginiamo una sezione verticale, parallela alle facce della parete, all’interno della parete, in corrispondenza di un qualsiasi valore di x (0 x L), possiamo scrivere l’espressione della velocità istantanea al tempo t del passaggio del calore attraverso questa sezione: dQ dT Ak dt dx 0 x L, t 0 x L, t Eq. 2.1 dT/dx = gradiente di temperatura attraverso la sezione A = area della sezione attraversata k = coefficiente di conducibilità termica del materiale di cui è costituita la parete. L’Eq. 2.1, generale, va integrata per casi particolari, che sono quelli che ricorrono nella pratica. Noi intanto poniamo che la capacità termica del mezzo 1 e la capacità termica del mezzo 2 siano molto maggiori della capacità termica della parete. In queste condizioni, cioè assumendo che la capacità termica della parete sia trascurabile, (e questo è il caso che si verifica in pratica, dato che la parete è quella di un tubo che ha spessore limitato e comunque, quando ci sono gli scambi termici tra un fluido 1 e un fluido 2 la capacità termica del tubo è in genere effettivamente trascurabile rispetto a quella del fluido 1 e del fluido 2), dopo un tempo abbastanza breve dall’inizio del contatto si verifica che il flusso termico ad un certo tempo t è costante rispetto a x, per 0 x L: dQ dt costante rispetto a x, per 0 x L t Questo significa che il flusso termico per x=0, che rappresenta la velocità con cui il calore entra nella parete, è uguale al flusso per x=L, che rappresenta la velocità con cui il calore esce dalla parete: dQ dQ dt t , x o dt t , x L In questa condizione che abbiamo posto, non c’è accumulo di calore nella parete, perché la quantità di calore che vi entra nell’unità di tempo è uguale alla quantità di calore che ne esce nell’unità di tempo. Quindi, il calore transita nella parete senza accumularsi in essa. Questa situazione è possibile nella condizione detta, cioè, che la capacità termica della parete sia trascurabile rispetto alla capacità termica del sistema 1 e del sistema 2. Se è vero questo, questa velocità può essere definita come flusso di calore attraverso la parete, q(t). 12 Questa condizione, che si verifica dopo un tempo molto breve dall’inizio dello scambio termico, comporta anche, secondo l’Eq. 2.1, che il gradiente di temperatura, dT/dx, ad un certo tempo, t, che è lo stesso per cui si considera il flusso, sia costante rispetto a x per 0 x L: dQ dQ dT = q(t) = costante rispetto a x per 0 x L dt dt t ,x L dx t t ,x o Questo significa che si può tracciare sul diagramma in Fig. 2.1 la curva della temperatura rispetto alla distanza attraverso la parete solida. Poiché il gradiente di temperatura è costante attraverso tutta la parete, e poiché il gradiente non è altro che la pendenza della curva T rispetto a x, se questa pendenza è costante attraverso tutta la parete, allora la curva sarà una retta. Quindi nella condizione che stiamo considerando la temperatura decade linearmente da T1 a T2. Allora si può scrivere: x L, t T T dT T 2 1 dx L x x 0, t 0 x L, t A questo punto possiamo scrivere l’equazione del flusso istantaneo di calore, ricavata dall’Eq. 2.1 ponendo le condizioni sopra illustrate: qt Ak T1 T2 L Eq. 2.2 Nelle condizioni che ricorrono nei processi che noi consideriamo è applicabile l’Eq. 2.2, cioè l’espressione del flusso termico istantaneo attraverso la parete solida. Ci possono essere due casi che ci interessano: 1) T1 e T2 costanti nel tempo q = costante nel tempo. Questo è uno STATO STAZIONARIO. Nella pratica, questa situazione si verifica quando la temperatura nel sistema 1 e la temperatura nel sistema 2 non variano nel tempo durante lo scambio di calore. Un caso pratico è quando avviene un passaggio di stato sia nel compartimento 1 che nel compartimento 2. Per esempio, se la sorgente di calore è il vapore saturo che ha una temperatura più alta del sistema 2, quando il vapore saturo cede calore non cambia la sua temperatura, ma condensa a temperatura costante, quindi la temperatura nel compartimento 1 rimane costante ed è quella del passaggio di stato vapore-acqua. Se il compartimento 2 contiene acqua che bolle ad una temperatura più bassa di T1, il sistema 2 13 riceve calore senza cambiare la sua temperatura, ma semplicemente passando di stato. Quindi questo è un caso di stato stazionario. 2) T1 e T2 variabili nel tempo q = q(t). Questo è un caso di STATO QUASI-STAZIONARIO. Nello stato quasi-stazionario è vero come nello stato stazionario che il gradiente di temperatura attraverso la parete è costante, rispetto a x, però varia rispetto a t. In un tempo successivo, questo gradiente è ancora costante rispetto ad x però è diverso rispetto al valore che aveva al tempo precedente. Questa situazione si verifica se nel compartimento 1 c’è vapore saturo e nel compartimento 2 c’è acqua che si riscalda, ad es., partendo dalla temperatura ambiente ed arrivando alla temperatura di ebollizione (100°C), (vedi Fig. 2.2). Fig. 2.2 Il gradiente di temperatura è costante attraverso la parete. L’Eq. 2.2 è valida quando è definito il valore di A (area della sezione attraversata) e presuppone che l’area della faccia della parete a contatto con il sistema 1 sia uguale all’area della faccia della parete a contatto con il sistema 2. Questo è vero quando la parete è piana. Però nell’industria gli scambiatori sono tubi. In un tubo, a rigore, l’area della faccia interna è minore dell’area della faccia esterna. Però, se lo spessore del tubo è trascurabile rispetto al raggio della sezione del tubo, la differenza tra l’area della faccia esterna e l’area della faccia interna è trascurabile, per cui possiamo assimilare la parete del tubo, che è cilindrica, ad una parete piana. 14 FLUSSO TERMICO ATTRAVERSO PARETI COMPOSTE La situazione considerata fino ad ora non si verifica mai nell’industria perché è troppo semplice, in quanto abbiamo considerato un’unica parete, quindi un’unica barriera termica, attraversata per conduzione. Prima di vedere perché in pratica questa situazione non si verifica mai, estendiamo la trattazione teorica al caso in cui ci sono diverse pareti adiacenti una all’altra e vediamo come si esprime teoricamente il flusso termico in condizioni di stato stazionario o quasi stazionario, quando le pareti attraversate costituiscono una serie. Per fare questo utilizziamo l’analogia tra flusso di calore e flusso di carica elettrica. Quando una corrente passa attraverso un conduttore fluisce carica attraverso il conduttore. Il caso che è stato trattato è quello di un conduttore di calore, la parete solida, che è attraversata, invece che dalla carica, dall’energia termica. L’Eq. 2.2, che esprime il flusso termico istantaneo, la possiamo confrontare con la LEGGE DI OHM che esprime il flusso della carica elettrica generato da una differenza di potenziale attraverso un conduttore: i V R Eq. 2.3 Nel caso del calore è la differenza di temperatura che genera il flusso termico, quindi risulta chiara l’analogia tra l’Eq. 2.2 e l’Eq. 2.3. Sulla base di questa analogia, noi possiamo definire la resistenza termica, RT: RT L Ak L’espressione di RT è analoga all’espressione della resistenza elettrica, R. Infatti la resistenza elettrica di un conduttore è proporzionale alla lunghezza del conduttore e inversamente proporzionale alla sezione del conduttore. Il coefficiente di proporzionalità è detto resistività. Nel caso del flusso termico, la resistività è 1/k, cioè l’inverso della conducibilità. Quindi c’è una analogia perfetta. Per una serie di resistenze elettriche è noto che la resistenza totale, R, è: R = Ri dove Ri è la resistenza iesima. Analogamente, se noi abbiamo delle pareti in serie che vengono attraversate dal calore, ciascuna di queste pareti è una resistenza termica, quindi la resistenza termica totale è la somma delle resistenze delle singole pareti. Ogni termine della somma può differire dall’altro per L, perché lo spessore di ciascuna parete può essere diverso, e per k, perché le 15 pareti possono essere fatte di materiali diversi e quindi è diversa la conducibilità termica. L’area A invece è la stessa perché le pareti sono in serie e l’area della sezione normale alla direzione di propagazione del calore non cambia. Allora possiamo scrivere: RT 1 Li/ki A Eq. 2.4 RT = resistenza termica totale Facciamo un diagramma di T rispetto a x (v. Fig. 2.3) supponendo di avere 3 pareti in serie, attraversate dal calore per conduzione. Numeriamo le resistenze termiche con I, II e III, allora avremo che il sistema 1 è a sinistra della resistenza I con temperatura più alta e il sistema 2 è a destra della resistenza III con temperatura più bassa. La temperatura all’interfaccia tra il sistema 1 e la parete I sarà T1 e la temperatura all’interfaccia tra la parete III e il sistema 2 sarà T2. 16 Fig. 2.3 In condizioni di stato stazionario o quasi-stazionario la velocità con cui il calore entra nel sistema di pareti è uguale alla velocità con cui il calore ne esce. Allora è anche vero che la velocità con cui il calore attraversa ciascuna parete è uguale. In tali condizioni, il gradiente di temperatura attraverso ciascuna parete è costante, quindi, la caduta di temperatura è lineare. Quindi possiamo scrivere: q t A ki Ti Li ki = conducibilità termica di una qualsiasi di queste pareti (parete iesima); Li = spessore della parete iesima; Ti = differenza di temperatura tra le due facce della parete iesima. Una tale espressione del flusso termico vale per una qualsiasi delle pareti. La pendenza della retta che esprime T in funzione di x, T/L, è tanto maggiore quanto minore è il valore di k. Questo perché q(t), e quindi anche il prodotto k (T / L) , è uguale per tutte le pareti. Quindi per una parete dove k è più bassa la pendenza T/L deve essere più grande. Quanto detto giustifica il diagramma della temperatura in funzione di x attraverso il sistema di pareti, riportato in Fig. 2.3. Non si può conoscere il valore di Ti ma si possono conoscere T1 e T2; quindi il flusso termico deve essere scritto in funzione di T1 e T2: qt A T1 T2 Li ki Eq. 2.5 17 Il flusso termico attraverso resistenze termiche in serie, in condizioni di stato stazionario o stato quasi-stazionario si esprime in modo perfettamente analogo alla legge di Ohm (Eq. 2.3), dove al posto della differenza di potenziale, V, c’è la differenza di temperatura T1-T2 e al posto della resistenza elettrica totale, R, c’è la somma delle resistenze termiche che il calore incontra per passare dal sistema 1 al sistema 2, espressa dall’Eq. 2.4. Tracciamo il profilo della temperatura rispetto a x attraverso le resistenze termiche I, II e III, in condizioni di stato quasi-stazionario, analoghe a quelle della Fig. 2.2: Fig. 2.4 18 FLUSSO DI CALORE DA UN FLUIDO A UN ALTRO FLUIDO ATTRAVERSO UNA PARETE SOLIDA Ora supponiamo che il calore passi da un fluido 1 a sinistra della parete ad un fluido 2 a destra della parete. Fig. 2.5 Se siamo in condizioni di stato stazionario o quasi-stazionario il gradiente di temperatura attraverso la parete solida sarà costante (e quindi l’andamento di T sarà rettilineo, quasi orizzontale, perché la conducibilità termica della parete è relativamente elevata). Nei fluidi 1 e 2 c’è una situazione analoga: c’è uno strato di fluido che si muove con flusso laminare, adiacente alla parete solida. Lo spessore di ciascuno dei due strati a sinistra e a destra di tale parete si può assumere uguale a L e L’, rispettivamente. In questi strati non c’è miscelazione di fluido per cui essi vengono attraversati dal calore per conduzione, con un gradiente di temperatura virtualmente costante. A sinistra dello strato L e a destra dello strato L’ il flusso è turbolento, i fluidi 1 e 2 sono miscelati e la temperatura è uniforme rispetto alla distanza (T1 e T2, rispettivamente). 19 La zona 2 può essere occupata da qualsiasi fluido che riceve calore dal fluido 1. Se la velocità del fluido 2 aumenta, L' diminuisce. Se poi consideriamo che questo fluido è, per esempio, un liquido che viene agitato, se si aumenta la velocità di agitazione L' diminuisce. Quando si scrive l’espressione del flusso termico dal fluido 1 al fluido 2 si deve considerare che il calore attraversa tre barriere in serie: lo strato di fluido 1 a flusso laminare, di spessore L, la parete dello scambiatore, e lo strato del fluido 2 a flusso laminare, di spessore L'. In generale, l’espressione di q(t) è data dall’Eq. 2.5. 20 CAPITOLO 3 PSICROMETRIA La psicrometria, o igrometria, misura le proprietà dell’aria umida. L’umidità dell’aria dell’ambiente è importantissima per i processi di essiccamento e di rivestimento e per i locali in cui vengono manipolati i liofilizzati. Inoltre, i prodotti farmaceutici, dopo la preparazione, si conservano in locali in cui l’aria deve avere umidità controllata. Infatti, l’umidità influisce sulla stabilità dei principi attivi e sulle proprietà degli eccipienti. Ci sono diverse definizioni dell’umidità dell’aria: H = umidità assoluta dell’aria = mvapore g maria Kg H è la massa di vapore, espressa in grammi, contenuta nell’unità di massa di aria secca, espressa in chilogrammi. H(%) = umidità assoluta relativa = H H S T 100 HS = umidità assoluta dell’aria quando è satura di vapore ad una certa T. L’umidità assoluta di saturazione dipende dalla temperatura: se la temperatura aumenta, la massa di vapore che satura l’unità di massa d’aria è maggiore. Quindi HS, e quindi H(%) è funzione della temperatura. U.r. = umidità relativa = Pvap PS T 100 Pvap = pressione parziale del vapore; PS(T) = pressione di vapore saturo alla temperatura T. LA CARTA PSICROMETRICA (IGROMETRICA) La carta psicrometrica è un diagramma di H rispetto a T che contiene curve, ciascuna caratterizzata da un particolare valore di una proprietà del sistema aria-vapore. I punti di ciascuna di queste curve corrispondono a valori di umidità assoluta e temperatura per i quali quella certa proprietà del sistema aria-vapore ha lo stesso valore. 21 Una di queste proprietà che caratterizzano le curve che si trovano sulla carta psicrometrica è l’umidità relativa (v. Fig. 3.1) Fig. 3.1 Conoscendo H e T dell’aria, sulla carta è individuato un punto che permette di apprezzare l’u.r. di tale aria. Viceversa, conoscendo l’u.r. e la temperatura, per mezzo della carta si può risalire all’umidità assoluta. Le curve sulla carta psicrometrica si trovano esclusivamente nella zona a destra della curva di saturazione, cioè della curva relativa al 100% di umidità relativa. Il sistema ariavapore infatti esiste solo a destra della curva di saturazione. Per ogni punto sulla curva di saturazione, l’umidità e la temperatura sono HS e TS, cioè l’aria è satura di vapore. Se ci spostiamo a sinistra di tale curva, sia mantenendo uguale la temperatura e aumentando l’umidità, sia mantenendo uguale l’umidità e diminuendo la temperatura, si va oltre la saturazione ed il sistema non sarà più aria-vapore ma sarà aria-vapore-acqua. Un’altra proprietà del sistema aria-vapore che si può conoscere tramite la carta psicrometrica e che caratterizza altre curve è la temperatura di bulbo umido. 22 Il termometro a bulbo umido è un termometro il cui bulbo è mantenuto costantemente bagnato. A tale scopo, il bulbo è ricoperto da una calza di materiale fibroso che pesca in un serbatoio di acqua, mantenuto coperto in modo che l’acqua di questa riserva non evapori. L’acqua per capillarità bagna la calza e qualunque sia la velocità di evaporazione dell’acqua dalla calza, tale acqua viene immediatamente rimpiazzata dall’acqua della riserva. Immaginiamo di mettere vicino al termometro a bulbo umido un termometro a bulbo secco. L’aria dell’ambiente in cui si trovano i due termometri ha umidità assoluta H e temperatura T. H e T non vengono perturbate dall’evaporazione dell’acqua dal bulbo umido perché l’aria è in grande eccesso rispetto al vapore proveniente dal bulbo umido. L’aria all’interfaccia con il bulbo umido ha una umidità assoluta che indichiamo con HS, perché tale aria è satura di vapore. La temperatura del bulbo umido la indichiamo con TS. Perché TS assuma un valore costante è necessario un ventilatore che renda turbolento il flusso dell’aria intorno al bulbo umido. Confrontiamo TS con T. TS sarà uguale a T solo se l’aria dell’ambiente è satura di vapore, ovverosia se H è uguale a HS: H = HS TS = T Se invece, come capita generalmente, l’umidità dell’aria dell’ambiente è minore rispetto alla saturazione avremo: H < HS TS < T Per spiegare questa disuguaglianza, supponiamo che, al tempo zero, sia: H<HS e TS=T. Poiché l’umidità assoluta esprime la concentrazione del vapore nell’aria, la disuguaglianza HS>H, vuol dire che tale concentrazione è maggiore all’interfaccia con il bulbo umido rispetto all’aria dell’ambiente. Dunque ci sarà una diffusione del vapore dal bulbo umido all’aria dell’ambiente. Si verificherà che la massa di vapore che diffonde dal bulbo umido all’aria è immediatamente rimpiazzata da una uguale massa di vapore che si forma per evaporazione dal bulbo umido: dmdiff/dt=dmev/dt La massa mev che si forma per evaporazione, per formarsi ha bisogno di assorbire calore latente di evaporazione: mev=Qlat/ Qlat = calore latente = calore latente specifico 23 Poiché viene assorbito calore latente, si ha un raffreddamento dell’acqua del bulbo umido. Si ha questo raffreddamento perché non c’è sorgente esterna di calore (al tempo zero TS=T) allora il calore latente di evaporazione è assorbito a spese della energia interna dell’acqua del bulbo umido. Quindi, se diminuisce l’energia interna di tale acqua, diminuisce anche la temperatura TS rispetto a T. Nel momento in cui TS<T, l’aria intorno al bulbo umido diventa una sorgente di calore perché la sua temperatura T è maggiore di TS, per cui si ha che dal bulbo umido il vapore passa all’aria e dall’aria il calore passa al bulbo umido: Se l’aria è agitata e si ha un flusso turbolento intorno al bulbo umido si raggiunge uno stato stazionario di questi processi dopo un tempo abbastanza breve. Allo stato stazionario il calore latente di evaporazione è interamente fornito dall’aria: dQlat /dt=q dove q è il flusso di calore dall’aria al bulbo umido. In queste condizioni la temperatura del bulbo rimane costante nel tempo (TS=cost) e questa temperatura viene definita temperatura di bulbo umido. CONDIZIONI DI STATO STAZIONARIO: dmdiff dt dmev q cost dt dmdiff /dt = velocità di diffusione del vapore dal b.u. all’aria dmev /dt = velocità di evaporazione dell’acqua sul b.u. q = velocità di trasferimento di calore dall’aria al b.u. = calore latente specifico di evaporazione dell’acqua Le condizioni di stato stazionario riguardano due processi: il trasferimento di massa e il trasferimento di calore. Per descrivere il trasferimento di calore si usa il diagramma della temperatura rispetto alla distanza. 24 Si tratta del caso in cui il calore passa da un fluido (aria) ad una parete (superficie del b.u.). Nell’aria dell’ambiente la temperatura è uniforme perché il flusso è turbolento ad opera del ventilatore. Adiacente alla superficie del bulbo umido c’è uno strato di aria a flusso laminare di spessore L e attraverso questo strato si ha una caduta lineare di temperatura, cioè il gradiente di temperatura è costante, il calore viene trasferito per conduzione in condizioni di stato stazionario. Il flusso termico q sarà (v. Eq. 2.2): q AhT TS h Eq. 3.1 k L A = area del bulbo umido h = coefficiente di trasferimento di calore k = conducibilità termica dell’aria Per il trasferimento di massa viene fatto un diagramma analogo dove al posto di T in ordinata è riportata H, l’umidità assoluta. 25 La velocità con cui il vapore diffonde dalla superficie del bulbo umido all’aria è: dmdiff dt AK H S H Eq. 3.2 K = coefficiente di trasferimento di massa HS = umidità assoluta all’interfaccia aria-bulbo umido H = umidità assoluta dell’aria nella zona a flusso turbolento K D L D = coefficiente di diffusione del vapore nell’aria Allora le condizioni di stato stazionario possono essere descritte dalla seguente equazione: h T TS K H S H Eq. 3.3 Questa equazione può essere riarrangiata ricavando H in funzione di T: H HS h h TS T K K Eq. 3.4 Analizziamo il rapporto h/K: h e K variano se cambia la velocità del ventilatore perché questa velocità determina lo spessore del film di aria a flusso laminare adiacente alla superficie del bulbo umido, ma il loro rapporto non varia: h k K D k = conducibilità termica dell’aria Eq. 3.5 26 D = coefficiente di diffusione del vapore nell’aria k e D non dipendono dalla velocità del ventilatore, quindi dalle Eq. 3.4 e 3.5 risulta che, per determinati valori di umidità e temperatura dell’aria, la TS è indipendente dalla velocità del ventilatore. k, D e dipendono dalla temperatura, quindi il rapporto h/K a rigore non è costante, ma se si considerano gli intervalli di temperatura che ci interessano, che caratterizzano le condizioni dell’aria nei processi industriali, tale rapporto può essere considerato, in prima approssimazione, indipendente dalla temperatura. Quindi, l’Eq. 3.4 è l’equazione di una retta “virtuale” nelle variabili H e T, cioè, quelle della carta psicrometrica. In effetti, sulla carta psicrometrica si trovano le cosiddette linee di bulbo umido, cioè rette virtuali parallele, descritte dall’Eq. 3.4, aventi pendenza -h/K, differenti tra loro per le coppie HS e TS, ciascuna delle quali individua un punto sulla curva di saturazione da cui ha origine la linea di bulbo umido (v. Fig. 3.2): 27 Fig. 3.2 Fig. 3.3 28 I valori da cui tali linee hanno origine sono distanziati da intervalli uguali (di 1, o di 5). Le linee di bulbo umido servono per determinare l’umidità dell’aria, avendo a disposizione un termometro a bulbo umido. Infatti con il termometro a bulbo umido misuriamo TS, che individua sulla curva di saturazione della carta psicrometrica un punto corrispondente a una linea di bulbo umido (v. Fig. 3.3). Siccome queste linee sono riportate a distanze scalari non è detto che TS coincida esattamente con una linea di bulbo umido riportata sulla carta, ma si può interpolare tra queste linee dato che sono parallele e vicine tra loro. Per trovare Ha dell’aria che stiamo esaminando basta cercare sulla linea di b.u. il punto corrispondente alla temperatura dell’aria, Ta. A questo punto, conoscendo Ha e Ta si può trovare l’u.r. (v. Fig. 3.3). Questo è un primo esempio di utilizzo pratico della carta psicrometrica. Stiamo considerando le proprietà del sistema aria-vapore che caratterizzano le curve riportate sulla carta psicrometrica. Abbiamo visto che una proprietà è l’umidità relativa, un’altra è la temperatura di bulbo umido; infatti la caratteristica comune dei punti che si trovano su una linea di bulbo umido è la temperatura di bulbo umido. Se prendiamo dei punti su una di queste linee ciascuno di questi punti corrisponde ad una coppia H,T e identifica le condizioni dell’aria. Per le condizioni corrispondenti ai punti di una stessa linea la temperatura di bulbo umido è la stessa. Un’altra proprietà del sistema aria-vapore è l’entalpia per unità di massa di aria. Esistono, sulla carta psicrometrica, curve i cui punti corrispondono a condizioni dell’aria, H e T, per le quali l’entalpia dell’unità di massa di aria con associato vapore è la stessa. Queste linee si chiamano linee isoentalpiche. Al variare di H e T lungo queste linee si ha: Ent (aria+vapore)/maria = cost Variazioni di H e T a parità di entalpia si verificano nel processo di saturazione adiabatica dell’aria. Perché l’entalpia sia costante dobbiamo assumere che non ci siano scambi di calore con l’esterno; dobbiamo assumere un processo adiabatico. Nel corso del processo H e T cambiano, ma devono cambiare senza che il sistema aria-vapore scambi calore con l’esterno. Questo è un processo in cui l’aria si satura di vapore in condizioni adiabatiche. Se l’aria si satura di vapore, cambia la sua umidità assoluta. Se questo avviene in condizioni adiabatiche, cambia anche la sua temperatura perché se vogliamo che l’aria acquisti vapore occorre che ci sia acqua che evapora e affinché l’acqua evapori occorre 29 fornire calore latente. In condizioni adiabatiche il calore latente può essere fornito solo dall’aria. L’aria cede calore sensibile all’acqua e si raffredda, l’acqua lo assorbe come calore latente ed evapora, il vapore va nell’aria. Questo è un processo in cui l’aria si satura di vapore in condizioni adiabatiche. Il contenuto termico dell’unità di massa di aria rimane costante perché il calore sensibile che essa cede all’acqua lo riacquista come vapore, che trasporta una quantità di calore latente uguale al calore sensibile ceduto dall’aria. Per ricavare l’equazione delle linee isoentalpiche devono essere uguagliati il calore sensibile ceduto dall’unità di massa d’aria e il calore latente acquistato dalla massa di acqua, mev, fatta evaporare dalla massa unitaria di aria. Supponendo che il processo arrivi alla saturazione dell’aria, si ha: CP T TS mev Dalla definizione di H, si ha: mev H S H Dunque: CP T TS H S H Eq. 3.6 CP Eq. 3.7 Cioè: H HS TS CP T Cp/, per intervalli di temperatura non troppo grandi, è virtualmente costante. Per il sistema aria-vapore d’acqua, si riscontra la seguente uguaglianza virtuale: CP h K Quindi le linee isoentalpiche, dette anche linee di saturazione adiabatica, si sovrappongono, sulla carta psicrometrica, alle linee di bulbo umido (cfr. Eqq. 3.7 e 3.4) e non c’è distinzione tra esse se non per il significato fisico. 