ALLA RIVOLUZIONE SULLA DUE CAVALLI
tratto dall'omonimo romanzo di Marco Ferrari
edito da "Sellerio"
regia di
MAURIZIO SCIARRA
con
ADRIANO GIANNINI
GWENAELLE SIMON
ANDONI GARCIA
e con
FRANCISCO RABAL
GEORGES MOUSTAKI
OSCAR LADOIRE
sceneggiatura
MARCO FERRARI
ENZO MONTELEONE
MAURIZIO SCIARRA
produzione
SINTRA e PANTER FILM
in collaborazione con
RAI CINEMA
TELE +
distribuzione
LANTIA CINEMA & AUDIOVISI
SINOSSI
STAMPA
E' l'alba del 25 aprile 1974 quando Marco, un ragazzo italiano di circa 25 anni, e
Victor, il suo amico portoghese, lasciano Parigi a bordo di una Due Cavalli gialla.
Meta del viaggio: Lisbona, che proprio quella notte e' stata liberata dalla più
lunga dittatura d'Europa.
Il sogno di partecipare ad un evento storico irripetibile, la voglia di un altro
viaggio insieme, la curiosità di conoscere luoghi e gente nuovi spingono i due
ragazzi verso una nuova avventura. Ma l'avventura non può essere completa
senza Claire, ex fidanzata di Victor e compagna degli anni di studi a Parigi. Lei
e' disposta a prendersi una breve
vacanza dalla vita di tutti i giorni, dal marito e dal figlio piccolo, pur di
riformare, seppur per poco tempo, un terzetto che ha già vissuto esperienze
indimenticabili.
La "mitica" 2CV, gli stupendi paesaggi che attraversano, le frontiere da passare
tra mille difficoltà, i tanti incontri che la strada offre, la colonna sonora che la
radio trasmette, sono gli ingredienti di un viaggio che sicuramente i tre non
potranno dimenticare.
Ognuno porta con se' i propri ideali, i propri sentimenti, ognuno ha le proprie
motivazioni per un viaggio che sarà anche un viaggio dentro se stessi, alla
scoperta dei veri valori della vita, alla ricerca di qualcuno con cui condividerli.
L'arrivo a Lisbona, l'incontro con l'idea di libertà che diventa realtà, segneranno
nei tre ragazzi quel sottile passaggio fra una adolescenza fin troppo prolungata
e la loro vita reale da adulti.
CAST ARTISTICO
RUOLI PRINCIPALI
MARCO
ADRIANO GIANNINI
CLAIRE
GWENAELLE SIMON
VICTOR
ANDONI GRACIA
RUOLI SECONDARI
ZIO ENRIQUE POETA
FRANCISCO RABAL
POETA
GEORGES MOUSTAKI
CONTE AGARUEZ
OSCAR LADOIRE
CAST TECNICO
Regia
MAURIZIO SCIARRA
Sceneggiatura
MARCO FERRARI
ENZO MONTELEONE
MAURIZIO SCIARRA
tratto da "ALLA RIVOLUZIONE SULLA 2
CAVALLI" di Marco Ferrari
edito da SELLERIO EDITORE
Organizzatore Generale
BRUNO FRASCA'
Direttore di Produzione
CRISTINA de' ROSSI
Direttore Fotografia
ARNALDO CATINARI
Scenografo
GIADA CALABRIA
Musiche
LELE MARCHITELLI
Montaggio
ANGELO NICOLINI
Costumi
ANDREA VIOTTI
Suono
MASSIMO SIMONETTI
Aiuto regia
DAVID PUTORTI
Casting
TONI TOMMASI &
ROBERTA MANFREDI
Produzione
SINTRA srl - Rosanna Seregni
In collaborazione con
PANTER FILM srl - Monica Venturini
RAI CINEMA
TELE +
Produttore esecutivo
ROSANNA SEREGNI
NOTE DI REGIA
Un film "on the road" ambientato negli anni '70, proprio quando il mito del
viaggio era al suo apice. Un film su di una generazione, quella nata agli inizi
degli mini '50, che per lungo tempo ha dato la sensazione di non voler crescere,
di non volersi assumere le proprie responsabilità, di essere più attaccata all'idea
delle cose, che alla loro propria essenza. Che, in una parola, è sembrata vuota
ed inconcludente. Ma che oggi, quasi dappertutto, governa il mondo.
