Linee Guida per il trattamento del disturbo dissociativo dell

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ARTICOLI
LINEE GUIDA PER IL TRATTAMENTO DEL DISTURBO
DISSOCIATIVO DELL'IDENTITÀ IN SOGGETTI ADULTI,
TERZA REVISIONE1
1 NOTE DI TRADUZIONE:
L’idea di tradurre in Italiano la “Guidelines for Treating Dissociative Identity Disorder in Adult” nasce dalla volontà di superare le
barriere geografiche e linguistiche rendendo accessibile uno strumento così utile ai professioni e agli studenti italiani.
Chi si trova a tradurre un testo da una lingua all'altra deve necessariamente fare delle scelte. La mia scelta generale e di principio è
stata quella di optare per una traduzione “di servizio”, che risultasse il più possibile fedele alla guida originale.
Colgo l’occasione per ringraziare il Dott. Massimo Citernesi, neuropsichiatra infantile, che ha collaborato con me nella stesura della
Farmacoterapia.
INTERNATIONAL SOCIETY FOR THE STUDY
OF TRAUMA AND DISSOCIATION
PREFAZIONE
La Società Internazionale per lo Studio della dissociazione (International Society for Study of
Dissociation; ISSD), il nome formale della Società Internazionale per lo Studio del Trauma e della
dissociazione (International Society for the Study of trauma and dissociation; ISSTD), ha disposto le
Linee Guida per il trattamento del disturbo dissociativo dell'identità (Disturbo da Personalità Multipla) in
soggetti adulti nel 1994. Tuttavia, le linee guida sono sensibili agli sviluppi nel settore e richiedono
revisioni costanti. La prima revisione della Guida è stata proposta ai criteri e alle norme del Comitato
Pratico dell’ISSD ed è stata adottata dal Consiglio Direttivo nel 1997, dopo le sostanziali e indicative
considerazioni e dichiarazioni da parte dei membri dell’ISSD. La seconda revisione della guida è stata
richiesta e approvata nel 2005, sulla base delle competenze di clinici e ricercatori esperti. Questa
versione è stata esaminata da un gruppo di esperti nel 2009 e nel 2010, a seguito di una richiesta
avvenuta tramite un sondaggio tra i membri della società.
L'attuale revisione della guida si concentra in particolare sul trattamento del Disturbo Dissociativo
dell'Identità (DDI) e di quelle forme di Disturbi Dissociativo Non Altrimenti Specificato (DDNAS), simili al
DDI. 2
Il manuale, inteso come una guida pratica per la gestione dei pazienti adulti, rappresenta una sintesi delle
attuali conoscenze scientifiche e informa sulle varie attività cliniche.
È stata anche sviluppata, separatamente, una Guida per la Valutazione e il Trattamento dei Sintomi
Dissociativi in Bambini e Adolescenti (ISSD, 2004) disponibile sul sito dell’ISSTD e pubblicata sul Journal
of Trauma & Dissociation. L'American Psychiatric Association (2004) ha pubblicato le linee guida pratiche
per la cura di pazienti con Disturbo Acuto da Stress (DAS) e Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS),
che possono essere rilevanti per il trattamento della Disturbo Dissociativo dell’Identità.
INTRODUZIONE
Negli ultimi 30 anni, la diagnosi, la valutazione e il trattamento dei disturbi dissociativi sono stati migliorati
grazie ad un maggiore riconoscimento clinico delle condizioni dissociative, alla pubblicazione di
numerose ricerche scientifiche e lavori in materia, e allo sviluppo di strumenti specifici per la diagnosi. Le
pubblicazioni revisionate in materia di disturbi dissociativi sono apparse nella letteratura internazionale di
clinici e ricercatori in almeno ventisei paesi, tra cui Stati Uniti, Canada, Porto Rico, Argentina, Paesi
Bassi, Norvegia, Svizzera, Irlanda del Nord, Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia, Svezia, Spagna,
Turchia, Israele, Oman, Iran, India, Australia, Nuova Zelanda, Filippine, Uganda, Cina e in Giappone.
Queste pubblicazioni includono una serie di casi clinici e raccolte dati; le ricerche psicofisiologiche,
neurobiologiche e neuroimaging; la discussione dello sviluppo di strumenti diagnostici; le descrizioni di
sperimentazioni cliniche aperte, studi sull'esito dei trattamenti, e descrizioni delle terapie, le sue modalità
e i suoi dilemmi. Queste divulgazioni forniscono costantemente prova che il disturbo dissociativo
dell’identità è una diagnosi transculturale che ha validità comparabile o superiore a quella di altre
diagnosi psichiatriche accettate (Gleaves, Maggio, e Cardeña, 2001). Tuttavia, è stato notato che le
alterazioni patologiche d’identità e/o di coscienza sono presentate in altre culture come possessione
spiritica o come sindromi specifiche di quella cultura (culture-bound syndromes; Cardeña, Van Duijl,
Weiner, & Terhune, 2009).
Nella Guida sono presentate le scoperte chiave e i principi generalmente accettati, che riflettono la
corrente scientifica della conoscenza ed esperienza clinica specifica per la diagnosi e il trattamento del
DDI e forme simili di DDNAS.
Bisogna sottolineare che le informazioni qui presentate sono un supplemento aggiuntivo e non
sostituiscono i principi generalmente accettati della psicoterapia e della psicofarmacologia. Il trattamento
per il disturbo dissociativo dell’identità dovrebbe rispettare i principi di base della psicoterapia e della
gestione medica psichiatrica. I terapeuti dovrebbero utilizzare tecniche specializzate solo per affrontare
sintomatologie dissociative specifiche.
