Commissione triveneta per l'ecumenismo e il dialogo interreligioso (Il regno-doc 7’1992) Cristiani e musulmani in dialogo • La recente massiccia immigrazione da altri paesi nelle regioni del nord-est d'Italia alla ricerca di lavoro pone alle nostre chiese numerosi problemi sociali e religiosi. I vescovi del Triveneto, sensibili alle conseguenze che derivano dal fenomeno, nella recente lettera pastorale La croce di Aquileia ci invitano a operare affinchè tale insediamento diventi «stimolo per una ricca maturazione umana e cristiana, e non occasione di appiattimento culturale, di indifferenza religiosa e d'impostazione di fattori secolarizzanti» (n. 15; Regno-doc. 9,1991,280). A tale scopo, la Commissione triveneta per l'ecumenismo e il dialogo propone alle comunità cristiane alcune informazioni e indicazioni pratiche per una giusta comprensione del fenomeno, in modo da favorire il dialogo interreligioso senza rinunciare al dovere dell'evangelizzazione e alla testimonianza della carità. I doveri relativi all'accoglienza degli immigrati sono tutti illustrati in altri testi, ai quali la commissione rinvia. Due religioni a confronto 2. Sui rapporti fra cristianesimo e islam, religioni universali e monoteiste, gravano tredici secoli di incomprensioni. Accanto a brevi e felici periodi di collaborazione (Damasco, Bagdad, Toledo) si sono avute fra i due schieramenti religiosi guerre e sopraffazioni, che il concilio Vaticano II esorta a «dimenticare» e sulle quali invita1 a «esercitare sinceramente la mutua comprensione». A tale scopo risultano essenziali la conoscenza reciproca, il superamento dei pregiudizi infondati e l'avvio di forme di dialogo, fondate su stima e rispetto vicendevoli. Da un lato non ha senso continuare a ritenere l'islam religione fatalista di facili costumi, dall'altro non si può confondere il cristianesimo con le politiche occidentali, dato il diverso rapporto esistente tra fede e politica nella visione cristiana. Già il concilio invitava i cattolici a ripensare seriamente al disegno di salvezza di Dio che abbraccia anche coloro che riconoscono il Creatore, e tra questi in particolare i musulmani, i quali professano di tenere la fede di Abramo, adorano come noi un Dio unico e misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale.2 Il dialogo interreligioso infatti «è richiesto dal profondo rispetto per tutto ciò che nell'uomo ha operato lo Spirito, che soffia dove vuole»,3 ed è premessa indispensabile per «difendere e promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà».4 Cosa crede l'islam 3. Nel settimo secolo, quando l'islam apparve, certi teologi cristiani, come san Giovanni Damasceno, lo considerarono un'eresia cristiana: cristiani e musulmani si riconoscevano come credenti nell'unico Dio (Allah), però con elementi di fede incompatibili fra loro. Islam significa sottomissione a Dio degli uomini e delle cose, senza mediazioni da parte umana. a) Maometto (Muhammad, 570-632 d.C.) si presenta come uomo folgorato dall'incontro con Dio, e unisce il suo popolo nel monoteismo, predicando il Dio unico e misericordioso e costituendo così gli arabi in un'unità culturale e politica. Di lui viene esaltato il profondo senso religioso. Le rivelazioni che egli avrebbe ricevuto tramite l'arcangelo Gabriele sono raccolte nel Corano, il libro di Dio, contenente quanto è necessario per vivere secondo l'islam. b) // Corano occupa nella fede islamica un posto centrale: è la rivelazione di Dio. la quale viene a completare le rivelazioni precedenti (Torah e Vangelo), anzi a correggerle, essendo che queste ultime sarebbero state manipolate col tempo. Scritto in lingua araba «chiara», esempio preclaro di armonia letteraria e di bellezza formale, esso tratta argomenti religiosi e civili, organizzativi e giuridici. Alla sua esplicazione concorrono le parole o gli atti attribuiti al profeta (hadith), conservati da uno o più compagni e tramandati da una catena sicura di trasmissioni veridiche. Il Corano è per il musulmano l'espressione certa della volontà di Dio, alla quale