Teologia Morale Speciale Sociale
31° Lez - 2° semestre
10° Lez – 07 Mag 09 - Ass.: SANTANGELO → (Don Domenico)
Stavamo trattando alcuni ambiti: Gesù e la realtà socio politica; Gesù e la legge; ricchezza e povertà.
Ora cominciamo un ambito che ha fatto riflettere notevolmente la Chiesa primitiva, è il tema tra Gesù e
l’autorità civile. In tutta la Scrittura ma in particolare nel NT emergono due linee prevalenti nei confronti
dell’ordinamento civile. Una linea orientata alla lealtà e all’obbedienza verso le istituzioni sociali e politiche
ed una linea invece, maggiormente critica verso le autorità, che arriva fino ad affermare il rifiuto (n° 379
compendio). Per superare l’apparente divaricazione che esiste tra queste due linee (chi si mostra a favore e
chi contrario), tentiamo di individuare alcune costanti di fondo:
Primo dato, il potere come servizio, diversi passi del NT (Mt 20, 25; Mc 10, 42; Lc 22, 45) anche se con
diverse sottolineature tra di loro (più radicali Mt e Mc, più moderato Lc), esprimono il giudizio severo di
Gesù verso la gestione del potere politico. Qui Gesù si preoccupa di svelare l’ambiguità che è sottesa al
potere. Il potere è ambiguo quando è in apparenza servizio all’umanità, in realtà tende ad asservire la
persona (ecco il principio della dignità trascendente della persona). La linea evangelica è precisa in questo
senso, il più grande sia come colui che serve (Lc 22, 24-26). La linea che emerge da questi dati biblici è che
si deve esercitare il potere (Gesù non è contro il potere). Il potere si deve esercitare in funzione della crescita
dell’altro, la stessa etimologia della parola autorità = autoritas = augeo = faccio crescere. In ciò si svela il
potere di chi esercita l’autorità o il pericolo di esercitare il potere in un modo o in un altro. Qui c’è il rischio
di quando l’autorità intende dominare e non servire.
Secondo aspetto, la distanza che c’è tra il Regno che Gesù annuncia, che è già inaugurato in Lui, ed il
Mondo. Pensate al conflitto tra Gesù e Pilato (Gv 18, 19) in quel dialogo si delinea il dramma radicale che
soggiace a tutta la storia. Il Regno di Dio non è di [non è da] questo mondo. Il Regno di Dio non viene da
questo mondo. Perché non ha origine dalla storia terrena umana, non è racchiudibile nelle realtà terrene, non
si fonda sul consenso della base, anche forse per questo, sappiamo, la Chiesa non è una democrazia. Ecco
spiegato il perché, non è la legittimazione della base. Il Regno di Dio cerca invece di trasfigurare il mondo
salvandolo. Questa è la radicale prospettiva della fede, un qualcosa che arriva dall’alto e non dal basso.
Terzo ambito, ogni potere viene dall’alto. Lo stesso racconto del processo che Ponzio Pilato intavola verso
Gesù mette in luce non solo la differenza tra mondo e il piano di Dio, ma mette in luce la dipendenza che
esiste del mondo, nei confronti del piano di Dio, perciò il potere viene dall’alto. Al punto che la Signoria di
Dio relativizza ogni altra signoria mondana, ogni altro potere terreno. Compreso il potere dato a Pilato,
perché secondo il piano di Dio tutto sia compiuto. E comprese anche le potenze demoniache, ricordate le
tentazioni di Gesù nel deserto Lc 4, 5-8, anche lì Gesù vince contro le forse di questo mondo che lo
vorrebbero racchiudere nella realtà terrena.