30 Un’altra informazione che serve per il controllo dei processi farmaceutici è il volume umido (VU) dell’aria. Esso è il volume dell’aria umida per unità di massa di aria secca: VU Variaumida maria Questa informazione può essere ricavata dalla carta psicrometrica. Fig. 3.4 Come appare in Fig. 3.4, sul diagramma H,T è riportato, sovrapposto, il diagramma del volume specifico, V, (volume per unità di massa di aria secca espresso in m3/Kg) rispetto alla temperatura. Il diagramma riporta la curva del volume umido dell’aria satura; questa curva è indicata con VS, dove con VS si intende il volume umido dell’aria satura. E’ riportata inoltre una retta, indicata con Va, che descrive la variazione di Va, volume specifico dell’aria secca, rispetto a T. Questa variazione è lineare perché l’aria a P=1atm segue la legge dei gas perfetti. Supponiamo di avere nel diagramma H,T un punto A, caratterizzato da HA e TA, e di voler conoscere VU in tali condizioni dell’aria. Troviamo, tramite le curve VS,T e Va,T i rispettivi valori VS,A e Va,A relativi alla temperatura TA. C’è una correlazione tra il volume umido che si vuole calcolare e questi due volumi specifici: VU VS ,A Va ,A H r ,A Va ,A dove: Eq. 3.10 31 H r ,A HA H S ,A Questa correlazione si ricava facilmente dalla legge dei gas perfetti: VS nS na RT maria Va VU P na RT maria P nU na RT maria VU Va nu H Hr VS Va nS H S P Eq. 3.11 Dall’Eq.3.11 si passa facilmente all’Eq. 3.10. A questo punto siamo in grado di trovare sulla carta psicrometrica il volume umido dell’aria che ha le condizioni rappresentate da qualsiasi punto che si trova sul diagramma H,T usando le due curve VS,T e Va,T. Con l’Eq. 3.10 troveremo un VU compreso tra i due valori VS e Va che stanno su queste due curve. L’aspetto di diverse carte psicrometriche si può vedere nelle Figg. 2-1A e 2-1B, Rif. 2, p. 24-25 e nella Fig. 11, Rif. 5, p. 247. Sulla carta psicrometrica rappresentata nella Fig. 11, Rif. 5, p. 247 il valore del volume umido si legge direttamente su linee di volume umido, i punti di ciascuna delle quali corrispondono a coppie H,T per le quali VU è uguale. 32 CAPITOLO 4 ESSICCAMENTO DEI SOLIDI PARTICELLARI Un solido particellare è, ad es., una polvere o un granulato. Nel processo di essiccamento viene rimossa l’acqua dal materiale umido. Una polvere può essere umida perché, per esempio, è stata macinata a umido. Un granulato è umido se è stato preparato con il metodo di granulazione a umido. Si fa l’essiccamento perché la polvere, così come il granulato, per essere ulteriormente manipolati devono avere un basso contenuto di umidità, perché, per esempio, le polveri eccessivamente umide sono scarsamente scorrevoli. Inoltre troppa acqua nel materiale diminuisce la stabilità chimica, e può verificarsi, per esempio, idrolisi. Un particolare processo di essiccamento è quello che si ha nel rivestimento delle compresse o dei granulati; nel processo di confettatura, per esempio, è coinvolta una operazione di essiccamento: il rivestimento viene applicato a umido e poi, durante il rivestimento il solvente viene fatto evaporare. L’acqua di impregnazione può essere in differenti stati: 1) ACQUA LIBERA: costituisce una fase distinta dalla fase solida e quest’acqua libera può essere pura ma più spesso contiene dei soluti perché essendo quest’acqua a contatto con dei solidi, in parte scioglie tali sostanze, quindi, più spesso quest’acqua libera in realtà è una soluzione. 2) ACQUA ADSORBITA SULLA SUPERFICIE DEL SOLIDO: le molecole d’acqua sono stabilmente legate da forze di adesione alla superficie del materiale solido. Questo significa che le forze di adesione sono più intense di quelle di coesione dell’acqua. 3) ACQUA DI CRISTALLIZZAZIONE: se la sostanza solida forma dei cristalli idrati, l’acqua occupa delle posizioni precise all’interno del reticolo cristallino. Per le sostanze amorfe, solide, l’acqua può essere inglobata all’interno in soluzione solida. L’energia per unità di massa di acqua libera per allontanare l’acqua libera è il calore latente specifico di evaporazione. Poichè le forze di adesione con cui l’acqua è adsorbita sul materiale solido sono maggiori delle forze di coesione dell’acqua, l’energia per unità di massa per desorbire l’acqua (allontanare l’acqua adsorbita) è maggiore del calore latente specifico. 33 Per quanto riguarda l’acqua di cristallizzazione, l’energia per allontanarla dipende dall’energia del reticolo cristallino. L’energia è fornita da una sorgente di calore, e il calore è trasferito dalla sorgente al materiale con tre meccanismi diversi: conduzione, convezione e irraggiamento. A rigore, in ciascun processo di essiccamento questi tre meccanismi coesistono anche se ne prevale uno, a seconda della sorgente. L’essiccamento non consiste solo nel trasferimento di calore dalla sorgente al materiale ma anche nel trasferimento di massa, cioè, una volta che si è formato vapore per evaporazione dell’acqua di impregnazione, ci deve essere un sistema per allontanare rapidamente il vapore che si sviluppa dal materiale umido. Ci sono due metodi per farlo: 1) mediante un flusso di aria, oppure 2) mediante il vuoto. Nell’essiccamento ci sono diversi modi di disporre il letto del materiale (l’insieme delle particelle solide). L’essiccamento può essere fatto: - A LETTO FISSO o STATICO: le particelle solide rimangono in posizioni relative fisse. - A LETTO MOBILE: le posizioni relative delle particelle variano nel tempo perché il letto può essere rimescolato o ci può essere scorrimento. - A LETTO FLUIDO: le particelle sono separate le une dalle altre perché sono sospese in una corrente di gas e formano un sistema che ha le caratteristiche fisiche macroscopiche di un liquido. - SISTEMI PNEUMATICI: le particelle sono convogliate in una corrente di gas. ESSICCAMENTO A LETTO FISSO (STATICO) Consideriamo uno strato di materiale umido. Nel corso del suo essiccamento esso passa attraverso i seguenti stati: 34 FASI DELL’ESSICCAMENTO A LETTO FISSO (STATICO) 1) STATO CAPILLARE: gli spazi interparticellari sono completamente riempiti dall’acqua (capillari). Man mano che l’acqua evapora dalla superficie, essa viene immediatamente rimpiazzata dall’acqua che migra dall’interno dello strato alla superficie per capillarità: la superficie è costantemente bagnata. Con il procedere dell’essiccamento, il volume degli spazi interparticellari diminuisce, il grado di impaccamento delle particelle aumenta, il letto del materiale si contrae. Lo stato capillare esiste finché le particelle non hanno raggiunto il massimo grado di impaccamento: a questo punto il volume degli spazi interparticellari non può più diminuire, dunque, con il procedere dell’essiccamento tali spazi cominciano a svuotarsi. 2) STATO FUNICOLARE: gli spazi interparticellari non sono più completamente riempiti dall’acqua. La superficie delle particelle all’interno del letto è rivestita da un film d’acqua, il cui spessore diminuisce progressivamente. La velocità di migrazione dell’acqua dall’interno alla superficie del letto è molto più bassa che nello strato capillare e diminuisce al diminuire dello spessore del film di acqua. Poiché tale migrazione è più lenta dell’evaporazione dalla superficie del letto, tale superficie è secca. Gli eventuali soluti migrano con l’acqua e seccano sulla superficie del letto. 3) STATO PENDOLARE: l’acqua libera è raccolta solo nei punti di contatto tra le particelle e non migra affatto. L’evaporazione avviene dall’interno del letto e il vapore diffonde verso la superficie di esso attraverso gli spazi interparticellari. 4) Alla fine dello stato pendolare è stata allontanata tutta l’acqua libera. Rimane l’acqua adsorbita e, eventualmente, l’acqua di cristallizzazione, se il solido è una forma idrata, o l’acqua inglobata nel solido, se questo è amorfo. 35 Ora consideriamo la velocità di essiccamento dello strato. La velocità di essiccamento sarà diversa a seconda che il materiale si trovi nello stato capillare, funicolare o pendolare. Stato stazionario o quasi-stazionario Nello stato capillare la superficie evaporante è costantemente bagnata. Una sorgente fornisce calore il quale arriva alla superficie evaporante. Non appena la sorgente inizia a cedere calore al letto di materiale umido parte del calore acquistato dal materiale nell’unità di tempo è calore sensibile che riscalda il materiale, una parte del calore assorbito dal materiale è calore latente di evaporazione che fa evaporare l’acqua alla superficie del letto. Man mano che il materiale si riscalda l’evaporazione diviene più rapida e quindi, se la velocità di trasferimento di calore è costante, aumenta la frazione di calore assorbita dal materiale come calore latente rispetto al calore sensibile. Quindi il materiale evapora sempre più rapidamente e si riscalda sempre di meno. Dopo un tempo relativamente breve dall’inizio del riscaldamento, il calore acquistato dal materiale nell’unità di tempo è al 100% calore latente di evaporazione, la temperatura del materiale rimane costante e la velocità con cui si forma vapore sulla superficie è uguale alla velocità con cui questo vapore si allontana dalla superficie. Dopo breve tempo, cioè, si raggiunge uno stato stazionario, o quasi-stazionario, descritto da queste equazioni: dmdiff dt dmev 1 d cal.latente 1 qt dt dt dmdiff /dt = velocità di allontanamento del vapore dalla superficie dmev /dt = velocità di evaporazione d[cal.latente]/dt = velocità di assorbimento del calore latente = calore latente specifico q(t) = velocità di trasferimento di calore, che può essere variabile nel tempo, dalla sorgente alla superficie evaporante Nello stato stazionario o quasi-stazionario queste uguaglianze sono vere in qualsiasi istante, però nello stato stazionario queste velocità rimangono costanti nel tempo mentre nello stato quasi-stazionario cambiano nel tempo, però cambiano tutte insieme perché ad ogni istante queste uguaglianze rimangono rispettate. E’ chiaro che il raggiungimento dello stato stazionario o quasi-stazionario è reso possibile dal fatto che la superficie evaporante è 36 costantemente bagnata e quindi queste condizioni sono vere solo nello stato capillare. L’espressione più utile della velocità di essiccamento, VE(t), è la seguente: V E t 1 qt dmdiff dt Eq. 4.1 Il flusso termico quantifica il processo di trasferimento di calore, la velocità di diffusione quantifica il processo di trasferimento di massa. Se esplicitiamo i due membri dell’Eq. 4.1 in funzione delle grandezze fisiche del sistema, abbiamo una espressione della velocità di essiccamento in funzione delle variabili dell’impianto. L’Eq. 4.1 verrà esplicitata nei vari casi, a seconda di come viene trasferito il calore e allontanato il vapore. In tutti i casi l’Eq. 4.1 si applica solo nella parte dell’essiccamento in cui il materiale è nello stato capillare. Calore fornito per convezione Quando il calore viene fornito per convezione c’è un flusso di aria calda che scorre sulla superficie del letto di materiale. Il sistema può essere schematizzato così: Supponiamo che questo letto sia nello stato capillare. Sulla sua superficie scorre aria che ha una certa temperatura T ed una certa umidità assoluta H, entrambe mantenute costanti. Naturalmente si raggiunge lo stato stazionario o quasi-stazionario e alla superficie evaporante avremo una umidità assoluta HS (perché l’aria a contatto con la superficie evaporante è satura di vapore) e una temperatura TS. Questa è una condizione esattamente uguale a quella del termometro a bulbo umido. Quindi, combinando le Eq. 3.1, 3.2 e 4.1, si ha: VE 1 AhT TS AK H S H Eq. 4.2 VE non è funzione del tempo perché T e H dell’aria sono mantenute costanti. Se prendessimo un termometro a bulbo umido e lo immergessimo nella corrente d’aria, dovremmo in teoria trovare una temperatura uguale a TS. 37 Calore fornito per conduzione Nel caso della conduzione la sorgente di calore è una piastra riscaldata che è il supporto del vassoio, mantenuta a temperatura costante, TP. Il calore si trasferisce dalla piastra alla superficie evaporante, attraversando lo spessore, L, dello strato di materiale. Sappiamo che, in condizioni di stato stazionario o quasistazionario, il flusso termico è dato da: k qt A (TP TS ) L Eq. 4.3 dove TS = temperatura della superficie evaporante (v. Eq. 2.2). Per quanto riguarda l’allontanamento del vapore che si forma ci sono due possibilità: 1) utilizzare una corrente d’aria per trasportare via il vapore, utilizzando aria non riscaldata; 2) utilizzare il vuoto, cioè fare in modo che il vapore si allontani dalla superficie evaporante perché, essendo l’ambiente vuoto, il vapore diffonde rapidamente. Caso dell’aria: Sappiamo che, in condizioni di stato stazionario o quasi-stazionario, è valida l’Eq. 3.2. Combinando le Eqq. 3.2, 4.3 e 4.1 si ha: VE t Ak TP TS AK H S H L Eq. 4.4 dove HS è l’umidità assoluta dell’aria alla superficie evaporante. Caso del vuoto: In questo caso l’Eq. 4.1 si esplicita nel modo seguente: VE t Ak TP TS PS P L Ri Eq. 4.5 PS = pressione del vapore saturo alla superficie evaporante P = pressione del vapore all’uscita dall’impianto 38 Ri = sommatoria delle resistenze diffusive costituite da strozzature che il vapore attraversa nel percorso dalla superficie evaporante all’uscita dall’impianto. La VE è funzione del tempo perché questo è uno stato quasi-stazionario. Infatti man mano che l’acqua si allontana dal materiale k diminuisce. I materiali sottoposti a essiccamento sono solitamente organici, con k piccola, che viene aumentata dalla presenza dell’acqua; quindi, se l’acqua evapora, k diminuisce. Poiché VE(t) diminuisce nel tempo diminuiscono, al secondo membro dell’Eq. 4.4 (o 4.5), anche HS (o PS) e quindi anche TS, che è correlata direttamente con HS (o PS). Per allontanare il vapore, si è detto, può essere usata una pompa da vuoto. Preferibilmente, quando si fa il vuoto si può usare, oltre alla pompa da vuoto, anche un condensatore perché la pompa da vuoto serve per allontanare l’aria, mentre il condensatore serve per allontanare il vapore, condensandolo ad acqua. In tal caso P è la pressione del vapore sulla superficie del condensatore. In generale P è la pressione del vapore nel punto in cui si considera che il vapore sia uscito dal sistema di essiccamento. L’aria a contatto con la superficie evaporante ha come condizioni TS e HS. L’aria lontana dalla superficie evaporante avrà una temperatura minore di TS, in quanto abbiamo visto che l’aria è usata non per fornire calore, ma per allontanare il vapore. L’umidità assoluta di questa aria sarà più bassa di HS dato che deve trascinare via il vapore. Se TS e HS sono troppo elevati, la velocità con cui il vapore si sviluppa e va nell’aria potrebbe portare l’aria a superare il suo punto di saturazione (punto di rugiada) e il vapore che si libera dalla superficie evaporante ricondenserebbe nell’aria. Il vapore non deve ricondensare perché l’acqua potrebbe andare a depositarsi indebitamente su qualche parte dell’impianto. Se si usa il vuoto, invece dell’aria, il discorso vale per le pareti della camera o le superfici dell’impianto con cui il vapore che si sviluppa viene a contatto, sulle quali il vapore potrebbe ricondensare. Quindi, quello che non si deve fare è riscaldare troppo il materiale. 39 Calore fornito per irraggiamento C’è una sorgente di energia che irradia raggi IR. Anche in questo caso la temperatura della sorgente è costante e la indichiamo con K perché nell’equazione della velocità di trasferimento di calore la temperatura si esprime in gradi Kelvin. Sulla superficie evaporante avremo una temperatura KS, e una umidità HS, se usiamo l’aria per trascinare via il vapore, o una pressione PS, se il vapore viene allontanato con il vuoto. In questo caso la velocità di trasferimento di calore per irraggiamento si esprime mediante la legge di Stefan-Boltzmann: q Ae K 4 K S4 = costante di Stefan-Boltzmann e = coefficiente di emissione o emissività. E’ un coefficiente che varia tra 0 e 1 e rappresenta la proprietà che ha la superficie di emettere energia radiante, confrontata con quella di un corpo di riferimento in cui la proprietà di emettere energia radiante è massima. La proprietà di emettere energia radiante nell’unità di tempo da parte della superficie di un corpo è uguale alla proprietà che la superficie ha di assorbire energia radiante nell’unità di tempo. La superficie ideale, ovverosia quella che emette la massima energia radiante nell’unità di tempo e dunque assorbe totalmente l’energia radiante nell’unità di tempo, è il corpo nero, che assorbe il 100% dell’energia radiante che incide sulla sua superficie. E’ un ideale assorbitore e dunque anche un ideale emissore di energia radiante. Evidentemente, allora, sia la sorgente di energia radiante che la superficie evaporante del materiale emettono e assorbono energia radiante nell’unità di tempo. La velocità con cui la superficie evaporante assorbe calore è data dalla differenza tra la velocità con cui questa superficie assorbe energia radiante meno la velocità con cui questa superficie la emette. Questa differenza dà la quantità di calore assorbita dalla superficie nell’unità di tempo. 40 Queste velocità di emissione o di assorbimento di energia radiante, secondo la legge di Stefan-Boltzmann, sono proporzionali alla quarta potenza della temperatura assoluta. Anche negli essiccatori in cui il calore viene fornito per irraggiamento il trasferimento di massa (allontanamento del vapore) viene realizzato mediante 1) una corrente di aria, o 2) il vuoto. Applicando l’Eq. 4.1 al caso presente, si ha: Caso dell’aria: VE Ae K 4 K S4 AK H S H Caso del vuoto: VE Ae K 4 K S4 PS P Ri Qui lo stato è stazionario perché le grandezze che compaiono nell’equazione, quando lo stato è capillare, non cambiano in modo significativo nel tempo e quindi la velocità di essiccamento, VE, è costante. Andamento della velocità di essiccamento in funzione del contenuto di umidità del materiale Se lo stato è capillare e siamo in condizioni di stato stazionario, VE non varia; però bisogna tenere presente che, finito lo stato capillare, il materiale è ancora umido e quindi ci sono delle fasi successive allo stato capillare, che sono lo stato funicolare e lo stato pendolare, in cui l’acqua è ancora presente e la velocità di essiccamento non è più espressa dalle equazioni viste fino ad ora. Riportiamo in diagramma VE in funzione del peso del materiale in eccesso rispetto al peso di equilibrio, Wecc(%). Spieghiamo il significato di Wecc(%). Quando l’essiccamento è finito, il contenuto di umidità nel materiale non può essere zero perché alla fine dell’essiccamento il materiale raggiunge l’equilibrio con l’ambiente in cui esso si trova; quindi, l’umidità che è presente nel materiale alla fine dell’essiccamento è in equilibrio termodinamico con l’umidità dell’ambiente che circonda il materiale, che spesso è aria. Perché alla fine dell’essiccamento il materiale avesse umidità zero occorrerebbe che l’aria dell’ambiente circostante avesse umidità zero. Questa proprietà si potrebbe realizzare, ma non viene realizzata nella maggior parte dei casi, perché la condizione per cui l’aria ha 41 umidità zero è che la temperatura sia superiore ai 100°C. Raramente, nei sistemi usuali di essiccamento di materiali farmaceutici, si fa equilibrare il materiale con un aria che ha una temperatura di 100°C. Se si usa il vuoto, per avere umidità zero occorrerebbe che il vuoto fosse estremamente spinto e anche questo è raro. Questo significa che, alla fine dell’essiccamento, il materiale si mette in equilibrio termodinamico con l’ambiente circostante che ha una umidità maggiore di zero e dunque, anche l’umidità del materiale in equilibrio è maggiore di zero, cioè, acqua residua è contenuta nel materiale quando l’essiccamento è finito. All’equilibrio termodinamico, l’attività termodinamica dell’acqua nell’ambiente è uguale all’attività termodinamica dell’acqua nel materiale. L’attività termodinamica dell’acqua nell’ambiente è espressa dall’umidità relativa, che è il rapporto tra la pressione parziale del vapore e la pressione di saturazione del vapore a quella temperatura (P/PS). Quindi il contenuto di umidità residua del materiale dipende dall’umidità relativa dell’ambiente. Il peso del materiale in eccesso rispetto al peso di equilibrio si esprime nel modo seguente: Wecc % W t Weq Weq 100 W(t) = peso del materiale al tempo t del processo di essiccamento Weq = peso del materiale all’equilibrio (processo di essiccamento terminato) W(t)-Weq dà il peso dell’acqua in eccesso rispetto all’acqua contenuta all’equilibrio. E’ chiaro che quando siamo all’equilibrio il numeratore diviene 0 e l’acqua in eccesso è 0. Ora vediamo come varia VE in funzione di Wecc(%) nei casi in cui il calore si trasferisce per convezione o per irraggiamento: 42 Fig. 4.1 Le condizioni iniziali corrispondono al punto A, maggiore di zero. Poi si ha un rapido riscaldamento (A-B), prima di raggiungere lo stato stazionario. Al punto B si raggiunge lo stato stazionario, dove la velocità di essiccamento diviene costante, che dura fino a che esiste lo stato capillare. Finito lo stato capillare, finisce lo stato stazionario. Si passa allo stato funicolare. Nello stato funicolare la velocità di essiccamento non è più descritta dalle equazioni viste precedentemente, che si riferiscono solo ed esclusivamente allo stato capillare. La velocità di essiccamento è determinata, nello stato funicolare, dalla velocità di migrazione dell'acqua dall’interno del letto alla sua superficie, che ora è secca perché l’acqua evapora completamente non appena raggiunge la superficie. Dunque, la velocità di essiccamento diminuisce con il procedere dell’essiccamento perché con il diminuire del contenuto d’acqua del materiale, cioè man mano che Wecc diminuisce, diminuisce anche la velocità di migrazione dell’acqua verso la superficie evaporante. Quindi al punto C, quando è finito lo stato capillare, inizia una diminuzione lineare della velocità di essiccamento. Successivamente la velocità di essiccamento diminuisce ancora perché, quando dallo stato funicolare si passa allo stato pendolare e l’acqua non migra più, l’evaporazione non si ha più alla superficie dello strato ma si ha dall’interno del letto di materiale perché qui ci 43 sono goccioline di acqua che si trovano nei punti di contatto delle particelle di materiale. La velocità di essiccamento è sempre più bassa perché le dimensioni di queste goccioline diminuiscono. Questa caduta di VE da D fino a zero non è lineare. A volte, a seconda del tipo di materiale, si può andare da C a zero in modo curvilineo, senza avere il tratto lineare C-D. Siamo certi che lo stato stazionario corrisponde allo stato capillare, e siamo anche certi che l’inizio del tratto C-D corrisponde allo stato funicolare; successivamente però non c’è una transizione netta dalla caduta lineare alla caduta curvilinea di VE. Il grafico in Fig. 4.1 è una schematizzazione, infatti nella transizione da uno stato al successivo non ci sono mai, nella pratica, discontinuità nette. Sicuramente verso la fine dell’essiccamento l’acqua libera è stata allontanata. Infatti, l’umidità relativa dell’ambiente in cui si trova il materiale è più bassa del 100%, quindi la pressione del vapore nell’ambiente che circonda il materiale è minore della pressione di vapore saturo. Se l’umidità relativa è inferiore al 100%, poiché l’acqua residua nel materiale è in equilibrio con un ambiente che ha umidità relativa inferiore alla saturazione, è chiaro che tale acqua non può essere acqua libera. Quindi, quando il materiale si equilibra con l’ambiente l’acqua residua nel materiale è acqua legata: può essere acqua adsorbita, acqua di cristallizzazione, acqua in soluzione solida nel materiale se il materiale è amorfo. Confrontiamo ora il grafico VE vs. Wecc(%) (Fig. 4.1) con il grafico TS vs. Wecc(%) (Fig. 4.2): 44 Fig. 4.2 Nel secondo diagramma, con TS si intende la temperatura alla superficie del materiale. Si prende come punto di riferimento la superficie del materiale perché qui avviene la maggior parte dell’evaporazione, però, siccome lo strato di materiale è sottile, la temperatura della superficie del materiale non è sostanzialmente diversa dalla temperatura media del materiale. Inizialmente il materiale è freddo (A), poi si ha un riscaldamento abbastanza rapido, quindi TS raggiunge un valore costante per tutto il periodo dello stato stazionario (BC). Quando è finito lo stato capillare l’evaporazione è più difficile. La velocità di essiccamento diminuisce, cioè l’evaporazione dell’acqua è sempre più lenta. La velocità di trasferimento di calore tende ad essere maggiore della velocità di assorbimento del calore come calore latente, per cui il materiale si riscalda. Man mano che l’acqua si allontana la temperatura del materiale tende ad avvicinarsi a quella della sorgente. Si arriva infine alla temperatura di equilibrio Teq con la sorgente di calore. Lo stato stazionario si ha quando il calore viene fornito per convezione o per irraggiamento. Quando il calore viene fornito per conduzione, come già abbiamo visto, lo 45 stato non è stazionario, ma quasi-stazionario (v. Eqq. 4.4 e 4.5). I grafici in Fig. 4.2 nel caso della conduzione sono leggermente diversi. Nei sistemi a conduzione, nel tratto B-C la velocità VE e la temperatura non sono rigorosamente costanti, ma diminuiscono leggermente nel tempo, per le ragioni illustrate in precedenza. Per favorire i processi di trasferimento di calore e di trasferimento di massa e renderli più rapidi è chiaro che conviene massimizzare il rapporto tra l’area della superficie evaporante e il volume del letto, questo significa rendere piccolo lo spessore dello strato di materiale, compatibilmente con le dimensioni della camera di essiccamento. Sistemi di essiccamento a letto fisso più usati I sistemi di essiccamento a letto fisso più usati adoperano l’aria per fornire il calore e per allontanare il vapore. Si tratta di sistemi a letto fisso, a convezione. 