E' quindi anche un'occasione, con leggerezza e autoironia, per fare il punto su
quei ragazzi che in quegli anni hanno posto le premesse per un mutamento
profondo della società italiana ed europea. Si, perché le vicende degli anni '70
possono essere indifferentemente lette in una qualsiasi delle nazioni europee, e
non cambiano di segno. La rivolta studentesca degli anni subito precedenti pur
partita in Francia, si espande a macchia d'olio in tutta l'Europa, unificando
intere generazioni di giovani su grandi battaglie ideali: la libertà, innanzi tutto,
la voglia di decidere da soli del proprio futuro, la rottura, spesso traumatica,
con modi di vita, abitudini, ideali di chi era vissuto prima.
Sono anni di cui, fino ad ora, si sono letti soltanto gli aspetti negativi. Certo, in
quegli anni, per esempio, in Italia è nato il terrorismo. Ma sono anni in cui,
d'altra parte, si è potuti crescere, tutti insieme, su ideali forti, in cui si sono
coltivate meravigliose utopie, in cui i rapporti di amicizia e di amore sono
diventati fondanti di un modo di vivere più vero e spontaneo. Sono anni in cui ci
si anche molto divertiti.
E questo vorrei fosse il filo conduttore del film: la gioia. Gioia di vivere, di
viaggiare, di scoprire posti e persone nuove, gioia di sognare, di scontrarsi in
nome di ideologie, ma anche di superarle per affermare valori quali l'amicizia, la
solidarietà. Non a caso sono
questi gli ultimi anni del turismo giovanile spontaneo, ancora non organizzato
da tour operator, in cui lo stimolo a viaggiare era dato dalla voglia di riunirsi.
Per sentire un concerto, o per partecipare ad una rivoluzione. E' uguale:
l'obiettivo era quello di spostarsi, e di incontrare altri come te, con le tue stesse
idee. Per ricreare, a chilometri di distanza, quello stesso gruppo che ci si è
lasciato alle spalle. Per ritrovare le stesse tipologie umane, con l'illusione che
ogni volta siano invece diverse.
La 2CV, in questo contesto, è uno dei feticci adottati da quella generazione. Un
oggetto che unisce, che serve per farsi riconoscere. Un avvolgente segnale di
identificazione di un modo di vita, di viaggiare, in questo caso, che ci faccia
ritrovare quelli come noi. Difatti la macchina è il quarto vero protagonista del
film, vero motore della storia, anche in senso metaforico. E' colei che
accompagna i sogni dei due ragazzi, colei che permette che il sogno di "esserci"
possa realizzarsi. E la scatola che contiene aspirazioni uguali, che veste nello
stesso modo ragazzi in cerca di propri simili. Difatti, nella sequenza degli
autostoppisti, è come se Victor e Marco non possano esimersi dal raccattare
quella varia umanità, pure così in fondo somigliante, proprio perché sono su di
una Due Cavalli. Che figura ci farebbero? Come potrebbero giustificarsi, in un
ipotetico 'Tribunale dei Diritti dei Viaggiatori'? Quella, e non un'altra, è la
macchina per quel viaggio.
