L’obbedienza non è una virtù: è molto di più! Don Roberto Carelli 0. Introduzione “Dei tre voti, la povertà è la più valutata, anche se talvolta unilateralmente; la castità viene ammirata, anche se non sempre capita; l’obbedienza viene disprezzata (P. Chávez) Preziosità e costosità dell’obbedienza consacrata… Tra comprendere non comprendere, tra grazia e peccato, solidità e vulnerabilità, dono e compito… Obbedienza filiale, servile, formale… Riduzione antica, separazione moderna… Idea guida: l’obbedienza è adeguata all’amore… 1. La verità dell’obbedienza 1.1. Il riscatto culturale dell’obbedienza “Il riconoscimento della dignità personale è uno dei tratti significativi della modernità. Non va d’altra parte dimenticato che quando la libertà tende a trasformarsi in arbitrio e l’autonomia della persona in indipendenza dal Creatore e dalla relazione con gli altri, allora ci si trova di fronte a forme di idolatria che non accrescono la libertà ma rendono schiavi” (Il servizio, 2) L’uomo come individuo: la libertà idolatrata e l’obbedienza squalificata… L’uomo come creatura: la libertà ridimensionata e l’obbedienza ritrovata… L’uomo come figlio: la libertà qualificata e l’obbedienza valorizzata… 1.2. Il significato biblico dell’obbedienza “L’intento principale di queste riflessioni è quello di riaffermare che obbedienza e autorità, seppure praticate in molti modi, hanno sempre una relazione peculiare con il Signore Gesù, Servo obbediente” (Il servizio, 3) ANTICO TESTAMENTO: L’OBBEDIENZA DELLA FEDE… Obbedienza, trama di fondo dell’esperienza di Israele… Obbedienza come richiesta di libertà… Obbedienza come corrispondenza alla Parola… Obbedienza come implicazione della Grazia… Obbedienza come implicazione dell’Alleanza… NUOVO TESTAMENTO: L’OBBEDIENZA DEL FIGLIO… Continuità e novità... L’obbedienza di Gesù e la rivelazione di Dio… L’obbedienza di Gesù e l’obbedienza di Maria… L’obbedienza di Gesù e la redenzione dell’uomo… L’obbedienza di Gesù e la libertà dell’uomo… L’obbedienza di Gesù e la logica cristiana… 1.3. Il valore ecclesiale dell’obbedienza consacrata “Se l’obbedienza è anzitutto atteggiamento filiale, ciò è immensamente più vero nei riguardi di Dio. Noi infatti raggiungiamo la nostra pienezza solo nella misura in cui ci inseriamo nel disegno con cui Egli ci ha concepito con amore di Padre. Dunque l’obbedienza è l’unica via di cui dispone la persona umana, essere intelligente e libero, per realizzarsi pienamente” (Il servizio, 5) Per Cristo, con Cristo e in Cristo. Obbedienza al Padre, conformazione al Figlio, docilità allo Spirito, sottomissione reciproca… Nel sì di Gesù, nel sì di Maria, un sì senza limiti, senza riserve, senza preferenze. Dimensione petrina e dimensione mariana dell’obbedienza… La carità perfetta, passione e missione dell’obbedienza consacrata. L’obbedienza conviene all’Amore, perché è condivisione dell’indivisibile, partecipazione creata alla perfezione di Dio, dismisura di Dio nelle misure dell’uomo… “L’azione dell’uomo nel mondo è sempre finita, e tali furono anche le azioni esterne del Cristo. Ma questa finitezza viene superata a partire dall’operazione del fondamento originario… Come è possibile? È possibile perché la disponibilità di Gesù a impegnarsi secondo la volontà del Padre è illimitata come questa stessa volontà. Questo è l’unico modo per cui una creatura che di per sé non ne è degna può diventare coestensiva all’impegno divino… La disponibilità a tutta la volontà di Dio spezza la cornice dell’azione umana e ne riempie tutto lo spazio con la prontezza ad accogliere l’agire di Dio. Tale disponibilità è sempre maggiore dell’azione visibile e questo di-più, se è presente, trasforma quest’azione mondana in un’azione cristiana. La disponibilità, che Ignazio chiama santa indifferenza, è sempre stata la massima prestazione etico-religiosa dell’uomo: preparazione attiva dello spirito, di tutto l’uomo, a non resistere a Dio. Dove questa disposizione viene raggiunta, Dio, se vuole, può caricare l’uomo con la propria azione, al di là dell’umano potere… l’obbedienza è una prontezza infuocata a venir impiegati e consumati per la salvezza e la redenzione del mondo, una disponibilità che necessariamente si esprimerà come preghiera di consegna e di dedizione. Teresa