Ultimo ambito, a cesare quello che è di Cesare, a Dio quello che è di Dio. È il passo del tributo a Cesare
(Mt 22, 15-22). Passo che è stato tradizionalmente interpretato come fondamento della legittimità e della
consistenza dei 2 poteri, divino e terreno (legittimi e coesistenti). Il testo non va interpretato nel pensare due
poteri contrapposti, o semplicemente sovrapposti. I questo senso vi invito a rileggere storicamente il
rapporto che potere spirituale ha avuto con il potere temporale, a volte amicale, a volte nemicale. Proprio
perché si è letto questo brano in veste di contrapposizione o di sovrapposizione. Credo che il brano vada
riletto in una prospettiva più inclusiva, anche l’obbedienza a Cesare va compresa all’interno della più
inclusiva obbedienza al piano di Dio. Quindi secondo i criteri di Dio, senza lasciare zone d’ombra o assoluta
autonomia al potere temporale. Sarà quindi, come Gesù evidenzia, una obbedienza critica, che aiuta a
definire lì atteggiamento verso il Cesare di turno, cosa significa obbedienza critica? Obbedienza che
significa, non cieco rispetto totale assoluto, ne automatico, a quello che l’autorità o il potere di turno esercita
o pretende dai sudditi di sempre, ma obbedienza certo leale, in vista del bene comune. Fuori di questo
criterio non esiste autorità legittima, se non è esercitata a favore del bene comune, l’autorità esiste in
funzione del bene comune, da individuare e promuovere poi nelle concrete situazioni storiche. È chiaro che
parlare di bene comune nel 1200 aveva un significato e contestualizzazione diversa dal bene comune di oggi.
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è qui rilevante la suggestiva esegesi che Agostino fa proprio di questo brano, secondo cui a Cesare
spetterebbe la moneta ma a Dio spetta l’uomo che reca impressa l’immagine di Dio in se.
Il Cesare di sempre ha un regno circoscritto, un potere delimitato, non po’ chiedere di più che ‘moneta’. In
oltre, non c’è un semplice dare a cesare, ma c’è un rendere. Questo ci aiuta a comprendere come nei
confronti della società non siamo sempre noi i primi creditori, siamo tenuti a degli obblighi ben precisi verso
la società, a rendere alla società ciò che le è dovuto, ciò che le spetta. Noi siamo debitori prima che creditori,
in genere siamo sempre abituati a pretendere dagli altri, quello che innanzi tutto noi siamo tenuti a dare o a
rendere. Pensate al’obbligo dell’imposizione fiscale, e pensate a quando non viene assolto. Anche questo va
contro la lettura del dato biblico.
Iniziamo un l’altro ambito, Chiesa primitiva, predicazione apostolica. Incarnandosi in diversi contesti
dell’impero romano la prima comunità cristiana va lentamente strutturandosi. Porta ovunque il proprio
originale messaggio: non fuga dal mondo, non una società alternativa, neanche confusione tra dato di fede
cristiano e altre religiosi; la prospettiva è quella di ricalcare le scelte principali di Gesù. Sottolineando un
interesse esortativo, parenetico, in rapporto a specifiche questioni e indicazioni comportamentali precise.
Andiamo qui a fare riferimento ai principali insegnamenti della Chiesa primitiva. Innanzi tutto l’uguaglianza
tra le persone umane, tutti gli uomini sono radicalmente uguali in dignità, perché Cristo è morto e risorto per
tutti, pensiamo allora alle differenze sociali. Quella fondamentale tra padrone e schiavo. Sul principio di
uguaglianza, le differenze sociali vengono fortemente relativizzate a fronte della straordinaria libertà offerta
dalla fede in Cristo, questo è il criterio di fondo. Sarà questo il dato che emergerà in merito al ‘biglietto’ che
Paolo scrive a Fidemone. Per esempio: Col 3, 11 – 1Cor 7 – 1Cor 12, o ancora pensiamo alla stessa
differenza familiare tra uomo e donna, esperienza coniugale letta alla luce del mistero grande dell’amore
esistente tra Cristo e Chiesa - Ef 5, 32. Altro riflesso di questa concezione di radicale uguaglianza in dignità
è il sacramento della sacralizzazione delle strutture sociali, e quindi del potere politico, diffuse nell’antichità.
Intanto la prima comunità cristiana vive una forte tensione escatologica. La nostra patria è nei cieli, dirà
Paolo in Ef 3, 20 – i cristiani sanno di non aver qua giù una città stabile, vivono come stranieri accanto agli
altri uomini nella ricerca della patria futura (Eb 13, 14).