46 Fig. 4.3 La stufa a ventilazione (v. Fig. 4.3) è una camera le cui pareti esterne sono isolate termicamente, cioè, sono imbottite di materiale poroso, ricco di aria che fa da isolante termico. All’interno di questa camera c’è una doppia parete perforata, fatta di metallo. Tra le due pareti interne perforate è disposta una pila di vassoi, posti su supporti. In basso c’è un sistema che fa fluire l’aria secondo le frecce. C’è una apertura a sinistra e una apertura a destra. Il ventilatore aspira l’aria da sinistra verso destra e la comprime verso l’uscita di destra. La differenza di pressione tra l’intercapedine di sinistra e quella di destra è molto piccola, ma sufficiente per garantire il flusso. L’aria, poiché l’apertura di uscita è limitata, in parte esce ed in parte ricircola, cioè passa più volte sul materiale che si trova sui vassoi e ci passa perché le pareti interne sono perforate. Prima di passare sui vassoi l’aria passa in basso su un sistema di riscaldamento. Questo sistema di riscaldamento può essere una resistenza elettrica termostatabile. Nei sistemi industriali come sorgente di calore per riscaldare l’aria si usa uno scambiatore di calore in cui passa vapore saturo, termostatabile in quanto regolando la pressione di vapor saturo si regola la sua temperatura. L’aria quindi viene spinta sui vassoi dal ventilatore, ad una temperatura costante. E’ necessario un continuo riscaldamento dell’aria perché quando questa passa sui vassoi cede calore sensibile per fare evaporare l’acqua che impregna il materiale e quindi dopo un passaggio 47 sui vassoi l’aria si raffredda. L’apertura di uscita dell’aria è abbastanza piccola da fare in modo che solo una piccola parte del volume che il ventilatore spinge esca dalla camera, la maggior parte passa sui vassoi. Quindi il maggior volume di aria nell’unità di tempo passa sui vassoi rispetto a quello che esce dalla camera, cioè l’aria viene ricircolata. E’ intuitivo che con la ricircolazione si risparmia calore. Infatti, la velocità di essiccamento non è tale da allontanare una sufficiente quantità di umidità in un solo passaggio dell’aria sul materiale umido. Spieghiamo meglio. Poiché questo è un sistema di essiccamento per convezione, è valida l’Eq. 4.2 nello stato stazionario dell’essiccamento (stato capillare del materiale). La velocità di essiccamento è la massa di vapore che viene allontanato dal materiale nell’unità di tempo. Questa velocità è piccola nel nostro caso, relativamente ad altri sistemi di essiccamento che vedremo in seguito, perché rispetto a questi sistemi è piccola A, l’area della superficie evaporante, è piccolo h, il coefficiente di trasferimento di calore ed è piccolo K, il coefficiente di trasferimento di massa. h e K dipendono dalla velocità di flusso dell’aria e questa velocità di flusso nel nostro caso è relativamente bassa. La velocità di essiccamento nello stato capillare è così piccola che un solo passaggio dell’aria allontanerebbe una quantità di umidità troppo piccola. Questo significa che per allontanare tutta l’acqua occorrerebbe un grande volume d’aria, ma questo è sconveniente perché quest’aria deve essere riscaldata fornendo calore sensibile. Se in un solo passaggio evaporasse una piccola quantità di acqua, l’aria si trascinerebbe via la maggior parte del calore che le abbiamo fornito; quindi, se usiamo grandi volumi di aria sprechiamo grandi quantità di calore. Viceversa, se l’aria viene ricircolata, lo stesso volume d’aria passa più volte sul materiale umido e ad ogni passaggio cede calore ed acquista vapore, quindi prima di uscire questo volume di aria ha acquistato una sufficiente quantità di vapore. Quindi il rendimento termico è reso accettabile. In altri termini: se forniamo calore sensibile all’aria mediante una sorgente di calore il nostro interesse è che la maggior parte possibile di questo calore sia assorbito dall’acqua come calore latente per l’evaporazione. In un solo passaggio sul materiale la percentuale di calore ceduto dall’aria all’acqua sarebbe molto bassa; allora si fa la ricircolazione dell’aria perché il processo sia reso conveniente dal punto di vista economico. La grandezza della apertura di uscita influenza il rendimento termico perché più grande è questa apertura, maggiore è la quantità di aria che esce rispetto a quella che ricircola e viceversa. La grandezza dell’apertura di uscita regola l’umidità assoluta dell’aria nella 48 camera (H). Cominciamo a considerare il processo da quando l’aria comincia ad essere riscaldata e a circolare. Man mano che l’aria ricircola l’umidità assoluta dell’aria, H, aumenta, però arriva ad un massimo dopo il quale non aumenta più perché si arriva ad uno stato stazionario in cui la quantità di vapore che va nell’aria nell’unità di tempo, formandosi dal letto di materiale, è uguale a quella che esce dalla camera attraverso l’apertura di uscita. Quindi non si può aumentare l’umidità assoluta fino al suo valore di saturazione: avverrebbe questo solo se si chiudesse completamente l’apertura di uscita. In realtà, c’è un valore massimo di umidità che l’aria raggiunge, oltre il quale non può andare. Una volta raggiunto questo valore massimo, H rimane costante. E’ evidente dunque, che nello stato capillare si raggiunge uno stato stazionario perché la temperatura dell’aria è mantenuta costante grazie alla termostatazione, e H è costante per la ragione detta precedentemente. Questo valore massimo di H nella camera, che è chiaramente uguale al valore di umidità dell’aria che esce dalla camera, dipende dall’apertura di uscita, cioè, se l’apertura è più piccola il valore massimo di H è più grande. Quindi la grandezza dell’apertura di uscita determina il valore stazionario di H nella camera. Ora, dal punto di vista del rendimento termico noi sappiamo che conviene che H sia grande, perché sia grande la quantità di vapore acquistata dall’unità di massa d’aria e sia ottimizzato l’utilizzo del calore fornito. Dal punto di vista della velocità di essiccamento, invece, se l’apertura è più piccola H è più grande, e, secondo l’Eq. 4.2 la velocità di essiccamento nello stato capillare è più piccola. Quindi, un’apertura più piccola ha questi due effetti contrastanti: un effetto positivo sul rendimento termico e un effetto negativo sulla velocità di essiccamento. Però l’essiccamento non avviene tutto nello stato capillare e il discorso fatto fino ad ora sull’influenza dell’apertura riguarda solo lo stato capillare. Lo stato capillare si ha in pochi casi pratici. Per esempio, lo stato capillare non si ha nel caso dei granulati a umido. Nel caso di un granulato, come si vedrà in seguito, lo stato capillare non costituisce lo stato iniziale dell’essiccamento (gli spazi compresi tra un granulo ed un altro non sono completamente riempiti da acqua) e quindi, si deve considerare che nei casi pratici il tratto B-C del diagramma in Fig. 4.2 può non esistere, perché questo tratto si riferisce allo stato capillare e in diversi casi il contenuto di partenza di acqua è inferiore a quello dello stato capillare. Negli stadi successivi, funicolare e pendolare, la velocità del processo di essiccamento non è determinata dall’umidità assoluta dell’aria nella camera, a meno che essa non sia vicina alla saturazione. Negli stati successivi al capillare, dunque, se l’apertura 49 di uscita non è così piccola da fare avvicinare troppo l’aria della camera alla saturazione, la velocità di essiccamento non dipende da tale apertura. Nello stato capillare, invece, questa apertura influisce sempre sulla velocità di essiccamento, ma lo stato capillare in certi casi non c’è e comunque, costituisce solo una piccola parte dell’intero processo di essiccamento. Ci interessa sapere anche qual è la temperatura del materiale, perché il riscaldamento del materiale umido ad una certa temperatura può comportare fenomeni di deterioramento, ad es., idrolisi a carico del materiale. Nei sistemi a convezione la temperatura del materiale nello stato capillare è circa uguale alla temperatura di bulbo umido dell’aria nella camera. Come si è detto prima, il valore di temperatura è costante perché c’è un termostato che regola la temperatura dell’aria e la mantiene al valore prefissato; anche H, dopo una fase iniziale, si mantiene costante perché si arriva ad uno stato di regime in cui la quantità di vapore che si sviluppa nell’unità di tempo dal materiale umido è uguale alla quantità di vapore che esce dalla camera nell’unità di tempo. T e H possono essere considerati costanti anche nello spazio, cioè all’interno della camera, per approssimazione. Considerando che c’è una turbolenza dell’aria, lontano dalla superficie evaporante, quindi, c’è una miscelazione dell’aria, si può con buona approssimazione considerare costanti queste due grandezze anche rispetto alla posizione nella camera. Ci sono altri tipi di stufe a ventilazione; nel caso della Fig. 4.3 le condizioni dell’aria che attraversa i vassoi sono le stesse per tutti i vassoi: c’è un passaggio in parallelo dell’aria su tutti i vassoi. Ci sono delle stufe più semplici in cui il passaggio dell’aria sui vassoi avviene in serie, cioè su un vassoio dopo l’altro, in successione. 50 Fig. 4.4 L’aria entra dal basso e passa sul primo vassoio, successivamente passa su tutti gli altri vassoi disposti come una pila, ed esce dall’alto. Per mantenere costante la temperatura dell’aria ci sono delle resistenze, oppure degli scambiatori di calore con all’interno il vapore, e sono disposti in modo tale da riportare l’aria alla temperatura prefissata man mano che questa cede calore al materiale umido. Si può considerare che, anche in questo caso, la temperatura dell’aria sia costante nella camera. Questo però non è vero per l’umidità assoluta perché, chiaramente, in questo caso non è costante in tutti i punti della camera, perché l’aria percorrendo i vassoi in serie, aumenta progressivamente la sua umidità assoluta e dunque l’aria che passa sul primo vassoio in basso sarà più secca dell’aria che esce dall’alto dopo aver attraversato l’ultimo vassoio. Dunque, la velocità di essiccamento nello stato stazionario non è uniforme per tutti i vassoi. In questo caso; basta controllare l’Eq. 4.2, che descrive la velocità in condizioni di stato stazionario, per vedere che se H è minore nel caso del primo vassoio in basso la velocità di essiccamento sarà maggiore. Sul primo vassoio in basso avremo una umidità assoluta più bassa, corrispondente ad un valore di TS più basso. L’aria che esce dall’alto è più umida e dalla carta psicrometrica, mediante l’appropriata linea di bulbo umido si vede che TS è maggiore rispetto al primo vassoio in basso. Su questo ultimo vassoio la velocità di essiccamento sarà più bassa che sul primo e la temperatura del materiale sarà più alta. Il primo vassoio 51 raggiungerà la temperatura di equilibrio con l’aria prima dell’ultimo e starà quindi a questa temperatura per un tempo superiore e questa temperatura, la temperatura di equilibrio, è la massima temperatura che il materiale raggiunge. La temperatura dell’aria, dovrà avere un valore non rischioso per quanto riguarda la degradazione eventuale del materiale. Nell’essiccatore della Fig. 4.4 l’aumento progressivo dell’umidità dell’aria si acquisisce non tramite la ricircolazione, ma tramite il passaggio in serie sui vari vassoi. ESSICCAMENTO A LETTO FLUIDO Consideriamo la fisica della fluidizzazione di un letto di materiale particellare. Immaginiamo di avere questo materiale in un contenitore con il fondo perforato. Il materiale sarà inizialmente in un letto statico. Il fondo del contenitore è perforato per permettere il passaggio di una corrente ascensionale di gas. Consideriamo le forze che agiscono sul gas che si trova dentro il letto, cioè il gas che passa attraverso gli spazi interparticellari del materiale. Sul gas agisce la forza di contatto esercitata sul gas dalla superficie di contatto con il solido particellare Essa è la forza di attrito f che si oppone al moto del gas. Poiché la velocità del gas è costante, su di esso agisce una forza che equilibra f e che ha verso opposto. Questa forza mantiene il moto del gas nella direzione verticale verso l’alto e si può esprimere come: F PA P = caduta di pressione del gas attraverso il letto. A = area della sezione del letto attraversata dal gas. 52 Evidentemente la pressione del gas sarà massima sul fondo del letto e sarà minima alla superficie del letto. Dunque, si ha: f=F Consideriamo ora le forze che agiscono sul materiale: Sicuramente una di queste forze è la forza peso, W. Ci sarà poi la reazione del gas alla forza di attrito, f, che il materiale esercita sul gas. Poi ci sarà anche un’altra forza: il materiale è su un supporto, quindi ci sarà una reazione vincolare che il supporto esercita sul materiale; questa forza vincolare è normale alla superficie di contatto fra il materiale e il supporto, e diretta verso l’alto. Il letto statico del materiale è in quiete, quindi la risultante delle forze agenti è uguale a zero. Questo significa che il modulo della forza esercitata dal supporto sul materiale è W f . Quindi, ricapitolando, queste sono le forze che agiscono sul materiale (sono indicati i moduli): f = forza di attrito esercitata dal gas W = peso del materiale W-f = forza esercitata dal supporto La forza di attrito f dipende dalla velocità del gas. L’espressione della portata, G di un fluido che attraversa un letto di materiale poroso (volume nell’unità di tempo) è la seguente: G KAΔP ηL A = area della sezione attraversata; Eq. 4.6 53 P = caduta di pressione attraverso il letto poroso. = viscosità del fluido; L = altezza del letto; K = coefficiente di permeabilità del letto statico. Il coefficiente di permeabilità, K si esprime così: K 3 51 S 0 2 Eq. 4.7 2 = porosità del letto statico S0 = superficie specifica del materiale particellare La porosità è definita come: VP Vapp VP = volume occupato dai pori, cioè dagli spazi interparticellari nel letto statico Vapp = volume totale del letto statico, cioè: Vapp = A L A = area della sezione orizzontale del letto; L = altezza del letto statico La superficie specifica del materiale è definita come: S0 S Vsolido S = superficie delle particelle solide Vsolido = volume delle particelle solide Con l’aiuto dell’Eq. 4.6 si può vedere in quale modo la forza di attrito f dipende dalla velocità del gas: F PA F f dunque: f PA Poiché: G KPA L (Eq. 4.6) 54 si ha: f L K G Eq. 4.8 Quindi, la forza di attrito è direttamente proporzionale alla portata del gas attraverso il letto, dato che le altre grandezze sono costanti. Questo significa che se aumenta la velocità del gas (v), e di conseguenza aumenta la portata G (G=Av), proporzionalmente aumenta anche f. Se aumenta f diminuisce la forza, W-f, esercitata dal supporto sul materiale. Si può arrivare ad un valore di G che dà un valore di f per cui: W f 0 Eq. 4.9 Quindi si avrà un valore Gc, cioè, un valore critico del flusso dell’aria, per cui si verifica: f=W Si può quindi annullare la reazione vincolare aumentando f, e f può essere aumentato aumentando la portata del gas. Dalle Eq. 4.8 e 4.9 si ottiene: Gc KW L Eq. 4.10 Per questo valore critico della portata di gas il letto non poggia più sul supporto, è sospeso nel gas. Non si è però ancora ottenuto il letto fluido, perché le particelle del materiale interagiscono ancora tra di loro tramite forze di contatto e forze elettrostatiche. Se si aumenta ancora la portata del gas, queste forze vengono vinte, le particelle si separano e si ha il LETTO FLUIDO. Consideriamo l’andamento della caduta di pressione attraverso il letto di materiale in funzione della portata del gas, G (v. Fig. 4.5). 55 Fig. 4.5 Dall’Eq. 4.6 si ricava la seguente relazione: P L KA G Eq. 4.11 L’Eq. 4.11 indica che se aumenta G partendo da zero, la caduta di pressione attraverso il letto poroso aumenta linearmente, perché le altre grandezze che compaiono nell’equazione restano tutte costanti finché il letto di materiale è statico. Il letto è statico fino a quando la forza di attrito, f, esercitata dal gas sul materiale nella direzione verticale verso l’alto, è minore in modulo rispetto al peso del materiale, W. Quando G raggiunge il valore Gc (v. Eq. 4.10) si raggiungono le condizioni espresse dall’Eq. 4.9. Poiché: f PA , allora sarà: 56 P W A In tali condizioni la forza f è uguale al peso del materiale, allora il materiale è sospeso, ma le particelle sono ancora impaccate a causa delle forze interparticellari (elettrostatiche e meccaniche). Per poter separare le particelle si deve applicare una forza superiore a W per vincere le forze di interazione interparticellare. Questa forza è ottenuta aumentando G. Si ha di conseguenza un aumento della forza f al di sopra di W. Si ha perciò un aumento temporaneo della P. Quando le forze interparticellari sono state vinte, allora le particelle si separano e si ritorna nelle condizioni di equilibrio per cui f=W e P ha il valore di equilibrio, W/A. Questo equilibrio si ristabilisce con il letto di materiale fluidizzato. Al di là del valore di flusso a cui le particelle sono separate, il letto è fluido. La rappresentazione schematica del letto fluido è mostrata in Fig. 4.5. Il letto fluido ha le caratteristiche macroscopiche di un liquido. Infatti ha un volume proprio, una sua superficie, occupa un contenitore come un liquido (assume la stessa forma del contenitore in cui è contenuto), ha una sua pressione idrostatica (c’è infatti una caduta di pressione attraverso il letto). Ha le caratteristiche di un liquido anche nel senso che se si immerge un corpo solido nel letto fluido, questo corpo può galleggiare o può essere in posizione di equilibrio indifferente oppure può andare a fondo. Ci chiediamo quale effetto ha un aumento di G sul letto fluido. Quando il letto è fluidizzato, l’espressione di G valida per il letto statico (Eq. 4.6) non vale più. Infatti, tale equazione vale se il flusso del fluido nel materiale poroso è un flusso laminare. Invece, nelle condizioni di letto fluido il flusso è turbolento. L’equazione che lega la forza viscosa a G non è più l’Eq. 4.8, però si possono fare delle considerazioni di tipo semi-quantitativo su questa forza. La forza viscosa è ancora direttamente dipendente da G ed è ancora inversamente dipendente dalla permeabilità del letto da parte del gas. Se il letto è più permeabile, la forza f è più piccola, a parità di G. La permeabilità del letto fluido dipende dalla distanza media tra le particelle solide. Se tale distanza aumenta, aumenta anche la permeabilità del letto. Se si aumenta la velocità del fluido, allora tende ad aumentare la forza viscosa che a sua volta tende a fare aumentare la distanza media tra le particelle la quale, viceversa, ha come effetto una diminuzione della forza viscosa. Quindi, in definitiva, all’aumentare della velocità del fluido la forza viscosa resta costante, come anche resta invariata P. Ma il letto fluido invece cambia, si espande nel contenitore perché è aumentata la distanza interparticellare: in pratica aumenta il livello 57 del letto fluido nell’impianto. Quindi, in linea puramente teorica, aumentando G all’infinito anche la distanza media interparticellare dovrebbe aumentare all’infinito. Quando però la distanza è infinita il letto non è più tale, cioè, le particelle si comportano rispetto al gas come fossero particelle singole, la forza viscosa non è più influenzata dalla distanza interparticellare. Allora, quando la forza viscosa supera il peso della singola particella non c’è più sospensione della particella nel gas, ma c’è trasporto della particella da parte del gas: questo si chiama trasporto pneumatico. In teoria, ci dovrebbe essere un passaggio graduale dal letto fluido al trasporto pneumatico. La differenza tra le caratteristiche fisiche macroscopiche del letto fluido e quelle delle particelle trasportate dal gas è netta poiché il letto fluido ha le caratteristiche di un liquido, mentre nel trasporto pneumatico non esiste più un letto e le particelle di solido si comportano come le molecole di un gas. Passando dalla teoria alla pratica, al di sopra di un certo valore di G nel letto fluido si osserva la formazione di bolle di gas (analogia con un liquido in ebollizione)(v. Fig. 4.5). In questa fase c’è un leggero aumento della P rispetto a G. Aumentando ancora G al di sopra di un valore massimo (Gmax), si ha il trasporto pneumatico, per cui gruppi di particelle vengono trasportati via dal gas (v. Fig. 4.5). Quando si realizza in pratica un letto fluido si deve verificare: Gc G Gmax . Per materiali particellari le cui particelle hanno un peso specifico minore e una superficie specifica maggiore, il trasporto pneumatico avviene per valori di flusso minori che per materiali costituiti da particelle più grandi. In presenza di una grande dispersione di dimensioni particellari, cioè, quando coesistono particelle molto fini e molto grandi, non è possibile formare il letto fluido. Infatti, il valore di G che sospende le particelle più grandi genera il trasporto pneumatico di quelle più piccole. Dunque è necessario che le particelle da fluidizzare siano il più possibile omogenee dimensionalmente. Se le dimensioni medie sono molto piccole, allora la porosità del letto statico è bassa e la superficie specifica è molto grande e la permeabilità del letto statico è molto bassa, secondo l’Eq. 4.7. Dall’Eq. 4.10 si nota che a parità di peso del materiale, se K è molto piccolo il flusso critico è altrettanto piccolo, allora è sufficiente avere un piccolo valore di G per superare Gmax e avere un trasporto pneumatico. L’intervallo Gc G Gmax per particelle molto piccole è troppo ristretto. E’ sufficiente una debole corrente d’aria per avere un trasporto pneumatico. In conclusione con particelle molto fini non si può fare un letto fluido. Al contrario, se le 58 particelle hanno dimensioni troppo grandi la permeabilità K è elevata per cui, per avere la fluidizzazione si deve arrivare a valori di portata di gas molto elevati (v. Eq. 4.10). Il flusso di gas viene realizzato con una turbina, la cui portata può non essere sufficiente a raggiungere il valore di G necessario per la fluidizzazione, se K è troppo elevato. In pratica, è possibile fluidizzare anche un letto di compresse, nonostante abbia un coefficiente di permeabilità molto alto. Tale fluidizzazione può essere ottenuta con un valore di G ragionevole, anche se K è elevato, agendo su L, ossia, sull’altezza del letto statico. Si può fluidizzare un letto statico di sezione piccola e altezza elevata per compensare il grande valore di K (v. Eq. 4.10). Si consideri ora il letto fluido ai fini dell’essiccamento di un materiale. 