Diocesi di Piacenza-Bobbio
Ufficio Stampa: Servizio Documentazione
Istituto Casa Madre degli Scalabriniani
Convegno indetto dall’Ufficio Comunicazioni
“Il ruolo della Comunicazione
dopo l’istituzione delle Unità Pastorali”
11 gennaio 2003
Presiede mons. Luciano Monari, Vescovo
Lettura: Atti (26, 12-23): “Ti sono apparso per costituirti testimone di quelle cose che hai
visto. L’esperienza dell’apostolo Paolo”.
Omelia
0. L’autodifesa di Paolo diventa in realtà una testimonianza a Gesù
Il brano fa parte dell’apologia che Paolo pronuncia di fronte al prefetto Festo e al re Agrippa; Paolo
è in prigione a Cesarea Marittima dopo essere arrestato a Gerusalemme, e gli viene data la
possibilità di difendersi (cfr. At cap. 23-25).
Il capitolo incomincia con Agrippa che dice a Paolo proprio così: «Ti è data la facoltà di parlare di
te, Paolo» (At 26, 1), e Paolo parla. Ma come deve succedere in realtà Paolo non parla tanto di sé,
parla di Gesù, dell’esperienza che lui ha fatto di Gesù e di quello che lui predica e testimonia di
Gesù. Cioè Paolo fa quello che è detto nei Vangeli: “Quando sarete chiamati in tribunale non
preoccupatevi di quello o di che cosa dovrete dire, perché ci sarà lo Spirito Santo che vi insegnerà
quello che dovete dire, e ne renderete testimonianza” (cfr. Mt 10, 19-20; Mc 13, 9-11; Lc 21, 1213).
Quindi, l’autodifesa diventa in realtà una testimonianza a Gesù.
Come? In due modi.
1. C’è il racconto dell’esperienza che Paolo ha fatto sulla via di Damasco.
Durante questa esperienza a Paolo viene incontro il Signore, e a Paolo il
Signore affida la missione.
2. Poi Paolo dice brevemente come lui ha eseguito la missione che gli è stata
affidata.
1. Con l’esperienza di Damasco Paolo riceve la Missione dal Signore
Dunque, innanzitutto la missione di Paolo.
1.1. L’esperienza di Paolo: in lui è entrata una forza più grande
Mentre va a Damasco, per perseguitare i cristiani che abitano in quella città, “qualcuno fa
irruzione nella sua vita”, e con una forza alla quale è impossibile resistere.
 Inanzitutto c’è l’immagine di “una luce abbagliante che avvolge Paolo e
tutti i suoi compagni” (cfr. At 26, 13).
 Poi c’è l’affermazione di una forza irresistibile che scaraventa a terra
Paolo e si suoi compagni: «cadono tutti per terra» (cfr. At 26, 14).
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 Poi viene detto a Paolo: «Duro è per te ricalcitrare al pungolo» (At 26,
14b). È una specie di proverbio dell’ambiente ellenistico, che vuole dire: è
impossibile sottrarsi al destino (cfr. nota della Bibbia di Gerusalemme). In
questo caso il discorso è: c’è una forza alla quale ti devi arrendere, non puoi
opporti a quel pungolo che ti sta guidando e orientando.
 Ultima cosa, nel dialogo tra Paolo e quella voce che gli si rivolge, viene
usata più volte quella parola “Signore”: «Saulo, Saulo, perché mi
perseguiti? Duro è per te ricalcitrare contro il pungolo. [15]E io dissi: Chi
sei, o Signore?» (At 26, 14b-15a). “Signore” vuole dire: uno che si presenta
con autorità, con potere, di fronte al quale Paolo non può altro che
sottomettersi in un atteggiamento di docilità e di obbedienza.
Dunque, è entrato nella sua vita una forza più grande di lui.
1.1.1. Questa forza s’impone in Paolo attraverso la Parola
D’altra parte questa forza non s’impone in modo anonimo, semplicemente come forza. S’impone
attraverso un dialogo, attraverso la Parola, quindi chiamando Paolo a una risposta responsabile di
consapevolezza di vita: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?».