Ritorniamo al discorso sul rapporto tra comunità cristiana e il potere, perché è la principale questione sociale
della Chiesa apostolica. Ritroviamo sviluppati quei due orientamenti di prima, il lealismo, l’obbedienza, e
dall’altra parte la distanza radicale, per non dire il rifiuto dell’autorità politica.
Il primo orientamento su cui ci soffermiamo è l’invito rivolto al credente di assumere un atteggiamento di
lealtà e obbedienza. Il lealismo. Classico brano sarà la lettera ai Rm 13, 1-7. Dati emergenti:
1° dato - Conferma dell’assetto socio-istituzionale esistente, motivato da ragioni di fede. Dice paolo: è
volontà generale del Creatore, le autorità vengono da Dio, questo è molto forte come affermazione. Resistere
alle autorità è resistere a Dio.
2° dato – la considerazione dell’autorità viene intesa da Polo come servizio di Dio, usa per due volte il
termine diacono nella traduzione, quindi servo dell’autorità, servizio di Dio. L’autorità dovrebbe essere a
servizio della pedagogia di Dio cioè a servizio del bene comune.
3° dato – un’obbedienza (a cui Paolo invita) richiesta per motivi di coscienza. È la coscienza formata che
aiuta ad individuare le caratteristiche di una lealtà nei confronti dell’autorità. Non quindi, per puro ossequi
esteriore o per puro formalismo.
Ma anche chi ha letto da questo brano un chiaro senso di lealtà, ci si chiede il perché di tale espressione di
Paolo (atteggiamento di lealtà verso l’autorità). C’è una caratteristica di fondo, Paolo ha il senso di una forte
relativizizzazione dell’autorità imperiale, perché il potere comunque è sottomesso a Dio, risponde ai sui
disegni, il che non legittima affatto nessuna sacralizzazione del potere politico, ma lo sottomette all’ordine
dato da Dio. Su questa subordinazione insisterà molto la letteratura protestante, in modo particolare Karl
Bart. Quindi, anche l’autorità politica, viene da Dio – ecco perché Paolo si esprime in questo senso.
L’autorità non ha un fine che prescinde dal quadro predisposto da Dio. Questo appello all’obbedienza in
Polo ha avuto diverse interpretazioni, ne evidenziamo alcune:
-le problematiche sorte nel periodo in cui Paolo scrive la lettera ai romani, 57 d.C.; Paolo avrebbe introdotto
una esortazione apologetica per impedire che la comunità cristiana venisse confusa con le frange
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rivoluzionarie. Quindi i cristiani sono leali alle autoirità, non sono da confondersi con movimenti
rivoluzionari diffusi a quel tempo nell’impero.
-possiamo in oltre confrontare questa obbedienza, di genere esortativo, con altri riferimenti di genere
esortativi, per es: Col 3, 20 (Tavole domestiche) quando dice: voi figli obbedite ai genitori in tutto ciò è
gradito al Signore. Secondo alcuni in questa obbedienza non c’è nient’altro se non un richiamo
all’obbedienza dei credenti nei vari ambiti (politico/famigliare).
Nel caso dell’autorità, possiamo dire che è voluta da Dio, rispettata in quanto tale, e finalizzata al bene del
vivere sociale, anche in questo senso notiamo l’atteggiamento di Paolo che è ottimista, nei confronti
dell’impero, nei confronti dell’autorità, con cui si relaziona. Da qui possiamo evidenziare un perché: perché
il potere statale non ostacola ancora il cristianesimo. Paolo non considera l’autorità, come la considera
invece il libro dell’Apocalisse, idolatrica, che si autoverifica, che vuole assorbire l’uomo, che va oltre la
moneta. Ecco che quando l’autorità fa questo, cambia l’atteggiamento nei suoi confronti.
Il richiamo che polo fa alla preghiera per le autorità, sottolinea questa obbedienza, l’appello rivolto a
Timoteo, 1Tm 2, 1-8.. qui Paolo da una motivazione di fede (come dirà i l compendio n°381: non solo
perché esse sono tenute a garantire una vita calma e tranquilla, da trascorrere con tutta pietà e dignità) dice il
testo: Dio vuole che tutti gli uomini giungano alla conoscenza della Verità (cioè Dio = Verità della Fede).