59 Fig. 4.6 Il peso del materiale varia durante l’essiccamento, allora, come si vede in Fig. 4.6, il grafico di P rispetto a G, cambia nel corso del processo. Il grafico cambia passando dal materiale umido iniziale (A) al materiale secco finale (B). Quando il materiale è secco, il suo peso è diminuito, allora anche la portata critica è diminuita; inoltre sarà più piccolo anche il flusso massimo per il trasporto pneumatico e sarà più basso il valore di P per il quale si ha il letto fluido. Se, per esempio, si comincia l’essiccamento con un valore di flusso G tale che Gmax, B G Gmax, A , allora si hanno condizioni di letto fluido se il materiale è umido (A), ma condizioni di trasporto pneumatico se il materiale è secco (B). Quindi, con il flusso G il processo inizia in modo corretto, ma mantenendo costante il valore di G durante l’essiccamento, verso la fine dell’essiccamento si ha il trasporto pneumatico. Quindi, perché il processo avvenga in modo corretto si deve verificare contemporaneamente: G Gc , A , poiché all’inizio si deve fluidizzare il materiale umido, e anche G G max, B . In queste condizioni, durante l’essiccamento si avrà sicuramente una espansione del volume del letto, ma avremo sempre condizioni di letto fluido. Se l’intervallo Gc–Gmax è troppo stretto, si deve diminuire gradualmente il valore di G durante il processo. Lo schema di un impianto per l’essiccamento in letto fluido è rappresentato nella Fig. 15 del Rif. 1, p. 54. 60 Rif. 1, p. 54 In alto c’è una turbina, e l’aria viene fatta passare attraverso il materiale per aspirazione. La turbina infatti fa muovere l’aria secondo le frecce, aspirandola dall’esterno. L’aria entra dall’esterno, viene fatta passare attraverso un filtro, quindi attraverso un riscaldatore, e quindi viene convogliata dal basso verso l’alto attraverso il letto. Indicati nella figura sono dei filtri a sacco (o a manica): sono dei filtri di tela che servono per trattenere le particelle finissime presenti in qualsiasi materiale, le quali verrebbero facilmente trasportate dall’aria fuori dall’impianto, inquinando l’ambiente. Successivamente l’aria viene espulsa sotto forma di aria più umida. In certi casi può essere usata anche una valvola che fa ricircolare parzialmente l’aria. Può essere utile il ricircolo dell’aria nell’essiccamento, perché migliora il rendimento termico del processo. Quando il materiale è secco c’è pericolo, perché, 61 essendo il materiale costituito da sostanza organica di bassa conducibilità elettrica, dato che le particelle urtano tra di loro, allora si può generare una carica elettrostatica che non si disperde. La presenza di una carica elettrostatica sulla superficie delle particelle è pericolosa perché è sufficiente una scarica elettrica per generare un incendio. Per questo motivo devono essere adottate misure di sicurezza. Una consiste nel piazzare nel letto fluido elettrodi collegati a terra. Questi possono essere anche inseriti nella tela dei filtri. Un’altra misura di sicurezza è rappresentata da una via di fuga dell’eventuale incendio o esplosione: può essere collegato all’impianto un condotto che porta verso l’esterno del fabbricato. Prendiamo in considerazione l’aspetto teorico dell’essiccamento in letto fluido. Come sappiamo, lo stato del letto statico del materiale umido di partenza può essere diverso a seconda della percentuale di acqua: stato capillare, funicolare, pendolare. Nello stato capillare tutti gli spazi tra le particelle sono riempiti dall’acqua. Un letto statico nello stato capillare ha un contenuto di umidità eccessivo per poter essere fluidizzato. Il letto di materiale nella condizione statica deve essere poroso, ossia deve essere almeno nello stato funicolare affinché ci siano spazi interparticellari che permettano il passaggio dell’aria attraverso il letto statico. Quando un letto di particelle non porose è fluidizzato l’acqua libera che vogliamo allontanare si trova interamente sulla superficie delle particelle separate. Invece se le particelle sono porose, allora ci sarà acqua libera sia in superficie che all’interno di esse. E’ il caso, per esempio, di un granulato umido. Consideriamo una differenza importante tra il sistema di essiccamento in letto fluido e quello in letto fisso, che pure impiega l’aria per fornire calore e per allontanare il vapore. La temperatura dell’aria a contatto con il materiale nei sistemi a letto fisso è mantenuta costante nella camera di essiccamento (v. Figg. 4.3 e 4.4). La situazione nell’essiccamento in letto fluido è diversa. L’aria viene aspirata, tramite una turbina, dall’ambiente esterno e passa attraverso il riscaldatore che la preriscalda. Passa poi attraverso il letto di materiale e in questo passaggio l’aria non riceve calore da alcuna sorgente (v. Fig. 15, Rif. 1). Si assume che l’aria fornisca il suo calore solo all’acqua del materiale. In tal modo si esclude la possibilità che l’aria ceda calore all’ambiente esterno, quindi si assume che l’impianto sia adeguatamente protetto da scambi di calore con l’esterno. Se l’aria, dopo un solo passaggio attraverso il letto fluido, esce dall’impianto, il fenomeno che avviene nel contatto tra l’aria 62 e il materiale umido è un processo di saturazione adiabatica dell’aria, che si può seguire sulla carta psicrometrica (v. Fig. 4.7). L’umidità assoluta dell’ambiente si indica con H i ed è nota. Anche la temperatura dell’aria che entra nel letto fluido è predeterminata e si indica con Ti ' (temperatura dell’aria dopo il preriscaldamento). Le condizioni dell’aria nel corso del suo passaggio attraverso il letto fluido cambieranno secondo una linea di saturazione adiabatica (isoentalpica). Quando l’aria esce dal letto fluido non è satura di umidità, per cui uscirà con un valore di temperatura pari a Tu e un valore dell’umidità pari a H u (v. Fig. 4.7). Fig. 4.7 Indichiamo con L l’altezza del letto fluido, e con x una certa quota: A tale quota si avranno condizioni dell’aria H x , Tx , che individuano un punto sulla linea di saturazione adiabatica, compreso tra Hi, Ti' e Hu, Tu (v. Fig. 4.7). Finché sulla superficie delle particelle sospese nel letto fluido è presente acqua libera, ad ogni quota x esistono 63 condizioni di stato stazionario dell’essiccamento, espresse dall’Eq. 4.2, e, se si assume che il calore venga trasferito al materiale per pura convezione, la temperatura di tale superficie è uguale alla temperatura di bulbo umido dell’aria alla quota x. Tale temperatura è data dall’intercetta della linea di bulbo umido relativa all’aria a Hx e Tx con la curva di saturazione. Come sappiamo, nel caso del sistema aria–vapore d’acqua le linee isoentalpiche coincidono con le linee di bulbo umido. Dunque, l’aria che attraversa il letto fluido subisce le trasformazioni descritte dalla linea isoentalpica rappresentata in Fig. 4.7 e ha, a qualsiasi quota, la stessa temperatura di bulbo umido, Ts, data dall’intercetta di tale linea con la curva di saturazione. Tale temperatura sarà uguale alla temperatura della superficie evaporante delle particelle in letto fluido, finché tale superficie è bagnata. Applicata alla quota x, l’Eq. 4.2 si scrive: VE ( x) Ah (Tx Ts ) AK ( H s H x ) Eq. 4.12 dove: A = area della superficie umida delle particelle o area della superficie evaporante, alla quota x (è una grandezza infinitesima) h = coefficiente di trasferimento di calore K = coefficiente di trasferimento di massa = calore latente specifico di evaporazione dell’acqua libera Ts = temperatura della superficie evaporante che è uguale alla temperatura di bulbo umido H s = umidità assoluta dell’aria a contatto con la superficie evaporante La velocità di essiccamento espressa dall’Eq. 4.12 è costante nel tempo, sempre che la superficie delle particelle sia rivestita di acqua. Fino a che siamo in tali condizioni, fissata una certa quota x la velocità di essiccamento a questa quota è costante nel tempo perché Tx e Hx sono costanti nel tempo. La temperatura della superficie del materiale, Ts , e l’umidità assoluta, H s , coincidono con i valori di bulbo umido, quindi, per quanto detto prima, sono indipendenti dalla quota e possono essere determinati sulla carta psicrometrica, conoscendo Hi e Ti' (v. Fig. 4.7). La velocità di essiccamento ad una certa quota è costante nel tempo, però dipende dalla quota: infatti nell’Eq. 4.12 compaiono Tx , H x che dipendono dalla quota x. La velocità di essiccamento diminuisce all’aumentare della quota. Ora, è vero che le 64 particelle hanno velocità di essiccamento diverse se si trovano a quote diverse, però le particelle sono sospese in un flusso turbolento di gas e possono occupare indifferentemente tutte le posizioni nel letto fluido, se non sono troppo disomogenee fisicamente, perciò, la velocità media di essiccamento è la stessa per tutte le particelle. Poiché A nell’Eq. 4.12 è un infinitesimo, anche VE(x) è un infinitesimo. Per esprimere la velocità di essiccamento di tutto il letto dobbiamo calcolare il seguente integrale: L VE VE ( x) 0 dove L è l’altezza del letto. E poiché ciascuna VE x è costante nel tempo, anche VE è costante nel tempo. Si ha quindi uno stato stazionario dell’essiccamento fino a quando è presente acqua libera sulla superficie delle particelle. Quando le particelle non sono porose, virtualmente tutta l’acqua si trova sulla superficie delle particelle e quindi, pressoché tutto l’essiccamento avviene in condizioni stazionarie. Terminato l’essiccamento, se non c’è dispersione di calore verso l’esterno la temperatura dell’aria di uscita salirà per equilibrarsi con la temperatura di preriscaldamento (TuTi’). A questo punto il flusso dell’aria potrà essere interrotto e il materiale secco recuperato. DETERMINAZIONE DELLA VELOCITA’ ISTANTANEA DI ESSICCAMENTO NEGLI IMPIANTI A FLUSSO D’ARIA Generalmente la velocità di essiccamento non è costante per tutto il tempo del processo, dunque è opportuno esprimere la velocità istantanea in funzione delle variabili del processo. La velocità istantanea di essiccamento si definisce nel modo seguente: VE t dmev dt dove mev rappresenta la massa d’acqua evaporata dal materiale. E’ immediatamente chiaro che: mev mvu mvi dove mvu è la massa di vapore associata all’aria che esce dall’impianto, e mvi è la massa di vapore già presente nell’aria di ingresso. Se ci si riferisce alla massa di vapore trasportata dall’unità di massa di aria secca, si ha: 65 mev m mvi vu Hu Hi maria maria Eq. 4.13 Allora si può scrivere: VE t H u H i dmaria dt Ma la massa di aria secca, espressa in funzione del volume umido, è data da questa equazione: maria Variaumida Vu dove Variaumida è il volume dell’aria umida che contiene la massa maria di aria secca. Perciò l’espressione della velocità di essiccamento diviene : VE t H u H i dVariaumida 1 dt Vu L’espressione finale della velocità istantanea di essiccamento sarà perciò la seguente: VE t H u H i G Vu Eq. 4.14 dove il volume umido e la portata dell’aria si intendono misurati nello stesso punto dell’impianto (ad es., all’ingresso, o all’uscita). In un impianto qualsiasi nel quale sono noti: l’umidità assoluta dell’aria di ingresso e quella dell’aria di uscita, il flusso dell’aria attraverso l’impianto, e il volume umido dell’aria nel punto in cui è misurato il flusso, si può determinare la velocità di essiccamento in un intervallo di tempo in cui Hu e Hi sono costanti, o approssimativamente tali. L’Eq. 4.14 è valida per tutti i sistemi che impiegano una corrente d’aria per trasportare il vapore. Se l’essiccamento avviene impiegando aria per trasferire il calore (convezione) in condizioni adiabatiche, quindi è un processo di saturazione adiabatica, è valida la seguente relazione: H u H i CP Ti Tu Eq. 4.15 che esprime la pendenza delle linee isoentalpiche (v. Eq. 3.7). Combinando le Eqq. 4.16 e 4.17, si ottiene: VE t Ti Tu G CP Vu Eq. 4.16 66 L’Eq. 4.16 si applica a quei sistemi in cui l’essiccamento avviene tramite un processo di saturazione adiabatica dell’aria come, ad es., un processo a letto fluido senza ricircolazione. L’espressione della velocità istantanea di essiccamento è utile per stabilire le basi teoriche di processi industriali complessi, di cui fa parte un processo di essiccamento, come la granulazione a spruzzo in letto fluido o il rivestimento automatizzato delle forme solide, come si vedrà in seguito. Inoltre, la conoscenza di VE(t) è utile, ad es., quando, conoscendo il contenuto iniziale di acqua in un materiale, si vuole interrompere l’essiccamento ad un tempo tale da lasciare nel materiale una determinata quantità d’acqua residua, che può migliorare certe proprietà fisiche del materiale, ad es., la compattabilità. A tale scopo, si deve calcolare la massa di acqua evaporata al tempo t. Se VE (t) varia nel tempo, si può suddividere il tempo in intervalli t in ciascuno dei quali VE possa essere considerata approssimativamente costante e possa essere misurata tramite l’Eq. 4.14 o l’Eq. 4.16. A questo punto si può calcolare: n mev t nt VE ,i t i 1 Eq. 4.17 67 ESSICCAMENTO MEDIANTE SISTEMI PNEUMATICI (SPRAY-DRYING) Rif. 1, p. 62 Nella Fig. 19 del Rif. 1 è raffigurato un impianto usato nel processo di spray-drying. Nella figura, con il numero 2, è indicato un sistema per nebulizzare il materiale che si vuole seccare. Per poter nebulizzare un materiale occorre che esso sia fluido: il materiale di partenza in questo caso contiene una percentuale di acqua molto elevata rispetto a quella dei sistemi visti in precedenza. Il materiale può essere una soluzione o una sospensione fluida della sostanza da seccare. Prelevandolo da un serbatoio, il materiale liquido viene alimentato nel nebulizzatore o atomizzatore che trasforma il liquido in uno spray. Lo spray viene messo in contatto con una corrente d’aria calda generata dal ventilatore (5) che aspira l’aria dall’esterno. Il condotto (7) convoglia l’aria fino a contatto con il nebulizzato (l’aria segue le linee di flusso indicate con le frecce, in co-corrente con il nebulizzato). 68 La velocità relativa del materiale, costituito dalle goccioline di spray, rispetto all’aria è più elevata rispetto ai casi descritti prima (letto fisso, letto fluido). La superficie specifica delle goccioline è molto grande. Per queste ragioni avviene un essiccamento rapido dello spray fino a lasciare una polvere secca trascinata dall’aria che esce dall’impianto. L’aria contenente la polvere secca viene inviata, tramite un altro ventilatore (11), in un separatore a ciclone (v. Rif. 1, p. 36) che separa l’aria dalla polvere, cosicché l’aria esce dall’alto del ciclone e la polvere si raccoglie nel ciclone in basso. Questo è un sistema di essiccamento continuo, perché la sospensione o soluzione è alimentata continuamente nel nebulizzatore e la polvere secca è continuamente prelevata dal ciclone. Le particelle più pesanti si depositano sul fondo della camera, in quanto non vengono trasportate dall’aria fino al ciclone. Anche queste vengono continuamente raccolte attraverso la apposita apertura. Perciò si raccoglie il prodotto di ciclone, più fine, e il prodotto di camera, più grosso. Il primo è anche di migliore qualità perché è stato esposto a temperature più basse, mentre il secondo è stato a contatto con le pareti della camera, che sono surriscaldate. Questi sistemi hanno un requisito fondamentale, cioè che le particelle di materiale, quando urtano le pareti della camera, devono essere già secche. Perciò, l’essiccamento delle goccioline di spray deve avvenire in pochi secondi e comunque prima che queste collidano con le pareti della camera. 69 Rif. 1, p. 36 Vediamo adesso come funziona il separatore a ciclone (v. Fig. 7, Rif. 1). Il ciclone è costituito da una parte superiore cilindrica e una parte inferiore fatta a cono rovesciato. La sospensione della polvere nell’aria entra dall’alto nel cilindro in modo tangenziale: questo fa sì che l’aria nel ciclone assuma un movimento a spirale discendente. Le particelle vengono centrifugate, collidono con le pareti del ciclone, si accumulano in masse che cadono e si raccolgono dal basso. L’aria per un fenomeno fisico complesso, dal basso risale verso l’alto con una spirale ascendente interna a quella discendente, e quindi esce dall’alto. Le polveri però non sono omodisperse: allora le particelle più fini non si accumulano sulle pareti ma sono trasportate dall’aria che esce dal ciclone. Per evitare ciò si può mettere un filtro all’uscita del ciclone, oppure si può usare una serie di cicloni cosicché l’aria che esce dal primo ciclone entra nel secondo e così via. I cicloni successivi hanno una sezione sempre più piccola: se la portata del ciclone è costante e la sezione è minore, allora la velocità angolare è maggiore. Allora la accelerazione centripeta è maggiore nei cicloni di sezione minore: questo fa sì che particelle di massa più piccola vengano separate dall’aria e raccolte nei cicloni di diametro minore. Con questo sistema si può, oltre che raccogliere tutto il prodotto secco, anche fare una classificazione dimensionale delle particelle. 70 Deve esistere un bilanciamento tra i fattori che regolano l’essiccamento: il flusso di alimentazione del liquido (volume di liquido che si introduce nella camera nell’unità di tempo) deve essere bilanciato con la velocità di essiccamento delle goccioline. Affinché le goccioline siano secche prima che arrivino a collidere con le pareti è necessario che la velocità con cui il solvente (in genere, acqua) viene immesso nella camera sia uguale alla velocità di evaporazione di tale solvente, altrimenti si accumulerebbe il liquido nella camera: la velocità di alimentazione deve essere bilanciata con la velocità di essiccamento. I fattori che regolano la velocità di essiccamento sono: 1) la superficie specifica del nebulizzato: maggiore è la superficie specifica, più rapido sarà l’essiccamento delle goccioline; 2) la velocità relativa dell’aria rispetto alle particelle, che determina i coefficienti di trasferimento di calore e di massa; 3) l’umidità assoluta dell’aria di ingresso: più bassa è, più rapido è l’essiccamento; 4) la temperatura dell’aria di ingresso: più elevata è più rapido è l’essiccamento. Ci deve essere un bilanciamento anche tra il diametro delle goccioline dello spray e il diametro della camera. Goccioline più grosse essiccano più lentamente, dunque percorrono una distanza maggiore prima di trasformarsi nelle particelle secche. Perciò dovrà essere maggiore il diametro della camera. Viceversa apparecchiature per spray-drying da laboratorio, la cui camera ha un piccolo diametro, devono essere dotate di nebulizzatori che producono uno spray abbastanza fine. I nebulizzatori (o atomizzatori) per lo spray-drying sono di diversi tipi. 71 NEBULIZZATORI A TURBINA (v. Fig. 16 Rif. 1) La turbina è fissata in alto nella camera di essiccamento. Il liquido di alimentazione viene introdotto all’interno della turbina su un cono che ruota insieme al disco. Quando il liquido entra in contatto con il cono subisce una centrifugazione ed è suddiviso in goccioline e proiettato verso i fori periferici di uscita della turbina. Si forma uno spray che ha la forma di un ombrello. NEBULIZZATORI A UGELLO PNEUMATICO (o A DUE FLUIDI) (v. Fig. 18, Rif. 1) Gli atomizzatori ad ugello sono di due tipi: uno è detto pneumatico o a due fluidi. Nella figura, l’ugello è rappresentato in sezione: da questa sezione si vede che all’interno dell’ugello ci sono due condotti. Attraverso il condotto centrale passa il liquido da nebulizzare; l’ugello in questa figura è disposto in maniera tale che lo spray esce verso 72 l’alto, ma può essere messo in modo che lo spray esca verso il basso. Il condotto centrale è circondato da un altro condotto ad anello in cui viene introdotta aria a pressione. Invece, il liquido non viene spinto a pressione nel condotto. All’uscita dell’ugello l’aria forma un cono al vertice del quale la velocità dell’aria è massima e la pressione è minima. Quindi l’aria che esce dall’ugello aspira il liquido che esce al centro dell’ugello e l’interazione del liquido con l’aria provoca la nebulizzazione del liquido: l’aria all’uscita dell’ugello trasforma la sua energia di pressione in energia cinetica che viene trasmessa al liquido. Il liquido si trasforma in goccioline e il nebulizzato ha la forma che assume il flusso dell’aria. NEBULIZZATORI A UGELLO IDRAULICO (o A UN FLUIDO) (v. Fig. 17, Rif. 1) In questo caso il fluido è il liquido che viene nebulizzato. C’è una camera interna in cui il liquido viene compresso (si usa un compressore); per uscire dall’ugello il liquido deve percorrere delle scanalature che sono fatte in modo da imprimere al liquido, all’interno dell’ugello e prima dell’uscita dall’ugello, un movimento circolare. All’uscita dell’ugello si ha la trasformazione dell’energia di pressione del liquido in energia cinetica e poiché è stato impresso al liquido un movimento circolare esso viene centrifugato. E questo suddivide il liquido in uno spray di forma conica. Consideriamo da che cosa dipende la superficie specifica dello spray e l’elasticità del nebulizzatore (ossia la possibilità di far variare tale superficie specifica). La superficie specifica, S o , è funzione diretta dell’energia che viene fornita nell’unità di tempo al liquido alimentato attraverso il nebulizzatore, mal , nell’unità di tempo: 73 E S o f t mal t Il rapporto E/t è la potenza fornita al liquido; la massa che esce dal nebulizzatore nell’unità di tempo è proporzionale alla portata dell’alimentazione, Gal. Allora si ha: Pot S o f Gal Se si aumenta la potenza fornita al liquido lasciando invariata la portata del liquido allora aumenta la superficie specifica del nebulizzato e le goccioline sono più piccole. Se si mantiene costante la potenza e si aumenta la portata del liquido la superficie specifica diminuisce e le goccioline sono più grandi. Se si vuole aumentare il flusso del liquido mantenendo costanti le dimensioni delle goccioline e quindi anche la S o , si deve aumentare parallelamente la potenza. Quando si parla di potenza è necessario distinguere tra la potenza totale e la potenza utile. Infatti non tutta la potenza fornita va a suddividere il liquido, aumentando la sua energia libera superficiale. Solo una parte dell’energia fornita nell’unità di tempo si trasforma in energia libera superficiale e produce una suddivisione del liquido, mentre una gran parte della potenza erogata si disperde. Una causa importante di tale dispersione è l’attrito interno del liquido. Una parte della potenza viene dispersa a causa delle forze viscose che esistono all’interno del liquido. La potenza utile dipende dal tipo di nebulizzatore. Per esempio, nella turbina la frazione utile della potenza è maggiore che nell’ugello. Essa dipende anche dal materiale nebulizzato: la potenza dispersa sarà tanto maggiore quanto maggiore è la viscosità del materiale. Dunque la frazione utile della potenza dipende anche dalle caratteristiche del materiale nebulizzato, che determinano la sua viscosità. Poiché il materiale è molto spesso una soluzione la viscosità dipende dalla concentrazione e dalla temperatura della soluzione. In ultima analisi la frazione utile della potenza dipende da temperatura e concentrazione del materiale. La concentrazione della soluzione diventa particolarmente importante se il soluto è un polimero (anche basse concentrazioni di polimeri possono aumentare molto la viscosità). A parità di frazione utile di potenza si otterrà una superficie specifica maggiore quanto più piccola è la tensione superficiale del liquido. 