Storia della scienza (p) 2015-16
Prof. Luca Ciancio
LE TEORIE EVOLUZIONISTICHE DAL SETTECENTO A OGGI
DAL FISSISMO, AL TRASFORMISMO, ALL’EVOLUZIONISMO
Premessa 1: ‘biologia’ antica e medievale
1. Platone e Aristotele
2. Lucrezio
3. Il creazionismo biblico
4. Metamorfosi e variabilità: gli scherzi della natura.
Premessa 2: mutabilità e immutabilità delle specie nel Seicento
5. John Ray, la scala naturae e l’idea di adattamento perfetto
6. Robert Hooke e le rivoluzioni del globo
Il Settecento: il riconoscimento delle variabilità dei viventi
7. B. de Maillet, il libertinismo erudito, l’eternalismo
8. Preformismo, animalculismo, epigenesi
9. Buffon: la degenerazione delle specie
10. Maupertuis e Diderot
11. Linneo e l’economia di natura
12. Charles Bonnet e la Palingénésie
13. Le metamorfosi delle piante: Goethe
Trasformismo predarwiniano
14. Lamarck, Delametherie, Erasmus Darwin
15. Brocchi e la durata delle specie
16. Cuvier, Geoffroy Saint-Hilaire
Evoluzionismo darwiniano
17. Le origini dell’Origine: fringuelli, vulcani e taccuini
18. La critica alla teologia naturale
19. L’impianto dell’Origin
20. Evoluzione umana
L’evoluzionismo nel Novecento
21. La Nuova Sintesi
22. I teorici dell’Intelligent Design
23. Steven J. Gould
24. Evoluzionismo e sensibilità ambientale
Testo di studio: G. Barsanti, Una lunga pazienza cieca, Torino, Einaudi , 2005
Due testi on line: 1. zoologia degli antichi (p) 2. Fonti evoluzionistiche (p).
1. Benoît de Maillet (1656-1738): la terrestrizzazione delle forme acquatiche
2. Charles Bonnet (1720-1793): la palingenesi filosofica
3. Jean-Baptiste Robinet (1735-1820): dal prototipo all’uomo
4. Denis Diderot (1713-1784): la generazione spontanea
5. Linneo (1707-1778): origine di nuove specie per ibridazione
6. Georges-Louis Leclerc de Buffon (1707-1788): la degenerazione degli animali
7. Pierre-Louis Moreau de Maupertuis (1698-1759): l’epigenesi
8. Erasmus Darwin (1731-1802): i bisogni e le trasformazioni degli organismi
9. Jean-Baptiste Lamarck (1744-1829): il trasformismo
10. Étienne Geoffroy Saint-Hilaire (1772-1844): un nuovo metodo
11. Patrick Matthew (1790-1874): il proteiforme principio della vita
12. Robert Chambers (1802-1871): il principio dello sviluppo progressivo
13. Giambattista Brocchi (1772-1826): riflessioni sul perdimento delle specie
14. Alfred Russel Wallace (1823-1913): distribuzione geografica degli organismi e
successione delle specie
15. Charles Darwin (1809-1882): la prima formulazione della teoria
16. Charles Darwin (1809-1882): la lotta per l’esistenza
17. Charles Darwin (1809-1882): la selezione naturale
18. Charles Darwin (1809.1882): la divergenza dei caratteri
19. Charles Darwin (1809-1882): la selezione sessuale
20. Charles Darwin (1809-1882): le facoltà intellettuali e morali dell’uomo
21. Charles Darwin (1809-1882): gli istinti
22. Thomas Henry Huxley (1825-1895): il posto dell’uomo nella natura
23. Giovanni Canestrini (1835-1900): la teoria di Darwin in Italia
24. Giovanni Canestrini (1835-1900): l’origine dell’uomo
Benoît de Maillet (1656 – 1738): la terrestrizzazione delle forme acquatiche
Partendo dalla convinzione che i tempi della terra siano dell’ordine di parecchie migliaia di secoli e
dal riconoscimento della natura organica dei fossili, il letterato francese Benoît de Maillet giunse a
proporre nel suo Telliamed una suggestiva teoria dinamica della terrestrizzazione delle forme
acquatiche, in base alla quale ciascun organismo sarebbe derivato da un organismo acquatico
corrispondente di cui è tuttora possibile rinvenire gli esemplari nelle acque del mare. Nonostante i
limiti della teoria di de Maillet, essa contribuì ad aprire nuovi orizzonti di ricerca mediante la
dilatazione della scala temporale, l’affermazione del graduale cambiamento delle condizioni
ambientali, il pieno riconoscimento della natura organica dei fossili, l’apertura della possibilità
dell’adattamento ai mutamenti ambientali, l’uso di termini pregnanti e significativi come
‹‹derivarono›› o ‹‹sono discesi›› e la convinzione che nemmeno la specie umana fosse comparsa per
effetto di una creazione ma provenga da forme precedenti.
Voi credete che essi [gli animali e gli uomini] si siano formati sulla terra per
mano stessa della Divinità. Altri […] hanno sostenuto che fossero usciti dal mare.
Lucrezio ha condannato, come sapete, entrambe queste opinioni1 e io convengo
con lui che gli uomini non sono affatto discesi dal cielo. […] Infatti le erbe, le piante, le
radici, le granaglie, gli alberi, tutto quanto di questa specie produce e nutre la terra non è
esso uscito dal mare? Non è almeno naturale pensarlo, fondandosi sulla certezza che
tutte le terre abitabili sono originariamente uscite dalle acque? Aggiungete poi che nelle
isolette remote del continente, di origine recentissima […] e dove è manifesto che mai
nessun uomo mise piede, si trovano arbusti, erbe radici, talvolta persino animali, e voi
siete costretto a riconoscere che o questi prodotti devono la loro origine al mare o non si
può se non attribuirli ad una nuova creazione, ciò che è assurdo.
A prescindere da queste prove della mia opinione, l’esperienza ci fornisce
ancora testimonianze invincibili. So che avete risieduto a lungo a Marsiglia. Ora, mi
confermerete che ogni giorno i pescatori del luogo trovano nelle loro reti, fra i pesci che
prendono, piante di cento sorte con ancora i loro frutti, frutti invero non così grossi né
così ben cresciuti come quelli prodotti dalla terra, ma la cui specie non è, d’altra parte
equivoca. Vi si trovano tralci di vite con uva bianca e nera, pruni, peschi, meli, ed ogni
sorta di fiori. […]
Venendo ora a quel che concerne l’origine degli animali terrestri, noto che non
c’è camminatore, volatile o rettile di cui il mare non racchiuda specie somiglianti, o che
vi si accostino, e il cui passaggio da uno di questi elementi all’altro non sia possibile,
probabile ed anche corroborato da numerosissimi esempi. […] Noi sappiamo che gli
animali prodotti dal mare sono di due tipi: uno, volatile, si leva dal fondo fino alla
superficie delle acque in cui nuota e va in giro a caccia; l’altro striscia sul fondo e non
se ne distacca mai, o almeno ben di rado, e non ha disposizione al moto. Chi può
Lucrezio, De rerum natura, V, 793-94: ‹‹Ché infatti gli animali terrestri non possono essere caduti dal
cielo né essere usciti dalle salate conche marine››. Secondo Anassagora, la cui idea era poi stata ripresa
dagli Stoici, gli animali erano nati per la caduta di semi dal cielo sulla terra. Anassimandro aveva fatto
nascere i primi animali nell’elemento liquido.
1
dubitare che dal tipo volatile di questi pesci siano venuti i nostri uccelli, che si librano
nel cielo e da quelli che strisciano in fondo al mare i nostri animali terrestri, che non
hanno né disposizione al volo né l’arte di alzarsi sopra la terra?
Per convincersi che entrambi sono passati dallo stato marino a quello terrestre
basta esaminare la loro configurazione, le loro tendenze e inclinazioni reciproche e
confrontarle. Per cominciare con i volatili, fate attenzione, di grazia, non solo alla forma
di tutte le nostre specie di uccelli, ma anche alla diversità dei piumaggi e alle loro
tendenze: non ne troverete uno di cui non incontriate nel mare un pesce dalla stessa
conformazione, la cui pelle o le cui scaglie non siano unite, colorate o variate nello
stesso modo, le cui ali o pinne non siano disposte ugualmente, che non nuotino
nell’acqua come gli uccelli della stessa conformazione volano e nuotano nell’aria e che
non facciano il loro commino, in linea retta o in circolo, e le loro cacce, nel caso di
animali da preda, come nel mare fanno i pesci della stessa forma.
Notate poi che il passaggio dalla dimora nella acque a quella nell’aria è ben più
naturale di quanto non si sia comunemente convinti. L’aria che circonda la terra, almeno
fino ad una certa altezza, è mischiata a molte parti d’acqua. L’acqua è un’aria carica di
parti molto più rozze, umide e pesanti di quel fluido superiore al quale abbiamo dato il
nome di aria, benché entrambi non siano in realtà che una cosa sola. […] È dunque
facile concepire come animali abituati alla dimora nella acque abbiano potuto
conservarsi in vita respirando un’aria di tale qualità.[…]
Aggiungete a queste considerazioni, signore, che in certe regioni possono
incontrarsi condizioni favorevoli al passaggio di animali acquatici dalla dimora delle
acque a quella dell’aria; tale passaggio è in alcune circostanze perfino necessario, per
esempio a causa del mare che avrà abbandonato gli animali nei laghi, le cui acque
saranno diminuite a loro volta al punto che essi saranno stati costretti ad abituarsi a
vivere sulla terra, o a causa di qualche accidente che si può considerare veramente
straordinario. Può essere successo infatti, come sappiamo che di fatto succede spesso,
che pesci alati o volanti, cacciando o venendo cacciati nel mare, trasportati dal desiderio
di preda o dal timore della morte, oppure spinti a pochi passi dal fiume dalle ondate
sollevate dalla tempesta, siano capitati in canneti o praterie da cui non fu più possibile
riprendere verso il mare lo slancio che ne li aveva tratti, e che in tale condizione abbiano
contratto una maggiore capacità di volare. Allora le pinne, non più bagnate dalle acque
del mare, si spaccarono e si storsero per l’aridità. Mentre essi trovavano fra le canne e
le erbe in cui erano capitati qualche alimento per sostentarsi, i calami delle loro pinne,
separati fra loro, si prolungarono e si ricoprirono di peli o, per meglio esprimersi, le
membrane che prima li avevano tenuti aderenti gli uni agli altri subirono una
metamorfosi. […]
La trasformazione di un baco da seta o di un bruco in farfalla sarebbe mille volte
più difficile da credere di quella dei pesci in uccelli, se questa metamorfosi non si
compiesse ogni giorno sotto i nostri occhi. Non ci sono formiche che diventano alate in
capo ad un certo tempo? Che cosa ci sarebbe di più incredibile per noi di questi prodigi
naturali, se l’esperienza non ce li rendesse familiari? […]
DE MAILLET B., Telliamed ou Entretiens d’un Philosophe Indien aven un Missionnaire Français
sur la Diminution de la Mer, la Formation de la Terre, l’Origine de l’Homme, Amsterdam, chez
L’Honoré & Fils, Libraires, 1748, II, pp. 129-33, 135-44.
Charles Bonnet (1720-1793): la palingenesi filosofica
Charles Bonnet, naturalista ginevrino, fu tra i primi a visualizzare l’immagine della scala naturae,
una catena degli esseri naturali che permette di distribuire tutte le specie in una serie continua e
lineare sulla base delle loro affinità morfologiche. Questa idea, che affondava le proprie radici
nell’antichità classica ed era stata riproposta in epoca moderna da Leibniz, serve inoltre a Bonnet
per affermare che gli esseri viventi sono incamminati, tutti insieme e in modo solidale, verso uno
stadio organizzativo superiore: quella superiore perfezione contemplata dalla struttura stessa della
scala che periodicamente si sposta verso l’alto. Egli dunque supera la soluzione di Maillet, ovvero
l’idea di una metamorfosi una tantum che porterebbe le specie acquatiche a farsi terrestri o aeree,
per approdare all’ipotesi di una successione di metamorfosi, che conduce ciascuna forma vivente a
farsi sempre più complessa e dunque la scala ad innalzarsi progressivamente. Concepite in funzione
antiateistica, la teoria di Bonnet susciterà sospetti e reazioni negative da parte dei pensatori dell’età
della Restaurazione.
[Oltre al Diluvio], il nostro globo può aver subito molte altre rivoluzioni che non ci
sono state rivelate. […]
In virtù dei rapporti che collegano strettamente tutti i prodotti del nostro globo gli uni
agli altri e tutti al globo stesso, si ha ragione di pensare che il sistema organico, al quale tutti gli
altri sistemi particolari si riferiscono come al loro fine, è stato originariamente concepito
secondo questi rapporti.
Così, quel corpicciuolo organico che io suppongo sia la vera sede dell’anima delle
bestie, può essere stato preordinato sin dal principio in un dato rapporto con la nuova
rivoluzione che il nostro globo deve attraversare. […]
Questo corpicciuolo organico, mediante il quale l’anima degli animali è connessa al
corpo grossolano, racchiude già, come in un infinitamente piccolo, gli elementi di tutte le parti
che comporranno i nuovi corpi nei quali l’animale si mostrerà nel suo stato futuro.
Le cause che opereranno questa rivoluzione del nostro globo […] potranno operare nel
contempo lo sviluppo più o meno accelerato di tutti gli animali concentrati in questi punti
organici, che io potrei chiamare germi di restaurazione. […]
Del resto, da tutto ciò che sono venuto abbozzando, si capisce come non ci si debba
immaginare che gli animali avranno nel loro stato futuro la stessa forma, la stessa struttura, le
stesse parti, la stessa consistenza, la stessa grandezza, che vediamo nel loro stato attuale. Essi
saranno tanto diversi da come sono oggi quanto diverso dal presente sarà lo stato del nostro
globo. Se ci fosse concesso di contemplare fin d’ora questo stupefacente scenario di
metamorfosi, io sono proprio convinto che non potremmo riconoscere alcuna delle specie di
animali che oggi ci sono più familiari: sarebbero troppo camuffate ai nostri occhi. […]
La medesima progressione che scopriamo oggi fra i diversi ordini di esseri organizzati
si osserverà senza dubbio nello stato futuro del nostro globo, ma seguirà altre proporzioni,
determinate dal grado di perfettibilità di ciascuna specie. L’uomo, trasportato allora in un’altra
dimora più confacente all’eccellenza delle sue facoltà, lascerà alla scimmia o all’elefante quel
primo posto che occupa fra gli animali del nostro pianeta. In questa universale restaurazione
degli animali, si potranno trovare dei Newton e dei Leibniz fra le scimmie o gli elefanti e dei
Perrault o dei Vauban2 fra i castori.
Le specie inferiori, come le ostriche, i polipi, ecc., staranno alle specie più elevate di
questa nuova gerarchia come gli uccelli e i quadrupedi stanno all’uomo nella gerarchia attuale.
Forse poi vi sarà anche un progresso continuo e più o meno lento di tutte le specie verso
una superiore perfezione, di modo che tutti i gradi della scala saranno continuamente variabili in
un rapporto determinato e costante […].
La Volontà efficiente ha realizzato con un solo atto ciò che poteva essere realizzato.
Essa non crea più, ma conserva, e questa conservazione sarà, se si vuole, una creazione
continua.
Come i corpi organizzati hanno le loro fasi o rivoluzioni particolari, così i mondi hanno
le loro. […] La nostra terra ha dunque avuto essa pure le sue rivoluzioni. […] Mi riferisco a
quelle rivoluzioni generali di tutto un mondo, che ne cambiano completamente l’aspetto e gli
conferiscono un nuovo essere. Tale è stata la rivoluzione del nostro pianeta che Mosè ha
celebrato nei suoi annali. […]
Ma se la volontà divina ha creato con un solo atto l’universalità degli esseri, da dove
venivano quelle piante e quegli animali di cui Mosè ci descrive la produzione nel terzo e nel
quinto giorno del rinnovamento del nostro mondo?
Abuserei della libertà di congetturare se dicessi che le piante e gli animali che esistono
oggi provengono da una evoluzione3 naturale degli esseri organizzati che popolavano quel primo
mondo immediatamente uscito dalle mani del Creatore? […]
Nel quadro di questo principio così filosofico, secondo cui la creazione dell’universo è
l’effetto immediato di un atto unico della Volontà efficiente, bisogna che questa volontà abbia
posto fin dal principio in ogni mondo le scaturigini di tutti i generi di riparazioni resi in seguito
necessari dalle rivoluzioni che ogni mondo era destinato a subire.
Così io immagino che Dio abbia preformato originariamente le piante e gli animali in
un determinato rapporto con le rivoluzioni che dovevano sopravvenire nel nostro mondo, in
conformità col piano generale che la sua saggezza aveva concepito da tutta l’eternità. […]
L’universo è dunque, in un certo qual modo, un tutt’uno: è uno nel senso più filosofico.
Il grande Artefice l’ha dunque formato tutto in una volta. […] Nello stesso istante in cui fu
chiamata all’essere dal nulla, essa [la terra] racchiudeva nel suo seno i principi di tutti gli esseri
organizzati e animati che dovevano popolarla, abbellirla e modificarne più o meno la superficie.
Per principi degli esseri organizzati, intendo qui i germi o corpuscoli primitivi e
organici, che contengono in forma molto abbreviata tutte le parti della pianta o dell’animale
futuri. […] Chi potrebbe negare che la Potenza assoluta abbia potuto racchiudere nel primo
germe di ogni essere organizzato la successione dei germi corrispondenti alle diverse rivoluzioni
attraverso le quali il nostro pianeta era destinato a passare? Il microscopio e il bisturi non ci
mostrano le generazioni inscatolate le une nelle altre? Non ci mostrano il bocciolo amministrato
da lontano sotto la scorza, il piccolo futuro albero racchiuso in questo bocciolo; la farfalla nel
bruco, la gallina nell’uovo e questo nell’ovario? Noi siamo a conoscenza di un diverso numero
di metamorfosi, per le quali ogni individuo si riveste di forme così varie che sembrano costituire
altrettante specie diverse. Il nostro mondo pare proprio essere stato sotto la forma di verme o di
bruco: attualmente è sotto forma di crisalide: l’ultima rivoluzione gli farà indossare la veste di
farfalla.
2
Claude Perrault (1613-88), medico ed architetto; e Sébastien Le Prestre Vauban (1633-1707), ingegnere
militare ed economista.
3
Il termine deve essere inteso come ‹‹dispiegamento›› nel tempo a partire da germi preformati e non nella
sua accezione moderna.