Il “perché” vuole dire: in realtà Paolo sta facendo qualche cosa che non capisce del tutto; le
motivazioni per quello che sta facendo non sono sufficientemente profonde, né chiare. Quindi il
“perché” è il richiamare Paolo alla consapevolezza di sé: “Perché stai facendo quello che fai? Non
sai nemmeno tu quello che stai facendo”.
Di fatto, quando Paolo dice: «Chi sei, o Signore?». La risposta è: «Io sono Gesù, che tu perseguiti»
(At 26, 15b). Vuole dire: la rivelazione a Paolo del significato di quello che lui sta facendo e Paolo
in realtà non conosce; senza saperlo, Paolo, in realtà “perseguita colui che è il suo Signore”.
1.1.2. L’identificazione del Risorto con i credenti
Evidentemente, implicito in questo discorso c’è l’identificazione del Risorto con i credenti. Cioè
Gesù risorto e la comunità cristiana sono la stessa cosa, per cui la persecuzione della comunità
cristiana è in realtà persecuzione del Signore. E di fronte a questa rivelazione Paolo può rivedere la
sua vita in un’ottica nuova.
1.2. A Paolo è affidata una missione: “Ti mando ai pagani”
Insieme e immediatamente a Paolo è affidata una missione.
«Ti sono apparso infatti per costituirti ministro e testimone di quelle cose che hai visto e di quelle
per cui ti apparirò ancora. [17]Per questo ti libererò dal popolo e dai pagani, ai quali ti mando
(…)» (At 26, 16-17); e questa è la missione: “Ti mando ai pagani”.
Per che cosa? «[18] (…) per aprire loro gli occhi, perché passino dalle tenebre alla luce e dal potere
di satana a Dio e ottengano la remissione dei peccati e l’eredità in mezzo a coloro che sono stati
santificati per la fede in me» (At 26, 18). Questo è il contenuto della missione.
1.2.1. La missione è data a Paolo nel momento stesso in cui incontra il Signore
La cosa interessante è che la missione è data a Paolo nel momento stesso in cui incontra il
Signore. Se ha ragione san Luca, Paolo non è diventato cristiano e dopo un po’ apostolo. Paolo è
diventato direttamente cristiano apostolo, perché nel momento stesso in cui ha incontrato Gesù, il
Gesù risorto, ha ricevuto da Lui una missione. Quindi, non si è semplicemente convertito, ha
accolto un compito dal Signore.
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1.2.2. Il compito particolare della sua missione riguarda in particolare i pagani
Il compito riguarda in particolare i pagani – riguarda tutti, il popolo di Israele e i pagani, ma in
modo particolare i pagani. Di fatti, è “a loro che Paolo deve aprire gli occhi”. “Aprire gli occhi”
vuole dire: «passino dalle tenebre alla luce». La “tenebra” è il paganesimo, è l’idolatria; è il non
conoscere Dio, il non sapere l’amore di Dio e la misericordia di Dio e la fedeltà di Dio… tutte
quelle cose che sono scritte nell’esperienza religiosa d’Israele, che sono scritte nel Primo
Testamento, nell’Alleanza con il popolo. Tutte queste cose i pagani le ignorano e, non sapendo chi è
Dio, non sanno nemmeno con chiarezza che cosa sia il mondo e quale sia il senso della vita umana.
1.2.3. Paolo serve affinché l’esistenza dei pagani sia Illuminata
Ebbene, queste persone “devono passare dalle tenebre alla luce”; e Paolo serve a questo: devono
«passare dal potere di satana a Dio». S’intende, secondo Paolo, l’idolatria è esperienza dietro a cui
sta un potere di male, di negatività; e il “passaggio da satana a Dio” è il passaggio da una schiavitù
a una libertà. “La schiavitù di satana” non c’è bisogno di spiegarla, pensate a tutti gli indemoniati
del Vangelo e la questione diventa chiara.
Tutto questo comporta:
 «la remissione dei peccati», quindi la purificazione del passato; e
«l’eredità», quindi l’apertura del futuro. Il “passato” non è più un peso che
blocchi il cammino dell’uomo, e il “futuro” non è più un’oscurità incerta.
 Il passato è cancellato dal perdono di Dio, ricuperato dentro ad un
cammino di salvezza.