74 Queste sono tutte le considerazioni che si possono fare sui fattori che influenzano la finezza dello spray e quindi il grado di suddivisione del liquido. Se si vuole far variare la finezza di uno spray senza cambiare il nebulizzatore è necessario che il nebulizzatore consenta di cambiare i fattori che determinano la S o . Se il liquido da suddividere è troppo viscoso gli ugelli non sono adatti a nebulizzarlo perché in essi la dispersione di potenza per attrito è maggiore che nelle turbine. Per far variare la superficie specifica occorre far variare la potenza fornita al liquido e la portata di alimentazione del liquido, indipendentemente. Con i nebulizzatori a turbina ciò è possibile. Infatti la potenza fornita dalla turbina, che è fornita da un motore, può aumentare o diminuire, a seconda della maggiore o minore velocità di rotazione. Questo modo di fornire potenza è indipendente dalla portata dell’alimentazione, perché, a parità di portata, si può far variare a piacimento la potenza, facendo variare la velocità della turbina. Dunque, la turbina è il nebulizzatore più elastico. Negli ugelli esistono due modi di fornire potenza: nell’ugello pneumatico la potenza è fornita dall’aria compressa, mentre la portata del liquido può essere regolata con una pompa di circolazione. La potenza fornita al liquido dall’aria può essere variata indipendentemente dalla portata del liquido cambiando la pressione dell’aria, quindi anche l’ugello pneumatico ha una certa elasticità, per cui anche con l’ugello pneumatico si possono far variare le dimensioni delle goccioline di spray. L’elasticità della turbina è comunque maggiore. Nel caso dell’ugello idraulico l’unica variabile su cui giocare per far variare So è la pressione del liquido nell’ugello. Questa fa variare direttamente sia la potenza fornita al liquido sia la portata del liquido. Per questa ragione l’ugello idraulico è il meno elastico dei nebulizzatori e, inoltre, non consente di ottenere una elevata frazione di potenza utile. Questo vuol dire che con l’ugello idraulico non si può ottenere una superficie specifica delle goccioline molto grande e il grado di suddivisione dello spray non può essere molto elevato. Viceversa, con la turbina si può raggiungere una potenza utile molto elevata e raggiungere dimensioni delle goccioline anche molto piccole. Riassumendo, la turbina dà dimensioni delle goccioline di spray molto piccole e un ampio intervallo di variazione delle dimensioni. L’ugello pneumatico dà dimensioni delle particelle abbastanza piccole e un intervallo di variabilità delle dimensioni più stretto, rispetto alla turbina. Poiché forma uno spray allungato a cono, può essere montato anche in piccole camere da laboratorio. L’ugello idraulico deve essere montato in impianti grandi 75 perché le dimensioni delle goccioline di spray sono più elevate rispetto agli altri due atomizzatori, e inoltre è rigido, per cui non dà un intervallo ampio di variabilità di dimensioni. Con un atomizzatore a turbina l’intervallo di dimensioni particellari, non tanto delle goccioline ma della polvere secca, va da 10 a 200 µm. La velocità di rotazione della turbina può variare da 3000 a 50000 giri/min. Con la turbina le direzioni dello spray e del flusso dell’aria nella camera di essiccamento sono uguali, infatti la turbina si usa nei sistemi in cocorrente. Il trasporto pneumatico delle particelle prevede che le dimensioni delle particelle non siano troppo grandi e la costruzione degli impianti è tale per cui la polvere secca e l’aria che la trasporta devono uscire insieme dall’impianto. L’ugello pneumatico dà gradi di finezza delle particelle simili a quelli della turbina. Anche questo tipo di nebulizzatore si usa in sistemi in co-corrente. Gli ugelli idraulici sono rigidi e danno dimensioni particellari relativamente elevate: infatti l’intervallo di dimensioni particellari della polvere è 700-1000 µm. Con l’ugello idraulico il flusso dello spray e dell’aria nella camera è in contro-corrente, cioè l’aria e lo spray si muovono in versi opposti. Fig. 4.8 La polvere esce dal basso, l’aria che ha scambiato calore e ricevuto vapore, esce dall’alto. In questo sistema non si ha trasporto pneumatico, e questo è possibile perché le particelle sono relativamente grandi e tendono a cadere verso il basso. E’ importante la seguente conclusione: nei sistemi in co-corrente la polvere secca e l’aria escono insieme, in quelli in contro-corrente la polvere secca e l’aria escono da parti opposte. Le condizioni 76 della polvere all’uscita dell’impianto (temperatura e umidità residua) sono determinate dall’aria a contatto con essa. Nei sistemi in co-corrente la polvere che esce è a contatto con l’aria che esce e quindi la temperatura e l’umidità residua della polvere sono determinate dalla temperatura e dall’umidità relativa dell’aria di uscita. Poiché l’aria di uscita ha scambiato calore, la sua temperatura sarà nettamente più bassa di quella di ingresso. L’umidità di uscita, invece, sarà più alta di quella di ingresso. Nel caso invece dei sistemi in contro-corrente, la polvere che esce dal basso è a contatto con l’aria che entra e quindi la temperatura e l’umidità della polvere secca sono determinate dall’aria di ingresso. Queste sono considerazioni importanti che si devono fare quando si va a valutare il rischio termico e il contenuto di umidità residua nel materiale secco. Se la camera di essiccamento è ben isolata termicamente il processo di essiccamento è un processo di saturazione adiabatica dell’aria. Questa, infatti, viene riscaldata prima dell’ingresso nella camera e durante l’essiccamento scambia calore soltanto con il materiale. Quindi le condizioni dell’aria variano, sulla carta psicrometrica, secondo una linea di saturazione adiabatica analogamente al caso dell’essiccamento in letto fluido (v. Fig. 4.7). L’aria all’uscita avrà una temperatura che si indica con Tu e una umidità assoluta H u . Evidentemente l’aria all’uscita non dovrà essere satura perché l’aria che esce trascina le particelle di polvere le quali, se devono essere secche, devono essere a contatto con un’aria che abbia un grado di saturazione <100% (se l’aria fosse satura di vapore le particelle non sarebbero secche ma conterrebbero ancora dell’acqua libera). La Tu e la H u individuano un punto sulla linea di saturazione adiabatica che ovviamente non coincide con i valori di saturazione. Si è visto che questo è un processo continuo e c’è necessità che le particelle di spray siano secche quasi subito per far sì che, quando collidono con le pareti della camera siano già secche e non si attacchino alle pareti stesse; perciò il presupposto di questo impianto è che il processo di essiccamento sia estremamente rapido. Perché si verifichi ciò, occorre che la superficie specifica dello spray sia sufficientemente grande, che i coefficienti di trasferimento di calore e di massa siano elevati e quindi, che la velocità relativa dell’aria e delle goccioline sia elevata, e che la temperatura dell’aria sia sufficientemente alta da produrre un essiccamento rapido. Anche in questo caso si fa riferimento all’Eq. 4.2 valida per i casi di essiccamento per convezione in condizioni di stato stazionario. Affinché la 77 velocità di essiccamento sia alta deve essere grande A, e questo è vero nei sistemi pneumatici perché lo spray in genere è finemente suddiviso. h e K sono grandi perché si tratta di trasporto pneumatico e quindi la velocità relativa dell’aria rispetto alle goccioline è elevata. Inoltre è necessario che T e H siano rispettivamente grande e piccola. Se si vuole che la temperatura sia elevata, allora legittimamente ci si può chiedere se c’è rischio termico per il materiale e, inoltre, se le goccioline di spray entrano in ebollizione durante l’essiccamento. La temperatura delle goccioline di spray è importante sia per quanto riguarda la stabilità della sostanza che si vuol seccare sia per quanto riguarda la correttezza del processo perché si vuole che le goccioline evaporino in superficie senza entrare in ebollizione. Il fenomeno fisico è analogo a quello già trattato a proposito dell’essiccamento in letto fluido (v. Fig. 4.7). Le condizioni dell’aria dall’ingresso all’uscita dalla camera variano secondo la linea di saturazione adiabatica, che corrisponde con la linea di bulbo umido; ciò vuol dire che, analogamente al materiale sospeso in letto fluido, la Ts (temperatura delle goccioline dello spray) è costante al variare del tempo e della posizione nella camera, e si trova nel punto di intersezione tra la linea di saturazione adiabatica e la curva di saturazione (u.r.=100%). Per quanto riguarda il valore che Ts assume a temperature di preriscaldamento dell’aria ( Ti ) elevate, osservando la carta psicrometrica ci si rende conto che anche se l’aria fosse preriscaldata a temperature altissime (anche 300°) troveremmo, individuando la corrispondente linea di saturazione adiabatica, che la Ts sarebbe comunque al di sotto di 100°. Dunque, le goccioline non entrano in ebollizione. Consideriamo ora il rischio termico. Finché le goccioline sono tali, la temperatura è Ts . Quando le goccioline sono secche e escono dalla camera, la loro temperatura si avvicina a Tu (temperatura dell’aria in uscita), nei sistemi in co-corrente, e a Ti (temperatura di preriscaldamento dell’aria), nei sistemi in contro-corrente. Si può accettare che la temperatura del materiale secco arrivi a valori relativamente elevati perché la stabilità chimica del materiale dipende dal tempo in cui il materiale si trova a una determinata temperatura. La degradazione chimica di un materiale dipende molto da tale tempo e in questo caso si deve tenere presente che il materiale rimane a temperatura sensibilmente più alta della temperatura ambiente per pochissimo tempo, dell’ordine di secondi (tempo che intercorre tra il momento in cui lo spray viene emesso dal nebulizzatore e il momento in cui 78 la polvere secca viene raccolta nel ciclone). Perciò il rischio termico è molto basso; infatti lo spray-drying è un sistema che viene usato per seccare materiali termosensibili. Quindi, se anche il materiale raggiunge temperature più elevate di quelle che si raggiungono per esempio nei sistemi a letto fisso o anche nel letto fluido, il tempo di permanenza a queste temperature è estremamente basso per cui il rischio termico è bassissimo. Il basso rischio termico è un vantaggio di questo sistema di essiccamento. Un altro vantaggio è dato dalla forma delle particelle secche che si ottengono, la quale sarà ovviamente correlata con la forma delle goccioline. Una gocciolina è sferica. Abbiamo visto che l’essiccamento non avviene facendo entrare in ebollizione la gocciolina ma avviene per evaporazione dalla superficie. Questo vuol dire che la particella tende a mantenere la forma sferica. A questo punto però bisogna considerare che la gocciolina può essere una soluzione o una sospensione della sostanza che si vuole seccare. Nel caso della soluzione, poiché l’evaporazione è molto rapida, allora c’è un rapido aumento della concentrazione del soluto alla superficie della gocciolina, tanto che si arriva alla situazione in cui alla superficie della gocciolina il soluto diviene solido mentre il solvente viene racchiuso all’interno della particella che mantiene la forma sferica. Se la superficie della particella è secca, non c’è più evaporazione libera, allora il calore che la particella riceve dall’aria viene assorbito almeno in parte come calore sensibile e la particella si riscalda. In tal caso il solvente che è all’interno della particella aumenta la sua tensione di vapore. Allora possono accadere due cose: 1) lo strato di materiale secco è sufficientemente poroso da lasciar passare il vapore, così si arriva ad una particella secca di forma rotondeggiante che può anche essere cava all’interno (perché il solvente che si era accumulato all’interno della particella, quando evapora, può lasciare un vuoto); 2) lo strato di materiale secco alla superficie della particella non è sufficientemente poroso per lasciar uscire il vapore. In tal caso si crea una pressione interna tale da fare scoppiare la particella che alla fine dà luogo a una o più particelle di forma irregolare. Avviene spesso che nella polvere che si raccoglie nel ciclone insieme ad una maggioranza di particelle sferiche si trovi una piccola percentuale di particelle di forma irregolare. Se invece di partire da una soluzione si partisse da una sospensione, in ogni gocciolina di partenza si potrebbe avere una o più particelle solide di materiale sospeso. La solubilità di una sostanza in un solvente, anche se bassa, in genere non è zero, e quindi nella 79 gocciolina c’è una parte di solido disciolto, per cui, il fenomeno di precipitazione di materiale c’è in genere, anche se il materiale è sospeso. Allora, se si ha una sospensione, sulle particelle sospese si deposita del soluto che dopo l’evaporazione del solvente solidifica e va a rivestire le particelle sospese. Il risultato è che se le particelle sospese hanno in partenza una forma irregolare, poiché vengono rivestite gradualmente dal soluto che solidifica, si ha un arrotondamento della forma della particella che si ottiene alla fine. Quindi, sia che si parta da una soluzione che da una sospensione, le particelle di polvere secca che si ottengono alla fine hanno prevalentemente una forma rotondeggiante. Questo è molto importante perché la forma rotondeggiante conferisce scorrevolezza alla polvere. In realtà la scorrevolezza non dipende solo dalla forma della polvere secca; quando le particelle sono piccole la scorrevolezza è scarsa a causa delle dimensioni. Infatti, se le dimensioni sono piccole è grande la superficie specifica, e così c’è una notevole tendenza all’agglomerazione che è dovuta ad interazioni superficiali; gli agglomerati di particelle piccole non sono per niente scorrevoli. L’agglomerazione avviene a causa delle interazioni elettrostatiche che si stabiliscono tra le particelle. La forma sferica impedisce la concentrazione di cariche statiche, perché distribuisce la carica elettrostatica su tutta la superficie della particella. Ecco perché la forma sferica riduce la formazione di agglomerati, quando la superficie specifica è elevata. Ecco perché con lo spray-drying si ottengono polveri che sono fini ma, avendo prevalentemente forma rotondeggiante, sono poco agglomerate e perciò scorrevoli. Tanto è vero che lo spray-drying è anche usato proprio per arrotondare la forma delle particelle. Un esempio di questa applicazione è dato dal lattosio commerciale, che può portare la specificazione “lattosio ottenuto per spraydrying”: tale specificazione è una garanzia di qualità del prodotto perché sarà sicuramente scorrevole. Lo spray-drying non si usa solo per l’essiccamento, ma ne esistono altre applicazioni. Per esempio con tale tecnica possono essere ottenute microcapsule. Si può microincapsulare una polvere: il materiale di partenza è una sospensione della polvere in una fase liquida costituita da una dispersione di un colloide in acqua. Le particelle di polvere sono sospese nel solvente e man mano che il solvente evapora il colloide, che è disperso nel solvente, va a rivestire le particelle di principio attivo. Quindi ogni gocciolina si trasforma in una microcapsula. Le microcapsule si possono ottenere anche incapsulando oli (in questo caso, invece di fare una sospensione si fa un’emulsione). L’olio viene emulsionato, l’acqua 80 contiene il polimero di rivestimento. Anche in questo caso ogni gocciolina quando è secca è una microcapsula in cui il polimero incapsula l’olio. Oppure si può fare il cosiddetto spraycongealing (congelamento dello spray). Così si possono preparare delle microcapsule in cui una cera riveste il principio attivo. Le cere sono materiali che fondono a temperature piuttosto basse. Allora si può sospendere il farmaco da incapsulare in cera fusa, quindi la sospensione viene nebulizzata e lo spray viene fatto solidificare inviando nella camera aria fredda (spray-congealing) ottenendo così microcapsule. Correlazioni tra i fattori che controllano il processo di spray-drying Il processo di essiccamento avviene in condizioni stazionarie; è un processo continuo, quindi, quando va a regime, la massa di materiale liquido che è introdotta nella camera nell’unità di tempo è costante ed è costante anche la massa di polvere secca che si raccoglie nell’unità di tempo. Vediamo come si analizzano quantitativamente queste condizioni. La velocità di essiccamento, VE=mev /t (massa di acqua evaporata nell’unità di tempo), deve essere uguale alla massa di acqua immessa nella camera nell’unità di tempo, perché il processo funzioni in modo corretto senza accumulo di acqua nella camera. La massa di acqua introdotta nella camera è legata alla massa dell’alimentazione (per alimentazione si intende il materiale liquido che viene alimentato nella camera e si indica con il pedice “al”) dalla relazione: macqua mal (1 f ) dove f rappresenta la frazione in peso del materiale farmaceutico nell’alimentazione. Dunque, quando il processo è a regime si deve avere: VE mev macqua mal (1 f ) t t t La massa alimentata è correlata al suo volume tramite la densità. Dunque: VE al dove Val 1 f t Val è la portata dell’alimentazione e si indica con Gal: t VE al Gal 1 f Eq. 4.18 81 Si può correlare la portata dell’alimentazione con le condizioni dell’aria nell’impianto. Si è precedentemente espressa la VE nei sistemi di essiccamento ad aria, mediante l’Eq. 4.14. Nel caso presente, la VE è costante, quando il processo è a regime. Combinando l’Eq. 4.14 con l’Eq. 4.18, si ottiene: al Gal 1 f G H u Hi Vu Eq. 4.19 Questa è valida indipendentemente dal fatto che l’impianto abbia perdite di calore o meno. Se poi l’impianto è sostanzialmente adiabatico allora la VE si può esprimere con l’Eq. 4.16, per cui, le condizioni di regime si possono scrivere in funzione della variazione di temperatura dell’aria: al Gal 1 f G Cp Ti Tu Vu Eq. 4.20 Consideriamo i singoli fattori che compaiono nelle equazioni precedenti e che sono importanti per stabilire le condizioni stazionarie del processo. Consideriamo la temperatura Ti che è la temperatura di preriscaldamento dell’aria. Questa viene prefissata sulla base di diversi criteri. Uno di questi riguarda il corretto funzionamento del processo, cioè, tale temperatura si deve armonizzare con gli altri fattori che compaiono nelle Eqq. 4.19 e 4.20, in modo che valga l’uguaglianza. In altre parole la temperatura di preriscaldamento dell’aria deve essere tale da consentire che l’evaporazione dell’acqua avvenga ad una velocità uguale all’introduzione dell’acqua nella camera. Ci sono altri requisiti della temperatura di preriscaldamento dell’aria, che sono relativi alle esigenze del materiale. Tutti i materiali hanno dei limiti per quanto riguarda la stabilità termica e allora la temperatura di preriscaldamento deve essere compatibile con questa esigenza del materiale. Il materiale, inoltre, ha anche un’altra esigenza: il contenuto di umidità residua. La Ti influenza, come vedremo più precisamente in seguito, il contenuto di umidità residua del materiale. Una volta che si è tenuto conto di questi fattori, la temperatura di preriscaldamento è fissa per tutta la durata del processo. G è la portata dell’aria. Nel caso del letto fluido la portata dell’aria deve avere dei requisiti tali per cui deve fluidizzare il letto di polvere senza arrivare al trasporto pneumatico. Qui il trasporto è pneumatico, nel caso di sistemi in co-corrente. Allora, per questi sistemi G non ha un limite superiore, se non quello posto dalla costruzione 82 dell’impianto o dal ventilatore che si usa per generare questo flusso di aria. Per il funzionamento del processo il flusso dell’aria può essere grande quanto si vuole perché siamo in condizioni di trasporto pneumatico, di grande turbolenza, e più grande è questa turbolenza, più rapido è il processo: Perciò se in un impianto in co-corrente si può far variare G, conviene massimizzarlo. Il sistema in contro-corrente funziona con nebulizzatori ad ugello idraulico. In questo sistema il materiale liquido viene introdotto dall’alto, l’aria entra nella camera dal basso, mentre il materiale secco esce dal basso e l’aria esce dall’alto (v. Fig. 4.8). In questo caso G ha requisiti particolari, cioè, non deve generare il trasporto pneumatico, ma nemmeno la sospensione del materiale: G deve essere tale da consentire al materiale di scendere verso il basso, perciò deve essere armonizzato con le caratteristiche del materiale (peso e superficie specifica delle particelle). Perciò nei sistemi in contro-corrente, per regolare G si deve tenere conto delle dimensioni delle particelle dello spray. Le altre grandezze nelle Eqq. 4.19 e 4.20, come il calore specifico dell’aria, il calore latente specifico di evaporazione, la frazione di soluto nell’alimentazione, f, sono caratteristiche indipendenti dal funzionamento del processo. Il valore di V u che compare in tali espressioni si riferisce all’aria della quale si misura il valore della portata, G. Il rapporto G/Vu rappresenta la massa di aria che attraversa l’impianto nell’unità di tempo e dipende dal funzionamento del ventilatore. Gal è la portata dell’alimentazione. Nei casi in cui può essere fatta variare in un intervallo ampio, e questo avviene con i nebulizzatori a turbina o a ugello pneumatico, il suo valore deve essere armonizzato con le altre grandezze delle Eqq. 4.19 e 4.20. Nel caso dei sistemi che impiegano l’ugello idraulico si è visto che Gal più che adeguarsi agli altri fattori dell’impianto e a quelli relativi al materiale deve adeguarsi alle caratteristiche dell’ugello perché negli ugelli idraulici c’è una correlazione tra portata dell’alimentazione, pressione alla quale è sottoposto il liquido nell’ugello idraulico, viscosità del liquido stesso, apertura dell’ugello. H i è l’umidità assoluta dell’aria di ingresso, che deve essere regolata opportunamente condizionando l’aria dell’ambiente. H u è l’umidità dell’aria di uscita dalla camera e, come Tu , che è la temperatura della stessa aria, sono variabili dipendenti da tutti gli altri fattori. 83 Le Eqq. 4.19 e 4.20 si possono scrivere nel modo seguente: Hu Hi Tu Ti alVu 1 f G alVu 1 f CPG Gal Eq. 4.21 Gal Eq. 4.22 Discutiamo queste due equazioni per i sistemi in co-corrente. In questi, la portata dell’aria, G, non è una vera e propria variabile: essa è una caratteristica dell’impianto e ha il valore massimo che l’impianto consente. Invece, poiché nei sistemi in co-corrente si usano nebulizzatori a turbina o ad ugello pneumatico, la portata di alimentazione Gal può essere fatta variare e ottimizzata per un certo processo, in quanto con questi nebulizzatori i fattori che determinano la superficie specifica del nebulizzato (potenza e portata di alimentazione) possono essere fatti variare indipendentemente. La portata di alimentazione perciò può essere considerata una variabile indipendente: si può aumentare o diminuire il flusso e vedere come queste variazioni influiscono sul processo. I rapporti che compaiono nelle Eqq. 4.21 e 4.22 sono costanti nel corso del processo. Nella Eq. 4.21, Hi , ossia l’umidità assoluta dell’aria di ingresso, è costante; nella Eq. 4.22 la temperatura di preriscaldamento, Ti', è costante. Si può perciò considerare la portata di alimentazione una variabile indipendente e quindi alimentare il liquido più rapidamente o meno rapidamente, e questo porta come conseguenza una variazione dell’umidità assoluta dell’aria di uscita e anche una variazione della temperatura dell’aria di uscita, che sono variabili dipendenti. Si può verificare, tramite l’effetto della portata di alimentazione sull’umidità assoluta o sulla temperatura dell’aria di uscita, se il processo funziona in modo corretto oppure no, cioè, se queste due equazioni sono rispettate o no. Infatti le due equazioni si possono scrivere anche così: H u H i cos t Gal Eq. 4.23 Tu Ti cos t Gal Eq. 4.24 Per verificare se queste equazione sono effettivamente rispettate nel processo è sufficiente verificare che il tipo di correlazione tra portata di alimentazione e umidità assoluta dell’aria di uscita o portata di alimentazione e temperatura dell’aria di uscita è quello effettivamente previsto dalle equazioni stesse. Queste equazioni prevedono una correlazione lineare tra l’umidità dell’aria di uscita e portata di alimentazione e anche tra la temperatura dell’aria di 84 uscita e tale portata. Inoltre, si deve verificare che per Gal=0 si abbia: Hu=Hi e Tu=Ti’. Se i suddetti requisiti sono rispettati, allora si può concludere che il processo funziona correttamente (v. Fig. 4.9). Hu Tu Ti' Hi Gal,max Gal Gal,max Gal Fig. 4.9 Questo lo si può fare nei sistemi in cui la portata di alimentazione è un’effettiva variabile indipendente, cioè nei sistemi in co-corrente, perché in quelli in contro-corrente, in cui l’ugello è idraulico, la portata di alimentazione non può essere considerato una vera e propria variabile perché l’ugello è di tipo rigido. Si possono costruire due grafici in riferimento alle due equazioni precedenti. Si può aumentare la portata di alimentazione avendo fissato le altre grandezze cioè la portata dell’aria, la temperatura di pre-riscaldamento dell’aria, l’umidità assoluta dell’aria di ingresso. Si mette in funzione l’impianto, si fa funzionare il ventilatore, il preriscaldatore dell’aria, e poi si comincia a spruzzare partendo da un valore di Gal=0 e aumentandolo gradualmente. Se l’umidità assoluta (o la temperatura, se l’impianto è adiabatico) dell’aria di uscita varia linearmente, come previsto dall’Eq. 4.23 (o dall’Eq.4.24) allora, in queste condizioni il processo funziona correttamente (v. Fig. 4.9). Un andamento lineare di Hu (o di Tu) in funzione di Gal non si avrà per valori troppo grandi di Gal. Per valori di flusso di alimentazione superiori a un valore limite, Gal,max, la massa d’acqua immessa nella camera nell’unità di tempo supera la massa d’acqua che evapora nell’unità di tempo e quindi da un certo valore di flusso in poi c’è un accumulo di acqua nella camera e quindi, se si verifica ciò, l’umidità assoluta dell’aria di uscita non aumenta più linearmente ma assume valori più 85 bassi di quelli teorici. Analogamente, la Tu non diminuisce più linearmente e quindi i grafici tendono a incurvarsi verso un plateau. Il sistema funziona bene fino a un valore massimo del flusso di alimentazione, oltre il quale non si può andare. Ora ci si deve porre il problema di una ottimizzazione delle variabili. Ci conviene evidentemente massimizzare il flusso di alimentazione, perché così si massimizza la velocità del processo. Si massimizza inoltre il grado di saturazione dell’aria, perché se nell’unità di tempo si introduce più acqua nella camera, ne evapora di più e quindi aumenta il grado di saturazione dell’aria. Perciò, anche dal punto di vista del rendimento termico conviene aumentare Gal . Nei sistemi in co-corrente bisogna considerare che se si aumenta il grado di saturazione dell’aria di uscita si aumenta anche il contenuto di umidità residua del materiale che esce, perché in questi sistemi il materiale esce insieme all’aria. Per flussi di alimentazione troppo elevati, nei sistemi in co-corrente la polvere potrà uscire più umida di quanto sia opportuno. Nei sistemi in contro-corrente, invece, la polvere che esce è a contatto con l’aria di ingresso e quindi non si pone il problema di una eccessiva umidità dell’aria di uscita. Per quanto riguarda i valori di H i e di Ti , diminuendo la prima (rendendo cioè l’aria di ingresso più secca) e aumentando la seconda, si aumenta la velocità del processo. Un’altra variabile da discutere è S o , cioè la superficie specifica dello spray. Si è già detto che per i sistemi a ugello idraulico So non si considera una variabile. Nei sistemi in cocorrente che usano turbine o ugelli pneumatici invece essa può variare, come abbiamo già visto. La superficie specifica del nebulizzato non compare nelle equazioni che esprimono il bilanciamento del processo. Allora la pendenza dei grafici Tu vs. Gal o Hu vs. Gal rimane uguale e indipendente dai valori di S o . Però è indubbio che se S o è maggiore l’evaporazione dello spray è più rapida e questo consente una portata massima di alimentazione, Gal,max, maggiore. Consideriamo perciò i due grafici relativi a un caso 1 e a un caso 2, tali che S 0, 2 S 0,1 . La pendenza sarà uguale, però il grafico 2, quando arriva alla portata massima per il caso 1, prosegue linearmente. 