BONNET C., La Palingénésie philosophique, ou idées sur l’état passé et sur l’état futur des êtres
organizes, Genéve, Lyon, J. M. Bryset, 1770, I, PP. 174-77, 179-80, 184, 203-05, 246-55, 25758.
Jean-Baptiste Robinet (1735-1820): dal prototipo all’uomo
Nonostante gli sia estranea l’idea che gli organismi viventi abbiano lontani progenitori comuni e
che da essi siano derivati modificandosi per cause naturali, il filosofo francese Jean-Baptiste
Robinet propone una concezione apparentemente evoluzionistica compiendo un’importante ed
inedita operazione: quella di dispiegare nel tempo la grande catena degli esseri. Egli è infatti
convinto che i viventi, pur essendo stati creati da Dio all’inizio dei tempi, siano comparsi in epoche
diverse, l’uno dopo l’altro. Il Creatore avrebbe stabilito che i germi creati non si sviluppassero tutti
insieme, ma avrebbe fissato la successione temporale in cui ciascuno di essi avrebbe poteva dovere
schiudersi, avendo cura che tale successione corrispondesse alla comparsa di forme viventi sempre
più complesse.
L’esistenza della natura è necessariamente successiva. La natura non esiste in totalità,
ma al minuto. Lo stato di permanenza non le si addice. I germi creati tutti insieme non si
sviluppano tutti insieme. La legge delle generazioni, o manifestazioni, comporta il susseguirsi di
questi sviluppi l’uno dopo l’altro. Si comprende anche come ciascuno sviluppo avvenga in
successione e in misura impercettibile, di modo che la natura presenta tutti i modi di essere
possibili. In questa continua vicissitudine non ci son due punti, nella sua esistenza,
precisamente simili in tutto o in parte. Benché sempre la stessa, essa è sempre diversa. […] Mai
la natura è stata e mai sarà esattamente come è nel momento in cui parlo, mai i minerali sono
stati o saranno come sono, mai le piante sono state o saranno come sono, ecc. Che dico? Non
dubito che vi sia stato un tempo in cui non c’erano ancora né animali né alcuno degli esseri che
chiamiamo animali, cioè un tempo in cui questi individui non esistevano ancora se non come
germi, senza che ve ne fosse uno solo schiuso. Forse al principio ci fu un solo germe sviluppato,
il quale assorbì tutti gli altri come materia necessaria al suo sviluppo. Forse, anzi, vi è sempre
un certo numero di sviluppi simultanei. Se non altro, sembra sicuro che la natura non è mai
stata, non è né sarà mai statica o in uno stato di permanenza: la sua forma è necessariamente
transitoria. Essa è sempre stata e sempre sarà, ma sempre in modo diverso. La natura è sempre
all’opera, sempre al lavoro, nel senso che in essa avvengono senza tregua sviluppi, generazioni.
[…]
Ci sono solo individui, e non specie. Così è inutile chiedersi se le specie abbiano un
inizio, s’accrescano, durino, deperiscano e trapassino come gl’individui. Tutta la materia non è
che germi. Un germe è fecondato, si schiude, cresce, si sviluppa e infine si dissolve in particelle
germinali che si schiudono a loro volta e si sviluppano nelle circostanze favorevoli al loro
sviluppo per dissolversi a loro volta in altri germi. È così per tutti i germi, cioè per tutti gli
esseri. Essi passano tutti e non uno somiglia precisamente agli altri. Ciò che si dice dunque delle
specie e della loro permanenza è una vana immaginazione, fondata su apparenze ingannevoli.
Essendo al differenza fra un essere e l’altro la stessa lungo tutta la scala naturale, non c’è ragion
sufficiente per fare una specie particolare di una successione parziale di alcuni individui ad
esclusione di altri; i due esseri contigui a questa pretesa specie, cioè quello che è congiunto al
principio di essa e quello che segue al termine di essa, hanno altrettanto diritto del secondo e del
penultimo di essere compresi nella specie. […] Considerando che, non essendovi ragion
sufficiente per escludere dalla supposta specie i due esseri che le sono contigui a un’estremità e
all’altra, bisogna includerveli e, considerando che, una volta inclusi questi due, si sarà costretti
dalla legge dell’induzione ad accogliervi anche quelli che sono a loro diretto contatto, si
comprenderà come questa legge ci porti necessariamente a comprendere in quella specie
l’insieme universale degli esseri: e non riconoscere che una sola specie è lo stesso che non
riconoscerne nessuna4. […]
Poiché il procedere della natura ha luogo per gradi spesso impercettibili e sempre per le
minime sfumature possibili, tutte le sue produzioni sono il più possibile vicine l’una all’altra,
quantunque la somma delle differenze accumulate lungo la scala universale degli esseri possa
far sorgere dubbi sul legame fra i più elevati e gl’inferiori. Ciascuno ha un’esistenza a parte e
nessuno è isolato o indipendente. Ciascuno ha rapporti più o meno stretti con tutti gli altri e gli
estremi sono pur sempre collegati. Essi procedono l’uno verso l’altro in modo così continuo e
necessario che ciascuno ha la ragion sufficiente della sua esistenza in quello che lo precede ed è
a sua volta ragion sufficiente dell’esistenza di quello che lo segue. […]
Quando contemplo l’innumerevole moltitudine di individui sparsi sulla superficie della
terra, nelle sue viscere e nella sua atmosfera, quando paragono la pietra alla pianta, la pianta
all’insetto, l’insetto al rettile, il rettile al quadrupede, scorgo, attraverso le differenze che
caratterizzano ciascuno di essi, rapporti di analogia che mi persuadono che questi esseri sono
stati tutti concepiti e formati secondo un disegno unico di cui essi sono variazioni graduate
all’infinito. Essi mi rivelano tutti i tratti impressionanti di questo modello, di questo esemplare
originario, di questo prototipo che, realizzandosi, ha rivestito successivamente le forme
infinitamente molteplici e differenziate nelle quali l’essere si manifesta ai nostri occhi. […]
Il prototipo è un modello che rappresenta l’essere ridotto ai minimi termini: è un
fondamento inesauribile di variazioni. La realizzazione di ogni variazione dà un essere e può
essere chiamata una metamorfosi del prototipo, o piuttosto di quel primo involucro che ne è
stato la prima realizzazione. Il prototipo è un principio intellettuale che si attua solo
realizzandosi nella materia. […]
Una pietra, una quercia, un cavallo, una scimmia, un uomo sono variazioni graduate del
prototipo, che ha cominciato a realizzarsi mediante i più semplici elementi possibili. Una pietra,
una quercia, un cavallo non sono affatto uomini, ma possono essere considerati come suoi tipi
più o meno grossolani in quanto si riferiscono ad un medesimo disegno primitivo e sono tutti il
prodotto di una medesima idea, più o meno sviluppata.
ROBINET J.-B., De la nature, IV, Amsterdam, chez E. van Harrevelt, 1766, 123-24, 126127.
4
È necessario tenere presente che in altri passi della stessa opera Robinet parla delle specie come entità
assolutamente costanti dando luogo a delle contraddizioni che non sono rare nei suoi scritti.
Denis Diderot (1713-1784): la generazione spontanea
Con Denis Diderot le concezioni trasformistiche, diretta conseguenza di un materialismo vitalistico
che lo porta a concepire la necessaria inerenza del moto alla materia, trovano la formulazione più
netta di tutto il Settecento. Egli è convinto che il mondo sia una rapida successione di esseri che si
seguono, si spingono l’un l’altro e scompaiono. Tuttavia, lo sfondo di questa ipotesi, la quale
ammette che gli individui si modifichino nel corso della vita, è ancora quello proposto da La
Mettrie5 della comparsa di singoli prodotti mostruosi, eccezionali, non per via riproduttiva ma per
generazione spontanea. Diderot ipotizza che ogni nuova specie che compare sulla superficie
terrestre abbia origine per generazione spontanea da punti sensibili e viventi che esistevano fin
dall’eternità e, al termine del proprio processo di sviluppo, scompaia senza lasciare traccia.
D’ALEMBERT: Non credete ai germi preesistenti6?
DIDEROT: No.
D’ALEMBERT: Ah! Come mi fa piacere!
DIDEROT: Ciò è contrario all’esperienza e alla ragione: contrario all’esperienza che
invano cercherebbe questi germi nell’uovo e nella maggior parte degli animali prima di una
certa età; contrario alla ragione, la quale ci insegna che la divisibilità della materia, sebbene non
abbia teoricamente alcun limite, ha un limite in natura; e che inoltre non può concepire un
elefante già formato in un atomo, e in questo stesso atomo un altro elefante già formato e così
via all’infinito.
D’ALEMBERT: Ma senza questi germi preesistenti non si riesce a concepire la prima
generazione degli animali.
DIDEROT: Se la questione della priorità dell’uovo sulla gallina o della gallina sull’uovo
vi mette in difficoltà, ciò dipende dal fatto che voi supponete che gli animali siano stati
originariamente quello che sono attualmente. Quale follia! Non si sa quel che sono stati più di
quanto non si sappia ciò che diventeranno. L’impercettibile vermicello che si agita nel fango si
avvia forse verso lo stato di grande animale; l’animale enorme che ci spaventa per la sua
grandezza s’avvia forse verso lo stato di vermiciattolo, ed è forse un prodotto particolare,
momentaneo, di questo pianeta. […]
Mi permetterebbe di prendermi alcune migliaia d’anni d’anticipo sul tempo?
D’ALEMBERT: Perché no? Il tempo non è nulla per la natura.
DIDEROT: Allora permettete che spenga il nostro sole?
D’ALEMBERT: Volentieri, tanto più che non sarà il primo a spegnersi.
DIDEROT: Spento il sole, che cosa accadrà? Le piante periranno, gli animali periranno
ed ecco la terra solitaria e muta. Riaccendente questo astro, e di colpo ristabilirete la causa
5
Julien Offroy de La Mettrie (1709-1751) diede un contributo essenziale al processo di laicizzazione
della natura attribuendo alla natura poteri e prerogative tradizionalmente conferiti alla divinità. Infatti egli
sostituì l’idea di creazione con quella della generazione spontanea di nuovi individui a partire dalla
materia elementare, la programmazione divina con il caso e l’interpretazione finalistica dei fenomeni
naturali con la dimensione casuale delle combinazioni.
6
Secondo la teoria della preesistenza dei germi tutti gli embrioni sarebbero stati incapsulati l’uno
nell’altro, progressivamente miniaturizzati, nel primo individuo di ciascuna specie comparso sulla
superficie della terra e quindi creato da Dio. Questa teoria si accompagnava a quella del preformismo, la
quale sosteneva che l’embrione fosse presente, già completamente formato anche se prodigiosamente più
piccolo, o nell’uovo femminile o nello spermatozoo maschile, e che il suo sviluppo fosse un semplice
accrescimento, un ingrandimento, detto evolutio.
necessaria di una infinità di nuove generazioni, fra le quali non oserei assicurarvi che, dopo
secoli e secoli, le nostre piante e i nostri animali d’oggi si producano o no.
D’ALEMBERT: E perché mai gli stessi elementi sparsi riunendosi non condurrebbero
agli stessi risultati?
DIDEROT: Tutto è collegato in natura e colui che suppone un nuovo fenomeno o
richiama un istante passato, ricrea con ciò stesso un nuovo mondo.
DIDEROT D., Entretiens entre D’Alembert et Diderot [1769], trad. It. In ROSSI P. (a cura
di), Opere filosofiche, Milano, Feltrinelli, 1967, pp.163-64.
Linneo (1707-1778): origine di nuove specie per ibridazione
Nonostante venga solitamente presentato come fermo sostenitore di un fissismo radicale
e creazionistico, Linneo, che diede fondamentali contributi al campo delle scienze
naturali introducendo un nuovo sistema tassonomico7 ed un’innovativa riforma della
nomenclatura8, professava in realtà un’interessante forma di evoluzione per ibridazione.
Grazie infatti al binomio generico-specifico, da lui stesso introdotto, le specie
apparivano raggruppate in famiglie caratterizzate dallo stesso ‘cognome’. Questo
sottolineava la presenza di numerosi rapporti di affinità morfologica e di stretti legami
di parentela genealogica tre le specie stesse. Il naturalista svedese fornì inoltre un
apporto sostanziale al processo di laicizzazione della natura classificando per la prima
volta, nel suo Systema naturae, l’uomo nel regno animale, avviando così il
trasferimento dell’antropologia dall’ambito delle lettere e della teologia a quello delle
scienze naturali.
Non si può dubitare che vi siano nuove specie [vegetali] prodotte per
ibridazione. Da ciò apprendiamo che l’ibrido è prodotto, quanto alla sostanza
midollare, alla parte interna della pianta e alla fruttificazione, come esatta
immagine della madre ma, quanto alle foglie ed alle altre parti esterne, come
immagine del padre. Queste considerazioni, quindi, gettano nuove fondamenta per
lo studio della natura e molti contributi possono ancora essere recati. Da ciò infatti
sembra conseguire che le molte specie di piante di uno stesso genere non poterono
essere, da principio, che una sola pianta e sorsero da questa attraverso generazione
ibrida. […]
Il botanico dovrebbe credere che nei vegetali le specie di un genere siano
solo tante piante diverse quanto furono le diverse associazioni con i fiori di
un’unica specie e che, quindi, un genere non sia altro che un certo numero di piante
derivate dalla stessa madre ed ad opera di padri diversi. Ma se tutte queste specie
siano figlie del tempo o se, al principio di tutte, il Creatore abbia limitato il numero
delle specie future, non presumo di determinarlo.
C. VON LINNE, Disquisitio de sexu plantarum, Vindobonae, 1760, pp. 127-28.
A Linneo si deve infatti l’ideazione di uno standard per i taxa: mentre fino ad allora la classificazione
era stata elaborata per coppie o terne sempre diverse, egli propose un sistema tassonomico articolato in
cinque unità sistematiche (classi, ordini, generi, specie, varietà), che rapidamente fu adottato dall’intera
comunità scientifica.
8
Linneo impose a tutti i vegetali ed a tutti gli animali una nomenclatura basata sul binomio genericospecifico, formato da due soli termini: il primo indicante la famiglia (genere) di appartenenza e il secondo
l’individuo (specie).
7
Georges-Louis Leclerc de Buffon (1707-1788): la degenerazione degli animali
Importanti progressi nella storia dell’evoluzionismo vengono realizzati dal grande naturalista
francese Georges-Louis Leclerc de Buffon, che, nell’Histoire naturelle, générale et particulière
(1749-89), fornisce fondamentali contributi al processo della laicizzazione della natura proponendo
una nuova stima dell’età della terra9, ridefinendo le modalità di modificazione della crosta
terrestre10 e reinterpretando la natura delle testimonianze fossili. Proprio partendo dall’idea che i
fossili siano resti di animali dei quali non esistono più i rappresentanti viventi e ponendo i fossili
stessi al centro della ricerca naturalistica, Buffon approda all’idea che le specie si siano lentamente
modificate. Nonostante le sue posizioni cambino nel tempo, anche in conseguenza alle reazioni
negative da parte delle autorità ecclesiastiche, chiara è la sua formulazione dell’ipotesi della
‹‹degenerazione›› biologica, secondo cui gli animali si sarebbero diversificati, da un certo numero
di specie originarie, per i cambiamenti del clima, delle risorse alimentari e degli spazi vitali. Per la
prima volta Buffon illustra la storia della vita sulla terra ricorrendo all’immagine dell’albero,
immagine che avrebbe caratterizzato in seguito tutto il pensiero evoluzionistico. Ed è sempre con
Buffon che il problema dell’evoluzione riceve la sua corretta interpretazione come problema della
‹‹discendenza con modificazioni››, come ‹‹questione delle specie››, ovvero vertente su entità
naturali organiche in grado di modificarsi e non sulla generica idea che la natura sia un sistema di
materia in perenne divenire.
Nello stesso paese si vedono differenze spiccate fra gli uomini che abitano i luoghi
elevati e quelli che vivono nelle zone basse: gli abitanti della montagna hanno sempre una
migliore complessione, sono più vivaci e più belli dei valligiani. A maggior ragione, in climi più
lontani dal clima primitivo, in climi in cui le erbe, la frutta, le granaglie e la carne degli animali
sono di qualità e anche di sostanza diversa, gli uomini che di esse si nutrono devono diventare
diversi. Queste caratterizzazioni non avvengono improvvisamente e nemmeno nel giro di alcuni
anni; ci vuol tempo perché l’uomo riceva il colorito del clima e ancora di più ce ne vuole perché
la terra gli trasmetta le sue qualità; ci sono voluti secoli uniti ad un uso costante degli stessi
alimenti perché si producessero effetti nella conformazione dei tratti caratteristici, nella
grandezza del corpo, nella sostanza dei capelli e avessero luogo quelle alterazioni interne che,
perpetuatesi poi attraverso la generazione, sono divenute caratteri generali e costanti dai quali si
riconoscono le razze e anche le diverse nazioni che costituiscono il genere umano.
Negli animali, questi effetti sono più immediati e più consistenti, poiché essi dipendono
dalla terra più strettamente che non l’uomo, poiché il loro cibo è più uniforme, più
costantemente lo stesso e, non essendo affatto preparato, la sua qualità è più spiccata e il suo
effetto più forte; poiché, d’altra parte, gli animali non possono né vestirsi né ripararsi né far uso
dell’elemento fuoco per scaldarsi e quindi rimangono nudi ed esposti e in piena balia dell’azione
dell’aria e di tutte le intemperie. Per questo motivo ciascuno di essi ha, secondo la natura, scelto
la propria zona e la propria regione; per questo stesso motivo essi vi sono trattenuti e, anziché
Nelle Époques de la nature (1778) Buffon parla di 75.000 anni, ma privatamente egli pensava ad un’età
di circa 3 milioni di anni.
10
Buffon respinge qualsiasi forma di catastrofismo e fornisce un contributo essenziale alla fondazione
della geologia moderna con il principio delle cause attuali, secondo cui la terra ha subito dal momento
della sua formazione solo cambiamenti provocati dai fattori naturali tuttora operanti. Inoltre egli integra le
cause attuali con il principio originale dell’uniformità, secondo cui questi fattori hanno sempre agito con
la stessa intensità ridotta dei nostri giorni ed hanno quindi prodotto cambiamenti lenti ed impercettibili.