di Lisieux ha riconosciuto che questa preghiera, se è espressione genuina di una disponibilità illimitata, avviene nel cuore della Chiesa e si riallaccia all’infinita fecondità ed efficacia del sì di Maria” (H. U. von Balthasar) “L’obbedienza è il perfetto adeguamento, il perfetto accordo d’amore fra Dio e Dio… Obbedienza è Gesù che è Dio davanti a Dio, Figlio davanti al Padre, uomo davanti al Dio trinitario. Di conseguenza, ogni parola che egli pronuncia è da intendere in modo assoluto. L’obbedienza consiste in questa assolutezza. L’obbedienza costituisce il nucleo del Figlio, la sorgente da cui emana ogni sua manifestazione visibile, che corrisponde, non approssimativamente ma esattamente, a ciò che è nascosto, il volto del Padre… Obbedienza è per l’uomo disponibilità e prontezza incondizionata alla Parola. la misura contenuta nella parola è una misura divina, che l’uomo non può adottare né per se stesso né per gli altri…. Se però prende il coraggio a due mani e tenta tuttavia una volta, allora scoprirà con sorpresa che questa Parola è talmente viva da avere in sé la forza di farlo agire. È la Parola che si impone e si sviluppa in lui. È sufficiente che egli abbia capito ciò una prima volta, per accorgersi chiaramente come sia inadeguato parlare per l’uomo di ‘autosviluppo’… Fra la disponibilità e l’azione non deve esserci nessuna lacuna: ogni soluzione di continuità è indesiderata: quando Dio esige una vera obbedienza, certe lacune vengono colmate: la propria insufficienza, l’incapacità in un campo, la mancanza di coraggio. È quasi come se Dio, per ogni nuova esigenza d’obbedienza, s’impegnasse a dotare l’uomo delle qualità e caratteristiche necessarie al compito da svolgere. L’uomo che obbedisce può eseguire, nella piena consapevolezza delle sue capacità, cose che prima mai avrebbe potuto e voluto compiere: infatti adesso le sue capacità giacciono in Dio, che gliele destina. L’uomo senza obbedienza possiede diverse teorie sulle proprie capacità e su ciò che può pretendere dalle proprie forze in casi estremi. Ma allorché diventa obbediente, queste teorie si sciolgono come neve. Egli s’avvede come ciò che prima non digeriva gli diventa ora digeribile… Se il cristiano non fosse del tutto obbediente, egli godrebbe semplicemente di una libertà limitata; vedrebbe ovunque dei limiti e avvertirebbe dappertutto l’ieri e il domani; non sarebbe più totalmente disponibile per l’attimo donato da Dio; non avrebbe più la pienezza della preghiera offertagli da Dio e non potrebbe più sentire la pienezza della presenza divina. Tutto sottostarebbe alla sua riflessione e al suo giudizio, che così limiterebbe la densità della sua esperienza” (A. von Speyr) 2. Le esigenze dell’obbedienza “Autorità e obbedienza si trovano personificate in Gesù: per questo devono essere intese in relazione diretta con Lui e in configurazione reale a Lui. la vita consacrata intende semplicemente vivere la Sua Autorità e la Sua Obbedienza” (Il servizio, 12) 2.1. Obbedienza e consacrazione Il ministero e la missione del Figlio, ossia la sua rappresentanza del Padre e la sua dedizione di Figlio, sono la sorgente dell’autorità e dell’obbedienza nella vita consacrata. In essa il rapporto autorità-obbedienza rappresenta in maniera distinta ciò che in Gesù è assolutamente unito. Molte le ricadute. Prima fra tutte l’articolazione della Chiesa secondo il principio mariano (unità invisibile, carisma) e il principio petrino (unità visibile, istituzione). Premessa delle premesse, occorre che ogni consacrato abbia, di volta in volta, l’umile coraggio di obbedire e l’umile coraggio di comandare. Significa che il consacrato non ha solo il dovere, ma anche il diritto di obbedire, e per questo chi ha il compito dell’autorità ha il dovere di comandare. Autorità e obbedienza non possono essere diluite o sostituite da idee, linguaggi e pratiche che ne livellano, ne sfumano e ne smarriscono la sostanza: l’autorità “sarà ferma nel richiedere l’applicazione di quanto deciso. Sarà attenta a non abdicare alle proprie responsabilità, magari per amore del quieto vivere o per paura di urtare la suscettibilità di qualcuno. Sentirà la responsabilità di non essere latitante in situazioni in cui occorre prendere decisioni chiare e, talvolta, sgradite. L’amore