86 Hu So2 Tu So1 So1 So2 Gal,max1 Gal,max2 Gal Gal,max1 Gal,max2 Gal Fig. 4.10 Quindi se si verifica che in certe condizioni c’è accumulo di liquido allora si possono diminuire le dimensioni particellari dello spray. Nei nebulizzatori elastici è sufficiente aumentare la potenza, ossia la velocità di rotazione della turbina, oppure aumentare la pressione dell’aria di atomizzazione nell’ugello pneumatico. 87 CAPITOLO 5 LA LIOFILIZZAZIONE Liofilizzare un materiale significa renderlo “liofilo”. Rendere liofilo un materiale significa renderlo rapidamente solubile in acqua. Il termine liofilizzazione dunque non è legato al processo di essiccamento, ma è legato alle caratteristiche fisiche del prodotto finale. Questo è una sostanza solida con una elevatissima superficie specifica che rende molto rapida la dissoluzione. Il processo si dovrebbe chiamare CRIO-ESSICCAMENTO, ossia, essiccamento a freddo. Infatti il processo consiste nel congelare la soluzione, facendo passare l’acqua a ghiaccio, e successivamente allontanare l’acqua con il passaggio di stato della sublimazione. Questo processo si adatta bene a materiali molto termolabili che non sopporterebbero nemmeno il trattamento dello spray-drying. Oppure si può fare un crioessiccamento per fare la liofilizzazione, cioè per ottenere un materiale che si scioglie molto rapidamente in acqua. Il processo si svolge in tre fasi successive: 1) CONGELAMENTO, detto più frequentemente PRECONGELAMENTO. In questa fase viene sottratto calore alla soluzione per fare passare l’acqua a ghiaccio. Bisogna però considerare che anche il soluto, ossia il principio attivo, deve solidificare. Vedremo in seguito che in certi casi può essere utile che il soluto cristallizzi, in altri, che sia un solido amorfo. Non tutta l’acqua cristallizza e la percentuale di acqua che non passa a ghiaccio varia a seconda dei casi. In alcuni casi tale acqua vetrifica insieme al soluto amorfo, ma sempre c’è una percentuale di acqua adsorbita, a livello molecolare, sulla superficie del principio attivo solido. 2) ESSICCAMENTO PRIMARIO: in questa fase si ha la sublimazione del ghiaccio. 3) ESSICCAMENTO SECONDARIO o DESORBIMENTO: consiste nell’allontanamento dell’acqua adsorbita, e se è il caso, di quella vetrificata. Una soluzione di principio attivo prima di essere sottoposta al processo di liofilizzazione ha bisogno di pretrattamenti. Uno è la certamente la sterilizzazione, perché i liofilizzati farmaceutici sono destinati alla somministrazione parenterale. Deve essere sterilizzata la soluzione di partenza e non il 88 liofilizzato finale. Infatti, la liofilizzazione si applica in genere a materiali termolabili e, in generale, chimicamente poco stabili. Questo significa che il liofilizzato finale non può essere sterilizzato con calore né con raggi gamma o ossido di etilene. Allora si deve sterilizzare la soluzione di partenza e condurre la liofilizzazione in condizioni rigorosamente asettiche. La soluzione di partenza viene sterilizzata con il metodo della filtrazione sterilizzante (v. Rif. 1, p. 146-152). Se la soluzione di partenza è torbida allora deve essere sottoposta previamente a una filtrazione chiarificante. Un altro fattore importante da considerare è la concentrazione della soluzione di partenza, che non può essere inferiore ad un certo valore limite perché altrimenti il liofilizzato che si ottiene alla fine non ha sufficiente stabilità meccanica. Il liofilizzato è un solido poroso rigido dotato di una elevata superficie specifica. I pori presenti nel liofilizzato finale non sono altro che gli spazi lasciati liberi dai cristalli di ghiaccio che è sublimato. Alla fine del processo il liofilizzato secco occupa lo stesso volume della soluzione di partenza. Perciò se si parte da una soluzione troppo diluita, ad es., al 2%, il 98% del volume alla fine resta vuoto. Evidentemente un liofilizzato così non può essere stabile meccanicamente. Da ciò si conclude che la concentrazione non deve essere minore del 1520%. I principi attivi con elevata attività farmacologica, devono essere somministrati a basse dosi. Il liofilizzato monodose deve contenere una quantità piccola o molto piccola di principio attivo. In questi casi è necessario aggiungere al farmaco un eccipiente (che allo stato anidro è solido) che sia biologicamente inerte, come albumina o lattosio. Questo diluente conferisce la stabilità meccanica necessaria al liofilizzato. Nel caso in cui invece si abbia a disposizione una soluzione così diluita che per somministrare la dose opportuna si debbano fare più iniezioni, allora è necessario concentrare la soluzione. Per allontanare l’acqua da una soluzione senza riscaldarla si usa il metodo della crioconcentrazione che sarà descritto in seguito. 89 CONGELAMENTO DELLA SOLUZIONE ACQUOSA DI UNA SOSTANZA Aspetti termodinamici Per capire i fenomeni che avvengono quando si congela la soluzione di una sostanza consideriamo il diagramma di stato di un sistema binario costituito da acqua e soluto. Questi due componenti a certe temperature sono miscibili, ad altre non lo sono. Consideriamo il diagramma di stato di tale sistema alla pressione atmosferica: Fig. 5.1 G indica il ghiaccio F indica il farmaco Tc è il punto di congelamento della soluzione B indica la temperatura e la composizione della miscela soluzione–ghiaccio C indica la temperatura e la composizione della soluzione in equilibrio con il ghiaccio In ogni zona del diagramma il sistema si presenta in modo diverso: nella zona in alto esiste la soluzione, cioè i due componenti fanno parte di un sistema liquido omogeneo perché essi sono miscibili. Poi c’è una zona in cui esiste ghiaccio in equilibrio con una soluzione di farmaco (G+soluz.). Quindi, c’è un settore in cui il componente solido è il 90 farmaco in equilibrio con la soluzione del farmaco stesso (F+soluz.). Infine, nella zona più bassa esistono due fasi solide, ghiaccio e farmaco (G+F). La curva che ci interessa di più è quella di sinistra. Un punto su questa curva indica condizioni di temperatura e di composizione della soluzione in equilibrio con il ghiaccio. Un punto all’interno del settore sotteso dalla stessa curva indica le condizioni di temperatura e composizione di una miscela costituita da ghiaccio e soluzione. Se voglio sapere qual è la composizione della soluzione in equilibrio con il ghiaccio in una miscela avente temperatura e composizione corrispondenti, ad es., al punto B (Fig. 5.1) devo cercare il punto sulla curva che corrisponde alla temperatura che si considera (punto C, Fig. 5.1). Se una soluzione viene portata ad una temperatura tale che si separa del ghiaccio, è ovvio che la soluzione si concentra. Se il sistema è costituito da acqua pura, la temperatura alla quale l’acqua pura è in equilibrio con il ghiaccio è 0°C (alla pressione di 1atm). Considerando la curva di destra, in questo caso la fase solida è costituita dal farmaco: se consideriamo il farmaco puro cioè, se ci poniamo sull’asse delle ascisse in corrispondenza del 100% di farmaco, l’ordinata del corrispondente punto sulla curva sarà il punto di fusione del farmaco alla pressione di 1atm. Nei punti sulla linea retta orizzontale il sistema è in condizioni diverse a seconda che essi si trovino a sinistra o a destra del punto triplo. Infatti, a sinistra del punto triplo, per tutte le composizioni comprese tra il 100% di acqua e il punto E il sistema è costituito da: 1) una fase liquida, che è una soluzione con una composizione corrispondente al punto E; 2) ghiaccio; 3) una miscela ghiaccio-farmaco solido. Questa miscela si forma quando la temperatura corrisponde al punto E. Questa miscela di due fasi solide, G+F, che si forma al punto E, ha la composizione definita da tale punto; essa si definisce miscela eutettica e la temperatura TE è il punto eutettico. Se si prende un punto sulla linea orizzontale a destra del punto eutettico questo corrisponde a un sistema costituito dalle fasi descritte ai punti 1) e 3) e da F solido. Al punto E il sistema è costituito dalle fasi di cui ai punti 1) e 3). C’è una differenza dal punto di vista fisico tra il ghiaccio che si forma quando il sistema si trova nel settore G+soluz. e il ghiaccio che si forma quando esso si trova alla TE. La miscela eutettica allo stato solido è costituita da due fasi solide G+F mescolate 91 intimamente e costituite da cristalli molto piccoli. I cristalli di ghiaccio e di farmaco costituenti la miscela eutettica sono perciò molto più piccoli di quelli che si trovano nel sistema G+soluz. o F+soluz. Supponiamo di sottrarre calore a una soluzione acquosa che contiene una certa concentrazione di farmaco, a partire da una temperatura uguale a quella dell’ambiente, alla pressione di 1atm (punto A, Fig. 5.1). La soluzione si raffredda, senza che ci sia altro cambiamento, fino al punto di congelamento. A questo punto la soluzione è in equilibrio con il ghiaccio. Se si continua a sottrarre calore si forma ghiaccio. La miscela non cambia composizione, mentre cambia la composizione della soluzione in equilibrio con il ghiaccio. Se si passa dal punto iniziale A al punto B la miscela mantiene la sua composizione, ma la composizione della soluzione in equilibrio con il ghiaccio cambia (da B passa a C): la soluzione si è concentrata. Questo metodo (crioconcentrazione) può essere usato per concentrare una soluzione senza far evaporare il solvente; il passaggio di stato è la solidificazione e non l’evaporazione. Il problema che si pone a questo punto è la separazione della fase liquida da quella solida. Si può usare il metodo della centrifugazione che si deve fare ad una temperatura controllata, con una centrifuga termostatabile. Questo metodo però non è molto usato, anche perché come regola non si dovrebbe porre il problema di concentrare soluzioni diluite, perché la soluzione da liofilizzare deve essere preparata con l’opportuna concentrazione. Continuando a sottrarre calore la temperatura scende e contemporaneamente si forma una quantità sempre più grande di ghiaccio e la soluzione in equilibrio con i cristalli di ghiaccio è sempre più concentrata. Questa soluzione prende il nome di soluzione interstiziale perché il ghiaccio si forma in tutto il volume del sistema (almeno in teoria, perché si suppone che la diminuzione di temperatura sia uniforme nel sistema) e la soluzione in equilibrio con il ghiaccio si trova negli interstizi tra i cristalli di ghiaccio. Quando la temperatura raggiunge il punto eutettico, allora si forma la miscela eutettica solida costituita da cristalli molto piccoli di ghiaccio intimamente mescolati con cristalli di farmaco, anch’essi molto fini. La soluzione interstiziale a questo punto ha la composizione della miscela eutettica. Se si continua a sottrarre calore continua a formarsi la miscela eutettica solida. Al punto eutettico solidifica la soluzione interstiziale mantenendo inalterata la sua composizione; siamo a un punto in cui, sottraendo calore, le variabili non cambiano. Quando il sistema è completamente solido, esso è interamente costituito da cristalli di ghiaccio e, negli interstizi tra tali cristalli, ci saranno i cristalli molto 92 più fini della miscela eutettica. Continuando a sottrarre calore, la temperatura riprende a scendere. Liofilizzando il sistema congelato si avrà la sublimazione dei cristalli di ghiaccio, che lasceranno degli spazi vuoti, e il farmaco liofilizzato che si ottiene alla fine avrà la forma di una spugna rigida con numerosi e piccoli pori. La composizione della soluzione interstiziale, quando si forma la miscela eutettica, cambia a seconda del tipo di farmaco: ci sono miscele eutettiche che sono più o meno ricche di farmaco. Per quanto riguarda la crioconcentrazione, la concentrazione massima della soluzione che si può ottenere è quella corrispondente al punto eutettico. Aspetti cinetici Consideriamo l’aspetto cinetico dei fenomeni che si verificano nel congelamento tramite il diagramma T rispetto al tempo. Nel diagramma di Fig. 5.2 si suppone in un primo momento che la soluzione che si congela sia ideale e che il sistema sia in equilibrio quasi– stazionario durante il congelamento. Fig.5.2 Al tempo zero il sistema è una soluzione acquosa del farmaco e la temperatura è uguale alla temperatura ambiente. Supponiamo di sottrarre calore a velocità costante, allora la temperatura scende linearmente (tratto a) perché quello che viene sottratto alla soluzione è 93 calore sensibile, fino a che non si arriva alla temperatura alla quale comincia a formarsi il ghiaccio (Tc, v. Figg. 5.1 e 5.2). Questa temperatura è inferiore a 0°C. Quando comincia a formarsi ghiaccio si ha emissione di calore latente di fusione che provoca una discontinuità nel diagramma di Fig. 5.2. La temperatura diminuisce fino alla temperatura del punto eutettico (tratto b). Al punto eutettico la solidificazione della miscela eutettica avviene con emissione di calore latente e senza variazione di composizione, per cui, durante la solidificazione della miscela eutettica la temperatura rimane costante (tratto c). Continuando a sottrarre calore, tale calore è calore sensibile, poiché non ci sono più passaggi di stato. Allora si ha un raffreddamento lineare se si sottrae calore a velocità costante (tratto d). Queste trasformazioni sono teoriche, perché si suppone che il sistema sia sempre in condizioni di equilibrio termodinamico. Nella realtà non si ottiene mai un diagramma così. Riassumendo: Grafico ideale (v. Fig. 5.2): - tratto a: raffreddamento della soluzione - tratto b: congelamento dell’acqua - tratto c: congelamento della miscela eutettica - tratto d: raffreddamento del solido Un diagramma reale temperatura-tempo che si ottiene quando si congela una soluzione mostra diverse deviazioni dall’idealità, le quali dipendono dal tipo di soluto. Consideriamo come soluto una sostanza a basso peso molecolare, cosicché il diagramma non devia molto dal comportamento teorico. Nella pratica il calore viene sottratto ad una velocità piuttosto elevata: la soluzione viene messa a contatto con una sorgente fredda, avente una temperatura costante. Questo significa che quando si arriva al punto in cui teoricamente si dovrebbe avere la formazione di ghiaccio, in realtà ciò non si verifica perché la soluzione si sovraraffredda: il sistema non è all’equilibrio termodinamico bensì in condizioni di equilibrio metastabile. In realtà si ha una deviazione dal grafico ideale, rappresentata dal tratto e (Fig. 5.2). E’ sufficiente un evento casuale perché si “rompa” l’equilibrio metastabile: si ha, allora, la formazione di cristalli di ghiaccio perché il sistema si riporta rapidamente alle condizioni di equilibrio termodinamico. La temperatura aumenta fino a incontrare la curva teorica (tratto f, Fig. 5.2): questa è la prima deviazione dalla teoria. Dopo che è congelata la maggior parte dell’acqua, la soluzione interstiziale è molto concentrata. A tale concentrazione, la velocità con cui le molecole in tale soluzione si 94 organizzano nel reticolo cristallino non è sufficiente a mantenere il sistema all’equilibrio termodinamico, per cui si ha sovraraffreddamento della soluzione interstiziale fin sotto il punto eutettico (tratto g). Se il soluto ha basso peso molecolare e mantiene una certa mobilità molecolare, anche se è sovraraffreddato può, a un certo punto, formare germi cristallini. Allora cristallizza la miscela eutettica e il sistema ritorna nelle condizioni di equilibrio termodinamico (tratto h). Riassumendo: Deviazioni dall’idealità (v. Fig. 5.2): - tratto e: sovraraffreddamento della soluzione - tratto f: ritorno all’equilibrio con congelamento di acqua - tratto g: sovraraffreddamento della soluzione interstiziale - tratto h: ritorno all’equilibrio con congelamento della miscela eutettica Vediamo adesso come si presenta il diagramma temperatura-tempo registrato dagli strumenti di controllo nel processo di congelamento della soluzione di una sostanza di peso molecolare relativamente basso: Fig. 5.3 Nella maggior parte dei casi il congelamento viene fatto mettendo il contenitore con il materiale da congelare a contatto con una piastra raffreddata che viene mantenuta alla temperatura Tp. Quando il sistema è completamente congelato, allora non c’è più emissione di calore latente e il sistema tende ad equilibrarsi termicamente con la piastra di raffreddamento ( T p ). Questo è il caso in cui il soluto ha un peso molecolare relativamente basso, e quindi, mobilità delle molecole tale da permettere una rapida organizzazione nel reticolo cristallino. 95 Più frequentemente i farmaci che si liofilizzano hanno strutture molecolari complicate e pesi molecolari relativamente elevati. In tal caso l’andamento del grafico è quello rappresentato in Fig. 5.4. Fig. 5.4 Quando la soluzione interstiziale si sovraraffredda, poiché il soluto, nel caso presente, ha un peso molecolare elevato, aumenta sensibilmente la viscosità della soluzione. Questo comporta una grossa difficoltà da parte del soluto ad organizzarsi nel reticolo cristallino, perché ha scarsa mobilità molecolare. La soluzione interstiziale sovraraffreddata, termodinamicamente instabile, tende a raggiungere le condizioni di stabilità termodinamica, cioè, a solidificare, ma molto più lentamente rispetto al caso della Fig.5.3. Questo fa sì che il fenomeno esotermico derivante dalla solidificazione di tale soluzione interstiziale non sia così rapido come nel caso precedente. Tale lento fenomeno esotermico si manifesta, perciò, con una lenta diminuzione della velocità di raffreddamento del sistema. L’intervallo di temperatura in cui si ha la lenta solidificazione viene chiamato zona eutettica oppure zona di eutessia. Dunque, in questo caso non c’è una temperatura eutettica ma un intervallo di temperatura. La temperatura a cui si ha completa solidificazione non viene più indicata con TE ma con Tcs (temperatura di completa solidificazione). Questa temperatura non è una caratteristica termodinamica come la TE, ma è la temperatura effettiva alla quale il sistema è completamente congelato. Sottraendo ancora calore il sistema non emette più calore latente, si raffredda tendendo a equilibrarsi termicamente con la piastra raffreddante. Un altro comportamento che si può verificare con certi tipi di farmaco, è rappresentato nel diagramma seguente: 96 Fig. 5.5 In questo caso le molecole del farmaco nella soluzione interstiziale sovraraffreddata hanno una mobilità così bassa che non ce la fanno mai ad organizzarsi in un reticolo cristallino. Ciò significa che se la temperatura della piastra è sufficientemente bassa, la temperatura del sistema, che si equilibra con quella della piastra, è tale per cui la soluzione interstiziale scende al di sotto della sua temperatura di transizione vetrosa (un sistema vetroso è un sistema amorfo, con una viscosità così elevata da essere rigido, da essere un solido in cui la mobilità molecolare traslazionale è azzerata). La soluzione interstiziale, dunque, vetrifica. I due componenti, acqua e farmaco, costituiscono una soluzione solida. Vediamo se i casi rappresentati nelle Fig. 5.3, 5.4 e 5.5 sono accettabili per la liofilizzazione, e in quale misura lo sono. Per fare queste considerazioni, dobbiamo metterci nelle condizioni della successiva sublimazione della ghiaccio (l’essiccamento primario). Nella fase di sublimazione del ghiaccio, in cui si fornisce calore, è necessario che la temperatura del sistema congelato si mantenga tale da non provocare transizioni del sistema opposte a quelle che il sistema ha subito nel corso del congelamento. Il sistema deve rimanere allo stato solido, perciò non devono essere superate: TE, nel caso della Fig. 5.3; la Tcs, nel caso della Fig. 5.4; la Tg, temperatura di transizione vetrosa della soluzione interstiziale, nel caso della Fig. 5.5. Siccome nella fase di essiccamento primario il sistema è sotto vuoto, se il sistema non è completamente rigido (cioè se, per es., la miscela interstiziale è allo stato liquido), allora si può avere anche una rapida ebollizione e, oltre a essere pregiudicato il processo, il principio attivo può pericolosamente inquinare 97 l’impianto. Se la miscela interstiziale, pur fondendo, non entra in ebollizione, oppure entra in un’ebollizione non tumultuosa perché è viscosa, essa tuttavia rammollisce. Questo le fa perdere la struttura rigida, si contrae e la porosità diminuisce. In questo caso, anche se si riesce a portare a termine il processo si ottiene un liofilizzato con una superficie specifica molto più bassa di quella che dovrebbe avere: si ha un collassamento del liofilizzato. Questo collassamento si ha anche nel caso di una miscela interstiziale vetrificata quando si supera la temperatura di transizione vetrosa, cioè, si passa dallo stato vetroso a quello viscoso e quindi la miscela interstiziale rammollisce e collassa. Per non superare queste temperature, TE, Tcs, Tg, dobbiamo conoscere il loro valore. I grafici precedenti vengono registrati nel corso del congelamento, misurando la temperatura con sonde termometriche che sono inserite in alcuni flaconi. Queste sonde sono piccole: sono termoresistenze, cioè, resistenze elettriche tarate in una scala di temperatura (la resistenza dipende dalla temperatura alla quale la sonda si trova per cui, misurando il valore della resistenza elettrica, correlato con la temperatura, si ottiene il valore della temperatura stessa). Così si può registrare la temperatura in funzione del tempo, e ottenere i grafici precedentemente illustrati. Tramite questi si possono valutare i fenomeni che sono avvenuti nel sistema durante il congelamento e individuare la temperatura alla quale il materiale è divenuto completamente solido. Questo è vero quando il sistema diviene solido cristallino perché è in tal caso che la curva T vs tempo presenta i “gradini” osservati nelle Fig. 5.3 e 5.4. Quando la soluzione interstiziale vetrifica questo fenomeno non provoca alcun “gradino” e quindi non si può conoscere la Tg. Esistono dei sistemi alternativi per misurare tale temperatura. La soluzione deve essere congelata in uno strumento che permetta di individuare la temperatura di transizione vetrosa, determinando la variazione del calore specifico al variare della