si aderisce con la sottomissione (islam), accogliendo la fede (imàrì) e vivendo secondo le prescrizioni legali (ih-sàn). c) La fede musulmana è riassunta in 99 nomi, che indicano non la natura intima di Dio, inesprimibile, ma le sue relazioni con gli uomini. Dio è misericordioso e richiede dagli uomini la sottomissione (islam) e la professione di fede (shahada), ripetuta più volte al giorno: «Non c'è altra divinità eccetto Dio (Allah) e Muhammad è l'inviato di Dio». La fede islamica afferma inoltre l'esistenza di angeli buoni e cattivi, di libri e scritture rivelate, l'invio di profeti da parte di Dio per richiamare al bene gli uomini, la predestinazione, l'«ora» del giudizio, il paradiso e l'inferno. d) L'islam si presenta come religione globale, in quanto prende in esame le necessità dell'uomo, della società e dello stato e indica la soluzione con riferimento diretto alla fede nell'unico Dio trascendente. Dal Corano si desume quindi la legge divina (sharia), che ordina, proibisce, regola le azioni umane. Sul Coranp si fonda anche l'organizzazione sociale e politica e, attraverso l'analogia o il «consenso della comunità», si desumono indicazioni per le situazioni nuove. Come vivono i musulmani 4. Nella sottomissione all'unico Dio si inscrivono gli impegni religiosi del musulmano, l'appartenenza alla comunità dei credenti (umma) e gli obblighi morali. L'isiam, così, congiunge strettamente fede e opere, sottomissione a Dio e successo o riuscita nella vita. Come per gli antichi ebrei, ai quali non era ancora stato rivelato il mistero della croce, anche i musulmani considerano il successo umano segno di benedizione e l'insuccesso motivo di disapprovazione. a) Pilastri della fede sono alcune pratiche rituali, che devono essere eseguite con perfezione formale: - la professione di fede (shahada) già accennata; - la preghiera rituale (salai) che i credenti devono ripetere cinque volte algiorno, con le dovute abluzioni, rivolti a La Mecca; - l'elemosina legale (zakat) corrispondente alla decima su tutti i redditi dell'anno per la cassa della comunità; - il digiuno (sawm) nel mese lunare di Ramadan, dalla prima luce dell'alba fino al tramonto; - il pellegrinaggio (hagg) a La Mecca nel periodo e nelle forme stabilite: si deve compiere almeno una volta in vita, se si dispone di mezzi materiali sufficienti per farlo. Attraverso tali gesti, il musulmano non solo manifesta sottomissione a Dio, ma anche esprime e sviluppa l'appartenenza all'unica grande comunità dei credenti. b) Il bene e il male sono connessi con la volontà di Dio e il suo giudizio. Le colpe, che hanno rapporto con la vita futura, sono il peccato di infedeltà e il rifiuto deliberato o il annegamento dell'islam. Le altre alcune gravi, altre leggere - producono conseguenze soltanto nella vita presente. Vi sono in particolare prescrizioni, proibizioni e permessi, donde la valenza positiva di successo. Nella tradizione, se non sempre direttamente nel testo coranico, emergono doveri precisi; i più noti sono il dovere per ciascuno di promuovere il bene (almeno col cuore), la proibizione di bere vino e di mangiare carne di maiale, il permesso di avere quattro mogli legittime insieme se si è in grado di essere giusti nei loro confronti. Le azioni prescritte, che devono essere formalmente compiute, desumono il loro valore dall'intenzione (niyya), perché è sempre Dio che giudica. Da ciò trae origine tutta la «pietà comune», nella quale la fede si autentica nelle opere di carità per i fratelli più bisognosi. c) La comunità islamica (umma) nasce dall'unità di Dio e si caratterizza per essere insieme religione, cultura e organizzazione giuridico-politica, espressione di un'unica fraternità universale. È una comunità di credenti tutti uguali davanti a Dio, senza gerar-chia e magistero della fede, senza sacerdozio e intermediari fra l'uomo e Dio. Essa è religiosa e politica insieme, essendo ieri il califfo, ora i capi politici investiti di una reale responsabilità religiosa per ordinare il bene e proibire il male. Si potrebbe dire che