9
espandersi e disperdersi come l’uomo, restano per la maggior parte concentrati nei luoghi che
più si confanno loro. E quando sono stati costretti, da rivoluzioni sulla terra o dalla forza
dell’uomo, ad abbandonare il luogo d’origine, quando sono stati scacciati o relegati in climi
lontani, la loro natura ha subito alterazioni così grandi e profonde da non essere più
riconoscibile a prima vista e da richiedere, per essere valutata, il ricorso all’indagine più attenta,
e anche agli esperimenti e all’analogia. Se a queste cause naturali di alterazione degli animali in
libertà si aggiunge quella rappresentata dal dominio dell’uomo sugli esseri che egli ha ridotto in
servitù, si rimarrà sorpresi nel vedere fino a qual punto la tirannia possa deteriorare, sfigurare la
natura. Su tutti gli animali si troveranno le stimmate della cattività e il segno dei ceppi, si vedrà
che queste piaghe sono tanto più grandi, tanto più incurabili quanto più sono vecchie e che,
nello stato in cui noi li abbiamo ridotti, forse non sarebbe più possibile riabilitarli né ridar loro
la forma primitiva e gli altri attributi della natura che abbiamo sottratti loro.
La temperatura del clima, la qualità del cibo e i mali della schiavitù: ecco le tre cause
del cambiamento, dell’alterazione e della degenerazione degli animali. […]
Poiché il clima e il cibo hanno scarso effetto sugli animali in libertà e ancora meno ne
ha il dominio dell’uomo, le loro principali varietà derivano da un’altra causa: esse sono in
relazione alla combinazione del numero degli individui, tanto di quelli che generano quanto di
quelli che vengono generati. In specie come quella del capriolo, in cui il maschio si attacca alla
femmina e non la cambia, i piccoli dimostrano, con la loro completa somiglianza reciproca, la
costante fedeltà dei genitori; nelle specie, invece, in cui le femmine cambiano il maschio spesso,
come in quella del cervo, si trovano varietà alquanto numerose; e siccome in tutta la natura non
c’è un solo individuo che sia completamente simile ad un altro, si trovano tante più varietà negli
animali quanto più grande e frequente è il numero della prole. Nelle specie in cui la femmina
genera cinque o sei piccoli tre o quattro volte all’anno, da maschi diversi, è necessario che il
numero delle varietà sia molto più grande che non nelle specie in cui il prodotto della
generazione è annuale e unico; così le specie inferiori, gli animali piccoli, che generano più
spesso e più copiosamente delle specie maggiori, sono soggette a un maggior numero di varietà.
[…]
Ma dopo una panoramica sulle varietà che ci indicano le particolari alterazioni di
ciascuna specie, si presenta una considerazione più importante e di ben più vasta portata. Si
tratta del cambiamento delle specie stesse, di quella degenerazione più antica e risalente a tempi
immemorabili che sembra aver avuto luogo in ogni famiglia o, se si vuole, in ognuno dei generi
nei quali si possono comprendere le specie affini e poco diverse fra loro. Fra tutti gli animali
abbiamo solo qualche specie isolata che, come l’uomo, sia al tempo stesso specie e genere:
l’elefante, il rinoceronte, l’ippopotamo e la giraffa formano generi o specie semplici, che si
diffondono solo in linea retta, senza rami collaterali; tutte le altre sembrano formare famiglie in
cui si nota, di norma, un ceppo principale e comune dal quale sembrano essere derivate linee
diverse e tanto più numerose quanto più gl’individui, in ciascuna specie, sono piccoli e fecondi.
Da questo punto di vista, il cavallo, la zebra e l’asino sono tutti e tre della stessa
famiglia; se il cavallo è il ceppo o tronco principale, la zebra e l’asino saranno rami collaterali.
[…]
Confrontando così tutti gli animali e riconducendoli tutti al loro genere, vedremo che le
duecento specie [di quadrupedi] di cui abbiamo fatto la storia possono ridursi a un numero
abbastanza ristretto di famiglie o ceppi principali, dai quali non è impossibile che tutte le altre
specie siano derivate.
G.-L. LECLERC DE BUFFON, Histoire naturelle, 1766, XIV: De la degeneration des animaux in
Ouvres philosophiques, Texte établi et présenté par J. Piveteau, Paris, Presses Universitaires del
France, 1954, pp. 395-96, 399, 401, 408, 413.
Pierre-Louis Moreau de Maupertuis (1698-1759): l’epigenesi
Nel 1745 Maupertuis pubblica, anonima, la Vénus physique, opera con la quale rilancia la teoria
dell’epigenesi, ispirata da Aristotele e successivamente ripresa da autorevoli filosofi e scienziati. In
base a tale teoria l’embrione da cui hanno origine gli organismi si forma nella miscela e per il
concorso dei liquidi seminali indifferenziati dei due genitori e si sviluppa per differenziazione ed
apposizione di parti. Questa teoria, che fonda il nuovo pensiero biologico, presentava numerosi
vantaggi permettendo di spiegare la somiglianza del figlio tanto al padre quanto alla madre, di
comprendere i fenomeni e i risultati dell’ibridazione, di spiegare l’ereditarietà delle prestazioni
intellettuali e di superare il problema posto dalla nascita dei mostri 11. Maupertuis va però oltre,
teorizzando l’ereditarietà dei caratteri acquisiti, un’idea che gli permise di ipotizzare per la prima
volta che tutte le forme attualmente viventi siano le modificazioni di una sola forma primordiale.
Nel Système de la nature (1751) egli presenta infatti la prima ipotesi monofiletica.
Non al bianco e al nero si riducono le varietà del genere umano; se ne trovano mille
altre: quelle che maggiormente colpiscono la nostra vista non costano alla natura più di quelle
che notiamo appena. […]
La natura contiene le basi di tutte queste varietà, ma sono il caso e l’arte che le mettono
in azione. Così avviene che quelli la cui ingegnosità si applica a soddisfare il gusto dei curiosi
sono, per così dire, creatori di specie nuove. Noi vediamo comparire razze di cani, di colombi,
di canarini che prima non esistevano in natura. Dapprima non erano altro che individui fortuiti:
l’arte e le generazioni reiterate ne hanno fatto delle specie. Il famoso Lyonnet 12 crea ogni anno
qualche specie nuova e distrugge quelle che non sono più di moda: corregge le forme e varia i
colori e ha inventato le specie dell’arlecchino, del carlino ecc. […]
Se non vediamo formarsi fra noi queste nuove specie di bellezze, vediamo anche troppo
spesso produzioni che per il medico appartengono tutte alla stessa categoria: guerci, zoppi,
gottosi, tisici, razze che per consolidarsi purtroppo non hanno bisogno di un lungo seguito di
generazioni. Ma la saggia natura, mediante il disgusto che ha ispirato verso questi difetti, non ha
voluto che essi si perpetuassero: ogni padre, ogni madre fa del suo meglio per estinguerli ed è
più sicuro che siano ereditate le bellezze; la corporatura e la gamba che noi ammiriamo sono
opera di parecchie generazioni in cui ci si è dati sollecitudine di formarle.
Un re del Nord13 è giunto ad aumentare l’altezza e la bellezza del suo popolo. Egli
aveva un gusto smodato per gli uomini di alta corporatura e di bella figura: li faceva venire nel
suo regno da tutte le parti e la sorte rendeva felici tutti coloro che la natura avesse formato alti.
Ecco dunque oggi un esempio singolare della potenza dei re: questa nazione si distingue dalle
altre per le corporature più vantaggiose e le figure più regolari. Allo stesso modo si vede una
11
La teoria epigenetica si presentava come alternativa a quella del preformismo, la quale sosteneva che
l’embrione fosse presente, già completamente formato anche se prodigiosamente più piccolo, o nell’uovo
femminile o nello spermatozoo maschile, e che il suo sviluppo fosse consistesse in un semplice
accrescimento detto evolutio. Questa teoria si accompagnava a quella della preesistenza dei germi,
secondo la quale tutti gli embrioni sarebbero stati incapsulati l’uno nell’altro, progressivamente
miniaturizzati, nel primo individuo di ciascuna specie comparso sulla superficie della terra e quindi creato
da Dio. Una delle maggiori difficoltà di queste teorie fu appunto quella riguardante la nascita dei mostri,
la cui creazione da parte di Dio non era spiegabile.
12
Pierre Lyonnet (1707-89), funzionario e naturalista olandese di origine francese.
13
Federico Guglielmo di Prussia.
foresta elevarsi al di sopra di tutte le boscaglie che la circondano se l’occhi attento del padrone
si applica a coltivare alberi diritti e ben scelti. […]
Ora, per spiegare tutti questi fenomeni, la produzione delle varietà accidentali, la
successione di queste varietà da una generazione all’altra e infine il consolidamento e la
distruzione delle specie, ecco ciò che mi pare si dovrebbe supporre. […]
1. Che il liquido seminale di ogni specie animale contiene una innumerevole moltitudine di
parti idonee a formare con la loro unione animali della stessa specie;
2. Che nel liquido seminale di ogni individuo le parti idonee a formare sembianze simile a
quelle di questo individuo sono quelle che, di norma, sono in maggior numero e hanno
maggiore affinità, benché ve ne siano altre caratteri diversi;
3. Quanto alla materia di cui saranno costituite, nel seme di ciascun animale, parti simili a
questo animale, sarebbe una congettura ben ardita, ma forse non completamente priva di
verosimiglianza, pensare che ogni parte fornisca germi propri. L’esperienza potrebbe
chiarire ciò se si provasse, per lungo tempo, a mutilare alcuni animali di generazione in
generazione: forse si vedrebbero parti amputate decrescere a poco a poco; forse, infine, le
si vedrebbe ridursi a zero. […]
Le parti analoghe a quelle del padre e della madre, essendo le più numerose e quelle con
maggiore affinità, saranno quelle che si uniranno più normalmente: esse costituiranno di norma
animali simili a quelli da cui sono uscite.
Il caso, o la penuria di caratteri familiari, daranno luogo ad altre combinazioni: allora si
vedrà un bimbo bianco nascere da genitori negri, o forse un negro da genitori bianchi, benché
quest’ultimo fenomeno sia più raro dell’altro.
Qui mi riferisco solo a quelle nascite singolari in cui figlio nato da un padre e da una
madre della stessa specie abbia caratteristiche non dovute né all’uno né all’altra: quando, infatti,
vi è una mescolanza di specie, l’esperienza c’insegna che il bambino prende da entrambi i
genitori.
Queste unioni straordinarie di parti che non sono parti analoghe a quelle dei genitori,
sono veri e propri mostri per il temerario che voglia spiegare le meraviglie della natura, ma non
sono altro che bellezze per il saggio che si contenti di ammirarne lo spettacolo.
Queste produzioni, da principio, sono meramente accidentali: le parti originarie degli
antenati sono ancora le più abbondanti nei semi; dopo qualche generazione, o fin alla
generazione successiva, la specie originaria riprenderà il sopravvento e il bimbo, anziché
somigliare al padre e alla madre, somiglierà ad antenati più lontani. Per volger in specie le
razze che si perpetuano bisogna verosimilmente che tali generazioni siano ripetute più volte;
bisogna che le parti idonee a produrre i tratti originari, meno numerose ad ogni generazione, si
dileguino o restino in così esiguo numero che, perché si riproduca la specie originaria, sia
necessario un nuovo caso fortuito.
Del resto, benché io supponga qui che le basi di tutte queste varietà si trovino nei liquidi
seminali stessi, non escludo l’influenza che possono avere il clima e il cibo. […]
P.-L. MOUREAU DE MAUPERTUIS, Vénus Physique, contenant deux dissertations, l’une
sur l’origine des homes et des animaux, et l’autre sur l’origine des noirs [1745], in
Oeuvres, nouvelle edition corrigée et augmentée, Lyon, chez Jean Marie Bruyset, 1768,
II, pp. 111-13, 119-24.
Erasmus Darwin (1731 – 1802): i bisogni e le trasformazioni degli organismi
Noto medico inglese e nonno di Charles, Erasmus Darwin ipotizza nella Zoonomia (1794-96) che
tutte le specie animali abbiano avuto origine da un unico ‹‹filamento vivente››, che una ‹‹Gran
Prima Causa›› avrebbe originariamente dotato di animalità. Egli trae le proprie convinzioni
evoluzionistiche dalle sorprendenti analogie esistenti fra gli organismi viventi, dall’ipotesi che la
terra sia vecchia di milioni di secoli, dall’analisi degli effetti provocati dalla domesticazione di certe
specie, dalla credenza che le modificazioni acquisite divengano ereditarie. In realtà, però, i suoi
contributi all’elaborazione della prima teoria evoluzionistica sono sostanzialmente irrilevanti, non
solo perché nel progetto dell’opera le questioni evoluzionistiche rientrano solo marginalmente, ma
anche perché egli fa riferimento solamente a fenomeni di sviluppo individuale e considera ereditarie
le mutazioni accidentali. Vi è poi il fatto che, invece di concentrarsi su ciò che potrebbe aver
innescato e prodotto l’evoluzione, egli si sofferma su ciò che potrebbe averla indotta. Egli infatti
ipotizza che a generare discendenti modificati possa essere l’immaginazione durante
l’accoppiamento ed è persuaso che a far variare gli organismi adulti siano desideri e piaceri
individuali, relativi alla sessualità, all’alimentazione e alla sicurezza.
Dal primo loro embrione o rudimento14 sino al termine della vita, tutti gli animali vanno
subendo perpetue trasformazioni15, le quali sono in parte prodotte dai loro proprii esercizii, in
conseguenza dei loro desiderii e delle loro avversioni, piaceri e dolori, irritazioni e associazioni;
e molte di tali forme o inclinazioni così acquistate, sono trasmesse alla loro progenie.
D’aria e d’acqua essendo gli animali forniti a dovizia, i tre grandi oggetti di desiderio
che hanno potuto cambiar le forme di molti di loro per via degli esercizii fatti appunto onde
ottenerli, sono quelli della concupiscenza, della fame, e della propria sicurezza. Un gran bisogno
d’una parte del mondo animale ha dovuto consistere nel desiderio dell’esclusivo possesso delle
femmine; e a tal effetto, per combattere cioè l’uno contro l’altro, sifatti animali acquistarono
armi, come per esempio la cute densissima, acuti forme, cornea, della spalla dell’orso, è soltanto
una difesa contro gli animali della di lui propria specie, che menano colpi obliquamente all’insù,
e certi di lui denti non hanno neppur essi altr’uso, tranne quello di servirgli di difesa, perch’egli
non è naturalmente animale carnivoro. Così le corna del cervo sono avute per offendere
l’avversario, ma sono ramose appunto per parare e ricevere i rami delle corna di cervo simile a
lui; e sono perciò state formate all’uopo di combattere contro altri cervi per l’esclusivo possesso
delle femmine; e queste poi, come soleano le dame dell’antica cavalleria, stanno attendendo per
darsi premio al vincitore. […]
Un altro gran bisogno consiste nei mezzi di procurarsi alimento; e questo bisogno ha
diversificate le forme di tutte le specie degli animali. Per esso il naso del porco s’indurì onde
poter volgere sossopra il terreno in cerca di insetti e di radici. La tromba dell’elefante è un
allungamento del naso ad oggetto di poter tirar giù i rami degli alberi di cui si ciba, ed assorbir
l’acqua che beve, senz’aver d’uopo di piegar le ginocchia. Gli animali da preda hanno acquistati
forti artigli, e valenti mascelle. I bovi e le pecore una lingua ed un palato aspri per cacciar giù
Erasmus è epigenista e suppone che l’animale si formi da un filamento (lo spermatozoo) prodotto per
secrezione dal sangue del padre e dotato di irritabilità. Esso si sviluppa per assorbimento di particelle
nutritizie dal fluido in cui viene a trovarsi.
15
Oltre a quelle esaminate nel testo, Erasmus ammette, come cause di trasformazione,
l’addomesticamento, l’uso e il disuso degli organi, l’azione diretta del clima, l’ibridazione, le mostruosità,
le alterazioni embrionali, le variazioni accidentali e gli effetti dell’immaginazione.
14
gli steli dell’erbe. […] Tutte le quali parti sembrano essere state gradatamente prodotte pel
lungo tratto di molte e molte generazioni dai perpetui sforzi degli animali stessi per provvedere
al bisogno d’alimento, e tramandate alla rispettiva progenie con quel costante perfezionamento
che andarono acquistando nel servire a quegli usi determinati.
Il terzo gran bisogno degli animali si è quello della sicurezza; e questo pure sembra aver
molto contribuito a diversificare le forme ed il colore dei loro corpi, ed è quello che produce i
mezzi di evitare la persecuzione degli animali più forti. Quindi alcuni animali, come gli augelli
più piccoli, acquistarono ali invece di gambe, onde poter viemmeglio fuggire; altri si formarono
gran lunghezza di piume o di membrane, come il pesce volante, ed il pipistrello; altri gran
velocità di gambe, come la lepre; ed altri dure scorze ed armate, come la tartaruga e l’echinus
marinus. […]
Meditando così la gran somiglianza di struttura degli animali a sangue caldo, e al tempo
stesso i grandi cambiamenti che subiscono e prima e dopo della nascita; e mettendo a calcolo in
quanto scarsa porzione di tempo siano eseguiti molti di cosiffatti cambiamenti loro, sarebb’egli
troppo ardito l’immaginare, che, nella serie lunghissima de’ tempi, dappoiché la terra
incominciò ad esistere, forse milioni di secoli prima del principio della storia del genere umano,
tutti quanti gli animali a sangue caldo avessero origine da un solo filamento vivente, che la
Gran Prima Causa dotò di animalità, e di capacità d’acquistar nuove parti, accompagnate da
nuove propensioni, o appetiti, diretti da irritazioni, sensazioni, associazioni, volizioni; ed in tal
modo aventi la facoltà di continuare a perfezionarsi per attività loro propria ed inerente, e
tramandare il loro perfezionamento di generazione in generazione alla posterità senza fine?
DARWIN ERASMUS, Zoonomia, or the Laws of Organic Life [1794-1796], trad. It. RASORI G.,
Zoonomia, ovvero le leggi della vita organica, Milano, Pirotta & Maspero, 1803-1805, III, pp.
228-31.
Jean-Baptiste Lamarck (1744-1829): il trasformismo
Partendo da convinzioni ereditate dalla tradizione circa la variabilità dei viventi, Lamarck giunse ad
elaborare la prima teoria scientifica dell’evoluzione passibile di controllo empirico. Il ‹‹trasformismo››
lamarckiano sosteneva che, prodottisi gli organismi più semplici per generazione spontanea, essi siano stati
poi sottoposti a lenti e graduali ma continui mutamenti del proprio luogo d’origine e, diffondendosi, alle
diverse condizioni di vita caratteristiche delle varie regioni del globo. L’ambiente avrebbe dunque agito
potentemente sugli organismi, modificandone la fisiologia e successivamente l’anatomia. L’evoluzione
lamarckiana, fenomeno collettivo che coinvolge allo stesso modo tutti gli individui di qualsiasi popolazione,
consiste dunque, come emerge dal seguente passo tratto dalla Philosophie zoologique (1809), in un
adattamento funzionale imposto dalle circostanze.