 Il futuro è «l’eredità in mezzo ai santificati», quindi il futuro è la
partecipazione alla vita di Dio. L’«eredità» è esattamente quella dei figli,
sono i figli che diventano eredi; Dio è Padre, quella vita che è del Padre
passa ai figli (cfr. Rm 8, 16-17); questo è il futuro.
In questo senso la loro esistenza è evidentemente Illuminata: vedono il passato con degli occhi
nuovi e si aprono al futuro con una speranza nuova.
Questa è l’esperienza di Damasco.
2. Paolo da Apostolo ha compiuto la missione che gli è stata affidata
Poi Paolo racconta come lui, da Apostolo, ha compiuto quello che gli era stato affidato.
«[19]Pertanto, o re Agrippa, io non ho disobbedito alla visione celeste» (At 26, 19). Ed è come dire:
“Se io ho cominciato a fare il predicatore di Gesù Cristo, non è perché ho voluto affermare una mia
concezione personale della religione, quindi proporre quella che si chiamerebbe una «eresia»”.
2.1. Paolo non è eretico ma obbedisce alla volontà di Dio
Il termine “eresia”, háiresis, vuole dire: scelta. Nasce un’eresia quando una persona sceglie in
modo personale il contenuto della sua fede. Mentre il “contenuto della fede” non è una scelta mia, è
l’accoglimento di una rivelazione di Dio. Non si possono fare scelte: io credo così. Si tratta di
accogliere quello che Dio ha detto di se stesso.
Ebbene, Paolo dice: “Io non ho fatto una scelta di essere predicatore o di scegliere Gesù Cristo o
cose del genere; semplicemente «ho obbedito alla visione celeste», alla visione divina che viene dal
Cielo; quindi sto dentro a un’obbedienza, sto facendo la volontà di Dio e non la mia”.
Poi racconta la sua predicazione a Damasco, a Gerusalemme, a Giudea, ai pagani, «predicando di
convertirsi e di rivolgersi a Dio, e di comportarsi in maniera degna della conversione» (At 26, 20).
Questo s’intende: sono le opere di bene e di giustizia che bisogna fare, e diventano il segno che una
persona sia davvero “voltata verso Dio”, perché compie la volontà di Dio.
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2.2. Paolo spiega il contenuto del Vangelo
Ha conosciuto in questo la persecuzione dei Giudei e l’aiuto di Dio; e dice: “Proprio per questo
aiuto «posso ancora rendere testimonianza ai piccoli e ai grandi»” (At 26, 21-22a).
E spiega qual è il contenuto del Vangelo: «Null’altro io affermo se non quello che i profeti e Mosè
dichiararono che doveva accadere, [23]che cioè il Cristo sarebbe morto, e che, primo tra i risorti da
morte, avrebbe annunziato la luce al popolo e ai pagani» (At 26, 22b-23). Questo è
interessantissimo.
Paolo dice: “Posso, per l’aiuto di Dio – nonostante le persecuzioni, le sofferenze –, rendere
testimonianza, ho la forza”. E lo sta facendo davanti al tribunale del prefetto di Roma.
Che cosa dice Paolo?: “Inanzitutto niente di diverso da quello che hanno detto «i profeti e Mosè»”.
Torno al discorso di prima: quella di Paolo non è un’eresia, non è una scelta in mezzo al complesso
di qualche cosa della fede d’Israele. È semplicemente la fede nelle promesse dei profeti e di Mosè.
2.2.1. Le promesse di Mosè sono annunciate come compiute
La novità è che evidentemente queste promesse di Mosè sono annunciate come compiute. In
Gesù Cristo, quello che profeti avevano detto e Mosè aveva annunciato, si è realizzato. È questa la
differenza rispetto a Israele: il compimento, ma non il contenuto. Non c’è qualche cosa di diverso,
di nuovo, ma c’è il compimento dell’Antico, della Promessa. “Quindi, io non annuncio «nient’altro
se non quello che i profeti e Mosè dichiararono che doveva accadere»”.
2.2.2. Il contenuto delle promesse sono la passione, la risurrezione e l’annuncio del Vangelo
E qual è il contenuto di queste promesse e di questo annuncio? Tre cose.