tale comunità diventa espressione del mondo sottomesso a Dio, al quale è assicurato il successo. d) Al Dio unico devono essere sottomesse tutte le cose: all'attuazione di tale scopo ogni musulmano deve prodigarsi, anche sacrificando se stesso. Di qui nasce il dovere dello «sforzo sul sentiero di Dio (gihad)». Spesso lo si è interpretato riduttivamente con il termine «guerra santa», perdendo però in tal modo il profondo significato di sforzo intcriore di fare la volontà di Dio nella società e d'impegno contro l'oppressione e l'ingiustizia. e) L' islam rimprovera l'occidente di ispirarsi a un ideale di vita elevatissimo, qual è quello evangelico, ma insieme di indulgere a costumi di vita non diversi da quelli di coloro che non credono in Dio. La cultura «secolare» laica, accettata dall'occidente come base di convivenza p'er popoli di differente cultura e religione, è tradimento della fede, causa di profonde ingiustizie sociali e rifiuto di sottomettere il mondo a Dio. Punti di incontro 5. Nel concilio Vaticano II la chiesa cattolica insegna a non rigettare niente di quanto è «vero e santo» nelle altre religioni, dato che esse «non raramente riflettono un5 raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini». Se è vero in generale, ciò acquista un significato tutto particolare nei confronti dell'isiam che adora l'unico Dio, insegna agli uomini a sottomettersi a lui con tutto il cuore e ha in grande stima la vita morale.6 Tale fede, ricca di grandi valori religiosi e morali, in passato è stata e anche oggi è di aiuto a centinaia di milioni di uomini nel rendere a Dio un culto onesto e sincero e a praticare la giustizia. Il dovere del dialogo, pertanto, non scaturisce da opportunismi tattici,7 ma dalla fedeltà a Dio e all'uomo; esso presuppone accoglienza e conoscenza reciproca, e tende a favorire la collaborazione e l'integrazione sociale. Alcune verità, in particolare, potrebbero consentire un dialogo fra cristiani e musulmani, per crescere nella rispettiva fede attraverso un «dialogo di valori», e potrebbero permettere di avviare una comune collaborazione nel mondo in difesa della vita e nella promozione della giustizia e della pace. a) È comune fra cristiani e musulmani la fede in Dio unico e sussistente, creatore del ciclo e della terra, che ama gli uomini, perdona e usa misericordia. Se noi affermiamo che ogni cosa «concorre al bene di coloro che amano Dio» (Rm 8,28), il Corano dice che «Dio si è prescritta la misericordia» (Corano 6,12). Comune è la fede nei profeti, messaggeri di Dio per richiamare gli uomini alla salvezza e alla fede nell'ora del giudizio che concluderà la storia con il premio e il castigo. b) Comune è l'obbedienza dovuta a Dio espressa in preghiere, invocazioni, litanie, meditazioni, intercessioni. Alcuni comandamenti orientano la vita morale dei credenti dell'una e dell'altra religione e fanno convergere in alcuni comportamenti: uguaglianza fondamentale tra gli uomini; esaltazione dell'elemosina, dell'ospitalità e della fedeltà alla parola data; interesse per il bene comune e subordinazione degli interessi privati ai pubblici. Ogni uomo è responsabile del proprio divenire e della fede solo davanti a Dio, anche se nello stesso tempo deve appartenere a una comunità precisa. Differenze tra islam e fede cattolica 6. Se esistono valori comuni, esistono anche punti divergenti fra due religioni che si considerano ambedue rivelate, universali, definitive e complete. Il problema sarà di arrivare al rispetto reciproco e al rispetto delle singole persone, che ricercano con coscienza retta la verità.