A questo punto è necessario che mi spieghi sul senso che do a questa espressione: Le
circostanze influiscono sulla forma e sull'organizzazione degli animali, cioè esse, nella misura
in cui cambiano, modificano proporzionalmente col tempo sia la forma che l'organizzazione
strutturale stessa.
È certo che se si prendesse quell'espressione alla lettera mi si attribuirebbe un errore;
poiché, di qualsiasi genere possano essere le circostanze, esse non operano mai direttamente,
sulla forma e l'organizzazione degli animali, alcuna qualsiasi modificazione.
Ma grandi cambiamenti nelle circostanze portano gli animali a grandi cambiamenti dei
propri bisogni, e simili cambiamenti nei bisogni ne portano necessariamente di corrispondenti
nelle azioni. Ora, se i nuovi bisogni diventano costanti o almeno molto durevoli, gli animali
prendono allora nuove abitudini, che sono tanto durevoli quanto ti bisogni che le hanno fatte
nascere. […]
Ebbene, da nuove circostanze che, divenute permanenti per una razza di animali,
abbiano loro imposto nuove abitudini, che cioè li abbiano forzati all'abitudine di nuove azioni,
risulterà l'uso prevalente di un organo piuttosto che di un altro, e in certi casi l'inizio della
forzata inattività totale dell'organo che fosse divenuto ormai inutile. […]
Ciò che la natura fa in molto tempo, noi lo facciamo quotidianamente variando
improvvisamente le circostanze nelle quali un vegetale (e con lui tutti gli individui della sua
specie) si trovava prima del nostro intervento. […]
Il frumento coltivato (triticum sativum) non è forse un vegetale condotto dall'uomo allo
stato in cui lo osserviamo oggi? Mi si dica in quale paese una pianta simile vive naturalmente,
cioè senza essere la conseguenza di una sua coltivazione nelle vicinanze.
Dove troviamo in natura i nostri cavoli, le nostre lattughe, ecc., con le modalità di
struttura che essi hanno nei nostri orti? E non accade forse la stessa cosa anche per molti animali
che l'addomesticamento ha cambiato o modificato considerevolmente?
Quante razze diversissime di polli e di piccioni domestici ci siamo procurati, allevandoli
in circostanze del tutto nuove per loro, e in paesi diversi dagli originari, razze che invano ci
sforzeremmo oggi di ritrovare tali e quali in natura? […]
Per giungere a individuare le vere cause di tante forme diverse e di tante differenti
abitudini di cui gli animali che conosciamo ci offrono gli esempi, bisogna ammettere che le
circostanze in cui gli animali di ogni razza si sono successivamente imbattuti, diversificate
all'infinito ma tutte in lento mutamento, hanno determinato per ciascuno di essi nuovi bisogni e,
necessariamente, cambiamenti di abitudini. Una volta che si sia riconosciuta questa verità
incontestabile, sarà facile vedere come nuovi bisogni abbian potuto essere soddisfatti e nuove
abitudini acquisite, se si presta un po' di attenzione alle due seguenti leggi della natura, che
l'osservazione ha sempre constatato.
Prima Legge. In ogni animale che non abbia raggiunto il termine del proprio sviluppo,
l'impiego più frequente e sostenuto di un qualsiasi suo organo rafforza a poco a poco
quell'organo, lo sviluppa, lo ingrandisce e gli conferisce un potere proporzionale alla durata del
suo uso: mentre la mancanza costante di uso lo indebolisce insensibilmente, lo deteriora,
diminuisce progressivamente le sue facoltà e finisce per farlo scomparire.
Seconda Legge. Tutto ciò che la natura ha fatto acquisire o perdere agli individui
attraverso l'influenza delle circostanze cui la propria razza si trova da lungo tempo esposta, e di
conseguenza per effetto dell'uso predominante di quel tal organo, o per la mancanza costante di
impiego di quel tal altro, essa lo conserva attraverso la riproduzione dei nuovi nati, purché i
cambiamenti acquisiti siano comuni ai due sessi, o almeno a coloro che hanno generato i nuovi
individui. […]
Poiché i serpenti hanno preso l'abitudine di strisciare sul terreno e di nascondersi sotto
l'erba, a seguito di reiterati sforzi per allungarsi in modo di superare stretti passaggi, il loro
corpo ha acquisito una considerevole lunghezza, per niente proporzionata alla sua sezione. Delle
zampe sarebbero state del tutto inutili a quegli animali, e di conseguenza sarebbero rimaste
senza impiego: poiché zampe lunghe avrebbero nuociuto al loro bisogno di strisciare, e zampe
più corte sarebbero state incapaci di muoverne il corpo, non potendo essere che in numero di
quattro. Così, la mancanza di uso di quelle parti, rimasta costante nelle varie razze dei rettili, le
ha fatte scomparire del tutto, sebbene esse rientrassero realmente nel corrispondente piano
organizzativo. […]
Ma non basta spiegare la causa che ha portato al presente livello di organizzazione gli
organi dei diversi animali, livello che scopriamo sempre lo stesso in quelli della medesima
specie; dobbiamo anche far vedere i cambiamenti di stato operatisi negli organi di uno stesso
individuo durante la sua vita, cambiamenti che sono maturati solo per un corrispondente grosso
cambiamento delle abitudini particolari degli individui della sua specie. […]
È noto che i grandi bevitori, gli alcolizzati cronici, consumano pochissimi alimenti
solidi; essi non mangiano quasi affatto e bastano, a nutrirli, le abbondanti e frequenti libagioni.
Ebbene, siccome gli alimenti liquidi, e soprattutto le bevande alcoliche, non restano per molto
tempo né nello stomaco né negli intestini, lo stomaco e il resto del canale intestinale perdono,
nei bevitori e nelle persone sedentarie continuamente applicate a lavori mentali, e abituatesi a
ingerire solo pochi alimenti, l'abitudine a esser dilatati. Poco a poco e a lungo andare il loro
stomaco si è fatto più stretto e i loro intestini si sono accorciati. […]
Ora, ogni cambiamento acquisito in un organo, attraverso l'uso abitudinario sufficiente
per averlo operato, si conserva poi con la generazione, sempre che sia comune agli individui
che, mediante la fecondazione sessuale, concorrono insieme alla riproduzione della loro specie.
Infine, quel cambiamento si diffonde e passa così in tutti gli individui che si succedono e che
sono sottoposti alle stesse circostanze, senza che siano stati obbligati ad acquisirlo proprio per la
via che l'ha creato. […]
J.-B.-P.-A. MONET DE LAMARCK, Philosophie zoologique [1809], trad. It. BARSANTI G.,
Filosofia zoologica. Prima parte, Firenze, La Nuova Italia, 1976, pp.147-50, 154-55,
158, 160-63, 165-67, 169-70, 172-74.
Étienne Geoffroy Saint-Hilaire (1772-1844): un nuovo metodo
Protagonista della celebre quérelle con Georges Cuvier16 che si svolse all’Accademia delle Scienze
di Parigi nel corso del 1830, lo zoologo francese Étienne Geoffroy Saint-Hilaire, basandosi in modo
preminente sul metodo dell’anatomia comparata, tentò di documentare come la natura lavori sempre
con gli stessi materiali e si ingegni solamente a variarne le forme. Egli formulò infatti la ‹‹teoria
degli analoghi››, secondo la quale la struttura di tutti gli animali può essere ricondotta ad un tipo
comune. I loro apparati, che hanno forme e funzioni molto diverse, costituirebbero gli adattamenti
di uno stesso organo alle diverse condizioni di vita. Giunse pertanto a sostenere il principio
dell’‹‹unità di composizione organica››, affermando che la natura ha formato tutti gli esseri viventi
a partire da un unico piano e che le varie forme in cui essa si è compiaciuta di far esistere le diverse
specie derivano le une dalle altre.
Una verità assodata per l’uomo che abbia osservato un gran numero di prodotti del
globo è che fra tutte le loro parti vi sono una grande armonia e rapporti necessari; è che la natura
pare essersi racchiusa entro certi limiti e aver formato tutti gli esseri viventi su di un unico
piano, essenzialmente lo stesso nel suo principio, ma che essa ha variato in mille modi nelle sue
parti accessorie. Se noi consideriamo in particolare una classe di animali, allora soprattutto ci
apparirà evidente questo piano: vedremo che le diverse forme sotto cui essa si è compiaciuta di
far esistere ogni specie derivano tutte le une dalle altre: le basta cambiare alcune delle
proporzioni degli organi per renderli adeguati a nuove funzioni e per estenderne o restringerne
l’uso.
GEOFFROY SAINT-HILAIRE É., Mémoire sur les rapports naturels des Makis Lémur L. et
description d’une espèce nouvelle de Mammifère in ‹‹Magazin encyclopédique››, IV,
1796, p. 20.
Proprio sull’idea che gli esseri di un medesimo gruppo siano strettamente collegati dai
rapporti più intimi e siano composti di organi affatto analoghi riposa l’edificio metodico della
storia naturale, arte ingegnosa che consente di riconoscere come pressoché completa la
somiglianza di un gran numero di specie, cosicché è possibile poi differenziarle soltanto
ricorrendo a limitati tratti caratteristici. […]
I naturalisti ricorrono […] alla dottrina delle analogie e cominciano ad intravedere il
fatto, assai importante sul piano teorico, che un organo, variando nella conformazione, passa
spesso da una funzione ad un’altra. […]
Ora, è evidente che il solo ordine di generalità applicato alla specie è dato dalla
posizione, dalle relazioni e dalle dipendenze delle parti, cioè da quelle che globalmente designo
con il nome di connessioni. Così la parte della gamba detta mano nell’uomo (che è ciò che si
intende generalmente con la parola piede negli animali) è la quarta parte del ramo di cui si
compone l’arto anteriore, la parte terminale di questo fusto, la più lontana dal centro
Tra il febbraio e l’aprile del 1830 si tenne, all’Accademia delle Scienze di Parigi, un appassionato
dibattito provocato dal lavoro di due anatomisti, Launceret e Meyranx, i quali avevano sostenuto
l’analogia di struttura anatomica tra i cefalopodi ed i vertebrati. Un’accesa discussione si aprì in
particolare tra Georges Cuvier, difensore della cultura fissista, e Geoffroy Saint-Hilaire, sostenitore
dell’ipotesi di una trasformazione delle specie.
16
dell’individuo e la più suscettibile di variazioni, parte deputata in modo speciale alle
comunicazioni dell’essere con tutto ciò che lo circonda, il tratto, infine, che viene dopo
l’avambraccio. Allora sì che, fondandovi su una precisa nozione intorno a quest’organo, lo
vedete dall’alto e nel suo significato generale e da lì potete discendere sia per seguirne le diverse
metamorfosi sia per esaminarne i vari usi. […]
Un’epoca nuova comincia con la pubblicazione di questo libro. […] Se non si tratta
dell’apertura di una nuova strada, almeno il campo dell’organizzazione viene illuminato da un
nuovo principio, quello delle connessioni, principio di elevato interesse filosofico, poiché ci
introduce al godimento pieno e integro, senza la minima eccezione, nella pratica di quest’altro
principio fondamentale della filosofia naturale, in virtù del quale tutti gli animali aventi il
midollo spinale situato in un astuccio osseo sono fatti sul medesimo modello. La previsione a
cui questa verità ci conduce, il presentimento, cioè, che troveremo sempre, in ogni famiglia, tutti
i materiali organici che avremo rilevati in un’altra, è ciò che nel corso della mia opera ho
designato globalmente come teoria degli analoghi. […]
Io resi noto un nuovo metodo per giungere, più direttamente e con più sicurezza di
quanto non si potesse fare prima, ad una reale determinazione degli organi.
Questo metodo, autentico strumento di scoperta, consiste nell’intima connessione di
quattro regole o principi, che ho definito sinteticamente nel modo seguente: teoria degli
analoghi, principio delle connessioni, affinità elettive degli elementi organici e bilanciamento
degli organi.
Il primo di tali principi è alla base della dottrina di Aristotele, […] ma io ho dato nuova
vita a questo principio e gli ho fornito potenza di applicazione, dimostrando che non sono
sempre gli organi nella loro totalità a ricondursi all’identità, bensì, talvolta, soltanto i materiali
di cui ogni organo si compone. Si è dunque compreso in tal modo che il pensiero filosofico
dell’analogia dell’organizzazione costituisce la mia prima regola, detta teoria degli analoghi.
Ma inoltre ho dato a questa regola un sostegno necessario, senza il quale, infatti, la
teoria degli analoghi sarebbe apparsa soltanto come un’intuizione geniale, vale a dire il
principio delle connessioni. Una volta si parlava di analogia, senza sapere che cosa, in
particolare, fosse analogo. In mancanza di meglio si ripiegava sulla considerazione delle forme,
senza rendersi conto, a quanto pare, che la forma è qualcosa di fuggevole tra un animale e
l’altro. Io dunque fornii alle considerazioni intorno all’analogia una base che fino ad allora era
mancata, quando proposi di far vertere le ricerche unicamente sulla dipendenza reciproca,
necessaria e quindi invariabile delle parti.
I materiali dell’organizzazione si riuniscono tra loro per formare un organo allo stesso
modo in cui delle case si raggruppano per comporre una città. Ma se dividete questa città, come
è stato fatto a Parigi, in diversi governi municipali, le abitazioni, o i nostri materiali organici,
non risulteranno affatto distribuiti in modo arbitrario, ma sempre secondo posizioni necessarie.
Questa necessità che costringe gli elementi che vengono a contatto ad accogliere gli effetti di
una reciproca convenienza è ciò che io chiamo affinità elettiva degli elementi organici. […]
Denomino infine bilanciamento tra i volumi delle masse organiche e, per contrazione,
bilanciamento degli organi, quella legge della natura vivente in virtù della quale un organo
normale o patologico non acquista mai una prosperità straordinaria senza che un altro
appartenente al suo sistema, o in relazione con esso, non ne soffra nella stessa proporzione. […]
Ma il nuovo metodo non doveva affatto limitarsi a successi parziali: infatti, a qualunque
sistema di organizzazione venga applicato e, in generale, su qualsiasi punto si diriga
l’attenzione, esso dà risultati identici. Esso induce a riproporre come un fatto a posteriori l’idea
a priori, l’idea madre e fondamentale della filosofia di Leibniz, idea che quel genio multiforme
racchiudeva nell’espressione varietà nell’unità.
Questo risultato generale e definitivo delle determinazioni di organi da me compiute
diviene la conclusione più elevata delle mie ricerche, alta manifestazione dell’essenza delle
cose, da me espressa e proclamata con l’espressione unità di composizione organica.
GEOFFROY SAINT-HILAIRE É., Philosophie anatomique des organes respiratoires sous
le rapport de la détermination et de l’identité de leurs pièces osseuses, Paris,
Méquignon-Marvis, 1818, pp. XV, XVII, XXII-XXIII, XXV-XXVI, XXX-XXXI,
XXXV-XXXVIII; Philosophie anatomique des mostruosités humaines, Paris, chez
l’Auteur, 1822, pp. XXX-XXXIV.
Patrick Matthew (1790-1874): il proteiforme principio della vita
Il reverendo Patrick Matthew, pur partendo da posizioni catastrofiste17 che si rifacevano alla
teologia naturale18, si convinse che vi fosse più bellezza ed unità di disegno nel continuo equilibrio
fra le mutevoli manifestazioni della vita, piuttosto che nelle distruzioni totali e nelle nuove
creazioni. Nel 1831 giunse così ad affermare che le specie vegetali ed animali si modificano per
l’azione combinata dei fattori ambientali, delle variazioni individuali e della lotta per la
sopravvivenza. Egli, lamarckianamente, teorizzava infatti una grande plasticità dei viventi e dunque
una loro capacità di mutare col mutare delle condizioni ambientali. Egli sostenne l’esistenza di una
‹‹legge di adattamento alle circostanze›› in virtù della quale le razze acquisiscono gradualmente il
miglior adattamento possibile alle condizioni cui sono sottoposte. Matthew osservò innanzitutto che
le catastrofi geologiche dovettero ridurre a tal punto la diffusione della vita che si formò uno spazio
vuoto per le nuove e divergenti ramificazioni della vita stessa. Egli spiegò l’evoluzione ponendosi
in una nuova e stimolante prospettiva secondo cui nel meccanismo stesso della riproduzione vi è
una leggera ma continua tendenza naturale a dar luogo, nella prole, a variazioni repentine e
consistenti. Tali variazioni rendono alcuni individui più resistenti, più vigorosi, meglio adatti alle
circostanze fin dalla nascita e dunque destinati ad uscire vincitori da quella che egli chiama la ‹‹lotta
per la maturità››.
Una conformità particolare secondo i vari tipi, chiamata specie, senza dubbio in natura
esiste in misura notevole. Questa conformità è esistita nel corso degli ultimi quaranta secoli. I
geologi seguono una simile, particolare conformità nei fossili attraverso i depositi profondi di
ogni grande epoca, ma scoprono anche che sussiste una enorme differenza fra le specie o
impronte di un’epoca e quelle di ogni altra. Siamo quindi indotti ad ammettere o una ripetuta
creazione miracolosa o una capacità di mutare col mutare delle circostanze inerente alla materia
vivente organizzata, o piuttosto alla congerie di vita inferiore che sembra costituire la vita
superiore. La deviazione e i cambiamenti provocati nell’esistenza organizzata da un
cambiamento nelle circostanze dovuto all’interferenza dell’uomo, fornendoci la prova della
qualità plastica della vita superiore e mostrandoci che è verosimile che le circostanze siano state
molto diverse nelle diverse epoche, benché stabili in ciascuna, tendono fortemente ad aumentare
la probabilità di quest’ultima teoria. […]
È dunque antifilosofico dedurre che gli esseri viventi, i quali è provato che possiedono
un potere di adeguamento alle circostanze […] possano essersi gradualmente adattati alle
variazioni degli elementi in cui erano contenuti e, senza che ci fosse una nuova creazione,
abbiano presentato i fenomeni divergenti e cangianti dell’esistenza organizzata passata e
presente? […]
Gli esseri organizzati, e forse tutti gli esseri materiali, consistono in un proteiforme
principio vitale capace di graduali modificazioni e aggregazioni adattate alle circostanze,
Tesi, prevalente nella geologia, soprattutto francese, dell’Ottocento, secondo la quale le modificazioni
della crosta terrestre sarebbero dovute ad improvvise catastrofi, sul modello del diluvio noetico, che
avrebbero distrutto molte forme di vita. Il catastrofismo vantava una lunga tradizione e trovò il suo più
autorevole sostenitore in Georges Cuvier, che ne avrebbe scritto il manifesto in un’opera
significativamente intitolata Discours sur les rivolutions de la superfice du globe (1812).