Le indicazioni della guida non devono essere interpretate o usate come standard di cura clinica. Le
indicazioni pratiche riflettono l’attuale conoscenza in questo campo. Le linee guida non sono progettate
per includere tutti i metodi adeguati di cura o escludere altri interventi di trattamento accettabili. Inoltre,
aderire alla guida non vuol dire necessariamente ottenere risultati positivi nel trattamento di tutti i casi 3
clinici. Il trattamento deve sempre essere individualizzato, e i clinici devono usare il loro giudizio
sull'adeguatezza, per un particolare paziente, di uno specifico metodo di cura, alla luce dei dati clinici
presentati dal paziente stesso e delle possibilità disponibili al momento del trattamento.
EPIDEMIOLOGIA, DIAGNOSI CLINICA E PROCEDURE DIAGNOSTICHE
Il disturbo dissociativo dell’identità e i disturbi dissociativi, in generale, non sono condizioni rare. In alcuni
studi effettuati su un campione eterogeneo, è stato riscontrato un tasso di prevalenza del disturbo
dissociativo dell’identità tra 1% e il 3% della popolazione (Johnson, Cohen, Kasen, e Brook, 2006;
Murphy, 1994; Ross, 1991; Sar, Akyüz, & Do ˘ gan, 2007; Waller & Ross, 1997). Studi clinici, effettuati in
Nord America, Europa e in Turchia, hanno individuato una percentuale di diagnosi di DDI tra l’1% e il 5%
dei pazienti generici ricoverati in unità psichiatriche, in adolescenti ospedalizzati, e nei programmi che
trattano l'abuso di sostanze, disturbi alimentari, e disturbo ossessivo-compulsivo; ciò rispecchia i criteri
diagnostici per il DDI del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali IV (4a e, testo revisionato;
DSM-IV-TR, American Psychiatric Associazione, 2000a), in particolare quando è valutato con strumenti
diagnostici strutturati (Bliss & Jeppsen, 1985; Foote, Smolin, Kaplan, Legatt, e Lipschitz, 2006; Goff, Olin,
Jenike, Baer, e Buttolph, 1992; Johnson et al 2006; Karadag et al 2005;. Latz, Kramer, e più al 1995;
McCallum, Lock, Kulla, Rorty, & Wetzel, 1992; Modestin, Ebner, Junghan, & Erni, 1995; Ross Anderson,
Fleisher, e Norton, 1991; Ross et al 1992. Sar, Akyüz, et al, 2007;. Saxe et al 1993;. Tutkun et al 1998).
Molti dei pazienti soggetti di questi studi non erano stati clinicamente diagnosticati, in precedenza, con un
disturbo dissociativo.
La diagnosi clinica accurata permette un trattamento precoce e adeguato per i disturbi dissociativi. La
difficoltà di diagnosticare un disturbo dissociativo è, principalmente, la conseguenza della mancanza di
conoscenza e istruzione tra i clinici riguardo alla dissociazione, i disturbi dissociativi e gli effetti di traumi
psicologici, nonché dal pregiudizio clinico. Questo porta a un sospetto limitato sui disturbi dissociativi e
idee sbagliate circa la loro manifestazione clinica. Molti clinici pensano che il disturbo dissociativo
dell’identità sia una malattia rara con una presentazione florida e drammatica. Anche se il disturbo è una
patologia relativamente comune, RP Kluft (2009) ha osservato che
"solo il 6% dei pazienti DDI ha continuamente dimostrazioni evidenti " (p. 600).
RP Kluft (1991) si riferisce a questi momenti di visibilità come a delle "finestre di diagnosticabilità"
(discusso anche da Loewenstein, 1991a). Invece di mostrare visibilmente identità alternative distinte, il
tipico paziente con un disturbo dissociativo dell’identità presenta una miscela polisintomatica di sintomi
dissociativi e caratteristici del disturbo post-traumatico da stress (PTSD), che sono incorporati in una
matrice di sintomi correlati, apparentemente non traumatici (ad esempio, depressione, attacchi di panico,
abuso di sostanze, sintomi somatoformi e dei disordini alimentari). L'importanza di questi ultimi sintomi,
spesso altamente familiari, porta i terapeuti a diagnosticare solo queste condizioni di 4
comorbidità. Quando questo accade, il paziente cui non è stato diagnosticato il disturbo dissociativo
dell’identità può subire un trattamento lungo e spesso infruttuoso, allo scopo di intervenire sulla
sintomatologia apparentemente non traumatica.
Infine, quasi tutti i professionisti usano le interviste diagnostiche standard e gli esami di analisi dello stato
mentale insegnati durante la formazione professionale. Purtroppo, queste interviste standard spesso non
comprendono domande sulla dissociazione, sui sintomi post-traumatici, o su un passato
psicologicamente traumatico. Proprio perché i pazienti raramente forniscono informazioni sui sintomi
dissociativi, l'assenza di un’indagine specifica, focalizzata sulla dissociazione, impedisce al clinico di
diagnosticare il disturbo. Inoltre, poiché la maggior parte dei clinici riceve poca o nessuna formazione
sulla dissociazione, risulta difficile riconoscere i segni e i sintomi del DDI, anche quando si manifesta
spontaneamente. La condizione necessaria, affinché si possa fare la diagnosi di disturbo dissociativo
dell’identità, è che il clinico debba essere informato sui sintomi della dissociazione. L’intervista del clinico
dovrebbe essere integrata, se necessario, con strumenti di screening e interviste strutturate che valutano
la presenza o l'assenza di sintomi e disturbi dissociativi.
Criteri diagnostici per DDI
Il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali IV (DSM-IV) definisce, per il Disturbo dissociativo
dell’identità, i seguenti criteri:
A. Presenza di due o più identità o stati di personalità distinti (ciascuno con i suoi modi relativamente
costanti di percepire, di relazionarsi e di pensare nei confronti di se stesso e dell’ambiente).
B. Almeno due di queste identità o stati di personalità assumono in modo ricorrente il controllo del
comportamento della persona.
