Comunicato n.21 - Come giudicare il bello?

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COMUNICATO N. 21
Come giudicare il bello?
Il filosofo Remo Bodei racconta, in una lectio che è anche l’ideale didascalia di
questo Festival della Scienza, cosa si nasconde dietro al concetto di bellezza.
Da Pitagora a Leopardi, cercando l’infinito.
Genova, 1 novembre 2013. Che cos’è, davvero, la bellezza? E’ qualcosa di calcolabile, di
simmetrico, come veniva considerata da Pitagora al Rinascimento? O c’è un “non so che”,
come già sosteneva Cicerone, qualcosa di soggettivo, legato al gusto? La lectio
magistralis del filosofo Remo Bodei è un viaggio denso e appassionante che spazia
dall’arte alla musica (“il più universale dei concetti”) alla poesia (“un canto di Leopardi si
può leggere infinite volte, e ci troverò ancora nuovi sensi”), da Spinoza ad Einstein fino alla
scienza, che è capace anch’essa di produrre bellezza incommensurabile. E fine a se
stessa. Perché “ridurre tutto alla funzionalità è sbagliato – avverte Bodei – pensiamo
alla filosofia: non serve a niente. Ma apre all’uomo un orizzonte di senso”.
Il viaggio di Bodei attraverso il bello parte dal Rinascimento, quando la bellezza era
“ordinata e calcolabile”: “La parola cosmos indicava il belletto delle donne, il termine
mundus significa pulito, contrapposto a immondo, immondizia. Nessuno potrebbe capire
Piero della Francesca senza i suoi studi sull’armonia. Questo modello di bellezza era
preminente. Poi c’è una versione per cui la bellezza nasce con Plotino: la bellezza è
aglaia, splendore. Una bellezza non misurabile. Ma per duemila anni la bellezza è stata
considerata del tipo Pitagorico: misurabile, canonica”.
E’ dal Barocco in poi, che il concetto cambia: “Perde il carattere della calcolabilità –
racconta Bodei – e la bellezza come semplice proporzione diventa qualcosa di freddo: era
già Cicerone che parlava di “nescio quid”, non so che. Ecco: ora cade l’idea di
proporzione, di simmetria: il viso umano tagliato a metà non è perfettamente simmetrico,
questo si capisce da alcuni studi di anatomia”.
Questa “perdita di simmetria” tocca anche la scienza, in un certo senso. “Il matematico
Hermann Weyl confutò Kant – spiega Bodei - Weyl dimostrò infatti che la simmetria
esiste, ma che c’è un problema. Perché un conto è la matematica, un conto è la fisica.
Studiò che esiste una malattia in cui le molecole si avvitano verso destra, ma non c’è
nessuna malattia se si avvitano a sinistra. Insomma: c’è simmetria in matematica, ma non
in fisica. L’idea di bellezza, dunque, viene pian piano svuotata: l’armonia perde di
senso, la simmetria non è più considerata perfetta, l’oggettività del bello finisce. Il
barocco teorizza che il bello sia questione di gusto: si arriva alla mancanza di leggi del
bello, senza standard”.
La bellezza, infatti, c’è anche nella matematica. “La scienza continua ad avere l’idea
che le formule vere siano anche belle, eleganti – riflette Bodei – Einstein poi è spinoziano,
è dice che Dio non gioca a dadi: niente è dovuto al caso. Eppure, anche la matematica si
accorge che le cose sono più complicate rispetto alle forme classiche. Anche qui, prende
piede il concetto di incommensurabile”.
Sarà il filosofo tedesco Baumgarten a dire che “la bellezza non ha a che fare con la
logica, che fa parte dell’intelleggibile. Il bello è chiaro ma non distinto, mentre la
conoscenza scientifica è chiara e distinta. Il bello, poi, diventa legato alle tradizioni: il
bello occidentale è diverso dal bello orientale. E anche oggi, i criteri artistici non sono più
così chiari. La bellezza è diventata come il tempo secondo Agostino: tutti intuitivamente
sanno cos’è, ma di preciso nessuno sa definirla”.
Oggi, nell’epoca in cui trionfa il gusto, il soggettivo, si sta verificando un altro tipo di deriva:
“L’idea che valga la pena di dedicarsi solo a ciò che è utile – riflette Bodei – così, anche la
bellezza, da disinteressata deve diventare utile, funzionale. Pensiamo agli oggetti di
design. Ricordo che una volta, a Ginevra, ho tenuto una conferenza davanti ad una platea
di fisici. E ho detto che la filosofia non serve a niente, non ha un’utilità pratica. Ma
serve a dare un orizzonte di senso. E’ come nell’estetica: ridurre tutto alla funzionalità
della bellezza è sbagliato. La bellezza senza scopo produce involontariamente
risultati di grande livello: pensiamo all’equazione di Maxwell. Senza, non ci sarebbe
stata la radio di Marconi”.
“La bellezza vaga è tipica della modernità: il termine deriva da vagus, mobile, e vacuus,
vuoto. Insomma, è ineffabile, circondata da indeterminatezza – spiega Bodei – eppure, c’è
un tipo di bellezza in cui c’è infinitamente da dire. Io posso leggere un canto di Leopardi
infinite volte trovandoci sempre elementi di non scoperto e non detto: continuo a estrarci
significato. E’ questo, il senso dell’arte: ovvero, è insatura, non si completa mai. Troviamo
sempre qualcosa che parla a noi. E allora, vorrei citare il poeta francese Paul Valéry: ciò
che non è ineffabile non mi interessa”.
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