18
Filosofia ancora ampiamente dominante nell’Inghilterra di primo Ottocento avente lo scopo di
dimostrare l’eccellenza e la bontà del Dio creatore dell’universo muovendo dalla constatazione della
perfezione della natura e delle sue leggi.
17
illimitate sotto l’azione del calore o della luce, principi dissolutori o motori? C’è più bellezza e
unità di disegno in questo continuo equilibrio tra le circostanze e la vita, e maggior conformità
alle tendenze che la natura ci manifesta, che non nella distruzione totale e nella nuova creazione.
[…]
L’attitudine adattiva autoregolata della vita organizzata può, in parte, essere ricondotta
all’estrema fecondità della Natura, che […] ha in tutte le varietà della sua progenie, una
prolificità molto superiore (in molti casi mille volte superiore) a quella necessaria a riempire i
vuoti aperti dal decadimento causato dall’invecchiamento. Poiché il campo dell’esistenza è
limitato e già occupato, solo gl’individui più resistenti, più vigorosi, meglio adattati alle
circostanze sono in grado di lottare per giungere alla maturità; questi ultimi abitano solo nelle
condizioni per le quali dimostrano un adattamento superiore e un potere di occupazione
maggiore di quelli di ogni altra specie; i più deboli, meno adattati alle circostanze, vengono
prematuramente distrutti. Questo principio opera costantemente, regola il colore, la
conformazione, la capacità e gl’istinti. Quegli individui che, in ogni specie, hanno colore e
rivestimento meglio adatti ad occultarli o a proteggerli dai nemici o a difenderli dalle
vicissitudini e dalle inclemenze del clima, conformazione più adeguata alla salute, alla forza,
alla difesa e al sostentamento, capacità e istinti che possono disporre meglio le energie fisiche al
proprio vantaggio in ragione delle circostanze; questi soli individui, in così immane spreco di
vite appena cominciate o giovani, pervengono alla maturità superando il cimento per mezzo del
quale la Natura saggia la loro rispondenza alla sua norma di perfezione e la loro idoneità a
perpetuare con la riproduzione la loro specie.
Dall’incessante attività di questa legge che opera di concerto con la tendenza della prole
ad assumere le doti più caratteristiche dei genitori, insieme con il sistema sessuale combinato
dei vegetali e l’istintiva limitazione al proprio simile negli animali, consegue una considerevole
uniformità di conformazione, di colore e di carattere che costituisce la specie; la razza
acquisisce gradualmente il migliore adattamento possibile alle condizione a cui può essere
sottoposta e, quando avviene un cambiamento nelle circostanze, tanto cambia nelle sue
caratteristiche quanto la sua natura gli consente di cambiare.
Questa legge di adattamento alle circostanze, operando sulla leggera ma continua
tendenza naturale a dar luogo, nella prole, a variazioni repentine e consistenti […] non
impedisce l’influenza che si presume la volizione o la sensazione possano esercitare sulla
conformazione del corpo.
MATTHEW P., On Naval Timber and Arboriculture, London, 1831, pp. 381-87.
Robert Chambers (1802-1871): il principio dello sviluppo progressivo
Le Vestiges of the Natural History of Creation (1844) dell’editore e poligrafo Robert Chambers
sono un’opera di attenta compilazione contenente una vasta documentazione sui mutamenti
geologici, sulla stratificazione dei fossili, sui dati dell’anatomia comparata, sull’avanzamento degli
studi relativi alla generazione e infine sulla nascente embriologia comparata. Nell’opera Chambers
sostiene, al pari di Lamarck, che i primi viventi si sarebbero prodotti per generazione spontanea ed
avrebbero poi subito uno sviluppo progressivo. Il volume ebbe un grande successo di pubblico e fu
soprattutto per merito dell’acceso dibattito da esso suscitato se, al momento della pubblicazione
dell’Origin of Species, un pubblico eccitato ed appassionato era pronto ad accogliere le sorprendenti
ipotesi di Darwin.
Ricordiamo, in primo luogo, che in speculazioni di tal genere [sull’origine e sulla
trasformazione degli organismi], la spiegazione più semplice, e che fa meno ricorso alla puerile
emozione della meraviglia, è sempre, a parità di condizioni, la più accettabile. In fisiologia, in
particolare, un fenomeno che consiste in un lento e graduale movimento deve avere un
vantaggio su uno che consiste in un effetto grande e improvviso, poiché tutti i fenomeni
osservabili in fisiologia sono del primo tipo. […] Una ben fondata ipotesi sulla deposizione del
seme, sulla penetrazione della linfa, sull’espandersi e aprirsi del germe e sullo spuntare dello
stelo non sarebbe di molto preferibile al rimanere fermi a qualche idea confusa e infondata di un
miracolo necessario ad ogni singola pianta? Oltre alle prove in suo favore, dunque, io propongo
in questa importante occasione il principio dello sviluppo progressivo proprio come la
spiegazione più semplice, come una spiegazione implicante un movimento lento e grande simile
a quello che di solito vediamo in natura, come una spiegazione che fa appello alla scienza e
concorda con essa, anziché restare ancorata ad un dogmatico presupposto di ignoranza. […]
La tesi che sono giunto a stabilire dopo lunga riflessione è che le diverse serie di esseri
animati, dal più semplice e antico al più elevato e recente, sono, sotto la provvidenza di Dio, i
risultati, in primo luogo, di un impulso che fu impartito alle forme di vita e che le fa avanzare,
in tempi definiti e mediante la generazione, per gradi di organizzazione culminanti nei
dicotiledoni e nei vertebrati più elevati […]; in secondo luogo, di un altro impulso connesso con
le forze vitali, tendente, nel corso delle generazioni, a modificare le strutture organiche secondo
le circostanze esterne, come il cibo, la natura dell’habitat e i fattori meteorologici (e questi sono
gli ‹‹adattamenti›› del teologo naturale). […]
Forse, per la gran parte delle persone, anche di quelle che si dedicano alla scienza, la
grande difficoltà [nell’ammettere l’evoluzione] consiste, alla fin fine, nel concepire i particolari
di un processo del tipo di quello richiesto perché un pesce si trasformi in un rettile. Eppure
nessuna difficoltà potrebbe essere meno fondata se si vedesse come la metamorfosi del girino in
rana, un fenomeno di cui ad ogni primavera si offrono all’osservazione numerosi esempi, sia,
almeno in parte, una trasformazione così completa dell’organizzazione del pesce in quella del
rettile quanto si potrebbe supporre che lo sia il mutamento dei pesci sauroidi in rettili
sauroniani. È un processo diverso solo in quanto si tratta di un processo di generazione
ordinaria, ma fornisce, per quanto concerne i cambiamenti organici necessari, l’immagine
ipotetica di un avanzamento da un grado delle forme animali ad un altro.
CHAMBERS R., Vestiges of the Natural History of Creation [1844], London and
Edimburgh, W.&R. Chambers, 1884 12, pp. 144-46, 148-50, 200-02, 213-14, 229-31.
Giambattista Brocchi (1772-1826): riflessioni sul perdimento delle specie
Geologo e naturalista, Giambattista Brocchi fu tra coloro che adottarono per primi la tesi secondo
cui alcune specie si sono effettivamente estinte. In ciò egli aderiva alle argomentazioni proposte dal
celebre naturalista francese Georges Cuvier19. Come Cuvier Brocchi fu indotto ad indagare sulle
cause che avevano potuto produrre l’estinzione o, per utilizzare una sua espressione, il
‹‹perdimento›› delle specie. Egli intraprese però una strada differente e giunse a formulare alcune
originali ipotesi sulle leggi che hanno regolato in passato e avrebbero ancora determinato in futuro
il succedersi di specie diverse sulla superficie terrestre.
L’osteologia e la conchiologia fossile sarebbero studj sterili e poco meno che
inconcludenti se non si volesse rintracciare quale correlazione esse abbiano l’una con la
zoologia del mondo attuale, e l’altra con la conchiologia de’ nostri mari. Ma qualora di
proposito ci mettiamo a questa impresa e con tutta quella ponderazione che l’argomento
richiede, siamo altamente sorpresi di scorgere in quanto gran numero sieno i testacei e i
quadrupedi fossili che non si possono riferire alle specie cognite e viventi. Rimane dunque da
sapersi ciò che possa essere addivenuto di essi.
Rispetto ai testacei, la prima idea che si affaccia alla mente è ch’esistano in lontani mari
non solcati dai navigatori o rapidamente visitati dai naturalisti, oppure che alberghino nelle
profonde latebre dell’Oceano. Tale fu il sentimento di Linneo, e così opinò Walch, il quale
sostiene che fino a tanto che rimanga un angolo di mare che non siasi accuratamente esaminato,
si precipiterebbe il giudizio, decidendo che sia spenta la specie di questi animali; ch’è quanto
dire, che non saremo mai in caso di pronunziare definitiva sentenza su questa questione. La
prudente cautela di questi autori comparisce altrettanto più ragionevole, quanto che vediamo di
tratto in tratto scoprirsi viventi alcune conchiglie che non si traevano per l’innanzi che dalla
terra. Nel mare del Sud, presso le Isole degli Amici, furono rinvenuti, durante il viaggio di
Cook, gli originali del murex hexagonus e serratus […], il primo de’ quali era noto in istato
fossile da più di sessant’anni fa […]; come si venne in chiaro esistere nell’Oceano e nel mare
delle Indie il murex tripteris, ch’è ovvio in Italia e ne’ contorni di Parigi. […] A fronte di questi
esempi e di più altri che trasando per amore di brevità, si può ammettere come assai verisimile
che alcune specie sieno realmente perdute; opinione che da lungo tempo è già stata proferita,
senza che, per quanto io ne sappia, se ne sia recata veruna soda e convincente ragione; ma due
possiamo allegarne, una stabilita sull’analogia ed un’altra ch’è quasi una prova diretta.
Che di alcuni animali terrestri […] che anticamente esistevano e che erano a dismisura
moltiplicati, sia attualmente spenta la razza, non possiamo averne ombra di dubbio. È cosa
notoria che rimane ciò comprovato dagli studj fatti da Cuvier sugli ossami di molti mammiferi
fossili della Francia e di altre contrade. Non parlerò di quelli di elefante o di rinoceronte […]
che questo naturalista sostiene non potersi riferire agli elefanti ed ai rinoceronti attuali […]. Ma
indubitato è che altri quadrupedi fossili hanno differenze così segnalate e si distinguono con
caratteri così peculiari, che non possono essere ragguagliati a verun animale vivente. Tali sono
le tre o forse quattro specie di anoploteri scoperti negli strati gessosi di Montmartre presso
Parigi, le cinque specie di mastodonte, alcune delle quali si sono disotterrate nell’America
settentrionale; il megaterio del Paraguay e il megalonice della Virginia. […] Basterà dire che fra
19
Georges Cuvier (1769-1832), naturalista francese, fu uno dei più autorevoli sostenitori del
catastrofismo geologico, in base al quale i mutamenti della superficie terrestre sarebbe dovuti a periodiche
catastrofi analoghe al diluvio noetico descritto da Mosè.
settantotto quadrupedi fossili, classificati da Cuvier, quarantanove non sono più ritrovabili in
veruna parte dei due emisferi, di maniera che si può con tutta la ragione conchiudere che ne sia
assolutamente perduta la specie.
Né per impugnare la conseguenza si dica che quegli animali potrebbero vivere confinati
in qualche isola o nell’interno di qualche continente dove non abbiano gli Europei posto piede
[…]. Non è poi probabile che i paleoteri, gli anoploteri, e megateri, i megalonici, i mastodonti
siano adesso sequestrati tutti in qualche remoto angolo della terra e colà vivano rintanati […]:
né questo angolo potrebbe già essere una picciola isola incognita, poiché alcuni di essi, attesa la
smisurata lor mole, abbisognerebbero di molta estensione di terreno per non consumare ben
presto l’alimento che giornalmente è loro necessario, e non ridurre que’ luoghi ad uno sterile
deserto. E che? Non sarebbe forse stranissimo che si dovesse appunto verificare il caso per quasi
tutti gli animali di cui si hanno le spoglie fossili? […]
Ora se tutte le prove che aver si possono in argomenti di simil fatta concorrono a
dimostrare che le specie di questi viventi più non esistano, analogicamente si può dedurre che
allo stesso destino soggiaciuto abbiano quelle di alcuni testacei marini di cui mancano gli
originali. Ma siccome questa illazione è lontana ancora e meramente congetturale, la
convaliderò con una circostanza, che, se non può rigorosamente equivalere ad una prova diretta,
è nondimeno di gran momento.
In mezzo ai testacei fossili di origine marina, parecchi ve n’ha in alcuni paesi […] che
sono stati senza equivoco riconosciuti terrestri e fluviatili. […] Dagli esami di questi naturalisti
[Lamarck, Cuvier, Brogniart e Brard] risulta, pochissime essere le specie analoghe a quelle che
attualmente vivono ne’ fiumi, negli stagni e sulla superficie della terra […]. Ora è evidente che
quando si stimasse probabile che i prototipi delle conchiglie marine potessero esistere in
incogniti mari o in abissi profondi, niente di consimile ci sarebbe lecito di immaginare rispetto a
quest’altre che non potrebbero rimanere lungo tempo occulte, e che dovrebbero manifestarsi
nelle campagne, ne’ monti, nelle acque fluviatili e lacustri.
Confesso che da per tutto non sono state estese le indagini, e che di tratto in tratto
accade che sbuchi qualche nuova conchiglia acquatica e terrestre. Non è molto che Daubebard
trovò nelle fontane dell’Andalusia l’analogo del bulimus antidiluvianus delle marne di Soisson;
che riconobbe che la paludina impura dei tufi di Quercy è simile a quella rinvenuta da Olivier
ne’ canali di Alessandria d’Egitto; […]. O io m’inganno, o da questi splendidi esempi si fa
manifesto che molte specie di testacei si sono perdute al paro di quelle dei grandi animali.
Posta la verità del fatto, rimarrebbe da esaminarsi come ciò sia succeduto. […] Quanto a
me, credo che sia del tutto superfluo di angustiare tanto l’ingegno e di ricorrere a cause
accidentali ed estrinseche per la spiegazione di un fatto che si può giudicare dipendere da una
legge generale e costante. Perché dunque non si vorrà ammettere che le specie periscano come
gl’individui, e che abbiano al paro di questi un periodo fisso e determinato per la loro esistenza?
Ciò non deve apparire strano, considerando che nulla è in istato di permanenza sul nostro globo,
e che la Natura mantiensi attiva con un circolo perpetuo e con una perenne successione di
cambiamenti.
BROCCHI G., Conchiologia fossile subappennina con osservazioni geologiche sugli Appennini e
sul suolo adiacente, Milano, Silvestri, 1843, I, pp. 399-409.
Alfred Russel Wallace (1823-1913): distribuzione geografica degli organismi e successione
delle specie
Nonostante alcune dettagli, si può dire che la teoria della selezione naturale formulata da Wallace
ed esposta per la prima volta in una lettera a Darwin nel 1858 sia largamente sovrapponibile a
quella darwiniana. A dispetto di ciò e di alcuni importanti contributi offerti alla teoria stessa, tra cui
la proposta di sostituire l’espressione di ‹‹lotta per l’esistenza›› con quella di ‹‹sopravvivenza del
più adatto››, il naturalista inglese giunse ad autoescludersi dal ruolo di coinventore della teoria. Se
la teoria che contribuì a formulare è nota semplicemente con il nome di ‹‹darwinismo›› è anche
perché proprio Wallace pubblicò un opera generosamente intitolata Darwinism.
Le seguenti proposizioni di geografia degli organismi e geologia indicano i principali
fatti su cui si basa la nostra ipotesi.
1.
2.
3.
4.
Geografia
I grandi raggruppamenti, come le classi e gli ordini, sono in generale sparsi su tutta la
terra, mentre i raggruppamenti minori, come le famiglie e i generi, sono frequentemente
confinati in una parte di essa, spesso in una zona molto limitata.
Nelle famiglie di ampia distribuzione, i generi hanno spesso estensione limitata; nei
generi di ampia distribuzione, raggruppamenti ben definiti di specie sono peculiari di
ciascuna regione geografica.
Quando un raggruppamento è confinato in una sola regione ed è ricco di specie, avviene
quasi invariabilmente che le specie più strettamente affini si trovino nella stessa località
o in località strettamente contigue, e che quindi la successione naturale delle specie,
quanto ad affinità, sia anche geografica.
In regioni con clima simile ma separate da ampi tratti di mare o da elevate montagne, le
famiglie, i generi e le specie dell’una sono spesso rappresentate nell’altra da famiglie,
generi e specie strettamente affini peculiari di essa.
Geologia
5. La distribuzione del mondo organico nel tempo è molto simile alla sua attuale
distribuzione nello spazio.
6. La maggior parte dei vasti raggruppamenti e alcuni di quelli minori si estende attraverso
diversi periodi geologici.
7. In ciascun periodo, comunque, vi sono raggruppamenti peculiari che non si trovano in
un altro e si estendono attraverso una o più formazioni.
8. Specie di un unico genere o generi di un’unica famiglia che si presentino nello stesso
tempo geologico sono più strettamente affini di quelli separati nel tempo.
