La formazione per i biologi nutrizionisti Fino agli anni ’50 si pensava che il cervello fosse uno strumento meccanicamente determinato e fatalmente strutturato, dato una volta per sempre. Inoltre i lobi frontali e temporoparietali erano considerati aree di oscuro valore e di incerto utilizzo. Queste convinzioni condannavano irrimediabilmente ogni essere umano, negandogli il divenire, l’evoluzione. Oggi, le neuroscienze allargano il nostro sapere, informandoci che a livello funzionale esistono un cervello meccanico, organizzato sin dalla nascita per favorire la sopravvivenza e un cervello plastico che cambia seguendo le esperienze e i nuovi apprendimenti. Eric Kandel, premio Nobel per la medicina nel 2000, afferma che l’apprendimento produce una modificazione permanente nei neuroni, dimostrando scientificamente per la prima volta che ogni apprendimento è, senza alcun dubbio, un mutamento fisico a livello neuronale. Quindi, imparare a riconoscere uno stimolo, cioè avviare un apprendimento, cambia la costituzione di alcuni neuroni. L’obiettivo della Formazione Permanente, in senso lato, si colloca in questa prospettiva. L’essere umano è in continuo divenire, si modifica attraverso la consapevolezza delle sue emozioni, dei suoi pensieri, dei suoi comportamenti. Il nutrizionista, durante il corso della sua esperienza professionale, è in formazione, cioè, studia, ricerca, si confronta, condivide idee, rinnega convinzioni obsolete e rinnova i suoi linguaggi e le sue metodologie. Quindi, la funzione pedagogica della relazione fra l’io e l’altro-da-sé è di natura biologica, il cervello plastico muta attraverso l’esperienza di contatto e di confronto. Ancora prima che affinare e distribuire griglie, schede, tabelle, diete, il consulente professionista della nutrizione crea e difende la relazione con il suo cliente, si sperimenta nel confronto, rischia nel conflitto, elabora e verifica opzioni di rapporto con l’altro. Le esperienze di formazione che l’Abap promuove, servono a solleticare curiosità, a costruire laboratori dove sperimentare nuove interazioni sociali, a promuovere e a riconoscere una comunità, sempre più ampia, di professionisti in cammino, di persone che non solo studiano la filosofia e le tecniche legate all’alimentazione, ma che sanno contaminare più persone possibili, che scelgono di coinvolgere un pubblico spesso distratto o malamente informato. E’ importante condividere la certezza che, al di là dei bisogni, dei desideri e delle difese psicologiche, non è possibile pensare di poter esistere e proporsi come nutrizionisti al di fuori della comunità. La philia rende omogeneo un gruppo, ma non esiste philia senza eris, senza contrapposizione, rivalità, conflitto. Democrazia significa discussione e conflitto e l’unità contiene in sé la possibilità di una divisione. Economisti, biologi, filosofi, politici…: ciascuno offra la sua lettura aggiungendo sapienza e arricchendo la conoscenza, non contrapponendo punti di vista e impoverendo il confronto. Lo sviluppo del territorio e delle persone, allora, come crescita economica, sociale, civile, studiata a tavolino, non ci serve e, per questo, non ci basta. Lo sviluppo che cerchiamo all’Abap è circolare, non orizzontale, né verticale. Ci si muove insieme o nessuno avanza. E’ una creatività interattiva che guadagna il suo successo dalla capacità relazionale delle persone. Bisogna formare persone che sappiano non solo risolvere i problemi, ma porli, non solo brave ad adattarsi a ruoli prestabiliti, ma a suddividerli, ad orientarli, a crearli. E’ un luogo comune affermare che oggi il cambiamento è indispensabile. Non sappiamo se vogliamo o dobbiamo cambiare. Ciò che certifichiamo è il bisogno/dovere di essere migliori. E’ un discorso di profondità, di spessore, di qualità, di intensità, non necessariamente legato al movimento. Apprendiamo, dunque, a vedere la comunità secondo un paradigma agricolo, non meccanico. La legge del raccolto è una legge naturale, se si semina, forse si raccoglierà, se si rinuncia alla semina, certamente non si raccoglierà nulla. E’ la pedagogia della resistenza. Continuare a proporre, a stimolare, a parlare, a costruire bande di gatti randagi, a far girare idee. Il cambiamento non richiede attivismo ma azioni riflessive. L’osservatorio del reale è lo strumento privilegiato di conoscenza, una conoscenza capace di collegare ogni informazione nel proprio contesto e nell’insieme in cui si inscrive, progredendo con la capacità di contestualizzare e di globalizzare. Condividiamo nell’ Abap l’invito ad “avviare una riforma non programmatica ma paradigmatica, che