C. L’incapacità di ricordare importanti notizie personali è troppo estesa per essere spiegata con una
banale tendenza alla dimenticanza
D. L’alterazione non è dovuta agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es. Black-out o
comportamenti caotici in corso di Intossicazione alcolica) o a una condizione medica generale (per es.
Epilessia parziale complessa).
Nota. Nei bambini i sintomi non sono attribuibili all’esistenza di un compagno immaginario o ad altri giochi
di fantasia.
Negli ultimi anni, i criteri diagnostici per DDI sono stati più volte soggetto di dibattito. Dell (2001, 2009a)
ha suggerito che l'alto livello di astrazione dei criteri diagnostici attuali e la corrispondente mancanza di
concretezza nei sintomi riduca drasticamente la loro utilità per il clinico, e che l’insieme di segni e sintomi
dissociativi, che appaiono frequentemente, potrebbero permettere di catturare con precisione le
presentazioni tipiche dei pazienti DDI. Altri hanno sostenuto che i criteri attuali sono sufficienti (D. 5
Spiegel, 2001). Altri ancora che i disturbi dissociativi dovrebbero essere concepiti come appartenenti a
uno spettro di disturbi traumatici, rilevando in tal modo la loro intima associazione con circostanze
travolgenti e traumatiche (Davidson & Foa, 1993; Ross, 2007; Van der Hart, Nijenhuis, e Steele, 2006).
Dissociazione: terminologia e definizione
L'American Psychiatric Association (2000a) e il World Health Organization (1992) hanno descritto i
disturbi dissociativi, ma non hanno pienamente delineato la natura della dissociazione stessa. Così, il
DSM-IV-TR afferma che
“La caratteristica essenziale dei Disturbi Dissociativi è la sconnessione delle funzioni, solitamente integrate, della
coscienza, della memoria, dell’identità o della percezione. " (American Psychiatric Association, 2000a, p. 519).
La questione su quanto ristretta o generalizzata dovrebbe essere la definizione di dissociazione è ancora
un dibattito aperto. Putnam (1989) ha descritto il processo di dissociazione come
"un normale processo che è utilizzato inizialmente sulla difensiva da un individuo con lo scopo di gestire esperienze
traumatiche, e si evolve nel tempo in un disadattamento o processo patologico " (p. 9).
Un certo numero di autori (ad esempio, Cardeña, 1994; Holmes et al., 2005) ha usato il termine in modo
descrittivo per indicare i fallimenti d’integrazione delle informazioni e auto-attribuzioni che dovrebbero
normalmente essere integrate, e ad alterazioni della coscienza caratterizzate da un senso di distacco dal
sé e/o dall'ambiente. Un ulteriore suddivisione è basata sulla distinzione di Pierre Janet tra sintomi
dissociativi negativi (cioè, una diminuzione o abolizione di un processo psicologico) e positivi (cioè, la
creazione o esagerazione di un processo psicologico). La definizione di Dell e O'Neil (2009) è elaborata
sul concetto centrale del DSM-IV di disgregazione:
“La manifestazione fondamentale della dissociazione patologica è una parziale o completa disgregazione della
normale integrazione di una persona psicologicamente funzionante. . ... In particolare, la dissociazione può
improvvisamente interrompere, alterare, o intromettersi nella coscienza di una persona e nell'esperienza che
l’individuo fa del corpo, del mondo, di sé, della mente, del proprio “agency”, dell'intenzionalità, del pensare, credere,
conoscere, riconoscere, ricordare, sentire, volere, parlare, agire, vedere, udire, odorare, del gusto, tatto, e così via. . .
. [..] Queste interruzioni . . . sono tipicamente vissute dalla persona come sorprendenti e autonome intrusioni nei suoi
soliti modi di rispondere o di funzionare. Le intrusioni dissociative più comuni includono il sentire delle voci, la
depersonalizzazione, la derealizzazione, “fare” pensieri, “fare” sollecitazioni, "fare" desideri, "fare" emozioni, e "fare"
azioni. (p. xxi).
I processi dissociativi hanno varie manifestazioni (Howell, 2005), molte delle quali non patologiche. In
particolare, Dell (2009d) ha sostenuto che la dissociazione spontanea, correlata alla sopravvivenza, è
parte di una normale risposta specifica spinta dal senso di sopravvivenza della selezione evolutiva;
questa dissociazione è automatica e di risposta ed è parte di una naturale reazione biologica, limitata nel
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tempo, che scompare appena il pericolo è passato. Il rapporto tra questa risposta dissociativa, il grado e
la natura della dissociazione osservata nei disturbi dissociativi non è ancora stata adeguatamente
compresa.
Le identità alternative: problematiche concettuali e manifestazioni psicofisiologiche
Il paziente con un disturbo dissociativo dell’identità è una sola persona che fa esperienza di se stesso
come di un soggetto avente identità alternative separate che hanno un’autonomia psicologica. In tempi
diversi, queste identità soggettive possono prendere controllo esecutivo del corpo e del comportamento
della persona e/o influenzare la sua esperienza. Nel loro insieme, tutte le identità alternative costituiscono
l'identità o la personalità dell'essere umano con DDI.
Le identità alternative sono state definite in vari modi. Per esempio, Putnam (1989) le ha descritte come
"stati molto discreti della coscienza organizzati intorno ad un affetto prevalente, al senso del sé (compresa l’immagine
del corpo), con un repertorio limitato di comportamenti e di un insieme di stati della memoria dipendenti " (p. 103).