C’è un altro testo 1Pt 2, 13-17, con un richiamo all’obbedienza ma con una gradazione diversa, c’è un
ridimensionamento rispetto a ciò che diceva prima Paolo. All’autorità di obbedisce nel quadro della più
ampia obbedienza a Dio. Qui non si fa menzione del fatto che l’autorità deriva da Dio.
Altro dato che ci consente di far emergere la differenza tra questi 2 testi, è che, l’obbedienza dei cristiani, al
potere è un modo per testimoniare la fede verso chi non crede. Dice il testo: per chiudere la bocca agli stolti.
C’è anche una distinzione di atteggiamenti, si tributa onore al Re, ma si tratta dello stesso onore rivolto a
tutti gli uomini, che sono tutti sullo stesso piano. Dice il testo: ai fratelli va l’amore, ma il timore va solo a
Dio.
Abbiamo parlato dell’obbedienza alle autorità, dalla lettura di un altro testo lettera a Tito traiamo qualche
altra caratteristica, qui Paolo scrive ai cristiani di Creta. I Cristiani sono chiamati a vivere la loro fede,
emerge la lealtà civica verso le autorità, Tito 3, 1-2.8 si evidenziano 3 atteggiamenti da maturare verso
l’autorità, e sono di crescente rilievo. “ricorda loro di essere sottomessi ai magistrati alle autorità di obbedire,
di essere pronti per ogni opera buona”.
1° atteggiamento - sottomissione alle autorità. 2° - l’obbedienza alle istituzioni civili. 3° - (specifico) la
prontezza per ogni opera buona.
“di non parlare male di nessuno, di evitare le contese, di essere mansueti, mostrando ogni dolcezza verso
tutti gli uomini, questa è parola degna di fede, e perciò voglio che tu insista in queste cose, perché coloro che
credono in Dio si sforzino di essere i primi nelle opere buone, ciò è bello e utile per gli uomini”.
Come in un crescendo Paolo vuole esprimere quale deve essere l’atteggiamento proprio della comunità
cristiana, non basta essere sottomessi, non basta obbedire con una buona volontà, ma nella vita sociale
bisogna essere pronti in ogni opera buona. Il cristiano è invitato ad offrire una cordiale disponibilità verso
tutto ciò che aiuta a formare la società, a vivere in società in modo coeso e sociale, in senso intero. Cosa crea
coesione? Creare il bene, le opere buone, oltre lo stretto dovuto. Al contrario si apre ad una logica di
gratuità, altrimenti resta condizionata ai calcoli materiali.
Ora vediamo l’altro orientamento (critico), presente nei testi apostolici, verso la società civile e le autorità.
Ciò emerge dal NT, ove è diffusa la coscienza della radicalità della sequela (elemento dominante). Emerge
la separazione dei cristiani dal mondo, i sinottici invitano i credenti a guardarsi dagli uomini, sapendo di
essere come pecore in mezzo ai lupi. Mt 10, 16-17. Giovanni evidenzia la contrapposizione tra il mondo e
Gesù, Gv 17, 15-16. nell’epistolario paolino tale separazione è espressa così: l’esistenza secondo la carne,
l’esistenza secondo lo spirito, Rm 8, 4-12. Il NT, sempre nel rapporto con le autorità, offre esempi di
disobbedienza, vedi compendio n° 382: “quando il potere umano esce dai limiti dell’ordine voluto da Dio;
quando si autodivinizza e chiede l’assoluta sottomissione, diventa la bestia dell’apocalisse”. Ciò che non
emerge nel NT: mancano appelli alla disobbedienza quando potrebbero essere motivati da iniquità di tipo
sociale. Come per esempio il rapporto tra padroni e schiavi. Lì Paolo non esorta alla disobbedienza. Nel
mondo antico la schiavitù era generalmente accettata, si poteva discutere sui modi di attuarla. Pensiamo
quindi alla lettera a Fidemone, Paolo rimanda lo schiavo al padrone, senza comandargli di liberarlo. Viene
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relativizzata la distinzione padrone /schiavo, non sul piano sociale, ma sul piano della fede, perché alla luce
di Cristo entrambi sono eguali, Cor 7, 21-24. nella lettera a Fidemone Paolo esorta il padrone cristiano a far
scaturire dalla fede un rapporto radicalmente diverso. Esorta il padrone a cambiare l’atteggiamento verso lo
schiavo, il primo cambiamento è sempre interiore. Lo schiavo ‘Onesimo’ è rimandato perché il padrone lo
avesse per sempre. Non più come schiavo, ma molto più che schiavo, come un fratello carissimo. In primo
luogo a me, ma quanto più a te, sia come uomo, che come fratello nel Signore.