temperatura. Tale sistema di misura è la calorimetria differenziale a scansione (DSC, Differential Scanning Calorimetry). Infatti, alla Tg il sistema che vetrifica subisce una apprezzabile variazione del calore specifico. A questo punto bisogna chiedersi se è importante che il sistema sia o meno vetrificato. Per rispondere a questa domanda supponiamo che la soluzione interstiziale sia cristallizzata (caso, ad es., della Fig. 5.4). Consideriamo lo stadio dell’essiccamento secondario, detto desorbimento. L’acqua in questa fase del processo non è ghiaccio ma è adsorbita a livello molecolare sul liofilizzato solido. Mentre in fase di essiccamento primario, ossia di sublimazione, la temperatura deve essere mantenuta al di sotto del punto 98 di inizio–fusione della miscela interstiziale, nella fase di essiccamento secondario, non essendoci più ghiaccio, non c’è più il problema della fusione di tale miscela. Perciò, nella fase di essiccamento secondario si può raggiungere anche una temperatura superiore alla temperatura ambiente. Ciò abbrevia i tempi del desorbimento. Questo vale solo se la miscela interstiziale, nello stadio del congelamento, è cristallizzata, cioè, sia il farmaco che l’acqua sono passati allo stato cristallino. Ma quando la miscela interstiziale è vetrificata la situazione è del tutto diversa. In caso di vetrificazione, durante la sublimazione non deve essere superata la Tg; e siccome questa ha in genere un valore molto basso, questo comporta delle velocità di essiccamento primario molto basse, e questo è sconveniente. Una volta finita la sublimazione del ghiaccio rimane l’acqua nella miscela vetrificata. Questa miscela, se contiene una quantità elevata di acqua, non può raggiungere temperature superiori alla Tg. Allora, anche quando è finita la sublimazione quando si ha una vetrificazione la temperatura deve essere mantenuta a valori bassi per far sì che gradualmente l’acqua si allontani dal vetro senza far fondere il vetro. Man mano che l’acqua si allontana dal vetro la temperatura di transizione vetrosa aumenta e, quindi, si può gradualmente aumentare la temperatura del materiale. Il processo però è più delicato e più lento del caso precedente. Si può ottenere comunque un liofilizzato, quando si ha vetrificazione, però il processo è più difficile da condurre. Fig. 5.6 Quindi, è molto più conveniente devetrificare la miscela interstiziale. Si opera il cosiddetto trattamento termico (v. Fig. 5.6). Per prima cosa si raffredda il sistema fino a far avvenire la vetrificazione (fino a temperatura T<Tg). Successivamente si deve fare in modo che il principio attivo si separi dall’acqua nella miscela vetrosa e cristallizzino entrambi. Per far ciò si deve aumentare la mobilità delle molecole. Si fornisce, cioè, calore fino a una 99 appropriata temperatura, mantenuta costante per un certo tempo, in modo che avvenga la devetrificazione. Può capitare (per es., con le vitamine del gruppo B) che dopo un certo tempo di trattamento isotermico ad una certa temperatura si abbia la devetrificazione, per cui l’acqua si separa dal principio attivo e passa a ghiaccio. Successivamente si sottrae calore in modo da arrivare alla completa solidificazione ( Tcs ). Il sistema diventa come un sistema “normale” che cristallizza completamente. Da ciò deriva il vantaggio che il successivo processo di liofilizzazione può essere più rapido e fatto in condizioni di maggior semplicità e sicurezza. Esistono, però, dei principi attivi che non richiedono la devetrificazione, come ad es. le proteine, che per mantenere la loro attività biologica devono essere tenute ad un pH preciso altrimenti si denaturano. Per mantenere la proteina ad un pH ottimale necessita un tampone costituito in genere da due componenti. Se la soluzione interstiziale contenente la proteina e il tampone viene fatta cristallizzare può capitare che un componente del tampone cristallizzi ad una temperatura diversa dall’altro (uno cristallizza prima del secondo). Allora cambia il pH della soluzione e la proteina può essere denaturata. L’unico modo per evitare questo inconveniente consiste nel fare in modo che non ci sia cristallizzazione, cioè, si deve favorire la vetrificazione mediante appropriati additivi. La temperatura alla quale avviene la devetrificazione deve essere maggiore della temperatura di transizione vetrosa perché la mobilità molecolare deve aumentare in modo che le molecole di acqua che erano vetrificate si possono organizzare nel reticolo cristallino del ghiaccio. La temperatura di devetrificazione deve essere stabilita volta per volta. Essa si può determinare facendo degli studi su campioni, basati sulla calorimetria differenziale a scansione. Questa tecnica permette di vedere se ad una certa temperatura si ha la formazione di ghiaccio. Dopo un tempo sufficiente a far avvenire la devetrificazione il sistema non è ancora congelato perché c’è ancora una parte di soluzione interstiziale allo stato liquido. Perciò successivamente si deve raffreddare per far avvenire la completa solidificazione. Il vantaggio di tutto questo processo è dato dal fatto che la sublimazione del ghiaccio (fase successiva) può essere condotta ad una temperatura superiore e questo è importante per la velocità del processo. Quando, poi, tutto il ghiaccio è sublimato il materiale farmaceutico che rimane può essere portato a temperature maggiori della temperatura ambiente per il desorbimento, con la sicurezza che non si abbia rammollimento, cosa che invece 100 accadrebbe inevitabilmente se la miscela interstiziale fosse vetrificata e contenesse ancora acqua allo stato amorfo. Un requisito fondamentale del liofilizzato è quello di avere pori piccoli e numerosi, affinché il liofilizzato stesso abbia una elevata superficie specifica. Bisogna perciò fare in modo che i cristalli di ghiaccio che si formano siano piccoli e numerosi. Se si facesse il congelamento in condizioni di equilibrio termodinamico i cristalli di ghiaccio sarebbero grandi, perché la velocità del processo sarebbe bassa e allora i cristalli si accrescerebbero a partire da pochi centri di cristallizzazione. Per avere un liofilizzato soddisfacente il sovraraffreddamento è una necessità (tratto e, Fig. 5.2), perché, quando i cristalli di ghiaccio si formano a partire da una soluzione sovraraffreddata in equilibrio metastabile la formazione del ghiaccio, quando l’equilibrio viene rotto, è molto rapida (tratto f, Fig. 5.2) per cui i centri di cristallizzazione sono numerosi e i cristalli di ghiaccio sono piccoli. Perciò conviene che avvenga il sovraraffreddamento. Per far avvenire ciò occorre sottrarre calore in modo piuttosto rapido. Bisogna tenere presente però che se la velocità con cui si sottrae calore è eccessiva possono capitare inconvenienti. La velocità di sottrazione del calore dal sistema dipende direttamente dai gradienti di temperatura che si creano nel sistema. Il calore viene sottratto con il meccanismo della conduzione quindi se la velocità di sottrazione del calore è elevata allora sono elevati i gradienti di temperatura. In genere il congelamento della soluzione si fa ponendo il contenitore a contatto con una piastra raffreddata, dunque, la temperatura più bassa sarà sul fondo della soluzione, la temperatura più alta sarà invece sulla superficie. Se la differenza di temperatura tra il fondo e la superficie del materiale da congelare è molto grande, come accade quando si realizza una elevata velocità di sottrazione del calore, la temperatura alla quale comincia a formarsi ghiaccio viene raggiunta prima sul fondo che sulla superficie della soluzione. Di conseguenza si comincia a formare ghiaccio sul fondo mentre in superficie la soluzione è ancora allo stato liquido. Ciò provoca una migrazione del soluto verso la superficie della soluzione, per cui la soluzione in superficie si concentra. Questo ha come conseguenza diretta che la superficie della soluzione congela ad una temperatura più bassa di quella del fondo del contenitore. Il sistema diventa disomogeneo, cioè, ricco di ghiaccio e povero di materiale farmaceutico sul fondo, ricco di materiale e povero di ghiaccio sulla superficie. Quando avviene la sublimazione al posto del ghiaccio si formano dei vuoti. Sulla superficie ci sarà una bassa porosità, perché c’è poco ghiaccio (si crea un “tappo” di materiale 101 farmaceutico). Man mano che procede la sublimazione sublima anche il ghiaccio sul fondo. Questo ghiaccio si trasforma in vapore che deve attraversare lo strato di materiale farmaceutico superficiale che è poco poroso. Evidentemente la pressione che deve avere il vapore per attraversare lo strato superficiale può diventare abbastanza grande da fratturare il liofilizzato. Il liofilizzato che si ottiene alla fine non ha una porosità equamente distribuita nel suo volume. Come risultato il liofilizzato si può rompere e la parte superiore sale nel flacone spinta dalla pressione del vapore. Un liofilizzato così non è accettabile e l’operazione così condotta è sbagliata. Ciò è conseguenza degli eccessivi gradienti di temperatura che si sono generati nella fase di congelamento. Bisogna perciò regolare la temperatura della sorgente fredda in modo appropriato per evitare che la disomogeneità dei pori sia eccessiva, altrimenti il liofilizzato addirittura si rompe. La tecnica di congelamento più comune è il congelamento statico, che consiste nel porre i contenitori (fiale o fialoidi), contenenti la soluzione, sulla piastra raffreddata. Per limitare la differenza di temperatura tra superficie e fondo della soluzione da congelare l’altezza della soluzione (ossia la distanza tra il fondo e la superficie della soluzione) non può essere troppo grande: al massimo può essere 1cm. Questo pone un limite al volume, che però non è poi un grave limite, perché i liofilizzati sono in genere preparati monodose e le dosi sono abbastanza piccole da richiedere volumi piccoli di liofilizzato. Esistono tuttavia dei casi in cui si devono liofilizzare dei volumi più grandi (caso, ad es., delle soluzioni nutrienti per uso ospedaliero). In tal caso bisogna fare in modo che il materiale congelato si depositi su tutte le superfici del contenitore e non solo sul fondo. Le tecniche per ottenere questo scopo sono descritte nel Rif. 1, p. 189-192. 102 ESSICCAMENTO PRIMARIO Passiamo adesso ad analizzare il secondo stadio del processo, cioè, l’essiccamento primario, che consiste nella sublimazione del ghiaccio. La Fig. 5.7 mostra uno schema semplificato di un liofilizzatore (v. anche Fig.74, Rif. 1). Esso è costituito da una camera che contiene una serie di piastre disposte una sopra l’altra. Nella Fig.5.7 è rappresentato, a scopo esemplificativo, un flacone su una piastra all’interno della camera. Questa camera deve essere a tenuta di vuoto e comunica con un altro vano attraverso una valvola a farfalla, in modo che il vano possa essere escluso dalla camera, oppure, messo in comunicazione con essa. Generalmente il congelamento statico viene fatto nella camera, che si chiama autoclave (perché deve sopportare alti gradi di vuoto, che si realizzano quando si passa alle fasi di essiccamento). Fig. 5.7 103 Rif. 1, p. 202 104 Nella stessa autoclave viene poi fatto l’essiccamento. Le piastre devono poter essere raffreddate anche a temperature molto basse. Le piastre sono perciò collegate con un impianto frigorifero (v. descrizione degli impianti frigoriferi e dei fluidi frigorigeni, Rif. 1, p. 30-34). Quando il congelamento non è un congelamento statico, esso non può essere fatto in autoclave. Le apparecchiature che si usano in questi altri casi devono essere disposte vicino alla porta dell’autoclave, perché per fare successivamente l’essiccamento i flaconi devono essere trasportati dal congelatore all’autoclave. Il congelamento viene effettuato con la soluzione posta in contenitori aperti, per permettere la fuoriuscita del vapore nella successiva fase di essiccamento primario. E’ chiaro, perciò, che deve essere garantita la asetticità nell’ambiente in cui si viene a trovare il materiale congelato che, ricordiamo, era stato previamente sterilizzato. Quando il congelamento non viene effettuato nell’autoclave, l’ambiente attraverso cui il materiale deve passare quando viene prelevato dal congelatore e messo nell’autoclave deve essere asettico. Il congelamento si fa a pressione ambiente. Quando il congelamento viene effettuato nell’autoclave questa deve essere chiusa e isolata per motivi di asetticità. In tale fase si devono inserire delle sonde termometriche in flaconi– campione per registrare il grafico T vs tempo. Nel corso della sublimazione (essiccamento primario) bisogna fornire calore, perché la sublimazione del ghiaccio assorbe il calore latente di sublimazione. Per questo le piastre su cui poggiano i flaconi devono essere riscaldate. Però si deve evitare che la temperatura salga tanto da far fondere la miscela interstiziale nel materiale congelato. Dunque, si pongono due necessità: 1)fornire calore e 2)allontanare rapidamente il vapore che si forma, perché solo così si mantiene bassa la temperatura del materiale. Se si lasciasse accumulare vapore sulla superficie del ghiaccio aumenterebbe la temperatura. Per trasferire rapidamente il vapore che si forma si usa il vuoto, perciò, sia all’autoclave che al vano condensatore sono collegate pompe da vuoto la cui descrizione si trova nel Rif. 1, p.195199. Nella fase di essiccamento primario la valvola a farfalla è aperta per consentire al vapore di essere allontanato. Queste pompe allontanano l’aria dal liofilizzatore perché l’aria non deve ostacolare la diffusione del vapore. Invece, non sono le pompe da vuoto che allontanano il vapore. Infatti, la quantità di vapore che si forma nell’unità di tempo è troppo grande per la portata delle pompe. Allora si usa un condensatore dotato di una grande 105 superficie raffreddata su cui il vapore sublima a ghiaccio. Il condensatore è disposto nel vano collegato all’autoclave. La sublimazione del ghiaccio nel materiale congelato avviene perché viene fornito al materiale il calore di sublimazione. Le piastre, oltre ad avere all’interno delle serpentine in cui scorre il fluido frigorigeno, hanno anche altre serpentine in cui scorre un fluido, esternamente riscaldato, in modo che la temperatura della piastra sia controllabile e che la piastra serva non solo a sottrarre calore per il congelamento, ma anche a fornire calore nell’essiccamento primario. Dopo aver fatto il vuoto, si fornisce calore in modo che il ghiaccio sublimi. Ts è la temperatura della superficie sublimante. Alla Ts corrisponde una Ps, tensione di vapore sul ghiaccio. Il condensatore, mediante un impianto frigorifero diverso da quello collegato alle piastre, viene portato ad una temperatura Tcd. Si deve verificare: Ts>Tcd. Il vapore che arriva sulla superficie del condensatore, che ha una temperatura Tcd<Ts, passa a ghiaccio. Il vapore in equilibrio con questo ghiaccio avrà una pressione di vapore Pcd, e siccome Ts>Tcd, allora si avrà anche: Ps>Pcd. Poiché il vapore si muove da una pressione più alta a una più bassa, esso passa dal materiale al condensatore, dove sublima a ghiaccio. Sul condensatore si accumula uno strato di ghiaccio, il che pone un problema. Il condensatore deve sottrarre calore al vapore e farlo sublimare (passaggio vapore–ghiaccio) ad una velocità tale da evitare un accumulo di vapore nell’impianto. Quando il calore passa dal vapore al condensatore esso deve attraversare lo strato di ghiaccio depositato sulla superficie del condensatore. La velocità di tale trasferimento di calore si può esprimere con l’equazione che si era vista nel caso del trasferimento di calore per conduzione: q (t ) kA T L dove: k è la conducibilità termica del ghiaccio, A è l’area della superficie del condensatore, L è lo spessore del ghiaccio, e T è la caduta di temperatura attraverso lo strato di ghiaccio. Se L aumenta troppo, ciò provoca una diminuzione di q(t) e, quindi, come vedremo meglio in seguito, una diminuzione della velocità complessiva del processo. Allora, siccome L non deve aumentare troppo, la superficie del condensatore deve essere dimensionata adeguatamente rispetto alla capacità del liofilizzatore. 106 Nell’essiccamento primario si deve raggiungere uno stato stazionario, o quasistazionario, analogo a quello descritto per l’essiccamento per evaporazione (v. Eq. 4.1), descritto dalla seguente relazione, che prevede che non ci sia ci sia accumulo di vapore e di calore in nessuna parte dell’impianto: 1 s q(t ) dms dmdiff dt dt Eq. 5.1 dove: 1 s q (t ) rapporto tra la velocità con cui si fornisce calore e il calore latente specifico di sublimazione; dm s velocità di sublimazione; dt dmdiff dt = velocità di diffusione del vapore dalla superficie sublimante. Velocità di trasferimento di massa Osserviamo, nella Fig. 5.8, uno schema del materiale nel corso dell’essiccamento primario. Lo schema si riferisce allo stato stazionario o quasi-stazionario. Fig. 5.8 107 Il materiale congelato ha una sua superficie che lo separa dal liofilizzato poroso soprastante. La sublimazione avviene su questa superficie e man mano che il processo va avanti lo spessore del materiale congelato diminuisce. Sulla superficie c’è una tensione di vapore Ps e una temperatura Ts . L’allontanamento del vapore, ossia il trasferimento di massa, è realizzato con diversi mezzi. Tra tutti, il più usato è il vuoto che fa sì che il vapore possa diffondere senza l’ostacolo dell’aria. I gradienti di pressione del vapore sono generati da una differenza di temperatura tra materiale congelato e condensatore: Ts Tcd Ps Pcd . Tali gradienti garantiscono il trasporto del vapore. Abbiamo visto che il processo a regime avviene in condizioni di stato stazionario o quasi-stazionario. Queste condizioni sono espresse dall’Eq. 5.1, in cui il calore scambiato, ossia il calore fornito dalla piastra al materiale, è tutto assorbito dal ghiaccio come calore latente di sublimazione: Q s ms Se ciò è vero, allora è anche vero che il rapporto tra la velocità di trasferimento di calore e il calore latente specifico è uguale alla velocità di sublimazione. Inoltre, per far sì che non ci sia accumulo di vapore alla superficie sublimante occorre che la velocità di sublimazione sia uguale alla velocità di allontanamento del vapore, ossia alla velocità di diffusione del vapore. In condizioni di stato stazionario o quasi-stazionario non c’è accumulo di vapore nelle resistenze diffusive, e non c’è accumulo di calore nelle resistenze termiche. Lo stato poi sarà stazionario, se le velocità suddette rimarranno costanti nel tempo, sarà quasistazionario se esse varieranno nel tempo. La velocità di diffusione si esprime in funzione delle caratteristiche del processo, mediante la seguente equazione: dmdiff dt R i Ps Pcd Ri Eq. 5.2 è la somma delle resistenze diffusive che il vapore incontra nel passaggio dalla pressione Ps alla pressione Pcd. Sappiamo anche come si può esprimere la velocità di trasferimento di calore in condizioni di stato stazionario o quasi-stazionario (v. Eq. 2.5). Il calore fornito dalla piastra arriva fino alla superficie sublimante per conduzione. In tali circostanze la velocità di trasferimento di calore sarà: 108 qt A T p Ts Li / ki Eq. 5.3 dove: A è l’area della sezione attraversata dal calore Li è lo spessore della resistenza iesima ki è la conducibilità termica della resistenza iesima T p è la temperatura della piastra Ts è la temperatura della superficie sublimante, che assorbe calore come calore latente di sublimazione. Combinando le Eqq. 5.1, 5.2 e 5.3 si ottiene l’equazione generale che lega le variabili del processo di essiccamento primario: A T p Ts Ps Pcd λs Li / k i Ri Eq.5.4 Consideriamo adesso le resistenze termiche e le resistenze diffusionali che esistono nel sistema. In condizioni di stato stazionario o quasi-stazionario, la velocità con cui la massa (in tal caso si tratta di vapore) attraversa le resistenze diffusionali, è uguale per tutte le resistenze diffusionali, dato che non c’è accumulo di massa. Questo concetto è espresso dalla seguente relazione: dmdiff dt P P1 P2 n R1 R2 Rn Per ciascuna resistenza diffusionale la velocità di trasferimento di massa è uguale al rapporto tra la caduta di pressione attraverso la resistenza e la resistenza stessa. Poiché la velocità di attraversamento di ciascuna resistenza è uguale, dove la caduta di pressione è maggiore sarà maggiore anche la resistenza. Per sapere quale resistenza è più grande e quale è più piccola, basta misurare la caduta di pressione attraverso le resistenze a confronto. Nella Fig. 5.8 è schematizzato un flacone che non è completamente aperto. Quando si fa una liofilizzazione spesso il contenitore ha un tappo, inserito nel collo, ma non a tenuta ermetica. Non è a tenuta ermetica perché deve consentire la fuoriuscita del vapore. E’ 109 inserito nel collo perché c’è un sistema di chiusura automatica sottovuoto alla fine del processo. Esistono due procedure: o si fa la liofilizzazione con il contenitore aperto (l’ambiente deve essere necessariamente asettico e il liofilizzatore deve essere sterilizzato), e quando il processo è finito, il lotto di materiale viene estratto dall’autoclave in un ambiente che deve avere una umidità controllata e essere asettico. In questo ambiente i contenitori vengono chiusi. Se sono fiale, vengono chiuse saldando il collo di vetro, se sono flaconi vengono chiusi con tappi di gomma con una ghiera ermetica. Esistono, però, anche sistemi di chiusura automatica dentro l’autoclave sottovuoto: alla fine del processo si fanno avvicinare le piastre soprastanti e sottostanti ai flaconi, in modo da chiuderli a sandwich e spingere il tappo dentro il collo, chiudendo ermeticamente i flaconi (v. Rif. 1, Fig. 75, p. 201-202). Il tappo costituisce una resistenza diffusionale. Infatti la presenza del tappo crea una strozzatura, quindi il vapore che la attraversa incontra una resistenza diffusionale. La parte inferiore del materiale, nella Fig. 5.8, è costituita dal materiale congelato; al di sopra c’è la parte di prodotto liofilizzato. Ricordare che sulla superficie del liofilizzato c’è ancora acqua: l’acqua adsorbita. Il percorso del vapore da dove si forma (alla superficie del materiale congelato) a dove arriva (condensatore) è indicato in Fig. 5.8 con una linea. In questo percorso il vapore incontra prima la strozzatura dovuta al tappo, poi, un’altra resistenza diffusionale, cioè, la valvola che separa l’autoclave dal condensatore (v. Fig. 5.7). Nella Fig. 5.8 sono indicati i valori delle pressioni in ogni punto del percorso: il punto in cui il vapore si forma è indicato con Ps=500 m, (0.5 mmHg, 500 mtorr). Nel flacone, 110 sopra al liofilizzato, la pressione cade da 500 a 120 m (Pf); poi, c’è differenza anche tra la Pf e la pressione nella camera ,che è indicata con Pc . La caduta di pressione tra l’interno del flacone e l’interno della camera (o esterno del flacone) è da 120 a 100 m. Inoltre, c’è una differenza anche tra la pressione del vapore nella camera e la pressione del vapore sul condensatore (Pcd) dovuta alla valvola a farfalla (v. Fig. 5.7): la caduta è da 100 a 80 m. Si può, sulla base delle cadute di pressione attraverso le resistenze diffusionali, confrontare il valore delle resistenze stesse. Tali resistenze sono: 1) il materiale liofilizzato, dove la pressione cade da 500 a 120 m; 2) il collo del flacone con il tappo, dove la caduta è da 120 a 100 m; 3) la valvola a farfalla che si trova nel cammino dalla camera al condensatore, che provoca una caduta di pressione da 100 a 80 m. Il confronto tra i valori delle resistenze è riportato sulla sinistra dello schema in Fig.5.8. Da questo risulta che la resistenza del prodotto liofilizzato è molto maggiore delle altre resistenze. Nell’Eq. 5.2 al denominatore c’è la sommatoria delle resistenze diffusionali. E’ opportuno considerare in tale sommatoria i termini più grandi e trascurare quelli più piccoli. La resistenza opposta dal liofilizzato Rl è quella che prevale sulle altre. Ciò significa che la velocità di diffusione del vapore (v. Eq. 5.2) può essere semplificata in questa forma: dmdiff dt Ps Pcd Rl Eq. 5.5 111 Velocità di trasferimento di calore Anche per la velocità di trasferimento di calore per conduzione si può fare un ragionamento analogo: essa è uguale attraverso ciascuna resistenza termica. Se si vuole confrontare, perciò, il valore delle resistenze termiche, è sufficiente confrontare il valore delle rispettive cadute di temperatura: q(t ) Tn T1 T2 L1 L2 Ln k1 A k2 A kn A dove k1 , k 2 ,..., k n sono le conducibilità termiche attraverso le resistenze 1, 2,….., n. Dove la caduta di temperatura è maggiore, sarà maggiore la resistenza termica. Fig. 5.10 Nella Fig. 5.10 si vede che la temperatura all’interno della piastra è >40°C, mentre la temperatura del materiale congelato è circa -20°C. Nella figura è riportata una caduta di 112 temperatura tra l’interno e l’esterno della piastra. Ciò è vero per le piastre di vecchio tipo, perché attualmente i materiali delle piastre hanno una conducibilità termica così grande che non conviene considerare una resistenza termica significativa tra l’interno e la superficie della piastra. Quindi questa caduta di temperatura può essere trascurata. Il vassoio di alluminio rappresentato in figura serve per contenere i flaconi. Anche questa resistenza oggi non esiste più perché si usano dei vassoi con il fondo sfilabile, cioè, si riempie il vassoio con tutti i flaconi, si dispone il vassoio sulla piastra e si sfila il fondo del vassoio in modo che i flaconi toccano direttamente la piastra. A questo punto c’è da notare un salto di temperatura da circa 15°C, sulla superficie del vassoio, a circa –15°C, sul fondo del congelato, che corrisponde al massimo salto di temperatura e quindi alla massima resistenza termica. Questa è dovuta principalmente all’intercapedine tra la superficie su cui poggia il flacone e il fondo del flacone stesso. Tale intercapedine contiene l’atmosfera rarefatta della camera e oppone una grande resistenza termica in quanto ha una bassissima conducibilità termica. La resistenza termica del vetro del flacone è simile a quella del ghiaccio. La resistenza opposta dal ghiaccio è quella che si oppone al passaggio del calore dal fondo alla superficie del materiale congelato. Si vede, in Fig. 5.10, che la caduta di temperatura attraverso il congelato è molto piccola, (da circa –16°C a circa –18°C), dunque, la resistenza opposta dal ghiaccio è molto piccola e quella opposta dal vetro sarà ugualmente piccola. Attraverso l’intercapedine c’è una caduta di temperatura di circa 30°C. L’unica resistenza che prevale nettamente sulle altre è quella opposta dall’intercapedine; dunque, l’Eq. 5.3 si semplifica in: q(t ) Akint . Tp Ts Lint . Eq. 5.6 dove Ts è la temperatura della superficie sublimante. 