La complessità irriducibile
Scritto da Umberto FASOL
«L’esistenza dell’uomo, un tempo il massimo dei misteri, oggi non è più tale perché l’enigma è
stato risolto per merito di Darwin e di Wallace, ai cui risultati noi continueremo per un bel po’ di
tempo ad aggiungere note in calce». É veramente difficile trovarsi d’accordo con questa perentoria
conclusione di Richard Dawkins, tratta da L’orologiaio cieco; l’autore è uno dei nomi più
prestigiosi della biologia evoluzionistica ed è attualmente presente in tutte le librerie con il suo
L’illusione di Dio. In tutta onestà, quella di Dawkins sembra più una presa di posizione che non la
registrazione della realtà: rispetto alla seconda metà dell’Ottocento, per esempio, la Fisica ha avuto
un’espansione impressionante: è cambiato il modello dell’atomo, sono nate la fisica relativistica e la
meccanica quantistica, si sono sviluppate nuove geometrie non euclidee, è spuntata come dal nulla
tutta la moderna elettronica che avvolge la nostra quotidianità. Com’è possibile credere che nella
biologia tutto sia rimasto fermo al 1859 e dintorni? Le leggi di Mendel sull’ereditarietà dei
caratteri, i cromosomi presenti nel nucleo, il processo di formazione delle cellule riproduttive, la
membrana cellulare, il DNA, il codice genetico, le vie metaboliche cellulari, l’anatomia e la
fisiologia fine di ogni organo e di ogni apparato: tutte cose assolutamente sconosciute ai tempi del
padre della teoria evoluzionista, sono solo “note in calce” alla sua opera? C’è qualcosa che non
quadra. I biologi contemporanei non vanno più a caccia di farfalle, né raccolgono vegetali per
creare erbari esotici; oggi devono studiare Biochimica, Chimica Organica, Genetica, Biologia
molecolare, ecc. La nuova password necessaria per entrare nel mondo della cellula, cioè nel mondo
della vita perché la vita è fatta di cellule, è complessità irriducibile. Il termine, reso famoso dal
biochimico americano Michael Behe, nel suo celebre Darwin’s black box, del 1996, è utilizzabile
ogni volta che si vuole descrivere un organo come l’occhio, o come il cuore, ma anche quando ci si
concentra su una sola parte della cellula come la membrana; diventa tuttavia particolarmente
efficace quando si osservi la rete metabolica cellulare. Frecce, curve e linee, collegano tra loro le
molecole del citoplasma, come il glucosio, i grassi, le proteine, gli amminoacidi, ecc. La cellula
vive grazie al brulichìo incessante delle sue molecole che sono in ogni istante in trasformazione al
centro di nodi che inviano e ricevono da svariate direzioni. Ogni reazione chimica è resa possibile
da almeno un enzima esclusivo e il prodotto finale della singola trasformazione è in realtà
l’intermedio di altre numerose vie, in parte anche imprevedibili e comunque spesso diverse da
quelle imboccate un istante prima. Questa è la vita che dev’essere interpretata dal biologo che si
occupa di “origine” e di “evoluzione”: non più colli di pecore che si allungano per dar vita alla
giraffa o pinne che si irrobustiscono per far uscire il pesce dall’acqua, ma legami chimici che si
sciolgono e si ricombinano in modo nuovo all’interno di un immenso mosaico, che si conserva nel
tempo nonostante le continue trasformazioni dei suoi tasselli. Complessità, dunque, perché la
cellula è formata da un numero inimmaginabile di “pezzi”, tutti in “rete” tra loro, dipendenti gli uni
dagli altri, anche se lontani, organizzati per realizzare uno scopo, che in questo caso è la vita stessa.
Irriducibile, perché nessuna delle parti realizza il tutto: nessuna molecola “vive”, ma la loro “rete”
vive; il progetto della vita non è incluso in alcuna componente della cellula, nemmeno nel DNA, ma
è compartecipato sotto la guida di una regìa che ancora non è identificabile. Per spiegare
l’organizzazione della materia in vista di uno scopo, ci vuole qualcosa di più di una mutazione che
provoca errori e di un ambiente che seleziona le variazioni più adatte a se stesso. Chi, come il
sottoscritto, sfoglia il Lehninger, il grande manuale di Biochimica dell’Università (mille pagine) e
cerca la parola evoluzione, si ritrova con un solo paragrafo, di un paio di pagine; in tutto il libro non
si fa alcun cenno a quali mutazioni possano aver generato le molecole e le loro reazioni.
Semplicemente perché nessuno crede che esistano.
BIBLIOGRAFIA
Michael J. Behe, La scatola nera di Darwin. La sfida biochimica all’evoluzione, trad. it. a cura di
Nazzareno Ulfo, Alfa & Omega, 2007.
Ferdinando Catalano, La vita e il respiro e ogni cosa. Termodinamica e abiogenesi, Aracne, 2009.
Roberto De Mattei (a cura di), Evoluzionismo: il tramonto di una ipotesi, Cantagalli, 2009.
Mihael Georgiev, Charles Darwin oltre le colonne d’Ercole. Protagonisti, fatti, idee e strategie del
dibattito sulle origini e sull’evoluzione, Gribaudi, 2009.
Marco Respinti, Processo a Darwin, Piemme, 2008.
Jonathan Wells, Le balle di Darwin. Guida politicamente scorretta al darwinismo e al disegno
intelligente, trad. it., Rubbettino, 2009.
Umberto Fasol, La creazione della vita, Fede & Cultura, 2007.