RP Kluft (1988b) ha dichiarato:
“Uno stato del Sé disgregato (cioè, la personalità) è luogo mentale di un modello relativamente stabile e duraturo di
mobilitazione selettiva di contenuti mentali e funzioni, che possono essere messi in atto con role-taking e role-playing
di notevoli dimensioni e sensibili a stimoli intrapsichici, interpersonali e ambientali. È organizzata e associata a un
relativamente stabile. . . modello di attivazione neuropsicologa, ed ha cruciali contenuti psicodinamici. Ciò funziona
da destinatario, da processore e da memoria centrale per le percezioni, esperienze, e il trattamento di tali in relazione
a eventi passati e pensieri, e/o di quelle attuali e previste. Ha un senso della propria identità e d’ideazione, e una
capacità di avviare processi di pensiero e di azione.” (p. 55).
Molti termini sono usati per descrivere gli stati del sé o le identità di un paziente DDI. Questi includono la
personalità, stati di personalità, stati del sé, stati del sé disgregati, alters, personalità alter, identità
alternative, parti, parti della mente, parti del sé, parti dissociate della personalità, ed entità (vedi Van der
Hart & Dorahy, 2009). Dato che il DSM-IV-TR (American Psychiatric Association, 2000a) utilizza il
termine identità, per coerenza, sarà usato anche nella guida.
I clinici dovrebbero partecipare all’unico e personale linguaggio con cui i pazienti DDI individuano le loro
identità alternative. I pazienti comunemente si riferiscono a se stessi come aventi parti, parti interne,
aspetti, sfaccettature, modi di essere, voci, multipli, vari sé, varie età, la gente, le persone, gli individui,
spiriti, demoni, altri, e così via. Può essere utile adoperare i termini che i pazienti adottano per fare
riferimento alle loro identità, a meno che questi termini non siano in linea con le raccomandazioni
terapeutiche e/o, a giudizio del clinico, possano rafforzare la convinzione che le identità alternative siano
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persone separate, o più persone, anziché un singolo essere umano con aspetti del Sé soggettivamente
divisi.
Differenze fisiologiche tra identità alternative. I report di casi e gli studi con piccoli gruppi di pazienti DDI e
un gruppo di controllo, che simulano le diverse "identità alternative", hanno trovato indicative differenze
fisiologiche tra i pazienti rispetto al gruppo di controllo, che si manifestano in una varietà di modi
comportamentali. Questi comprendono differenze di acuità visiva, risposte ai farmaci, allergie, livelli
plasmatici di glucosio in pazienti diabetici, frequenza cardiaca, letture di pressione sanguigna, risposta
galvanica della pelle, tensione muscolare, lateralità, funzione immunitaria, elettroencefalografia e
potenziali modelli evocati, risonanza magnetica funzionale, e attivazione del cervello e del flusso ematico
regionale usando tomografia computerizzata a emissione di fotoni e tra gli altri la tomografia a emissione
di positroni (Loewenstein & Putnam, 2004; Putnam, 1984, 1991b; Reinders et al 2006;¸Sar, Ünal, Kiziltan,
Kundakci, e Öztürk, 2001; Vermetten, Schmal, Lindner, Loewenstein, & Bremner, 2006). In generale, il
gruppo di pazienti DDI mostra una variabilità fisiologica maggiore tra le loro identità rispetto a quelle
simulate nel gruppo di controllo, e son state riscontrate differenze stabili e riproducibili tra i diversi
individui.
Recenti studi hanno trovato differenze psicobiologiche indicative tra i diversi tipi d’identità alternative,
come se ogni identità, a sua volta, avesse ascoltato una sceneggiatura traumatica che solo un’identità
vive soggettivamente come memoria "personale" (Reinders et al., 2003, 2006). Queste differenze
coinvolgono reazioni sensomotorie, emotive e soggettive, reazioni psicofisiologiche come il battito e la
pressione sanguigna, nonché schemi di flusso sanguigno cerebrale e regionale misurato con la
tomografia a emissione di positroni. Le differenze psicobiologiche non sono state riscontrate per quei due
diversi tipi d’identità alternative che sembrava, a loro volta, avessero ascoltato uno script di memoria
neutrale, non traumatico e autobiografico.
Teorie dello sviluppo del DDI
È fuori dallo scopo di applicazione di queste linee guida, fornire una completa discussione delle attuali
teorie riguardanti lo sviluppo d’identità alternative nei pazienti con un disturbo dissociativo dell’identità
(vedi Loewenstein & Putnam, 2004 e Putnam, 1997, per una discussione più completa). In breve, molti
esperti propongono un modello evolutivo e ipotizzano che lo sviluppo delle identità sia il risultato
dell'incapacità di molti bambini traumatizzati a sviluppare un senso unitario di sé, che è mantenuto
attraverso diversi stati comportamentali, in particolare quando la prima esposizione traumatica avviene
prima dei 5 anni. Tali difficoltà avvengono spesso nel contesto della relazione o attaccamento
disorganizzato che può anticipare e impostare una situazione di abuso e lo sviluppo di strategie di coping
dissociative (Barach, 1991; Liotti, 1992, 1999). La teoria del trauma da tradimento di Freyd assume che
un attaccamento disorganizzato tra figlio e caregiver sconvolga ulteriormente la capacità del bambino di 8
integrare esperienze (Freyd, 1996; Freyd, DePrince, e Zurbriggen, 2001). La frammentazione e
l'incapsulamento di esperienze traumatiche possono servire a proteggere i rapporti con i caregivers
(anche se inadeguato o abusivo) e consentire una maggiore maturazione in altre aree di sviluppo, come
quella intellettuale, interpersonale e artistica. In questo modo, la precoce attivazione della dissociazione
può servire come fattore di resilienza evolutiva, nonostante i gravi disturbi psichiatrici che caratterizzano i
pazienti DDI (Marca, Armstrong, Loewenstein, e McNary, 2009).