1. «Il Cristo sarebbe morto».
2. Sarebbe risorto, «primo tra i risorti da morto».
3. «Avrebbe annunciato la luce al popolo e ai pagani».
Quindi, passione, risurrezione e annuncio del Vangelo. L’annuncio del Vangelo sta dentro al
contenuto della storia della salvezza; tutte e tre le cose: passione, risurrezione e annuncio.
2.2.3. Paolo propone il Risorto come la sorgente dell’Annuncio
E in un modo strano Paolo propone il Risorto come la sorgente dell’Annuncio. In realtà chi
annuncia è la persona Paolo di Tarso, o l’apostolo o il predicatore. Ma secondo questo brano chi
annuncia è il Cristo risorto, che «annuncia la luce al popolo e ai pagani», servendosi di Paolo, di
Pietro, di Apollo… servendosi dei predicatori. Ma è Lui che annuncia la luce, è Lui il Risorto che
ha vinto la morte, che ha vinto quindi anche il peccato.
A motivo di questa vittoria è in grado di proporre non una luce mentale, semplicemente qualche
cosa di immaginato, un’idea nuova che illumina la mente dell’uomo. Ma una luce che si inserisce
nell’esperienza, che coinvolge la vita dell’uomo, che è luce della risurrezione, che è luce della vita
eterna, che è partecipazione effettiva alla vita di Dio.
3. Il significato che questo brano può avere per noi
Ebbene, tutto questo dice il brano che abbiamo ascoltato. Che cosa può significare per noi?
Alcune cose.
1. Esistere come credente per gli altri significa avere una missione
“Essere cristiani” e “avere una missione”, sono due realtà che si identificano. È vero che noi
diventiamo consapevoli della nostra missione e vocazione con il tempo, ci arriviamo a 18/30/48…
anni. Però è altrettanto vero che:
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 la missione non si aggiunge al nostro essere cristiani come se fosse un di
più;
 ne è semplicemente il frutto, la rivelazione, la manifestazione;
 ciascuno di noi è chiamato a esistere non solo pere sé, ma anche per gli
altri.
Esistere come credente per gli altri significa avere una missione.
2. Alla radice della missione ci sta l’amore per l’uomo
Questa missione è evidentemente orientata alla vita dell’uomo, perché l’uomo:
 sia Illuminato, quindi abbia una percezione del senso del cammino che
sta vivendo,
 sia Libero, quindi servo del Signore anziché schiavo di satana,
 abbia una Speranza perché il futuro non sia davanti all’uomo un futuro di
oscurità e di incertezza ma sia una eredità che gli viene promessa.
Quindi, alla radice della missione ci sta l’amore per l’uomo. Riusciamo ad annunciare il Vangelo
se vogliamo bene alla gente, se c’è nel nostro cuore una passione autentica per la felicità, il bene, la
salvezza, il compimento della vita delle persone.
3. Il contenuto che noi annunciamo è: la morte e la risurrezione di Cristo, e la luce
del Vangelo annunciato per tutti
Il contenuto che noi annunciamo sta in quelle tre cose di Cristo che abbiamo ascoltato alla fine: la
morte e la risurrezione di Cristo, e la luce del Vangelo annunciato per tutti. Si tratta di ritornare
continuamente al Signore. Chiaramente bisogna annunciare:
 La passione del Signore come realtà che illumina il cammino di
sofferenza dell’uomo e la sua morte.
 La risurrezione del Signore come una speranza che si apre alla nostra
esistenza, all’esistenza dell’uomo di oggi.
 La luce al popolo e ai pagani nella convinzione che quello che Dio ha
compiuto in Gesù Cristo non è per qualcuno ma per tutti, non è
monopolizzabile ma deve essere dilatato e aperto a tutti.
Ecco, questo è il senso del brano che mi è stato chiesto di commentare. Poi si tratta di vedere come
questo Annuncio, questo «annunciare la luce al popolo e ai pagani», possa essere compiuto
attraverso gli strumenti dei mezzi di comunicazione, e lì gli esperti siete voi e io ora ascolto.
* Documento rilevato dalla registrazione, adattato al linguaggio scritto, non rivisto dall’autore.
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