* Fra queste, secondo il Corano stesso, può scaturire un'emulazione spirituale (Corano 5,48). Accenniamo ad alcune questioni controverse: a) Per i musulmani sono fondamentali il carisma profetico di Maometto e la definitività del Corano come ultima rivelazione. Il libro incarna, sotto forma di scrittura, la parola di Dio che è eternamente in Dio. Esso corregge le rivelazioni precedenti, compresi i Vangeli in ciò che dicono su Gesù Cristo, Figlio di Dio, grave bestemmia per i musulmani. b) La Trinità è rifiutata duramente perché il Dio unico «non genera e non è generato» (Corano 112,3). Il Corano riprende a tale proposito le accuse che gli ebrei rivolgevano ai cristiani, parla dello Spirito Santo in termini femminili, e considera il generare un atto fisico, quindi assurdo se attribuito a Dio. c) L'incarnazione, la croce e la redenzione, di conseguenza, risultano svuotate di senso, oltre che disdicevoli per Cristo, il più grande profeta dopo Maometto. Nel Corano Gesù occupa un posto privilegiato, assieme alla madre sua Maria: egli è il messia atteso dagli ebrei, preservato dalla morte (sarebbe morto in croce un sosia) e atteso alla fine dei tempi. Di lui si riferiscono miracoli. I mistici islamici (sufi) in Gesù vedono il sigillo della santità, come Maometto è il sigillo della rivelazione. d) I rapporti fra stato e religione nell'isiam sono di identificazione, essendo il Corano la fonte anche del diritto e dell'organizzazione politica. Il problema oggi è dibattuto nel mondo arabo, data la presenza, ormai in quasi tutti gli stati, del pluralismo religioso. Il problema però riesplode in forme integriste ogniqualvolta si invoca la legge divina (sharia) al di sopra delle leggi dello stato. Nella situazione europea i musulmani dovranno essere aiutati a chiarire la distinzione fra religione e società, fede e civiltà, e a sperimentare la possibilità di soddisfare alle esigenze di una religiosità personale e comunitaria in una società democratica e laica, dove il pluralismo viene rispettato e dove si stabilisce un clima di mutuo rispetto, di accoglienza e di dialogo (cf. card. Carlo Maria Martini, Noi e l'isiam, 7.12.1990; Regno-ciac. 3,1991,91). Relazioni fra cristiani e musulmani 7. Il mondo islamico è oggi in forte movimento. Non raramente le correnti cosiddette «fondamentaliste» o «integriste» esprimono l'esigenza di rompere con gli stati arabi considerati corrotti e contaminati dall'occidente, per una rifondazione religiosa. a) Si riscontrano diverse posizioni. Alcuni movimenti credono che l'unico mezzo per risanare la società attuale sia la presa del potere e l'istaurazione dell'ordine islamico vero, della pura legge divina (sharia). Il progetto di società da realizzare è chiaro: a tal fine ogni musulmano deve essere disposto a lottare fino al martirio. Altri movimenti, invece, sono convinti che prima di tutto sia necessaria una riforma sul piano religioso e morale. Essi si propongono di sottrarre i musulmani alla decadenza morale, dando risposte al vuoto spirituale causato dal materialismo contemporaneo. Fra questi due tipi di movimenti, il politico e il religioso, non esiste una chiara linea di demarcazione. Molte volte il movimento di conversione religiosa termina in un impegno di militanza politica. Le due tendenze si rifanno infatti rispettivamente al primo periodo (de La Mecca) o al secondo periodo (di Medina) della vita e dell'azione di Maometto. b) Il dialogo dovrà coniugare insieme il rispetto per le identità diverse e la disponibilità a riconoscere e ad accogliere il bene presente nell'«altro». Identità e dialogo non costituiscono un'alternativa: come affermano i vescovi italiani nel documento Evangelizzazione e testimonianza della carità: «È certo che per annunciare il Vangelo, come anche per dialogare, si richiede una forte e limpida coscienza della propria identità cristiana e la certezza della verità9 che ci è stata rivelata e che ci è insegnata nella chiesa». c) II dialogo ufficiale è già in atto dal concilio Vaticano II in poi. Con l'islam la chiesa cattolica ha moltiplicato le relazioni, attraverso il «Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso», all'interno del quale opera un particolare sottosegretariato per l'islam. Si sono prodotti in questi anni documenti, come gli Orientamenti per il dialogo; sono stati rivisti i catechismi, e teologi, storici, esegeti e giuristi sono impegnati a studiare le strade che possono favorire il dialogo, secondo le linee indicate dal Vaticano II. Giovanni Paolo II, poi, più