Esperienze traumatiche gravi e prolungate possono portare allo sviluppo di stati comportamentali
personificati (cioè, rudimentali identità alternative) nel bambino, che hanno l'effetto di incapsulare ricordi,
affetti, sensazioni, convinzioni o comportamenti intollerabili e traumatici, e mitigare il loro effetto sullo
sviluppo globale. La strutturazione secondaria di questi stati comportamentali distinti accade nel tempo
attraverso una varietà di sviluppi e meccanismi simbolici, che danno luogo alle caratteristiche della
specifica identità alternativa. Le identità si possono sviluppare in numero, complessità e senso di
separazione con il procedere dello sviluppo del bambino attraverso il periodo della latenza,
nell’adolescenza, e in età adulta (RP Kluft, 1984; Putnam, 1997). Il disturbo dissociativo dell’identità si
sviluppa durante il corso dell'infanzia e i clinici hanno incontrato raramente casi di DDI che derivano da
traumi avvenuti durante l’età adulta (salvo che non si sovrappongano a preesistenti traumi infantili e
preesistenti latenti frammentazioni).
Un altro modello eziologico postula che lo sviluppo del DDI richiede la presenza di quattro fattori: (a) la
capacità di dissociazione; (b) le esperienze che sopraffanno la capacità di coping non dissociative del
bambino, (c) la strutturazione secondaria delle identità alternative con caratteristiche personalizzate quali
nomi, età, sesso, e (d) la mancanza di esperienze calmanti e rassicuranti, che rende il bambino isolato o
abbandonato e che lo portano a sviluppare propri modi di moderare il distress (RP Kluft, 1984). La
strutturazione secondaria delle identità alternative può differire ampiamente da paziente a paziente. I
fattori che possono favorire lo sviluppo di sistemi d’identità altamente elaborati sono i traumi multipli, gli
autori molteplici, un significativo investimento narcisistico nella natura e nelle qualità delle identità
alternative, gli alti livelli di creatività e intelligenza, e un ritiro estremo nella fantasia. Di conseguenza, i
terapeuti esperti nel trattamento dei DDI, in genere, pongono una relativa e limitata attenzione allo stile e
alla presentazione palese delle diverse identità alternative. Si concentrano, piuttosto, sulle caratteristiche
cognitive, affettive, e psicodinamiche incarnate da ogni identità che contemporaneamente partecipa a
una identità collettiva come sistema di rappresentazione, simbolizzazione e significato.
La teoria della "dissociazione strutturale della personalità, " un altro modello eziologico, si basa sulle idee
di Janet e tenta di creare un’unica teoria della dissociazione che include il DDI (Van der Hart et al., 2006).
Questa teoria suggerisce che la dissociazione è il risultato di un fallimento di base dell’integrazione dei
sistemi delle idee e delle funzioni della personalità. A seguito della costante esposizione a eventi
potenzialmente traumatizzanti, la personalità, come sistema complesso, può dividersi in una "parte
apparentemente normale della personalità" dedicata al funzionamento quotidiano e una "parte emotiva
della personalità", dedicata alla difesa. La difesa, in questo contesto, è legata alle 9
funzioni psicobiologiche di sopravvivenza in risposta alle minacce della vita, come attacco/fuga, e non
alla nozione psicodinamica di difesa. Si ipotizza che una traumatizzazione cronica e/o negligenza possa
portare alla dissociazione strutturale secondaria e all'emergere di supplementari componenti emotive
della personalità.
In breve, questi modelli evolutivi ipotizzano che il disturbo dissociativo dell’identità non si sviluppi da una
mente precedentemente matura e unificata o da una "personalità di base" che diventa frantumata o
fratturata. Piuttosto, il disturbo è il risultato di un fallimento di una normale integrazione dello sviluppo,
causata da esperienze travolgenti e traumatizzanti e da un attaccamento disorganizzato
bambino-caregiver (tra cui l'abbandono e la mancata risposta) durante i primi periodi critici dello sviluppo.
Questo, a sua volta, porta alcuni bambini traumatizzati a sviluppare stati comportamentali che, in ultima
analisi, si evolvono nelle identità alternative del DDI.
Alcuni autori sostengono che il DDI sia causato dai clinici che credono fortemente in questo disturbo e
che implicitamente e/o in modo esplicito influenzano i pazienti nell’emanare i sintomi caratteristici.
Secondo questo modello "sociocognitivo",
Il DDI è una condizione socialmente costruita che deriva dalle “battute d’entrata” del terapeuta (ad esempio,
domande suggestive riguardanti l'esistenza di possibili personalità alternative), dall’influenza dei media (ad esempio
cinema, televisione e rappresentazioni del disturbo), e da una più ampia aspettativa socio-culturale riguardo alle
caratteristiche cliniche, presunte, del DDI. Ad esempio, alcuni sostenitori del modello sociocognitivo credono che
l'uscita del libro e del film Sybil, negli anni 70, abbia svolto un ruolo importante nel plasmare le concezioni del DDI
nella mente del pubblico, in generale, e negli psicoterapeuti. (Lilienfeld & Lynn, 2003, p. 117).
Nonostante questi argomenti, non c'è ricerca reale che mostri che la complessa fenomenologia del
disturbo dissociativo dell’identità possa essere creata, tanto meno sostenuta nel tempo, per suggestione,
contagio, o ipnosi (DW Brown, Frischholz, & Scheflin, 1999; Gleaves, 1996; Loewenstein, 2007).