vero verso la comunità è proprio ciò che rende l’autorità capace di conciliare fermezza e pazienza, ascolto di ognuno e coraggio di prender decisioni, superando la tentazione di essere sorda e muta” (20f)… D’altra parte, ad immagine del Figlio, l’autorità deve essere la prima ad obbedire, sia sul piano personale, sia nell’esercizio stesso dell’autorità. L’autorità autentica è tanto più riconosciuta ed efficace quanto più, insieme alla dimensione istituzionale, ha carattere testimoniale… In ogni caso, perché l’obbedienza sia autentica, occorre che l’autorità sia interpretata e vissuta come “autorità spirituale” (13), i cui compiti principali sono garantire il giusto ordine di vita, promuovere la dignità del consacrato, incoraggiare nelle prove, richiamare il carisma, essere mediazione delle esigenze di Dio, del Vangelo, della missione… 2.2. Obbedienza e fraternità L’asimmetria del rapporto autorità-obbedienza si innesta nella simmetria del rapporto di fraternità, e svolge la funzione di promuovere e garantire una “carità ordinata” (20), ossia capace di riconoscere e articolare le persone, ai ruoli, ai compiti, le cose ordinarie e le urgenze. L’obbedienza è così determinante nella vita cristiana, che attraversa la stessa vita fraterna. “San Benedetto, verso la fine della sua Regola, afferma: « La virtù dell’obbedienza non deve essere solo esercitata nei confronti dell’abate, ma bisogna anche che i fratelli si obbediscano tra di loro, nella piena consapevolezza che è proprio per questa via dell’obbedienza che andranno a Dio” (20g)… Regolare o presiedere la carità è per l’autorità la fatica quotidiana di curare le relazioni. In questo, è di capitale importanza aiutare chi deve obbedire a non isolarsi, a contrastare ogni forma di emarginazione o autoemarginazione. Per questo, “si impegnerà a far superare qualsiasi forma di infantilismo e a scoraggiare qualunque tentativo di evitare responsabilità o di eludere impegni gravosi, di chiudersi nel proprio mondo e nei propri interessi o di lavorare in maniera solitaria” (20b)… Per regolare le relazioni, l’autorità deve coltivare una grande libertà interiore, ossia da una parte “la capacità di cogliere la positività di ognuno e di utilizzare al meglio le forze disponibili”, e dall’altra “quella rettitudine di intenzione che la rende interiormente libera, non troppo preoccupata di piacere e compiacere, e chiara nell’indicare il significato vero della missione per la persona consacrata, che non può ridursi alla valorizzazione delle doti di ognuno” (20d)… 2.3. Obbedienza e missione “Obbedienza e missione si appartengono reciprocamente”. La testimonianza, l’apostolato, la missione, sono istituite da un mandato, si esercitano e trovano la loro fecondità in forza della volontà e della presenza del Signore: “considerando che Cristo, nella sua vita e nella sua opera, è stato l’amen perfetto detto al Padre, e che dire sì significa semplicemente obbedire, è impossibile pensare alla missione se non in relazione all’obbedienza. Vivere la missione implica sempre l’essere mandati, e ciò comporta il riferimento sia a colui che invia sia al contenuto della missione da svolgere” (23). Senza l’obbedienza, la testimonianza diventa racconto autobiografico, apostolato e missione scadono a sinonimo di opere e iniziative. E come l’obbedienza ottiene alle opere dell’uomo la gioia e la fecondità di Dio, così la disobbedienza ottiene stanchezza e sterilità… Circa la missione, il servizio dell’autorità deve tenere in equilibrio umiltà e coraggio, dolcezza e fermezza con le persone: “compito non semplice, né esente da difficoltà ed equivoci. In passato il rischio poteva venire da un’autorità orientata prevalentemente verso la gestione delle opere, con il pericolo di trascurare le persone; oggi, invece, il rischio può venire dal timore eccessivo, da parte dell’autorità, di urtare le suscettibilità personali, o da una frammentazione di competenze e responsabilità che indebolisce la convergenza verso l’obiettivo comune e vanifica lo stesso ruolo dell’autorità” (25). Se è scontata la situazione per cui chi deve obbedire promette obbedienza ma poi segue la sua volontà, non è oggi rara la situazioni in cui l’autorità non esige formalmente, ma in pratica pretende… Delicato