Ancora, in questa linea critica, verso l’autorità, 2 testi degli Atti, cap4, 19-20 e cap5, 26-29. Sono le parole
di Pietro e Giovanni davanti al Sinedrio, dalle loro parole emerge il primato della Signorei di Dio su ogni
realtà. 1° testo: “ma Pietro e Giovanni replicarono: ‘se sia giusto dinanzi a Dio obbedire a voi più che a Lui,
giudicatelo voi stessi, noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato’.”. 2° testo: “rispose
Pietro insieme agli apostoli: ‘bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini’.”. ecco il primato della
Signoria di Dio, su ogni realtà. Da questi testi, qualche interpretazione, nella storia, ha letto questa
interpretazione degli apostoli come una legittimazione dell’obbiezione di coscienza, e della disobbedienza.
Più che far emergere una presa di posizione specifica di opposizione in questo senso, emerge da queste
parole, se le leggiamo nel quadro globale, una libertà di giudizio e di azione degli apostoli. Libertà di
professare liberamente la propria azione. Quanto sarebbe antico il diritto alla libertà religiosa, se riletto in
certi contesti.
Arriviamo al testo principale, in cui emerge l’opposizione alle autorità, Ap 13, 11-18, di fronte all’autorità
politica che pretendeva onori divini, e governava in modo totalitario è impraticabile qualsiasi tipo di
compromesso. L’unica posizione coerente con la fede è la radicale posizione, nelle forme storicamente
possibili, e ammissibili. Nella versione apocalittica il giudizio di Dio si spinge fino all’annuncio della fine
catastrofica della città superba, Babilonia identificata con Roma, il potere imperiale. Non è solo la fine
dell’oppressore, è un’intera società destinata a finire, di tutto quel modello di società, che è garante
dell’intero sistema sociale pagano. Simbolo dell’idolatria, cioè della chiusura pregiudiziale a Dio Ap18, 2024. questo giudizio, della fine del modello di tale società, sarà incombente sul mondo fino alla fine dei
tempi. Fino a quando non ci sarà l’unica città (vedi Agostino) la Gerusalemme celeste fondata in Dio Ap 21,
22 … non vidi alcun tempio in essa, perché il Signore Iddio, l’onnipotente e l’agnello sono il suo Tempio.
Allora, in quel momento sarà superata ogni distanza tra Chiesa e mondo, si fondono: la società pagana, la
struttura politica, e la persona dell’imperatore. In un unico giudizio di condanna si trova il profondo
pessimismo (proprio dello stile apocalittico vedi AT) verso quel tipo di società. Lo stile apocalittico è
proprio della fine del I sec segnato da un clima persecutorio, ecco che emerge con il dato di fede, un dato di
speranza: alla fine dei tempi Dio interverrà a compiere il suo regno, già inaugurato con la vittoria pasquale di
Cristo. Sarà Lui a capovolgere la situazione esistente, è un messaggio di invito a rafforzare i passi vacillanti.
Da questo genere apocalittico, si offre una risposta di fede di fronte a situazioni pericolose, soprattutto per i
cristiani vacillanti, proprio per rafforzare la loro fede. Questo lo si fa evidenziando il giudizio finale contro il
regime pagano.
Ultimo ambito è Chiesa/Beni-materiali, che vedremo la prossima volta.
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