Ci sono numerosi elementi a sostegno del modello del trauma, rispetto a quello sociocognitivo, per il
disturbo dissociativo dell’identità. Questi includono studi che dimostrano che, in bambini, adolescenti e
adulti, i quali avevano subito maltrattamenti, il disturbo fosse già presente, con evidenti sintomi prima di
qualsiasi interazione con i clinici, (Hornstein & Putnam, 1992; Lewis, Yeager, Swica, Pincus, & Lewis,
1997), studi di psicofisiologia e psicobiologia come descritto sopra, e studi della validità discriminante dei
disturbi dissociativi utilizzando protocolli d’intervista strutturati. Inoltre, studi naturalistici hanno dimostrato
che i pazienti DDI hanno segnalato molti sintomi che, sulla base di dati di ricerca caratterizzano il
disturbo, ma che non erano noti ai pazienti, alla cultura generale, e anche alla maggior parte dei terapeuti
(Dell, 2006b). 10
L’intervista diagnostica
Un attento colloquio clinico e una diagnosi differenziale meditata possono, di solito, portare alla corretta
diagnosi di DDI (Coons, 1984). La valutazione della dissociazione dovrebbe essere condotta come parte
di ogni singolo colloquio diagnostico, poiché i disturbi dissociativi sono altrettanto comuni, se non di più,
rispetto a molti altri disturbi psichiatrici che sono abitualmente considerati nelle valutazioni psichiatriche.
Come minimo, bisognerebbe chiedere al paziente di episodi di amnesia, fuga, depersonalizzazione,
derealizzazione, confusione d’identità e alterazione dell’identità (Steinberg, 1995). Ulteriori aree utili
d’indagine includono domande su regressioni di età spontanee; fantasie di incredibili esperienze, sentire
voci (Putnam, 1991a); influenza passiva di sintomi quali “fare” pensieri, emozioni o comportamenti (cioè,
quelli che non si sentono attribuibili al sé; Dell, 2009c; RP Kluft, 1987a), e sintomi somatoformi
dissociativi quali sensazioni corporee legate a forti emozioni e traumi passati (Nijenhuis, 1999). I clinici
dovrebbero anche essere attenti a manifestazioni comportamentali di dissociazione, come la postura, la
presentazione di sé, i vestiti, gli sguardi fissi, gli occhi svolazzanti, lo stile del discorso fluttuante, le
relazioni interpersonali, il livello di abilità e la raffinatezza della sfera cognitiva (Armstrong, 1991, 2002;
Loewenstein, 1991a). Loewenstein (1991a) ha descritto un esame dello stato mentale che indaga molti
sintomi di DDI, tra cui la prova d’identità alternative, l’amnesia, i fenomeni autoipnotici, i PTSD, i sintomi
somatoformi e quelli affettivi.
Il processo di diagnosi di gravi disturbi dissociativi è complicato dal trauma precoce vissuto dai pazienti,
dalla difficoltà di attaccamento e dalla diffidenza verso gli altri, in particolare verso le figure di autorità. I
pazienti traumatizzati possono essere molto riluttanti a rivelare un mondo nascosto interiore a un clinico,
che può essere visto come una figura autoritaria (Marca, Armstrong, & Loewenstein, 2006). Inoltre, il
processo di diagnosi richiede che la persona rifletta e riferisca esperienze che sono state dissociate,
perché suscitavano sentimenti forti, negativi e contraddittori. In breve, molti pazienti dissociati sono
comprensibilmente riluttanti o incapaci di riconoscere e rivelare le loro esperienze interiori. Salvo che i
terapeuti non prendano il tempo necessario per sviluppare un rapporto di collaborazione basato su un
aumento dei livelli di fiducia, le informazioni fornite durante l’intervista diagnostica e le misure di
self-report non è detto che siano quelle utili e valide per una buona diagnosi (Armstrong, 1991;. Marca,
Armstrong, et al 2006).
I clinici devono tenere a mente che alcune persone con DDI non riconoscono che la loro esperienza
interna è differente da quella degli altri. In linea con l'idea che la dissociazione può servire da difesa
contro le realtà scomode, la presenza d’identità alternative e altri sintomi dissociativi è comunemente
negata e ripudiata. Questo tipo di rifiuto è coerente con la funzione difensiva di disconoscere sia il trauma
sia le emozioni legate a esso e il conseguente senso di sé dissociato. Non a caso, le persone con DDI
spesso presentano un disturbo di personalità evitante, si sentono impoveriti e depressi (vedi Cardeña &
Spiegel, 1996). 11
Il disturbo dissociativo dell’identità è quasi universalmente associato a una storia antecedente di trauma
significativo, il più delle volte verificatosi durante la prima infanzia (Putnam, 1997; Putnam, Guroff,
Silberman, Barban, & Post, 1986). Di conseguenza, il processo diagnostico dovrebbe comprendere un
forte impegno per valutare la storia traumatica del paziente. Tuttavia, i terapeuti dovrebbero utilizzare un
giudizio clinico attento su come perseguire i dettagli di esperienze traumatiche durante le interviste
iniziali, specialmente quando queste esperienze sembrano essere scarsamente o non completamente
ricordate, o se, ricordate o raccontate, sembrano sopraffare le capacità emotive individuali. Suscitare
prematuramente i dettagli di una storia traumatica può evocare un ricco scompenso (cioè gravi sintomi
post-traumatici e dissociativi). A causa della loro amnesia dissociativa, i pazienti spesso forniscono una
storia frammentata e incoerente durante la prima fase del trattamento; una storia personale più completa
emerge, tipicamente, con il passare del tempo.
Il Disturbo Dissociativo Non Altrimenti Specificato (DDNAS)
Una parte considerevole dei casi di pazienti con disturbi dissociativi, incontrata in clinica, riceve una
diagnosi di DDNAS. Molti di questi casi sono DDNAS ben descritti dal DSM-IV-TR nell’esempio 1 di
DDNAS:
" I quadri clinici simili al Disturbo Dissociativo dell’Identità che non soddisfano pienamente i criteri per questo
disturbo.” (American Psychiatric Association, 2000a, p. 532).