è sempre l’equilibrio fra comunità e missione, tra vita ad intra e ad extra: “dato che normalmente l’urgenza delle cose da fare può indurre a trascurare le cose che riguardano la comunità, e che sempre più spesso si è oggi chiamati a operare come singoli, è opportuno che siano rispettate alcune regole irrinunciabili, che garantiscano al tempo stesso uno spirito di fraternità nella comunità apostolica e una sensibilità apostolica nella vita fraterna” (25c). Onde evitare disordini, personalismi, compensazioni affettive e apostoliche, ultimamente infecondità. In proposito, il Codice di Diritto Canonico richiama opportunamente che “la comunità religiosa è protesa a conseguire e manifestare il primato dell’amore di Dio, che è il fine stesso della vita consacrata, e dunque anche il suo primo dovere e il primo apostolato dei singoli membri della comunità”… L’obbedienza ha infine una dimensione di croce non eliminabile: affidarsi a un altro è sempre in qualche misura rinunciare a se stessi. Dire sì a Dio è sempre sopportare la sua eccedenza e la nostra deficienza, è sempre mortificazione e dedizione: per questo l’obbedienza può essere anche molto costosa. L’itinerario di Cristo e del cristiano si muove fra l’obbedienza radicale della prima beatitudine, la povertà in spirito, la rinuncia a vivere per se stessi, e l’obbedienza suprema dell’ultima beatitudine, la persecuzione sofferta a motivo della fede, il non vivere più per se stessi. Ci sono in effetti obbedienze difficili e difficili esercizi dell’autorità. La volontà di Dio può talvolta proprio arrivare al punto di divisione dell’anima e dello spirito, generare una crisi profonda: “la persona consacrata, quando le viene richiesto di rinunciare alle proprie idee o ai propri progetti, può sperimentare smarrimento e senso di rifiuto dell’autorità, o avvertire dentro di sé «forti grida e lacrime» (Eb 5,7) e l’implorazione che passi l’amaro calice. Ma quello è anche il momento in cui affidarsi al Padre perché si compia la sua volontà e per poter così partecipare attivamente, con tutto se stesso, alla missione di Cristo «per la vita del mondo» (Gv 6,51). È nel pronunciare questi difficili “sì” che si può comprendere fino in fondo il senso dell’obbedienza come supremo atto di libertà, espresso in un totale e fiducioso abbandono di sé a Cristo, Figlio liberamente obbediente al Padre; e si può comprendere il senso della missione come offerta obbediente di se stessi, che attira la benedizione dell’Altissimo” (27) E ci sono anche tensioni fra obbedienza e coscienza che sono fonte di sofferenze, di tentazioni, di resurrezioni non piccole: “può sorgere un interrogativo: ci possono essere situazioni in cui la coscienza personale sembra non permettere di seguire le indicazioni date dall’autorità?... il consacrato dovrà riflettere a lungo prima di concludere che non l’obbedienza ricevuta, ma quanto avverte dentro di sé rappresenta la volontà di Dio. Dovrà ricordare che la legge della mediazione va tenuta presente in tutti i casi, guardandosi dall’assumere decisioni gravi senza alcun confronto e verifica. Rimane certo indiscutibile che ciò che conta è arrivare a conoscere e a compiere la volontà di Dio, ma dovrebbe essere altrettanto indiscutibile che la persona consacrata si è impegnata con voto a cogliere questa santa volontà attraverso determinate mediazioni. Dire che ciò che conta è la volontà di Dio, non le mediazioni, e rifiutarle, o accettarle solo a piacimento, può togliere significato al proprio voto e svuotare la propria vita di una sua caratteristica essenziale. Di conseguenza, fatta eccezione per un ordine che fosse manifestamente contrario alla legge di Dio e alle costituzioni dell’Istituto, o che implicasse un male grave e certo – nel qual caso l’obbligo dell’obbedienza non esiste –, le decisioni dei superiori riguardano un campo in cui la valutazione del bene migliore può variare secondo i punti di vista. Il concludere, dal fatto che un ordine appaia oggettivamente meno buono, che esso è illegittimo e contrario alla coscienza, significherebbe misconoscere, in maniera poco realistica, l’oscurità e l’ambivalenza di non poche realtà umane. Inoltre il rifiuto di obbedienza porta con sé un danno spesso grave, per il bene comune” (27)…