9. Come in geografia nessuna specie o genere si presenta, generalmente, in due località
molto distanti senza trovarsi anche in luoghi intermedi, così in geologia la vita di una
specie o genere non presenta interruzioni. […]
10. Da questi fatti si può dedurre la seguente legge: Ogni specie ha iniziato la sia esistenza
in coincidenza sia spaziale sia cronologica con una specie preesistente ad essa
strettamente affine. […]
Se noi ora consideriamo la distribuzione geografica degli animali e delle piante sulla
terra, vediamo che tutti i fatti concordano con la presente ipotesi e trovano in essa pronta
spiegazione. Se una regione ha specie, generi e famiglie intere sue peculiari, ciò è il necessario
risultato di un isolamento protrattosi per un lungo periodo, sufficiente a che, sulla base del tipo
preesistente, venissero create20 molte successioni di specie che, come molte delle specie
costituite in tempi più remoti, vennero ad estinguersi; questo ha fatto sì che i raggruppamenti
ora sembrano isolati. Ad ogni modo, nel caso che il tipo anteriore avesse avuto una vasta
estensione, si sarebbero potuti formare due o più gruppi, ciascuno dei quali se ne sarebbe
allontanato variando in modo diverso e producendo gruppi rappresentativi o analoghi. […]
Quando una catena montuosa avrà raggiunto una grande elevazione e si sarà conservata
in tale condizione per un lungo periodo geologico, le specie dei due versanti e delle pendici
saranno spesso specie diverse rappresentative di qualche genere ricorrente e anche di interi
generi peculiari di un solo versante, come è evidente nel caso delle Ande e delle Montagne
Rocciose. Un fenomeno simile si vede chiaramente quando un’isola si è separata dal continente
in un periodo molto remoto. Il mare poco profondo fra la penisola della Malacca, Giava,
Sumatra e il Borneo era probabilmente, in epoca primitiva, un continente o una grande isola e
poté essere sommersa quando si elevarono le catene vulcaniche di Giava e Sumatra. I risultati di
ciò nel regno organico li vediamo nel considerevole numero di specie di animali comuni ad
alcune ad alcune o a tutte queste regioni, mentre nel contempo esiste un gran numero di specie
strettamente affini rappresentative e peculiari di ciascuna di queste regioni, a mostrare che dalla
loro separazione è trascorso un periodo considerevole. […]
I fenomeni della distribuzione geologica sono esattamente analoghi a quelli della
geografia. Specie strettamente affini si trovano associate negli stessi strati e il mutamento da una
specie all’altra sembra essere stato graduale nel tempo come nello spazio. La geologia,
comunque, ci fornisce una prova positiva dell’estinzione e della produzione di specie, anche se
non ci informa su come entrambe abbiano avuto luogo.
WALLACE A. R., On the Law which has regulated the Introduction of New Species
in ‹‹Annals and Magazine of Natural History››, XVI, 1855, pp. 185-86, 188-89.
Il verbo ‹‹creare›› e le voci ad esso correlate compaiono spesso in Wallace, in Lyell e nello stesso
Darwin, hanno un significato molto generico e non implicano necessariamente adesione alle concezioni
creazionistiche.
20
Charles Darwin (1809-1882): la prima formulazione della teoria
Nel 1859 Charles Darwin pubblica il suo capolavoro On the Origin of Species by Means of Natural
Selection or the Preservation of Favoured Races in the Struggle for Life in cui presenta la teoria
dell’evoluzione per selezione naturale. È nei Taccuini, redatti da Darwin nei due o tre anni
successivi al viaggio intorno al mondo compiuto tra il 1831 e il 1836, che troviamo la completa
formulazione della teoria stessa.
28 [settembre 1838]. Altro che meravigliarci dei mutamenti numerici delle specie in
seguito a piccoli mutamenti nella natura del luogo! Neanche il vigoroso linguaggio di De
Candolle21 esprime la guerra delle specie come può dedursi da Malthus – l’aumento dei bruti
dev’essere impedito solo dagli ostacoli positivi, a meno che la carestia non freni il desiderio. –
In natura la produzione [di mezzi di sostentamento] non aumenta, mentre non prevale nessun
ostacolo se non l’ostacolo positivo della carestia e, quindi, della morte. Non dubito che
chiunque, fin tanto che rifletta profondamente, abbia supposto che l’aumento degli animali è
esattamente proporzionale al numero che può vivere. La popolazione aumenta in proporzione
geometrica in un tempo ASSAI PIÙ BREVE di venticinque anni, eppure fino all’enunciazione
di Malthus22 nessuno ha scorto chiaramente il grande ostacolo fra gli uomini. […] Anche pochi
anni di abbondanza fanno aumentare la popolazione e un raccolto normale causa carestia; si
prenda l’Europa: in media ogni specie deve avere un certo numero [di individui] ucciso di anno
in anno dai rapaci, dal freddo, ecc. Anche la diminuzione di numero di una sola specie di rapaci
deve ripercuotersi istantaneamente su tutto il resto. Il risultato finale di questa azione come di
cunei dev’essere quello di scegliere strutture più adeguate e di adattarle ai mutamenti, di fare
cioè per la conformazione quello che Malthus mostra essere l’effetto finale (sia pure mediante la
volontà) di questa abbondanza di popolazione sull’energia dell’uomo. Si può dire che vi sia
come una forza di centomila cunei che cercano di forzare ogni sorta di struttura adatta dentro i
vuoti dell’economia della natura, o piuttosto che formano vuoti scacciando i più deboli.
DARWIN C., Third Notebook on Transmutation of Species [1838] in Darwin’s
Notebooks on Trasmutation of Species, Part VI: Pages Excides by Darwin a cura di A.
GAVIN DE BEER, M. J. ROWLANDS E B. M. SKRAMOWSKY, in ‹‹Bullettin of the British
Museum (Natural History), Historical Series››, III, 1967, pp. 162-63.
Augustin-Pyramus de Candolle (1778-1841), botanico ginevrino che aveva sostenuto l’esistenza di una
spietata competizione tra le specie per l’occupazione di aree geografiche e fra gli individui per lo spazio,
l’acqua e altre dimensioni fisiche.
22
Thomas Robert Malthus, nel suo Essay on the Principle of Population (1798), aveva sostenuto che la
popolazione umana cresce in proporzione geometrica mentre i suoi mezzi di sussistenza aumentano
seguendo la proporzione aritmetica, implicando l’idea di una lotta per l’esistenza necessaria a causa della
penuria dei mezzi di sussistenza stessi.
21
Charles Darwin (1809-1882): la lotta per l’esistenza
Darwin sostiene che le popolazioni vegetali e animali si moltiplicano con un tasso di incremento
superiore a quello delle risorse dei luoghi d'origine, per cui si scatena ovunque un'aspra ‹‹lotta per
l'esistenza››, soprattutto fra gli individui appartenenti alla stessa specie, in quanto vivono nello
stesso territorio, necessitano degli stessi alimenti e sono esposti agli stessi pericoli. Questi individui
non sono mai perfettamente identici né ai genitori né fra di loro, ma presentano casualmente, fin
dalla nascita, piccole differenze individuali, leggere variazioni singolari, lievi deviazioni strutturali,
per cui alcuni di essi potranno trovarsi avvantaggiati in questa lotta per l'esistenza.
Nulla è più facile che riconoscere a parole la verità della lotta universale per la vita e
nulla è più difficile (almeno così è per me) che aver sempre presente alla mente questo concetto.
Eppure, se questo concetto non è saldamente radicato nella mente, sono certo che l’intera
economia della natura, con tutti i dati di fatto relativi alla distribuzione, alla rarità,
all’abbondanza, all’estinzione ed alla variazione, sarà compresa nebulosamente o totalmente
travisata. Noi vediamo la superficie della natura, splendente di letizia; spesso vediamo una
sovrabbondanza di alimenti e non vediamo, o dimentichiamo che gli uccelli, che cantano
oziosamente intorno a noi, vivono per lo più di insetti e di semi e quindi distruggono
continuamente la vita. Oppure dimentichiamo in quale misura altri uccelli ed animali da preda
distruggono continuamente la vita. […] Non ricordiamo sempre che, anche se l’alimento può
essere sovrabbondante in questo momento, non lo è in tutte le stagioni, un anno dopo l’altro.
Devo premettere che impiego il termine lotta per l’esistenza in senso ampio e figurato,
comprendendovi la dipendenza di un essere dall’altro e (cosa più importante) comprendendovi
non solo la vita dell’individuo, ma anche il suo successo nel lasciare una progenie. Si può
affermare che, in tempo di carestia, due appartenenti alla famiglia dei Canidi lottano
effettivamente fra di loro per decidere chi prenderà il cibo e vivrà. […]
Ciascuno degli esseri, che nei termini della sua esistenza naturale produce parecchie
uova o semi, è destinato a subire una decimazione in qualche momento della vita, o in
determinate stagioni, od occasionalmente nel corso degli anni. Diversamente, in conformità al
principio dell’accrescimento del numero in ragione geometrica, in breve giungerebbe ad una
così disordinata sovrabbondanza numerica da non poter essere sostentato da nessun paese.
Quindi, siccome nascono più individui di quanti ne possano sopravvivere, in ogni caso vi deve
essere una lotta per l’esistenza, sia tra gli individui della stessa specie sia tra quelli di specie
differenti, oppure con le condizioni materiali di vita. È questa la dottrina di Malthus in
un’energica e molteplice applicazione all’intero regno animale e vegetale. Infatti, in questo
caso, non vi può essere né un incremento artificiale della quantità di alimenti, né un’astensione a
scopo prudenziale dal matrimonio. […]
Vi è una regola che non conosce eccezioni: ogni essere vivente aumenta
spontaneamente il numero con un ritmo tale che, se non fosse distrutto, in breve la terra sarebbe
coperta dalla progenie di una sola coppia. […]
Addolciamo le cause di decimazione, mitighiamo anche di poco le distruzioni ed il
numero degli individui di una specie aumenterà indefinitamente, quasi all’improvviso. Il volto
della natura può essere paragonato ad una superficie cedevole, con diecimila cunei affilati stretti
gli uni agli altri e spinti all’interno da colpi incessanti: a volte viene colpito un cuneo e poi ne
viene colpito un altro e con maggior forza. […]
Nella letteratura sono molti i casi che dimostrano quanto complicati ed inattesi siano gli
ostacoli ed i rapporti intercorrenti fra gli esseri viventi, che debbano lottare fra di loro nello
stesso paese. […]
[In Paraguay], infatti, bovini, cavalli e cani non si sono mai ridotti allo stato brado
anche se verso sud e verso nord si sono diffusi in piena libertà. Azara e Rengger 23 hanno
dimostrato che questo dipende dal fatto che nel Paraguay vive più numerosa una specie di
mosche che depone le uova nell’ombelico degli animali neonati. L’aumento di queste mosche,
per quanto numerose, abitualmente deve essere tenuto a freno da qualche fattore, probabilmente
dagli uccelli. Quindi, se nel Paraguay dovessero aumentare certi uccelli insettivori […] le
mosche diminuirebbero e allora bovini ed equini vivrebbero allo stato brado e questo
provocherebbe sicuramente un notevole mutamento della vegetazione […]. A sua volta questo
stato di cose avrebbe notevoli conseguenze per gli insetti e, quindi […] per gli uccelli insettivori
e così di seguito secondo un andamento a spirale sempre più complicato. […] Non che in natura
i rapporti siano sempre così semplici. Vi sarà sempre un conflitto entro il conflitto, con alterne
vicende, eppure, a lungo andare, le forze si bilanciano così esattamente che il volto della natura
permane immutato per lunghi periodi di tempo, anche se è certo che la più insignificante
alterazione in molti casi darebbe la vittoria ad un essere vivente su un altro. […]
La dipendenza di un essere vivente da un altro, per esempio del parassita dal parassitato,
in genere collega specie molto lontane nella scala naturale. Lo stesso si può dire, in molti casi,
anche di quelle specie che, in senso stretto, lottano fra di loro per l’esistenza, […]. Ma, in tutti i
casi, la lotta sarà sempre più accanita fra individui della stessa specie, in quanto vivono nello
stesso territorio, necessitano dello stesso alimento e sono esposti agli stessi pericoli. Nel caso di
varietà della stessa specie, in genere la lotta è quasi altrettanto dura […].
Dato che le specie appartenenti ad uno stesso genere, di solito, ma non sempre,
presentano rassomiglianze nelle abitudini e nella costituzione, e sempre hanno delle
rassomiglianze strutturali, per lo più, quando entrano in concorrenza, la loro lotta sarà più aspra
di quella fra specie appartenenti a generi diversi. È un fatto che constatiamo in seguito alla
recente diffusione, in talune parti degli Stati Uniti, di una specie di rondine che ha provocato la
diminuzione di un’altra specie. Il recente aumento della tordella in alcune parti della Scozia ha
provocato una diminuzione del tordo sassello. […]
Dalle osservazioni di cui sopra si può dedurre un corollario di somma importanza, ossia
che la struttura di ciascun essere vivente è correlata, nel modo più essenziale, eppure spesso più
occulto, con quella di tutti gli altri viventi con i quali entra in concorrenza per l’alimento e lo
spazio vitale, o con quelli che deve sfuggire o con quelli che suole catturare. Questo fatto appare
evidente nella struttura dei denti e degli artigli della tigre e in quella delle zampe e degli uncini
del parassita che si aggrappa al pelo sul corpo della tigre. […] Nel coleottero acquatico la
struttura delle zampe, così adatte all’immersione, gli permette di competere con altri insetti
acquatici, di andare a caccia di preda e di evitare di cadere preda di altri animali. […]
Ecco perché vediamo anche che, quando una pianta o un animale vengono posti in un
nuovo paese, fra nuovi competitori, pur essendo le condizioni climatiche esattamente uguali a
quelle della sede precedente, le loro condizioni di vita di solito cambieranno fondamentalmente.
DARWIN C., On the Origin of Species, or the Preservation of the Favoured Races in the
Struggle for Life [1859], trad. It. BALDUCCI C., L’origine delle specie, Roma, Newton
Compton, 1974, pp. 110-12, 120-24.
23
Félix de Azara (1742-1821), naturalista e geografo spagnolo; Johann Rudolph Rengger è autore di una
Storia naturale dei mammiferi del Paraguay (1830).
Charles Darwin (1809-1882): la selezione naturale
Quel piccolo vantaggio, ottenuto casualmente dagli individui tramite l’emergere, fin dalla nascita,
di leggere variazioni strutturali, consente loro di alimentarsi di più e meglio, quindi di vivere più a
lungo. Essi raggiungeranno dunque lo stadio della maturità sessuale, si accoppieranno un maggior
numero di volte e genereranno un maggior numero di discendenti. La variazione che li ha resi
dominanti, sostiene Darwin, è per sua stessa natura ereditaria per cui essi diffonderanno l'anomalia
vantaggiosa che li caratterizza fino a sostituire tutti gli individui normodotati. Anche i loro
discendenti continueranno a variare, per cui genereranno casualmente individui che potranno
rivelarsi ancora più adatti alle condizioni di vita. Sono questi i principali meccanismi tramite i quali
opera, a parere di Darwin, la selezione naturale, la quale vaglia qualsiasi variazione, facendo sì che
sopravvivano gli individui che presentano favorevoli modificazioni anatomiche, fisiologiche,
comportamentali, o un maggiore sviluppo degli organi di difesa, di offesa, o ancora un leggero
perfezionamento delle strategie mimetiche e una vantaggiosa modificazione degli istinti.
La semplice esistenza della variabilità individuale e di alcune varietà ben definite, anche
se necessaria come base dell’opera, ci è ben di scarso aiuto per capire come si formano le specie
in natura. Come si sono potuti sviluppare e perfezionare tutti i finissimi adattamenti di una parte
dell’organismo rispetto ad un’altra e alle condizioni di vita e di un organismo rispetto ad un
altro organismo? […]
Si può chiedere come mai queste varietà, che ho chiamato specie incipienti, a lungo
andare si trasformino in specie genuine e distinte che, nella maggior parte dei casi, differiscono
chiaramente l’una dall’altra ben più delle varietà della stessa specie. Come si formano quei
gruppi di specie, che costituiscono i cosiddetti generi distinti, e che differiscono fra di loro più
delle specie appartenenti allo stesso genere? Come vedremo […], questi risultati sono la
conseguenza inevitabile della lotta per la vita. Grazie a questa lotta per la vita, qualsiasi
variazione, anche se lieve, qualunque ne sia l’origine, purché risulti in qualsiasi grado utile ad
un individuo appartenente a qualsiasi specie, nei suoi rapporti infinitamente complessi con gli
altri viventi e col mondo esterno, contribuirà alla conservazione di quell’individuo e, in genere,
sarà ereditata dai suoi discendenti. Quindi anche i discendenti avranno migliori possibilità di
sopravvivere, perché, tra i molti individui di una data specie, che vengono periodicamente
generati, solo un piccolo numero riesce a sopravvivere. A questo principio, grazie al quale ogni
piccola variazione, se utile, si conserva, ho dato il nome di selezione naturale, per farne rilevare
il rapporto con le capacità selettive dell’uomo. Abbiamo visto come l’uomo, per mezzo della
selezione, possa indubbiamente ottenere grandi risultati e possa adattare gli esseri viventi alle
proprie necessità mediante l’accumulo di variazioni tenui, ma utili, offertegli dalla mano della
natura. Ma la selezione naturale […] è un potere sempre pronto ad operare,
incommensurabilmente superiore ai deboli sforzi dell’uomo, così come le opere della natura
sono superiori a quelle dell’arte. […]
La selezione naturale non potrebbe fare nulla se non si verificassero variazioni
favorevoli. Non che sia necessaria, secondo me, una mole di variazioni estremamente grande.
[…] Si può dire che la selezione naturale scruta di giorno in giorno, di ora in ora, in tutto il
mondo, qualsiasi variazione, anche la più leggera, rifiutando quel che è cattivo e conservando ed
accumulando quel che è buono; lavorando silenziosamente ed insensibilmente, tutte le volte ed
ovunque se ne dia l’occasione, al perfezionamento di ciascun vivente in rapporto alle sue
condizioni di vita organiche ed inorganiche. Noi non possiamo affatto notare lo sviluppo di
questi leggeri cambiamenti, prima che la lancetta del tempo abbia segnato il trascorrere di intere
ère; ed anche allora la nostra capacità di osservare le lunghe ère geologiche del passato è
talmente imperfetta, che ci accorgiamo soltanto che, attualmente, le forme di vita sono diverse
da quelle che erano un tempo. […]
Per chiarire il modo in cui agisce, a mio parere, la selezione naturale, devo chiedere il
permesso di dare qualche esempio immaginario. Prendiamo il caso di un lupo, che vive
predando diversi animali, catturandone qualcuno con l’astuzia, qualcuno con la forza e qualcuno
con la rapidità. Supponiamo che la preda più veloce, per esempio un cerbiatto, sia cresciuta di
numero, in seguito ad un mutamento qualsiasi sopravvenuto nella regione, oppure che altre
prede siano diminuite di numero in quella stagione dell’anno in cui il lupo sente maggiormente
l’urgenza di procurarsi il cibo. Date le circostanze, non vedo ragione per dubitare che i lupi, che
avranno le migliori possibilità di sopravvivere, e quindi di perpetuarsi e di selezionarsi, siano i
più rapidi e snelli, sempre a patto che conservino una forza sufficiente a sopraffare la preda in
questo o in altri periodi dell’anno, quando potrebbero essere costretti a catturare altri animali.