Sembra che ci siano due grandi raggruppamenti di tali DDNAS-1: (a) casi di DDI “maturi” la cui diagnosi
non è ancora stata confermata (attraverso le manifestazioni inequivocabili d’identità alternative) e (b) casi
dissociativi complessi con alcune frammentazioni interne e/o incidenti infrequenti di amnesia (Dell,
2009b). I pazienti di questo secondo gruppo di DDNAS-1 sono definiti "quasi-DDI". I pazienti DDNAS-1
sono in genere soggetti a interruzioni nel loro funzionamento, come i DDI, causati da scambi tra gli stati
del Sé e le intrusioni di sentimenti e ricordi nella coscienza. Poiché questi ultimi fenomeni sono spesso
più sottili rispetto ai casi con un florido DDI, si può richiedere più abilità e competenza da parte dei clinici
di discernere la loro presenza. In termini di trattamento, tuttavia, il consenso esperto è che i casi di
DDNAS – che essi siano non ancora DDI diagnosticati o quasi DDI - beneficiano molto dei trattamenti
sviluppati per i pazienti con un disturbo dissociativo dell’identità.
Misurare la Dissociazione
Saranno qui discusse tre classi di strumenti che occorrono per valutare i sintomi o le diagnosi
dissociative: le interviste complete e strutturate gestite dal clinico, gli strumenti di autovalutazione
completi e gli strumenti di screening autovalutativo brevi. Diversi metodi per misurare la dissociazione 12
sono utilizzati principalmente nell’ambito della ricerca e non saranno discussi in queste linee guida,
poiché progettate per un uso prettamente clinico.
Interviste complete e strutturate gestite dal clinico. The Structured Clinical Interview for DSM-IV
Dissociative Disorder Revised (SCID-DR, Steinberg 1994a, 1994b, 1995) è un’intervista composta di 277
item che valuta cinque sintomi della dissociazione: amnesia, depersonalizzazione, derealizzazione,
confusione dell’identità, identità alterata. In molti item, vi sono domande subordinate che richiedono
spiegazioni e descrizioni di alcune esperienze, di alcuni esempi, la quantificazione della loro frequenza e
l’impatto conseguente sulla vita sociale e lavorativa dell’individuo. Lo SCID-D-R aiuta a diagnosticare i 5
disturbi dissociativi del DSM-IV; consente altresì un punteggio per ciascuno dei cinque sintomi dissociativi
e un punteggio totale in base alla frequenza e intensità dei sintomi stessi. Lo SCID-D-R prevede una
durata dai 45 ai 180 minuti circa. L’intervistatore deve avere familiarità con il disturbo dissociativo, i
sintomi e con la dissociazione.
La Dissociative Disorders Interview Schedule (DDIS; Ross, 1997; Ross et al., 1989, 1990) è una
intervista strutturata di 132-item che valuta i sintomi dei cinque disturbi dissociativi del DSM-IV, disturbo di
somatizzazione, disturbo borderline di personalità e disturbo di depressione maggiore. La DDIS valuta
anche l'abuso di sostanze, la prima classe di sintomi della classificazione di Schneider, lo stato di trance,
l’abuso infantile, le caratteristiche secondarie del DDI e le esperienze soprannaturali/paranormali. Lo
strumento richiede solitamente 30-60 minuti per essere somministrato. Il DDIS fornisce la diagnosi e il
numero di elementi che sono stati approvati in ogni sezione del colloquio, ma non valuta la frequenza o la
gravità dei sintomi.
Strumenti completi di autovalutazione. Il Multidimensional Inventory of Dissociation (MID, Dell, 2006a) è
uno strumento diagnostico multiscala progettato per valutare complessivamente i fenomeni dissociativi. Il
MID è uno strumento di 218-item con 168 elementi di dissociazione e 50 di validità. Il MID dura da 30 a
90 minuti. Il MID si basa su un programma di punteggio Excel (Excel®-based; liberamente disponibile per
professionisti della salute mentale) e genera entrambi i punteggi della scala e delle diagnosi (cioè, DDI,
DDNAS, PTSD, e grave disturbo borderline di personalità). Il MID misura 23 sintomi dissociativi e sei
insiemi di risposte che fungono da scale di validità. I 168 item della dissociazione hanno 12 fattori di
primo ordine (auto-confusione, intrusioni di rabbia, disorientamento dissociativo, amnesia, problemi di
memoria, esperienza d’identità alternative, derealizzazione/depersonalizzazione, intrusioni persecutorie,
trance, flashback, sintomi corporei, lacune nella memoria autobiografica) e un fattore di secondo ordine
(dissociazione patologica; Dell & Lawson, 2009).
Strumenti brevi di autovalutazione. Gli strumenti di screening brevi sono progettati solo per lo screening e
non dovrebbero essere usati per controllare o escludere la diagnosi di un disturbo dissociativo.
Il Dissociative Experiences Scale (DES; Bernstein & Putnam, 1986 1993) è stato utilizzato nella ricerca e
nella clinica più di ogni altro metodo di misurazione della dissociazione. E 'stato tradotto dalla sua
versione originale inglese, in molte lingue. Il DES è uno strumento di self-report composto di 28-item che
indagano l'absorption, il coinvolgimento immaginativo, la depersonalizzazione, la derealizzazione e 13
l’amnesia. Il DES-Taxon è composto di otto domande del DES che sono più strettamente identificate con
un taxon (classe) di individui che dimostrano la "dissociazione patologica" (Waller, Putnam, & Carlson,
1996).
Il Dissociation Questionnaire (DIS-Q; Vanderlinden, 1993; Vanderlinden, Van Dyck, Vandereycken,
Vertommen, e Verkes, 1993) è uno strumento di autovalutazione di 63-item. Il gruppo di item iniziale, da
cui la DIS-Q è stata sviluppata, includeva il DES, il Percentual Alteration Scale (Sanders, 1986), e il
Questionnaire of Experiences of Dissociation (Riley, 1988), con elementi aggiuntivi che sono stati ricavati
da interviste con pazienti dissociati. Il DIS-Q misura la confusione dell’identità e la frammentazione, la
perdita di controllo, l’amnesia, e l'assorbimento. Sviluppato in Belgio e nei Paesi Bassi, la DIS-Q è più
comunemente usata dai clinici e ricercatori europei che da quelli nordamericani.