113 Velocità di essiccamento primario La velocità di essiccamento primario in condizioni di stato stazionario o quasi– stazionario, espressa in funzione delle grandezze importanti che la determinano, può essere ricavata combinando le Eq. 5.1, 5.5 e 5.6. Si ottiene: VE t A k int Tp Ts Ps Pcd s Lint . Rl Eq. 5.7 Su quali grandezze si può giocare per avere la massima velocità di essiccamento possibile? Il liofilizzato ha una certa porosità e una certa superficie specifica. Per essere un liofilizzato di qualità deve avere una elevata superficie specifica perché così si ridiscioglierà in acqua rapidamente. Se ha una elevata superficie specifica sarà elevato il valore della resistenza diffusionale che il vapore incontra attraversando il liofilizzato (Rl). Infatti, in questo caso i pori de liofilizzato sono piccoli e numerosi, per cui il percorso del vapore che lo attraversa è molto tortuoso e ostacolato. Tale resistenza è funzione diretta dello spessore del liofilizzato, f(Ll): Rl 1 f Ll A Eq. 5.8 dove: A è l’area della sezione orizzontale del liofilizzato. Poiché si suppone che la superficie della piastra sia interamente occupata dai flaconi di materiale, A sarà circa uguale all’area della superficie della piastra. Rl è una caratteristica del materiale. Poiché una elevata superficie specifica è un requisito del liofilizzato, un elevato valore di Rl sarà inevitabile. Allora, ottimizzare la VE significa regolare le variabili del processo in modo che Rl sia il fattore che limita la velocità del processo. Solo così tale velocità sarà massimizzata. Nella Eq. 5.8, che esprime la resistenza diffusionale, compare al denominatore l’area della piastra, al numeratore una funzione diretta dello spessore del liofilizzato. Con l’intento di massimizzare la velocità di essiccamento si potrebbe pensare di minimizzare Rl , non facendo però variare la superficie specifica o la porosità del liofilizzato (sono caratteristiche del materiale che non si possono variare), ma minimizzando Ll lo spessore del liofilizzato. Questo però non è conveniente. Infatti, siccome ogni flacone deve contenere un volume determinato di materiale, se diminuisce lo spessore aumenta la 114 sezione del flacone, e quindi diminuisce il numero di flaconi sulla piastra, cioè diminuisce il numero di unità nel lotto di materiale. In effetti, in genere si massimizza lo spessore per avere un lotto più numeroso. L’Eq. 5.7 suggerisce di massimizzare la differenza Ps Pcd . Un fattore aggiustabile è sicuramente Pcd , cioè la pressione del vapore sulla superficie del condensatore. Si può far diminuire, diminuendo la temperatura del condensatore (la pressione del vapore sul condensatore su cui si deposita ghiaccio dipende direttamente dalla temperatura). La temperatura deve essere abbassata fino a rendere Pcd Pcd 0,15Ps . In questo modo Pcd trascurabile rispetto a Ps : non influisce sulla velocità, che è controllata esclusivamente da Ps . Il valore di Pcd non deve essere diminuito eccessivamente per due motivi: 1) ciò comporterebbe un grande aumento della potenza assorbita dall’impianto frigorifero, per cui, se la differenza Ps-Pcd non viene aumentata in modo sostanziale dalla diminuzione di Pcd, tale diminuzione in realtà determina solo un aumento del costo di produzione; 2) perché così diminuisce la pressione in tutto l’impianto e quindi anche nella camera in cui avviene la liofilizzazione, e in particolare, anche nell’intercapedine tra i flaconi e la superficie della piastra. Se avviene ciò, diminuisce anche la conducibilità termica dell’intercapedine, allora, per valori troppo bassi di pressione l’intercapedine diviene il fattore che controlla la velocità del processo. Questo non conviene perché il processo rallenta. Dunque, a parità di Ps (pressione del vapore sulla superficie del congelato), se si diminuisse progressivamente la pressione totale la velocità di essiccamento aumenterebbe fino ad un massimo e poi diminuirebbe, perché, per valori di pressione molto bassi, il processo è controllato dal trasferimento di calore, il quale rallenta al diminuire della pressione perché aumenta la resistenza termica dell’intercapedine tra piastra e flaconi. Si deve ottimizzare il trasferimento di massa perché si parte dal presupposto che debba essere la Rl a determinare la velocità di essiccamento. In tal caso la velocità di essiccamento sarà la massima possibile consentita dai requisiti del materiale. Per aumentare la differenza Ps Pcd , nell’Eq. 5.5, si potrebbe pensare di aumentare Ps aumentando la temperatura Ts , alla superficie sublimante. Si deve però tenere conto di un limite: infatti la 115 temperatura del materiale congelato non può superare la temperatura di rammollimento della miscela interstiziale. Addirittura, la zona del materiale congelato che ha la temperatura più alta non è Ts , ma è il fondo del materiale, che è a contatto con la piastra, per cui è sul fondo che non deve essere superata la temperatura di rammollimento. In definitiva, la temperatura della piastra deve essere tale da portare Ts al valore massimo possibile e la temperatura del condensatore deve essere ottimizzata in modo che Pcd sia circa uguale a 0,15Ps. A questo punto ci si può chiedere se il processo avviene in condizioni di stato stazionario o quasi-stazionario. Nel momento in cui si è affermato che si cerca di fare in modo che il processo sia regolato dalla resistenza diffusionale del liofilizzato, automaticamente si afferma che lo stato è quasi-stazionario. Infatti, la resistenza diffusionale determina la velocità globale e tale resistenza dipende direttamente dallo spessore del dell’essiccamento primario aumenta (v. Eq. 5.8 e Fig. 5.11). liofilizzato che nel corso 116 Fig. 5.11 Quindi, poiché nell’Eq. 5.7 Rl è al denominatore, allora la velocità di essiccamento diminuisce nel tempo. Diminuiscono entrambi i membri dell’Eq. 5.7. Nel membro che esprime la velocità di trasferimento di calore, diminuisce la differenza Tp-Ts. Se l’impianto è dotato di un sistema di termostatazione del materiale, Ts, che è molto vicina alla temperatura media nel materiale, rimane costante nel tempo. Dunque, Tp diminuisce nel tempo. Viceversa, se vengono termostatate le piastre, Tp rimane costante e aumenta la temperatura del materiale. D’altra parte, teniamo presente che quanto sopra esposto è giusto solo se si presuppone che la velocità dell’intero processo sia controllata dalla resistenza diffusionale del liofilizzato. Invece se la superficie specifica del liofilizzato non è molto grande, oppure se si ha un collassamento del liofilizzato nel corso del processo a causa di un rammollimento, allora si avrebbe una drastica diminuzione della resistenza diffusionale del liofilizzato e quindi tale resistenza non sarebbe più rate-determining (controllante la velocità). Se si verifica ciò, la resistenza opposta dall’intercapedine tra piastra e flaconi al trasferimento di calore diviene rate-determining. Poiché tale resistenza non varia nel tempo, lo stato è stazionario, per cui la velocità di essiccamento è costante. 117 Come si è visto, negli impianti ci sono due alternative: 1) si possono termostatare le piastre a una temperatura prefissata; 2) si può termostatare il materiale congelato ad una temperatura prefissata, usando delle piccole sonde termometriche, dette resistori, che vengono inserite in flaconi rappresentativi. Si collegano ad un sistema di termostatazione che interrompe il riscaldamento quando la temperatura supera un valore precedentemente impostato. La sonda dovrebbe misurare la temperatura sul fondo del congelato, in realtà misura una temperatura media del congelato (anche perché, come si è già visto, la differenza di temperatura tra il fondo e superficie del congelato è di pochissimi gradi). La temperatura prefissata ( T0 ) deve essere la massima possibile, sempre tenendo conto che non si raggiunga il rammollimento della miscela interstiziale. Per questo motivo, si imposta la T0 in modo che sia: T0 T fi , dove con T fi si indica la temperatura di fusione della miscela interstiziale. Dunque, con il sistema di termostatazione del materiale congelato, nel corso dell’essiccamento primario deve gradualmente diminuire la temperatura della piastra riscaldante. Esiste anche un altro modo di operare: invece del materiale si termostata la piastra. Per adesso consideriamo il caso più conveniente (anche se necessita di una strumentazione più sofisticata), in cui si termostata il materiale. La termostatazione del materiale si fa con sonde termometriche collegate con un sistema che blocca il riscaldamento se il materiale supera la temperatura limite prefissata. Consideriamo adesso le condizioni di essiccamento primario nel caso di termostatazione delle piastre (Tp=cost.). Anche in questo caso, l’ottimizzazione delle proprietà del liofilizzato comporta che il processo sia controllato dal trasferimento di massa. In questo caso, abbiamo già visto, la VE diminuisce nel tempo. Dall’Eq. 5.7 si vede che, se durante l’essiccamento primario Tp rimane costante, Ts aumenta nel tempo. 118 Vediamo adesso come il processo viene “monitorato” registrando continuamente nel tempo la temperatura del materiale e delle piastre dall’inizio del processo, cioè dal congelamento fino alla fine dell’essiccamento secondario: Fig. 5.12 Il diagramma in Fig. 5.12 si riferisce al caso in cui sia termostatato il materiale durante la fase di essiccamento primario. Il tempo dell’intero processo di liofilizzazione è piuttosto lungo e spesso possono essere necessarie anche 24 ore perché il processo si completi. Poiché vi sono gradienti di temperatura nel materiale, come temperatura del materiale si intende una temperatura media tra la temperatura sul fondo e la temperatura sulla superficie del materiale. All’inizio della fase del congelamento il materiale si trova alla temperatura dell’ambiente e l’impianto frigorifero comincia a raffreddare le piastre, rapidamente. Al raffreddamento della piastra corrisponde un raffreddamento della soluzione che però è più lento. Si arriva ad un certo punto in cui la soluzione comincia a congelare, per cui la temperatura della soluzione sovraraffreddata sale rapidamente fino al punto di congelamento. Si forma ghiaccio e nel grafico relativo al materiale si registra un “gradino”. Poiché la solidificazione dell’acqua libera calore latente, questo calore latente deve essere sottratto da parte delle piastre e quindi del relativo impianto frigorifero. Questo calore, che è in gran quantità, provoca un leggero rallentamento del raffreddamento della piastra. A questo punto la soluzione interstiziale si sovraraffredda senza formare altro ghiaccio. La piastra riprende a 119 raffreddarsi rapidamente fino a che non arriva alla temperatura prestabilita. La soluzione interstiziale comincia a congelare, (supponiamo che il materiale si comporti come quello illustrato nella Fig. 5.4). Quando tutto il sistema è congelato la temperatura tende a equilibrarsi con la temperatura della piastra e quindi scende rapidamente. A questo punto possiamo considerare finito il congelamento, che in genere richiede 45 min–1 ora. Dopo il congelamento si fa il vuoto nella camera e nel vano condensatore per preparare le condizioni della sublimazione. In fase di essiccamento primario la pressione nell’autoclave, P, deve essere: P0.3Ps dove Ps è la pressione sulla superficie sublimante. In pratica, il valore della pressione nell’autoclave deve essere 0.1-0.2 torr. Per far avvenire la sublimazione bisogna fornire calore, allora le piastre devono essere riscaldate. La temperatura delle piastre arriva al di sopra della temperatura ambiente (ad es., 35°C). La temperatura del materiale sale perché esso riceve calore dalla piastra, e siccome abbiamo ottimizzato il processo, abbiamo termostatato il materiale a una temperatura vicina alla temperatura di fusione incipiente (Tfi). La Tfi è leggermente superiore alla Tcs, temperatura di completa solidificazione. L’essiccamento avviene in queste condizioni: temperatura del materiale costante e temperatura della piastra decrescente, se è vero che la resistenza diffusionale del liofilizzato diventa rate–determining. Dopo un tempo relativamente breve comincia a emergere dal ghiaccio il liofilizzato, e allora, Rl gradualmente diventa rate–determining. Il processo viene perciò controllato dal trasferimento di massa. Questo implica che la velocità di essiccamento diminuisca nel tempo e diminuisca anche la temperatura della piastra. L’essiccamento primario dura molto più tempo del congelamento. Il tempo richiesto dall’essiccamento primario, infatti, è di diverse ore. Si deve osservare, a questo riguardo, che nella Fig. 5.12 le scale dei tempi delle diverse fasi (congelamento, essiccamento primario, essiccamento secondario) non sono uguali. L’essiccamento primario finisce quando non c’è più ghiaccio che sublima. Allora si osserverà una rapida caduta della velocità di essiccamento. A questo punto, infatti, il liofilizzato contiene solo acqua adsorbita che, alla temperatura a cui abbiamo termostatato il materiale (temperatura di fusione incipiente del materiale congelato (-20°C)) non può desorbirsi alla velocità con cui il ghiaccio sublimava, perché l’energia necessaria è molto maggiore del calore latente di sublimazione. Quindi, quando la sublimazione è finita, la velocità di essiccamento decade e la piastra e il materiale tendono ad assumere la stessa temperatura. 120 Il monitoraggio della temperatura della piastra e del materiale è importante per verificare che il processo funzioni bene. In questo caso, infatti, i grafici hanno l’andamento riportato in Fig. 5.12. Un inconveniente, anche se poco probabile, che si può verificare durante l’essiccamento primario è dato dalla fusione del materiale congelato. Comunque, se il materiale congelato fondesse ce ne accorgeremmo dal valore della pressione: se la pressione si mantiene intorno a 0.12-0.15 torr, va bene, se invece essa registra un aumento rapido, allora vuol dire che sta fondendo il congelato in qualche flacone. Ciò richiederebbe l’interruzione immediata del riscaldamento delle piastre fino al ristabilimento dei valori corretti della pressione. Nel caso della termostatazione delle piastre il grafico, a partire dall’essiccamento primario, sarà: Fig. 5.13 Fin dall’inizio dell’essiccamento primario, la piastra viene termostatata a una temperatura che rimane costante nel corso di tale essiccamento. Il materiale non deve superare la temperatura di fusione incipiente. Se il materiale ha inizialmente un valore di temperatura vicino a Tfi, accade che dopo un po’ di tempo il materiale fonde, perché la temperatura del materiale aumenta. Quindi, non si può partire da un valore di temperatura vicino alla Tfi. Le condizioni ideali sono quelle in cui il materiale che sublima raggiunge la Tfi alla fine della sublimazione, cioè, dell’essiccamento primario. Il problema perciò sta nella scelta di Tp, perché è la piastra che fornisce calore. Si devono fare delle prove pilota per le quali si usano liofilizzatori pilota, di piccole dimensioni. Si provano vari valori di Tp 121 e si scelgono quelli che realizzano le condizioni desiderate. Quando si è trovato il valore ottimale di Tp per il liofilizzatore pilota, lo stesso valore si può applicare al liofilizzatore industriale. Infatti, le grandezze importanti del processo non dipendono dal tipo di impianto. Lo spessore e la conducibilità termica dell’intercapedine piastra–flacone, che determinano la resistenza termica di tale intercapedine, sono uguali nel pilota e nell’industriale; la resistenza diffusionale, Rl dipende dal materiale e non dall’impianto e quindi, se nell’impianto industriale non ci sono resistenze diffusionali in più rispetto al pilota, una volta ottimizzata la Tp nel pilota tale valore è ottimale anche nell’impianto industriale. Quando è finito l’essiccamento primario, siccome non c’è più ghiaccio, e non c’è più assorbimento di calore latente, la temperatura del materiale sale rapidamente e tende a raggiungere la temperatura della piastra. L’aumento rapido della temperatura del materiale segnala che è finita la sublimazione. Se il materiale è vetrificato tale aumento ha un effetto negativo, perché il materiale fonde rapidamente. Perciò, quando il materiale è vetrificato bisogna abbassare la temperatura della piastra quando la temperatura del materiale comincia ad aumentare velocemente. Se invece non è vetrificato, allora non fonde e comincia il desorbimento. In questo caso è necessario aumentare la temperatura della piastra per far avvenire più rapidamente il desorbimento (v. Fig. 5.13). ESSICCAMENTO SECONDARIO (DESORBIMENTO) Accertata la fine dell’essiccamento primario può cominciare il desorbimento, o essiccamento secondario. Questo processo prevede che il vapore che si sviluppa dal liofilizzato, a velocità molto piccola, sia allontanato dalle pompe da vuoto; perciò l’autoclave non può essere in comunicazione con il condensatore, altrimenti le pompe aspirerebbero anche il vapore proveniente dal ghiaccio sul condensatore. Allora si chiude la valvola a farfalla per isolare l’autoclave. Inoltre, il materiale viene portato alla massima temperatura possibile (v. Figg. 5.12 e 5.13) perché la velocità di desorbimento dell’acqua è controllata soprattutto dalla temperatura. In questa fase è il trasferimento di calore ad essere importante. Da studi condotti recentemente si è riscontrato che non è importante andare a valori di vuoto spinto nella fase di essiccamento secondario, perché ciò che determina la velocità del desorbimento è la temperatura del materiale. Si è concluso che la pressione nella autoclave può essere mantenuta agli stessi valori che aveva durante l’essiccamento 122 primario (0.1-0.2 torr è una pressione sufficientemente bassa da non ostacolare il percorso del vapore che si sviluppa nel desorbimento). Abbiamo visto che nell’essiccamento secondario non conviene portare la pressione a valori troppo bassi. Vediamo per quale ragione. Se è molto bassa la pressione nell’autoclave, è molto bassa anche la pressione all’interno dei pori del liofilizzato. Se è così, allora sarà molto bassa la conducibilità termica del liofilizzato (che di per sè, essendo materiale organico, ha conducibilità bassa). Per far avvenire il desorbimento, il liofilizzato deve essere riscaldato ad una temperatura appropriata e siccome il calore si trasferisce per conduzione dalla piastra al liofilizzato, allora, per un certo valore di Tp, la temperatura alla superficie del liofilizzato è molto più bassa di Tp se la conducibilità termica del liofilizzato è molto bassa. Quindi in generale non conviene che la pressione all’interno dei pori sia troppo bassa. Dati sperimentali hanno dimostrato che il grado di vuoto nell’essiccamento secondario dovrebbe essere simile a quello dell’essiccamento primario. Durante l’essiccamento secondario si deve escludere la camera dal condensatore, perché il ghiaccio depositato sul condensatore genererebbe una pressione parziale di vapore che ostacolerebbe il desorbimento. Secondo consuetudine, nell’essiccamento secondario viene fatto un vuoto estremamente spinto per allontanare le molecole di acqua adsorbite. Questo, molto spesso è irragionevole. E’ necessario solo se si vuole un grado di secchezza nella autoclave molto elevato, ad es., se il materiale è molto igroscopico. L’essiccamento secondario fatto nelle condizioni rappresentate nelle Figg. 5.12 e 5.13 prevede che il liofilizzato sia solido cristallino, con acqua adsorbita. Nel caso di principi attivi di tipo proteico le condizioni possono essere diverse, ossia, alla fine dell’essiccamento primario ciò che rimane è un materiale vetrificato. Insieme al principio attivo c’è una notevole quantità di acqua, facente parte della soluzione interstiziale, vetrificata. In questo caso l’essiccamento deve essere fatto mantenendo il materiale ad una temperatura inferiore alla temperatura di transizione vetrosa (Tg), affinché il liofilizzato rimanga rigido e non collassi. Allora, bisogna proseguire nelle condizioni dell’essiccamento primario, anche se la velocità di essiccamento è molto bassa. Però, man mano che la percentuale di acqua diminuisce nel materiale vetrificato la Tg aumenta; si può gradualmente aumentare la temperatura del materiale mantenendola sempre al di sotto della Tg. 123 In teoria, l’essiccamento secondario non finisce mai, perché una traccia di acqua nel materiale rimane sempre. Si deve stabilire perciò quanta è l’acqua tollerata nel materiale. Per esempio, si può stabilire che il materiale liofilizzato deve avere un contenuto di acqua inferiore all’1%. Si fanno delle prove stabilendo valori di temperatura, pressione e tempo che consentono di ottenere i requisiti voluti. Per il recupero del materiale dal liofilizzatore, alla fine del processo, vedi Rif. 1, p. 201202. 124 Rif. 1, p. 201 125 Facciamo adesso delle considerazioni sui costi del processo di liofilizzazione, confrontandoli con quelli dell’essiccamento per evaporazione. In quest’ultimo caso, l’energia che si spende per unità di massa di acqua da allontanare è il calore latente di evaporazione, che determina il costo dell’operazione. Nel processo di liofilizzazione i costi sono molto più elevati. Infatti, quando si fa il congelamento si deve sottrarre il calore latente di fusione all’acqua per farla congelare, ed è una quantità di calore per unità di massa piuttosto elevata (80 kcal/kg). La sottrazione di calore si fa con un impianto frigorifero, compiendo lavoro. Il rendimento delle macchine frigorifere è sempre notevolmente minore del 100%, ossia, il calore sottratto è assai minore del lavoro compiuto dal compressore. Quindi l’energia impiegata per far congelare l’unità di massa d’acqua è maggiore del calore di fusione, perché è l’energia spesa dal compressore. Successivamente avviene la sublimazione. Il calore latente di sublimazione è più elevato del calore latente di evaporazione. Allora la sola energia spesa per la sublimazione è superiore a quella dell’essiccamento per evaporazione. Poi, c’è un’ulteriore dispendio di energia per sottrarre il calore latente di sublimazione e far sublimare il vapore a ghiaccio sul condensatore. Tale energia è spesa dall’impianto frigorifero che aziona il condensatore. Quindi, bastano queste considerazioni per capire quanto sia costosa la liofilizzazione rispetto ai processi di essiccamento che si basano sull’evaporazione. 126 ALCUNE FIGURE E SCHEMI RIGUARDANTI LA LIOFILIZZAZIONE Liofilizzatore Alfa-Compact 127 Schema delle parti di un liofilizzatore 128 Camera bianca per la chiusura dei flaconi