Non trovo migliori ragioni per dubitare di questo di quanto non possa dubitare che l’uomo sia in
grado di migliorare la velocità dei suoi levrieri con una selezione accurata e metodica o con
quella selezione inconscia attuata da chiunque cerchi di assicurarsi i migliori cani senza
nemmeno pensare a modificarne la razza. […]
Ora, se un qualsiasi lieve cambiamento di abitudine o strutturale tornasse a vantaggio di
un singolo lupo, questo avrebbe le migliori probabilità di sopravvivere e di lasciare discendenti.
Alcuni di questi giovani probabilmente erediterebbero le stesse abitudini o la stessa struttura e,
con la reiterazione di questo processo, si potrebbe formare una nuova varietà che soppianterebbe
la forma originaria od esisterebbe insieme ad essa. Ancora: i lupi che vivono in un territorio
montagnoso e quelli che frequentano i bassopiani saranno necessariamente costretti a cacciare
prede differenti. Grazie alla conservazione degli individui più idonei di entrambi i gruppi,
lentamente si formeranno due varietà. Queste varietà si incrocerebbero e mescolerebbero là
dove si incontrassero. […]
La selezione naturale può operare soltanto mediante la conservazione e l’accumulo di
modificazioni ereditarie infinitesimalmente piccole, ognuna utile all’essere conservato, e, come
la moderna geologia ha quasi bandito certe idee quali lo scavo di una grande valle prodotta da
una sola ondata diluviale, così la selezione naturale, se è un principio ben fondato, bandirà l’idea
di una creazione continua di nuovi esseri viventi o di una grande e improvvisa modificazione
della loro struttura.
DARWIN C., On the Origin of Species, or the Preservation of the Favoured Races in the
Struggle for Life [1859], trad. It. BALDUCCI C., L’origine delle specie, Roma, Newton
Compton, 1974, pp. 109-10, 129-30, 135-37, 140.
Charles Darwin (1809-1882): la divergenza dei caratteri
Darwin ha posto le basi del moderno concetto di nicchia ecologica. Egli si riferisce infatti spesso al
fatto che variare nella giusta direzione significa variare nella direzione più idonea a riempire un
posto non occupato, quello cioè che offre migliori possibilità di impadronirsi di nuovi luoghi, di
diffondersi su una vasta zona. Questa intuizione è strettamente legata ad un principio fondamentale
della teoria darwiniana, ovvero quello della divergenza dei caratteri, esposto nel seguente passo
tratto dall’Origine delle specie. Le variazioni che si accumulano nel tempo sono infatti, sostiene
Darwin, quelle estreme, che più si distanziano dalla media e quindi più differiscono dalla forma
originale, dunque le più favorite ad inserirsi in un posto della natura non occupato. Di conseguenza
quella che era una semplice varietà ancora numericamente limitata finisce con l'acquisire le
dimensioni di una specie perdendo progressivamente ogni grado di affinità con la specie d'origine.
Quanto più i discendenti di una specie vengono a diversificarsi nella struttura, nella
costituzione e nelle abitudini, tanto più si troveranno nelle condizioni adatte ad impadronirsi di
molti e diversi posti nella compagine della natura e saranno in condizione di aumentare di
numero.
È un fenomeno che possiamo vedere chiaramente nel caso di animali dalle abitudini
semplici. Prendiamo il caso di un quadrupede carnivoro, che da molto tempo ha raggiunto la
densità numerica massima che possa essere sopportata mediamente da un qualsiasi paese. Se si
lascerà campo libero alla sua tendenza naturale a moltiplicarsi, esso potrà riuscire ad aumentare
di numero (senza che il paese subisca alcun mutamento nelle sue condizioni) solo se i suoi
discendenti, andando incontro a variazioni, saranno in grado di accaparrarsi posti attualmente
occupati da altri animali: per esempio alcuni tra questi discendenti acquisteranno la capacità di
nutrirsi di nuovi tipi di prede, morte o vive; altri andranno ad abitare in ambienti diversi,
arrampicandosi sugli alberi, frequentando le acque; taluni, forse, diventeranno meno carnivori. I
discendenti dei carnivori riusciranno ad occupare un numero di posti tanto maggiore, quanto più
differiranno dai progenitori. Quel che vale per un animale, vale in tutti i tempi e per tutti gli
animali, sempreché subiscano variazioni, dato che, diversamente, nulla può la selezione
naturale. Lo stesso dicasi delle piante. […]
In ciascun paese, sono le specie dei generi più vasti quelle che più spesso presentano
varietà o specie incipienti. In effetti questo è un fenomeno che ci si poteva aspettare, perché la
selezione naturale, sinché opera tramite il vantaggio che una forma può avere sulle altre nella
lotta per l’esistenza, opererà essenzialmente su quelle forme che già possiedono qualche
vantaggio. E la varietà di ciascun gruppo dimostra che le sue specie hanno ereditato in comune
qualche vantaggio da un comune antenato. Quindi la lotta per la produzione di nuovi e
modificati discendenti si svolgerà soprattutto tra i gruppi più vasti, che cercano tutti di
aumentare di numero. Un grosso gruppo vincerà lentamente un altro grosso gruppo, ne ridurrà il
numero e quindi ne ridurrà la possibilità di variare e perfezionarsi ulteriormente. Nell’ambito di
uno stesso grande gruppo, i sottogruppi più recenti e più altamente perfezionati, ramificandosi
ed accaparrandosi molti nuovi posti nell’economia della natura, tenderanno costantemente a
soppiantare e distruggere i gruppi più antichi e meno perfezionati. I gruppi piccoli e
frammentari ed i sottogruppi tenderanno col tempo a scomparire. […]
DARWIN C., On the Origin of Species, or the Preservation of the Favoured Races in the
Struggle for Life [1859], trad. It. BALDUCCI C., L’origine delle specie, Roma, Newton
Compton, 1974, pp. 154-55, 165.
Charles Darwin (1809-1882): la selezione sessuale
La selezione sessuale, teorizzata e presentata già all’interno dell’Origine delle specie, da cui è tratto
il seguente passo, diventerà per Darwin un fattore evolutivo autonomo, che si affianca alla selezione
naturale. Darwin dovrà infatti riconoscere che la particolare natura delle razze umane non può
essere spiegata né con gli effetti ereditari dell'uso né con la selezione naturale. Per mezzo di
quest'ultima, nota Darwin, solo le variazioni benefiche possono conservarsi, e per quanto è possibile
giudicare, nessuna delle differenze tra le razze è di qualche utilità diretta o particolare. Dunque è
necessario ricorrere alla selezione sessuale, i cui protagonisti sono tanto i maschi quanto le
femmine. La diversificazione delle razze umane deriverebbe dunque dalla diversità delle scelte
sessuali compiute da maschi dotati di canoni estetici diversi; canoni estetici che a loro volta si
sarebbero diversificati per cause naturali e stabilizzati per l'esistenza di barriere geografiche.
Stante il fatto che in condizioni di addomesticamento, spesse volte una caratteristica
compare in un solo sesso e in questo diventa ereditaria, è probabile che anche in natura si
verifichi lo stesso fenomeno e, se così è, la selezione naturale sarà in grado di modificare un
sesso nei suoi rapporti funzionali con l’altro sesso oppure in rapporto ad abitudini di vita
completamente differenti nei due sessi, come talvolta accade negli insetti. E questo ci induce a
dire qualche parola su quella che chiamo selezione sessuale. Essa non dipende da una lotta per
l’esistenza, bensì da una lotta fra i maschi per il possesso delle femmine, il cui risultato non è la
morte del contendente sfortunato, ma il fatto che questo avrà pochi o nessun successore. Quindi
la selezione sessuale è meno rigorosa della selezione naturale. In genere i maschi più vigorosi,
quelli, cioè, meglio adattati alla posizione che hanno in natura, lasceranno una progenie più
abbondante. Però, in molti casi, la vittoria non dipenderà da una generica robustezza; bensì dal
fatto di possedere armi speciali, limitatamente al sesso maschile. Un cervo senza corna od un
gallo senza speroni avrebbero ben poche probabilità di lasciare discendenti. La selezione
sessuale, consentendo sempre al vincitore di riprodursi, potrebbe sicuramente dare coraggio
indomabile, lunghezza dello sperone e forza d’ala che percuote la zampa armata di sperone, così
come può farlo il brutale allevatore di galli da combattimento che sa bene come migliorare la
razza selezionando accuratamente i galli migliori. Non so fino a che punto, nella scala
zoologica, scenda questa legge della battaglia. […]
Ho il vivo sospetto che alcune ben note leggi, relative al piumaggio degli uccelli maschi
e femmine in rapporto al piumaggio dei giovani, possano essere spiegate partendo dal concetto
che il piumaggio è stato modificato essenzialmente dalla selezione sessuale, la quale agisce
quando gli uccelli sono pervenuti all’età della riproduzione o durante la stagione della
riproduzione, per cui le modificazioni, che così si vengono a produrre, sono ereditate in età o
stagioni corrispondenti dai maschi soltanto, oppure dai maschi e dalle femmine. […]
Secondo me è per questo che, quando i maschi e le femmine di un qualsiasi animale
hanno gli stessi costumi generici di vita, ma differiscono nella struttura, nel colore o negli
ornamenti, tali differenze devono essere state provocate dalla selezione sessuale, vale a dire che
singoli maschi hanno acquisito, nel corso di successive generazioni, qualche leggero vantaggio
su altri maschi, relativamente alle armi, ai mezzi di difesa o alle attrattive ed hanno trasmesso
questi vantaggi ai discendenti di sesso maschile. Tuttavia non sono propenso ad attribuire tutte
queste differenze sessuali esclusivamente a tale fattore, perché, nei nostri animali domestici,
troviamo certe particolarità che compaiono nel sesso maschile e rimangono esclusive di questo
(come i bargigli nei piccioni viaggiatori e le protuberanze simili a corna dei maschi di taluni
gallinacei, ecc.), che non possono essere giudicate utili per i maschi in combattimento o attraenti
per le femmine. Anche in natura si osservano casi simili, come, per esempio, il ciuffo di pelo sul
petto del tacchino maschio che non può essere né utile né ornamentale per questo uccello, tanto
che, se fosse comparso nello stato di addomesticamento, questo ciuffo sarebbe stato giudicato
una mostruosità.
DARWIN C., On the Origin of Species, or the Preservation of the Favoured Races in the
Struggle for Life [1859], trad. It. BALDUCCI C., L’origine delle specie, Roma, Newton
Compton, 1974, pp. 133-35.
Darwin (1809-1882): le facoltà intellettuali e morali dell’uomo
Darwin ritiene che, con la comparsa dell’uomo, la selezione naturale abbia diminuito la sua forza di
azione sulla struttura fisica per concentrarla sulle facoltà intellettuali e morali: la superiorità di
queste doti, delle invenzioni e dei comportamenti utili al gruppo che esse hanno reso possibili, ha
fatto sì che alcune tribù ne soppiantassero altre. Altri fattori, però, hanno svolto la loro parte, come
l’imitazione del comportamento dei compagni più forti od autorevoli, la simpatia, derivata dagli
istinti sociali comuni ad altri animali, l’abitudine e l’educazione. La selezione naturale sarebbe
ancora all’opera nelle nazioni civili: la competizione fra gli individui di una società e fra le nazioni
è sottoposta alle stesse leggi vigenti nel regno animale e vegetale24.
Un grande passo nello sviluppo dell’intelletto si ebbe non appena entrò in uso il
linguaggio, per metà arte e per metà istinto; infatti il continuo uso del linguaggio deve aver agito
sul cervello e determinato un effetto ereditario; e questo a sua volta ha agito sul miglioramento
del linguaggio. La grandezza del cervello dell’uomo, relativamente al corpo, in confronto agli
animali inferiori, può attribuirsi in massima parte […] ad un primitivo uso di una semplice
forma di linguaggio, quel congegno meraviglioso che assegna parole ad ogni sorta di oggetti e
di qualità, e suscita una serie di pensieri che non sorgerebbero mai dalla pura impressione dei
sensi, o anche se si formassero non avrebbero alcun seguito. Le facoltà intellettuali più elevate
dell’uomo, come il ragionamento, l’astrazione, la consapevolezza ecc., probabilmente
derivarono dal continuo miglioramento delle facoltà mentali. […]
Un problema più interessante e difficile è lo sviluppo delle qualità morali; esse si
basano sugli istinti sociali, comprendendo con questo termine anche i legami familiari. Questi
istinti sono complessi, e, nel caso degli animali inferiori, determinano speciali tendenze verso
certe azioni definite; ma gli elementi più importanti sono l’amore e la simpatia25; che è
un’emozione diversa. Gli animali dotati di istinti sociali hanno piacere della compagnia dei loro
simili, si avvertono del pericolo, si difendono e si aiutano reciprocamente in ogni maniera.
Questi istinti non sono estesi a tutti gli individui della specie, ma soltanto a quelli della stessa
comunità. Poiché sono di gran beneficio alla specie, con tutta probabilità sono stati acquisiti per
selezione naturale. […]
Ho cercato di dimostrare che il senso morale deriva: in primo luogo, dal carattere
perdurante e sempre presente degli istinti sociali (e sotto questo aspetto l’uomo è simile agli
animali inferiori); in secondo luogo, dalla considerazione in cui l’uomo tiene l’approvazione o
la disapprovazione dei suoi compagni; in terzo luogo, dall’alto grado di attività delle sue facoltà
mentali e dall’estrema vivacità delle impressioni lasciate in lui dagli avvenimenti passati (e sotto
questo aspetto differisce dagli animali inferiori). […]
Gli animali che vivono in società in generale sono mossi in parte dal desiderio di aiutare
i membri della loro comunità, ma più comunemente da quello di compiere certe azioni definite.
L’uomo è spinto dallo stesso desiderio generale di aiutare i suoi compagni; ma ha pochi o
nessun istinto sociale. Egli differisce dagli animali inferiori anche per la facoltà di esprimere i
Wallace, al contrario di Darwin crede che la selezione naturale abbia cessato di agire sull’uomo.
Sostiene infatti l’idea di un ‹‹effetto regressivo dell’evoluzione››: dal momento in cui ha acquisito le
facoltà intellettuali che lo contraddistinguono, dal momento in cui, per conseguenza, sono entrati in
azione i sentimenti di socialità e solidarietà e hanno raggiunto il loro pieno sviluppo le facoltà morali,
l’uomo avrebbe cessato di essere influenzato dalla selezione naturale, almeno per quel che riguarda la sua
struttura fisica.
25
Qui e in seguito nel senso etimologico di ‹‹partecipazione ai sentimenti altrui››.
24
suoi desideri con le parole, che così diventano il mezzo di richiedere l’aiuto e concederlo. Allo
stesso modo, il vero motivo per cui l’uomo aiuta gli altri si è molto modificato: esso non è più
soltanto un cieco impulso istintivo, ma è molto influenzato dalla lode e dal biasimo dei
compagni. Il tenere in considerazione e il concedere lode e biasimo dipendono dalla simpatia, e
questa emozione […] è uno degli elementi più importanti degli istinti sociali. La simpatia,
sebbene trasmessa come un istinto, è molto rafforzata dall’esercizio e dall’abitudine. Poiché
ogni uomo desidera la propria felicità, si concedono la lode oppure il biasimo ad azioni e a
moventi, secondo che conducano o no a questo fine; dato che la felicità è una parte essenziale
del benessere generale, il principio della massima felicità serve indirettamente come la vera
misura del bene o del male. Man mano che la facoltà di ragionare si perfeziona e si acquista
esperienza, si intravedono gli effetti remoti di certe linee di condotta sul carattere dell’individuo
e sul bene generale; e allora le virtù personali, poiché rientrano nel dominio della pubblica
opinione, sono lodate, mentre vengono biasimate quelle contrarie. […]
La natura morale dell’uomo ha raggiunto il livello attuale in parte per il progresso del
ragionamento e quindi per la formazione di un giusto senso comune, ma specialmente perché le
sue simpatie son divenute più sensibili e più diffuse per effetto dell’abitudine, dell’esempio,
dell’istruzione e della riflessione. Non è improbabile che le buone tendenze, dopo una lunga
pratica, possano divenire ereditarie.
C., The Descent of Man and Selection in Relation to Sex [1871], trad. It. PAPARO F. (a
cura di), L’origine dell’uomo, Roma, Ed. Riuniti, 19762, pp. 232-36.
DARWIN
Charles Darwin (1809-1882): gli istinti
Nel 1872 Darwin pubblicò The expression of the emotions in man and animals, opera nella quale il
rilievo della selezione naturale venne ulteriormente accresciuto: essa è infatti considerata l’agente
principale dei mutamenti non solo biologici ma anche psichici. Egli tentò così di spiegare l’origine e
il processo evolutivo dei movimenti esprimenti emozioni ed istinti.
Supponiamo che in origine il sistema nervoso, perturbato a causa delle emozioni del
terrore o dell’ira, esercitasse un’azione diretta sui muscoli erettori dei peli, facendoli contrarre
debolmente […]. Per generazioni e generazioni gli animali sono stati ripetutamente eccitati dalla
paura e dalla rabbia, e di conseguenza gli effetti diretti del sistema nervoso turbato sulle
appendici cutanee sono quasi sicuramente diventati via via più marcati a causa dell’abitudine
[…]. A mano a mano che l’erezione dei peli diventava più forte e vistosa, essi devono averla
constatata sempre più spesso nei loro rivali e nei maschi arrabbiati, i quali in tal modo
assumevano dimensioni maggiori. Possiamo immaginare che, in queste circostanze, essi
abbiano desiderato far qualcosa per apparire più grandi e più spaventosi di fronte ai loro nemici,
e abbiano assunto volontariamente atteggiamenti minacciosi o lanciato urli feroci; atteggiamenti
e urli, che, in un secondo tempo, possono essere diventati istintivi in forza dell’abitudine. […]
Né si deve trascurare il ruolo che possono aver avuto la variazione e la selezione naturale;
infatti, i maschi che riuscirono ad assumere l’aspetto più spaventoso di fronte ai loro rivali o ad
altri loro nemici, anche se non avevano una superiorità schiacciante quanto a forza fisica,
lasciarono in media, rispetto agli altri maschi, una discendenza più numerosa che ereditò le loro
qualità caratteristiche, qualunque esse fossero e comunque fossero state acquisite la prima volta.