volte ha incontrato personalità del mondo musulmano e con esse ha stabilito incontri di preghiera e impegni per la pace. d) II dialogo si svolge però anche fra persona e persona, non necessariamente a livello di grandi discussioni teologiche, data la limitata preparazione culturale degli interlocutori, ma a livello di problemi etici. Si tratta allora di capire quali sono i valori che una persona incarna nel proprio vissuto, per considerarli con rispetto e attenzione. Non si devono tuttavia disattendere anche le possibili dinamiche di gruppo, essendo l'islam, oltre che urrà fede personale, una realtà comunitaria molto compatta e sempre sensibile agli appelli all'unità religiosa. e) Le parrocchie hanno il dovere di preparare, sostenere, e, in alcuni casi, unire i propri fedeli nel dialogo interreligioso attraverso un maggior approfondimento della fede cristiana e una conoscenza della fede islamica. Con queste premesse il dialogo potrà risultare utile alle due religioni per una purificazione della rispettiva fede e per un impegno comune. Alla base dell'incontro e del dialogo è indispensabile un cambiamento di mentalità da parte dei cristiani d'occidente nei confronti del mondo musulmano e dell'islam. In ogni caso è necessaria una lunga pazienza, per scoprire quali ricchezze Dio ha distribuito ai popoli e come, insieme, possano collaborare a far crescere sulla terra il regno di Dio. Un simile nuovo atteggiamento è necessario negli incontri quotidiani che oggi, e ancor più domani, si profilano, anche nei nostri paesi, con gli immigrati di fede islamica. Alcune direttive pastorali approvate dalla Conferenza episcopale triveneta 8. La situazione in cui vengono a trovarsi gli immigrati, oltre a richiedere particolari impegni di accoglienza e di fraternità umana, pone alcuni problemi di carattere religioso che le comunità cristiane sono invitate ad affrontare insieme. a) Iniziative comuni di preghiera: possono essere promosse d'intesa con l'ordinario e devono essere accuratamente preparate; è necessario, per un rispetto reciproco, prevedere interventi distinti delle diverse religioni, evitando forme sincretistiche di preghiera. b) Luoghi dì culto: compete all'autorità civile garantire l'esercizio del diritto alla libertà religiosa. Non si concedano locali e spazi destinati al culto o alle attività pastorali anche per evitare possibili confusioni. e) Richieste di battesimo: il battesimo degli adulti va valutato con prudenza pastorale secondo le prescrizioni del can. 851/1 del Codice di diritto canonico. d) Matrimoni misti fra cristiani e musulmani: le persone che vogliono contrarre matrimonio misto, devono essere istruite sulle difficoltà e conseguenze molto gravi di carattere religioso, culturale e giuridico cui vanno incontro: ci si attenga alle disposizioni emanate dalla CEI nel Decreto generale sul matrimonio entrato in vigore il 17.2.1991 (Regno-doc. 3,1991,79), e ci si rivolga in ogni caso fin dall'inizio all'ordinario diocesano. 1 Concilio Ecumenico Vaticano II, dichiarazione Nostra aetate sulle relazioni della chiesa con le religioni non cristiane, 28.10.1965, n. 3; EV 1/860. 2 Concilio Ecumenico Vaticano II, costituzione dogmatica Lumen gentium sulla chiesa, 21.11.1964, n. 16; EV 1/326. 3 Giovanni Paolo II, lettera enciclica Redemptorìs missìo circa la permanente validità del mandato missionario, 7.12.1990, n. 56; Regno-doc. 5,1991,145. 4 Nostra aetate 3; EV 1/860. 5 Nostra aetate 2; EV 1/857. 6 Cf. Nostra aetate 3; EV 1/859. 7 Cf. segretariato per i non cristiani, documento L'atteggiamento della chiesa di fronte ai seguaci di altre religioni. Riflessioni e orientamenti su dialogo e missione, 4.9.1984, n. 20; EV 9/1007. 8 Cf. concilio ecumenico vaticano II, dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa, 7.12.1965, n. 3; EV 1/1047. 9 conferenza episcopale italiana, documento pastorale Evangelizzazione e testimonianza della carità. Orientamenti pastorali dell'Episcopato italiano per gli anni '90, 8.12.1990, n. 32; EGEI 4/2753. File c/docum/dial interr/dial.isl.xno.doc