Il viaggio parte a Parigi e finisce a Lisbona. La tensione ideale che spinge i tre
ragazzi si stempera mano mano che i paesaggi, i nuovi fondali della storia
mutano e si fanno sconosciuti ed affascinanti. In questo viaggio è costante la
presenza delle frontiere, il problema di fare i conti con delle sbarre che si
devono alzare ed abbassare, con delle bandiere che cambiano. Già nel fare i
primi sopralluoghi per la sceneggiatura, ci siamo resi conto di quanto tutto
questo oggi non esista più. A volte, lungo i confini non ci sorto più neanche i
casotti che ospitavano le guardie di frontiera. Sempre, quelle che ci sono, sono
vuote, abbandonate, e soprattutto, non c'è più il senso di
diversità dato dal cambio delle bandiere. Penso che il film debba proprio
ricordare, o far conoscere a chi non l'ha mai vissuto, il fascino ed il fastidio di
sentirsi popoli diversi. Mentre invece le nuove generazioni tendevano già a
sentirsi unificate su altri piani: quello dei gusti, delle mode, degli ideali, della
musica.
Il peso che la musica avrà in questo film notevole. Non si tratta però di voler,
con un occhio troppo attento al revival, suscitare nostalgie, o melensi rimpianti.
Si tratta di rivisitare quegli anni in tutti gli aspetti più importanti. E la musica è
stato sicuramente uno di questi elementi. Quindi una scelta accurata dei brani
che segnarono quella generazione, e che spesso i giovani di oggi continuano ad
ascoltare come "classici del rock".
Obiettivo dì questo film è di raggiungere un pubblico vasto e variegato. Per
questo ci si serve di un genere, la commedia, che di sicuro è il genere che il
pubblico, specie quello giovanile, sembra prediligere. L'età stessa dei
protagonisti (25 anni circa) dovrebbe permettere una maggiore identificazione
nella storia di quella fascia d'età che è quella che più delle altre sancisce la
fortuna di un film. Ed il tema, il viaggio, l'avventura, oggi come ieri destano
quell'attenzione, quell'interesse che spero facciano la fortuna di questo film.
Questo però non vuol dire rinunciare ad approfondire i temi. Spettacolo e
divertimento si possono, si devono, poter coniugare con l'intelligenza e lo
stimolo critico del pubblico.
La scelta degli attori costituirà un altro elemento a grande contenuto simbolico.
Fare oggi, in epoca di unificazione europea, un film che racconti delle frontiere,
ma metta insieme attori di tre o quadro nazioni diverse, che li faccia vivere per
due, tre mesi, insieme, che unifichi lingue e modi di vita, è una scommessa che
è bello poter correre proprio alla fine del millennio. Sarà come verificare se
quegli obiettivi che la generazione degli anni '50 si era posti sono stati raggiunti
o no. Partendo da un punto di vista chiaro,
magari nostalgico, ma in cui credo molto: siamo stati giovani che hanno
cambiato, forse inconsapevolmente il mondo. E l'abbiamo fatto, spesso,
divertendoci molto!
Gli anni '70: la musica come compagna
A detta di tutti i maggiori critici musicali, la stagione degli anni '70 è ancora oggi
uno dei momenti di massimo rigoglio e creatività per la musica. Un periodo
magico che si alimentò del clima di profondo rinnovamento, tumultuoso ed
insieme ricco di stimoli che quegli anni portarono, e che contribuì i compattare
un'intera generazione, in tutte le parti del mondo. Una generazione che si sentì
unita dagli stessi ideali, ma anche da una identica 'colonna sonora' che
accompagnava e segnava gesti e comportamenti per la prima volta divenuti
universali, che volta a volta era supporto alla rabbia, o complice dei momenti di
tenerezza, le cui parole diventavano slogan, o servivano piuttosto a esprimere
le idee e i sentimenti di giovani ancora in cerca di parole proprie.
Un film su quegli anni non può prescindere dalla musica, anzi deve farla
diventare segno autonomo, non semplice commento alle azioni, ma elemento
significante per sé.
Deve riportare lo spettatore al clima di quegli anni, o farglielo scoprire così
come accadde a chi lo ha realmente vissuto. Deve diventare, spesso,
protagonista della scena, dando un "qualcosa in più" alle immagini, che pure
sono la parte fondante di un film.
Deve, come accadeva all'epoca, dare voce ai protagonisti della storia,
sottraendoli al compito di dire battute che potrebbero essere soltanto banali.