DARWIN C., The expression of the emotions in man and animals, London, Murray, 1872,
pp. 139, 147, 163.
Thomas Henry Huxley (1825-1895): il posto dell’uomo nella natura
Noto soprattutto per la sua dura polemica con Richard Owen26, Thomas Huxey fu definito il
‹‹mastino di Darwin›› per la forza con cui difese la teoria del naturalista inglese. La sua opera fu
fondamentale soprattutto dal punto di vista della divulgazione scientifica e del rinnovamento
culturale dell’Inghilterra vittoriana. Huxley prese inoltre posizione in merito al problema del posto
occupato dall’uomo nella natura con il celebre Evidences as to Man’s Place in Nature (1863).
[…] E così, qualsiasi sistema di organi sia studiato, quando si comparino le loro
modificazioni nella serie delle scimmie, si arriva ad una sola conclusione: che le differenze
strutturali che separano l’Uomo dal Gorilla e lo Scimpanzé non sono così grandi come quelle
che separano il Gorilla dalle scimmie inferiori.
Ma al momento stesso in cui enuncio questa importante verità devo mettermi al coperto
da una forma molto frequente di falsa interpretazione. Ho trovato infatti che quando uno cerca
di insegnare quello che la natura ci fa vedere con tanta chiarezza su questo argomento, le sue
opinioni finiscono poi per essere distorte e la loro interpretazione falsata, fino a farlo passare per
uno che dica che le differenze strutturali fra l’uomo e la scimmia – sia pure le più alte – sono
piccole o addirittura insignificanti. Colgo ora l’opportunità per affermare chiaramente che, al
contrario, queste differenze sono grandi e di gran significato; che ogni osso del Gorilla ha le sue
caratteristiche, per le quali si distingue dall’osso corrispondente dell’Uomo; e che – almeno
nella presente creazione – non vi sono ponti che superino la distanza tra Homo e Troglodytes.
Sarebbe non so se più falso od assurdo negare la realtà di questo spazio vuoto; ma
sarebbe almeno altrettanto falso ed assurdo esagerarne l’ampiezza e, impuntandosi sul fatto
indiscusso della sua esistenza, rifiutarsi di cercare di vedere se esso sia largo o stretto.
Ricordiamoci pure, se vogliamo, che non esiste anello di congiunzione tra l’Uomo e il Gorilla,
ma non dimentichiamo che la demarcazione tra il Gorilla e l’Orango, o tra l’Orango ed il
Gibbone, non è meno netta, e non meno completa la mancanza di forme di passaggio. Ho detto
non meno netta, e aggiungo che è in certo modo più stretta. Le differenze di struttura tra l’Uomo
e le scimmie Antropomorfe ci permettono di considerarlo come il rappresentate di una famiglia
da esse separata; ma, poi che l’uomo differisce meno dagli Antropodi che non essi dalle altre
famiglie dello stesso ordine, non sarebbe giustificato collocarlo in un ordine a sé stante.
Viene così giustificata la preveggenza sagace di quel grande legislatore della zoologia
sistematica che fu Linneo, e un secolo di ricerche nell’anatomia comparata ci riportano alla sua
conclusione, essere l’Uomo, come le Scimmie ed i Lemuridi, membro di uno stesso ordine, per
il quale si deve mantenere il termine di Primati. […]
Ma se veramente l’Uomo è separato dai bruti da una barriera strutturale non più ampia
di quelle che separano i bruti stessi tra loro, ne segue allora che se si riesce a scoprire un
processo di causalità fisica per il quale siano derivati i generi e le famiglie dei comuni animali,
Sviluppando l’ipotesi di Lorenz Oken e della naturalphilosophie romantica, Owen aveva sostenuto la
cosiddetta teoria vertebrale del cranio, ovvero l’idea che il cranio sia una vertebra diversamente
modificata nei vari animali. Da questo egli derivava che il cervello umano differisce dal cervello dei
gorilla più di quanto quest’ultimo differisca dal cervello dell’ultimo dei quadrumani. Contro queste idee,
che alimentavano molte perplessità sulle teorie dell’evoluzione dell’uomo da forme inferiori, Huxley
sferrò un pubblico attacco nel 1860 e sostenne che né l’estensione degli emisferi né il corno posteriore del
ventricolo laterale dell’Hippocampus minor sono peculiari dell’uomo. L’Hippocampus minor è un
piccolo rilievo interno che caratterizza il lobo posteriore di ciascun emisfero cerebrale. Il riferimento è
allo stesso Richard Owen ed alle sue ipotesi sulla netta separazione dell’uomo dagli altri primati nelle
classificazioni.
26
questo processo di causalità è anche ampiamente sufficiente a spiegare l’origine dell’Uomo. In
altre parole, se si potesse dimostrare che gli Arctopiteci, per esempio, hanno avuto origine da
modifiche graduali delle scimmie platirrine, o che gli Arctopiteci o Platirrini sono rami derivati
da un comune gruppo più primitivo, allora non vi sarebbe base razionale per dubitare che
l’uomo può essere originato o da modifiche graduali di una scimmia antropomorfa, o da un
ramo derivato dalle medesime forme primitive dalle quali hanno preso origine gli antropoidi
stessi. […]
Da ogni parte sentirò gridarmi: ‹‹Noi siamo uomini e donne, e non una specie
semplicemente migliorata di scimmie, un pò più lunga di gambe, col piede a dita non
opponibili, col cervello più grande dei vostri brutali scimpanzé e gorilla. Il potere della
conoscenza, la coscienza del bene e del male, la tenerezza e la pietà degli affetti umani ci
innalzano al di sopra di ogni reale consorteria coi bruti, per quanto essi ci possano sembrare
strettamente affini››.
Ed io posso solamente rispondere, che queste recriminazioni sarebbero giustissime ed
avrebbero la mia simpatia, se non fossero semplicemente irrilevanti. Ma non sono certo io che
cerco di fondare la dignità dell’Uomo sul suo alluce, o di insinuare che per noi uomini è finita se
una scimmia possiede l’Hippocampus minor. […] Io ho tentato di mostrare che tra il mondo
degli animali e noi non si può tirare, per quel che riguarda la struttura, nessuna linea di
demarcazione assoluta, o comunque più ampia di quelle che separano gli animali che vengono
subito dopo di noi nella scala; ed anche posso aggiungere che secondo la mia idea è ugualmente
futile il tentativo di tracciare una netta distinzione per quel che riguarda lo psichismo; e che
anche le facoltà più elevante del sentimento e dell’intelletto cominciano a germogliare in forme
do vita più basse.
HUXLEY T. H., Evidences as to Man’s Place in Nature [1863], trad. it. parziale PADOA
E. (a cura di), Il posto dell’uomo nella natura, Milano, Feltrinelli, 1956, pp. 49-52, 5657.
Giovanni Canestrini (1835-1900): la teoria di Darwin in Italia
Giovanni Canestrini fu il primo traduttore italiano dell’Origin of species e curatore di molte altre
edizioni darwiniane in lingua italiana. Il passo seguente è tratto da La teoria di Darwin criticamente
esposta da Giovanni Canestrini (1880), una delle opere per mezzo delle quali il naturalista trentino
registrò e soppesò le critiche, le revisioni e le alternative alla teoria darwiniana che venivano
maturando sulla scena scientifica internazionale. Con la sua proclamata fedeltà alle tesi darwiniane
e la tendenza a sottrarsi come Darwin alle dispute più accese sull’evoluzionismo, Canestrini si
guadagnò la fama di essere ‹‹il più darwiniano dei darwinisti››27
L’elezione naturale peraltro non è sufficiente da sola a spiegare tutti i caratteri che
hanno acquistato gli organismi. Fra questi ve n'hanno di quelli che sono sottratti alla lotta per
l’esistenza, perché vivono sotto la protezione dell'uomo; in tale caso ha agito l’elezione
artificiale. La quale elezione, quantunque sia stata attiva per un tempo relativamente breve, ha
adattato le forme selvagge ai bisogni dell'uomo od ai suoi concetti intorno alla bellezza od anche
semplicemente ai suoi capricci. Noi vediamo, per conseguenza, negli animali domestici e nelle
piante coltivate, variate e variabili quelle parti principalmente su cui l’uomo ha diretto la sua
attenzione. […]
V'ha un'altra serie di caratteri che l’elezione naturale non può spiegare, e sono i
caratteri sessuali secondari. Ognuno sa che il maschio differisce spesso dalla femmina,
prescindendo affatto dagli organi essenziali del sesso; questa diversità richiede una spiegazione.
Come v'ha una lotta per l'esistenza, che è seguita dalla sopravvivenza del più adatto; cosi si
combatte fra i maschi una lotta pel possesso della femmina, in cui restano vincitori i meglio
provveduti, e giungono a riprodursi. Questa lotta è talora cruenta e viene eseguita con armi
diverse, come le corna, i denti, gli sproni, ecc.; altre volte è incruenta, ed il maschio si fa
preferire dalla femmina in mezzo ai suoi rivali per la sua maggiore bellezza, o col fascino del
suo canto, o co' suoi profumi e con altri simili mezzi. Come l’elezione artificiale adatta i
prodotti domestici alle esigenze dell'uomo, e l’elezione naturale gli organismi nello stato di
natura alle loro condizioni di vita; cosi l’elezione sessuale fornisce i maschi di armi più o meno
poderose, e li rende graditi alle rispettive femmine. […]
L’elezione artificiale ha condotto a stabilire l’elezione naturale; e questa essendo
insufficiente a spiegare un' intera serie di fatti, intimamente tra loro collegati, e cioè i caratteri
sessuali secondari, si giunse a stabilire il terzo principio, quello dell’elezione sessuale.
Quest'ultima elezione ha incontrato molti avversari, e sembra realmente che il Darwin le abbia
attribuito una eccessiva importanza. Per togliere le obbiezioni che furono sollevate in proposito,
conviene ammettere che nello sviluppo di alcuni caratteri sessuali secondari, oltre l’elezione
sessuale, abbia agito eziandio la naturale; né devesi dimenticare che alcuni caratteri possono
essere semplicemente d'indole morfologica. L’elezione naturale può aver contribuito alla
produzione dei caratteri sessuali secondari in due maniere, sia sviluppando le armi dei maschi,
affinché sieno adoperate non solo nella lotta sessuale, ma eziandio nella lotta per la vita; sia
togliendo alle femmine i colori vivi per sottrarle alla vista de' loro nemici. Sembra poi probabile
che i colori splendenti di alcuni maschi, sopratutto fra gli iccelli e fra gli insetti, sieno in parte
dovuti alla struttura intima dell'integumento, e quindi abbiano un' origine morfologica.
L’espressione è di Paolo Mantegazza ed è riportata dallo stesso Canestrini in Per l’evoluzione, Torino,
Utet, 1894, p.179
27
Contro la teoria dell'evoluzione si obbietta assai spesso, che mancano le forme
intermedie richieste da questa teoria, e che la trasformazione non può essere effettivamente
dimostrata nemmeno per una sola specie. Ma tali obbiezioni non sono fondate. Se il numero
delle forme conosciute di transizione non é grandissimo, ciò devesi al fatto che non tutte si
conservarono, e che la massima parte di quelle, che lasciarono traccia di sé , giacciono ancora
ignote nella corteccia terrestre. […]
Nel porre la questione che risolve la teoria darwiniana, noi abbiamo parlato di un
unico organismo da cui si suppongono discesi tutti gli altri. Veramente, il Darwin crede che
questi stipiti possano essere stati parecchi; ma la maggior parte dei naturalisti non accetta questa
opinione, e spingendo la teoria alle ultime sue conseguenze, fa discendere tutto il mondo
organico da un unico e semplicissimo organismo. Questo modo di vedere trova un forte
appoggio nell’affinità che esiste tra le infime piante e gli infimi animali, come anche nel fatto
che nessuna serie animale (e forse nemmeno vegetale) è talmente isolata o staccata dalle altre,
da escludere la possibilità di un nesso genetico.
CANESTRINI G., La teoria di Darwin criticamente esposta da Giovanni Canestrini, Milano,
Dumolard, 1880, pp. 333-336, 347.
Giovanni Canestrini (1835-1900): l’origine dell’uomo
L’importanza di Canestrini in relazione alla storia dell’evoluzionismo non si limitò alla
divulgazione delle tesi darwiniane: negli anni Sessanta dell’Ottocento egli fornì alcuni contributi
originali nell’ambito delle prime applicazioni della teoria di Darwin, in modo particolare per ciò che
riguarda il problema dell’origine dell’uomo e della sua evoluzione. Gli studi in questo campo gli
valsero anche una citazione da parte dello stesso Darwin28.
Se si fa discendere l’uomo direttamente dalle scimie, bisogna scegliere fra due
alternative. O si fa discendere le specie umane da tre scimie, e in questo caso si va incontro a
tutte le difficoltà che porta seco questa teoria e che abbiamo già accennate; - o si fa discendere
le specie umane da una sola scimia e si urterà contro l’ostacolo che nessuna scimia
antropomorfa s’accosta più delle altre all’uomo.
L’idea che fa discendere l’uomo direttamente dalla scimmia va soggetta
all’obbiezione, che cioè una mano non può in breve tempo essere trasformata in un piede, e tale
trasformazione dovrebbe essere avvenuta in un tempo, geologicamente parlando, ben corto per
l’antichità uguale o quasi uguale dei quadrumani e dei bimani.
La questione, a mio credere, va risolta da un altro punto di vista. L’uomo non
discende già dalle scimie, sibbene da uno stipite comune con queste. Lo stipite dei mammiferi
diede origine a due serie di animali, ai mammiferi aplacentarii ed ai placentarii. Dalla specie
originaria di questi ultimi si svilupparono due altre serie, i placentarii inferiori ed i placentarii
superiori (Primati). Dalla specie originaria dei Primati si svolsero due ordini di animali, i
quadrumani e i bimani.
Si potrà domandare, se oggidì esista la specie originaria dei Primati? Dobbiamo
rispondere negativamente, né potrebbe essere altrimenti secondo le idee Darwiniane sulla
estinzione […].
Si potrà inoltre domandare, se questo Primate originario sia stato trovato almeno allo
stato fossile? Anche a questa domanda bisogna per ora rispondere negativamente. Né ciò ci
recherà sorpresa, se teniamo conto della imperfezione delle memorie geologiche. […] Tale
imperfezione spiega ancora la nostra ignoranza rispetto alle forme intermedie tra lo stipite dei
Primati e l’uomo. Qui è al suo luogo un’altra osservazione. Queste forme intermedie potevano
essere assai fugaci, di breve durata. Probabilmente le prime variazioni avvennero in breve
tempo, con grande rapidità. Una specie che, pel cambiamento o per altri motivi incominciò a
variare, avrà dovuto subire in brev’ora parecchie modificazioni, finché si sarà sviluppata quella
specie, la quale, per essere adattata alle condizioni di vita, sarà vissuta, non variando o variando
solo leggermente, per lunghissimo tempo.
Lo stipite dei Primati dovea essere quadrupede, sia perché era un discendente dello
stipite di tutti i mammiferi placentarii, sia perché nelle due serie da esso discese troviamo ancora
la struttura anatomica del piede negli arti posteriori.
La trasformazione del piede in mano non può dar luogo a gravi obbiezioni, dopo
quanto fu sopra esposto. Nel corso di molte generazioni può cambiarsi la disposizione delle ossa
28
Gli studi di Canestrini sono citati da Darwin in The descent of man, and selection in relation to sex
(1871) all’interno del capitolo in cui il naturalista inglese tratta delle modalità di sviluppo dell’uomo da
forme inferiori. DARWIN C., The descent of man, and selection in relation to sex, London, Penguin, 2004,
p.57 (Trad. it. DARWIN C., L’origine dell’uomo, Pordenone, Studio Tesi, 1991, p. 46).
del tarso, può farsi lungo qualche breve muscolo flessore od estensore, ed il non uso può
sopprimere il lungo peroneo.
In favore di tale opinione milita il fatto, che i muscoli umani vanno soggetti a molte
variazioni, delle quali può ben impadronirsi l’elezione naturale. Citerò alcuni esempi. Il
muscolo triangolare dello sterno è ora notabilmente sviluppato ed ora ridotto ad uno o due fasci
(Blandin); il piccolo zigomatico può mancare del tutto (Blandin); così pure manca qualche volta
interamente il palmare gracile (Blandin); […] talora manca la porzione corta del bicipite
(Meckel); il corto peroneo laterale è talvolta doppio (Meckel); può mancare il plantare gracile
(Hyrtl); non è raro che manchi l’ultima porzione del flessore corto comune delle dita (Blandin).
[…]
In una serie di discendenti dallo stipite dei Primati furono gli arti anteriori che
incominciarono a convertirsi in mani, ed hanno oggidì raggiunta tale struttura, mentre gli arti
posteriori sono ancora in via di trasformazione. […]
Nell’altra serie di Primati, cioè nell’uomo, è avvenuto un fenomeno diverso. Mentre
gli arti posteriori si trasformavano in piedi atti alla stazione eretta, gli arti anteriori si sono
cambiati in mani; attualmente e le mani e i piedi hanno raggiunto una grande perfezione; ma le
forme intermedie tra lo stipite dei Primati e la specie vivente non erano al certo molto favorite
dalla natura e quindi scomparvero tosto dalla superficie terrestre.
In favore dell’opinione che l’uomo e le scimie discendano da un ceppo comune,
giungono i recenti studii del Vogt intorno ai microcefali. […]
Entro il tipo, su cui è foggiato il cervello dei Primati, l’encefalo dell’uomo normale
rappresenta un sottotipo diverso da quello che riscontrasi nell’encefalo del microcefalo e del
quadrumane, e siccome il primo non può essere derivato dal secondo in linea retta, devesi
cercare l’origine comune di entrambi.
Ricorriamo all’embriologia. Nell’embrione umano trimestre esiste già la fossa di
Silvio, larga e poco profonda; ma l’isola è allo scoperto, perché non si è ancora sviluppato
l’opercolo. Noi abbiamo perciò nel cervello dell’embrione trimestre un punto indifferente, dal
quale è possibile procedere tanto nello svolgimento che conduce al cervello scimiano, quanto in
quello che finisce col cervello umano. […]
Noi siamo dunque, per questa via, condotti ad ammettere uno stipite comune di tutti i
Primati, da cui discesero direttamente ed indipendentemente tra loro i quadrumani e i bimani.
CANESTRINI G., L’origine dell’uomo, Milano, Brigola, 1870, pp. 140-144, 146150.
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