concerne la nostra attitudine ad organizzare la conoscenza ….. sapendo che gli uomini non uccidono soltanto nella notte delle loro passioni, ma anche al chiarore delle loro razionalizzazioni.” (Edgar Morin) Competenza comunicativa, capacità di collaborare, adeguata motivazione, etica del lavoro sono caratteristiche essenziali per qualsiasi attività lavorativa. Infatti, se la vita è una scuola del divenire, una scuola di autosviluppo, allora, le idee di consapevolezza e di responsabilità personale devono affermarsi sempre più. Come afferma Karl Popper la nostra società è la migliore di quelle sinora esistite non tanto per il benessere materiale raggiunto, ma perché rende possibile l’unica forma degna dell’uomo di convivenza umana; l’unica forma in cui noi possiamo essere responsabili di noi stessi. Per questo la più grande azione concreta che ogni nutrizionista può fare è alimentare e sviluppare all’interno di sé una consapevolezza del proprio vissuto e su tale consapevolezza costruire con determinazione e capacità di persuasione una migliore identità lavorativa. Oggi le parole d’ordine sono: delega, focalizzazione, spirito di collaborazione, responsabilità personale e interesse rivolto agli altri. E’ assolutamente insufficiente l’equazione “problema sociale = patologia di qualche individuo” da riparare con atteggiamenti variamente improntati al modello medico. “Il futuro è decisamente aperto. Esso dipende da noi; da tutti noi. Dipende da quello che noi e molte persone facciamo e faremo: oggi, domani e dopodomani. E quello che facciamo e faremo dipende a sua volta dai nostri pensieri e dai nostri desideri, dalle nostre speranze, dalle nostre paure. Dipende da come vediamo il mondo e da come valutiamo le possibilità largamente disponibili del futuro … Invece di posare a profeti, dobbiamo diventare i creatori del nostro destino. Imparare a fare le cose nel miglior modo che ci è possibile e ad andare alla ricerca dei nostri errori. Ma questo significa che dobbiamo cambiare noi stessi.” (Karl Popper) Le esigenze formative del biologo nutrizionista diventano, negli ultimi tempi, più complesse e sottili. Complesse giacché ciascun intervento è trasversale, non più settoriale. Proporre formazione per i nutrizionisti non significa solo parlare di gentilezza e di sorrisi, ma anche di vision e di mission della professione; significa parlare non solo di servizio all’utente, ma anche di analisi del territorio nel quale si opera. Il bisogno è apprendere non solo la disponibilità di fronte al cliente o al collega, ma è cercare di cristallizzare un nuovo stile personale di vita. La divisa interiore conta quanto la divisa esterna. Il lavoro del nutrizionista non è solo una professione, ma un campo poliprofessionale, cioè comprende un’area comune a più professioni affini. Bisogna imparare a distinguere fra “fare il nutrizionista” – cosa possibile per persone comuni che si trovino ad avere fortunate attitudini naturali – e, invece, padroneggiare metodologie di intervento nei loro aspetti relazionali e, quindi, svolgere il lavoro affidato con piena intenzionalità. Questo è possibile solo a chi si è sottoposto ad una disciplina mentale rigorosa. Non si tratta di fare meno male possibile, di essere “buoni” con l’altro “bisognoso”, di utilizzare soluzioni dettate dal buon senso e dalla occasionalità dell’intervento. Obiettivo principale della formazione è la consapevolezza di ciascun partecipante rispetto al proprio ruolo, all’utenza e al territorio di appartenenza. Il nutrizionista trasferisce la sua filosofia, la sua strategia nel brevissimo incontro con l’utente. E’, quindi, indispensabile lavorare perché in “quel” breve momento sia trasmessa l’intera cultura della nutrizione. Il consulente dell’alimentazione non deve copiare sorrisi o imitare personaggi televisivi o inventarsi espressioni verbali e non verbali che non appartengono alla sua identità. Egli, attraverso gli incontri formativi, è motivato con metodo ed allegria ad innovare il personale stile di comunicazione. La formazione proposta non cambia il nutrizionista, lo invita, lo motiva a creare nuove opzioni di comportamento che rendano più sereno, meno faticoso il proprio lavoro a contatto con ogni persona. “Con un po’ più di attenzione, un po’ più di coraggio e, soprattutto, un po’ più di anima, le nostre vite possono essere facilmente scoperte e celebrate nel lavoro e non, come adesso talvolta accade, sprecate e perse nella sua ombra”. Il pensiero di David Whyte possa rappresentare uno stimolo e un augurio per il lavoro che l’Abap ha intrapreso. Articolo pubblicato su “Biologando”, N.2-3/2006