Deve magari nascere dall'ascolto 'reale' (nella scena!!!) di una radio, meglio
dell'autoradio, per diventare musica del film, attrice al pari degli altri attori.
Le classifiche dell'epoca, segnalano ai vertici delle vendite in Italia, negli anni
'73 e '74, dischi come l'Elton John di "Don't Shoot me, I'm only a piano player"
e di "Crocodile Rock", o il Lucio Battisti di "Il mio canto libero" e "Il nostro caro
angelo", dischi ancora
oggi indimenticabili. E' il periodo in cui un film come "Arancia Meccanica" lascia
un segno profondo anche nella musica, imponendo un ascolto diverso di brani
classici. E un altro, "Jesus Christ Superstar" rimane ai vertici delle vendite di
dischi per ben 4 mesi, facendo penetrare nel profondo un'opera rock che parla
nientemeno che della vita di Cristo. Certo, sono periodi in cui il consumo della
musica, delle sue mode e dei suoi miti, dura più a lungo, forse anche per il
diverso spessore degli interpreti e dei prodotti stessi. Non sono fugaci come
oggi, e rimangono nell'uso comune per anni interi.
E infatti la generazione dei primi anni '70 si nutre di musica nata qualche anno
prima, ma ancora viva e vegeta. E si nutre, soprattutto, di musica americana.
Come si nutre di cinema americano, di quel cinema che ha instillato anche in
Europa la voglia di libertà, di cambiamento, di insofferenza verso le
convenzioni. Un titolo per tutti: "Easy Rider".
La musica quindi è la canzone di protesta (Dylan, Baez...), ma anche la musica
della West Coast, che si abbina al sogno del viaggio, al "coast to coast" appreso
da un'altra bibbia, "On the road", il romanzo di Kerouac. E perciò, il
pluriascoltato (e spesso solcato da graffi profondi, che danno all'ascolto quel
tanto di più che il vinile poteva dare, la presenza del rumore, il montaggio
casuale del 'salto della testina') 'Four ways street' di Crosby, Still, Nash and
Young, o le dolci melodie di Joni Mitchell (il 33 giri 'Blue', 1971), o di James
Taylor ("Walking man", 1974, "You've got a friend", 1971, "Contry Road",
1970).
C'è il rock più duro, quello dei Led Zeppelin ("Led Zeppelin III", 1970 con
"Immigrant song"), o quello più dolce dei Traffic, il soul di gruppi come i
Temptation (Papa was a Rolling Stone) e quelli che già sono miti (Rolling
Stones, Lou Reed, e naturalmente, i Beatles).
Uno dei periodi più ricchi e più creativi, e nello stesso momento più
evocativi. Gli anni '70 producono un sound che ancora oggi rimane riconoscibile,
coerente con il periodo, ma tutt'altro che retrò. Eppure i giovani e giovanissimi
di oggi si nutrono anche di quella musica, diventata per loro magari "classica",
ma ugualmente ascoltabile.
Compito del film sarà anche quello di ricollocare la musica del periodo in quel
contesto, cercando, oltre che di stimolare i ricordi, i sentimenti, e perché no le
lacrimucce di chi quella musica l'ha fatta diventare parte della propria vita, di
contribuire a una rilettura degli anni '70 e di tutte le sue esperienze creative,
che con leggerezza, autoironia, senso dello spettacolo ci riporti ai miti, alle
mode di quegli anni, raccontandoci qualcosa di universale: i sentimenti,
l'amicizia, l'amore, gli ideali di due giovani.
Cercheremo i brani che più sono rimasti nella memoria, anche se magari non
sono "il pezzo" del cantante o del gruppo, mischieremo i generi, ritroveremo
quella che era la musica di consumo dei paesi attraversati dal nostro viaggio
(Francia e Spagna, soprattutto) mescolando classico e trash. Tenendo sempre
presente che la musica, in un film, è quella componente che più delle altre
imprime al film stesso il ritmo. La scelta dei pezzi sarà quindi legata
all'andamento che si pensa che la scena avrà.