Il Somatoform Dissociation Questionnaire-20 (SDQ-20) è uno strumento di self-report composto di 20
item che utilizza una scala Likert a 5 punti (Nijenhuis, Spinhoven, Van Dyck, Van der Hart, e
Vanderlinden, 1996, 1998; Nijenhuis et al 1999). Sulla base del lavoro clinico e descrittivo di Janet
(1889), lo SDQ-20 è esplicitamente la concettualizzazione della misura della dissociazione somatoforme.
Gli item dello SDQ indagano la visione a tunnel, il distanziamento dell’uditivo, le contrazioni muscolari, la
cecità psicogena, la difficoltà a urinare, l’insensibilità al dolore, la paralisi psicogena, le convulsioni non
epilettiche, e così via. Una versione più breve, il SDQ-5, è composta di 5 item dello SDQ-20 (Nijenhuis,
1999). Lo SDQ-5 è stato sviluppato come strumento di screening per i disturbi dissociativi ed è ben
correlato con i risultati del questionario più lungo.
Altri Test Psicologici
Alcuni test psicologici comunemente usati (ad esempio, il Rorschach Inkblot Test, Minnesota Multiphasic
Personality Inventory-2, Wechsler Adult Intelligence Scale-Revised, Millon Clinical Multiassiale
Inventory-III) possono fornire una comprensione della struttura della personalità del paziente e produrre
informazioni utili a sviluppare una diagnosi differenziale tra disturbi spesso confusi con DDI, come il
disturbo borderline di personalità e disturbi psicotici (Armstrong, 1991, 2002;. Brand, Armstrong, et al
2009). Per esempio, al Rorschach, i pazienti DDI possono essere distinti da quelli psicotici da indicative
intrusioni traumatiche, una migliore capacità di ragionamento e una maggiore complessità cognitiva
(Marca, Armstrong, et al., 2009). Pazienti DDI possono essere distinti al Rorschach dai pazienti
borderline grazie ad una maggiore capacità di rapporti di collaborazione, a una capacità di
auto-riflessione, a percezioni più accurate e a un pensiero più logico (Marca, Armstrong, et al., 2009).
Tuttavia, comunemente i test psicologici utilizzati non sono stati progettati per rilevare i disturbi
dissociativi e potrebbero portare a una diagnosi errata quando il valutatore (a) non è familiare con le
tipiche risposte dei pazienti dissociati in questi test, (b) si basa principalmente sul punteggio delle scale
non normativo 14
per una popolazione dissociata, (c) non somministra ulteriori prove specifiche per la dissociazione (come
colloqui clinici strutturati), e (d) non indaga i sintomi dissociativi durante il colloquio clinico o i test.
Diagnosi Differenziale e Diagnosi Errata di DDI
I clinici devono essere attenti alle diagnosi di falsi positivi e falsi negativi del disturbo dissociativo
dell’identità. È importante che i terapeuti colgano le somiglianze e differenze tra i sintomi dei disturbi
dissociativi e altri frequentemente incontrati. Il disturbo bipolare, affettivo, psicotico, le convulsioni e i
disturbi di personalità borderline sono tra le diagnosi false negative più comuni nei pazienti con DDI e
DDNAS. I falsi negativi delle diagnosi di DDI accadono facilmente quando il colloquio di valutazione non
include domande che indagano la dissociazione e il trauma, quando si concentrano sulle condizioni di
comorbidità più evidenti e quando il clinico non si occupa sufficientemente dei problemi caratteristici dei
momenti critici, quali lo sviluppo di un'alleanza di lavoro.
I terapeuti che si specializzano in disturbi dissociativi devono essere in grado di riconoscere e
diagnosticare i disturbi non dissociativi affinché non si formuli una diagnosi scorretta di DDI o non si
fallisca l’identificazione di una condizione di comorbidità. I sintomi dissociativi sono centrali anche in altri
disturbi dissociativi e PTSD, e possono essere parte della manifestazione clinica dei pazienti con disturbo
di somatizzazione, disturbo di panico, e addirittura psicosi. Non bisogna presupporre che sintomi quali
l’amnesia o addirittura l’identità frammentata connotino automaticamente una diagnosi di DDI. I problemi
d’identità che si verificano nei pazienti con disturbi di personalità possono occasionalmente essere
diagnosticati come sintomi della DDI. I cambiamenti di umore nei pazienti bipolari, in particolare quelli con
una comorbidità di disturbo post-traumatico da stress, sono stati spesso confusi con DDI. Alcuni pazienti
psicotici con deliri di “essere abitato da altre persone” possono essere diagnosticati come DDI. Inoltre,
alcuni pazienti possono avere sintomi dissociativi, ma una diagnosi primaria di un disturbo non
dissociativo. Per esempio, ci sono pazienti con un disturbo schizofrenico e una storia di traumi infantili
con concomitanti sintomi dissociativi (Ross & Keyes, 2004. ¸ Sar et al 2010). Pazienti con disturbi di
personalità che hanno sintomi dissociativi e disturbi dell’identità possono essere diagnosticati
erroneamente come DDI. Ad esempio, "stress transitorio legato. .. a gravi sintomi dissociativi " (p. 710) e
disturbi d’identità sono sintomi descritti come criteri dal DSM-IV-TR per il disturbo borderline di
personalità. Molti pazienti borderline, così come gli altri pazienti con disturbi di personalità, hanno storie di
maltrattamento infantile. Quando questi pazienti sono sottoposti a una precoce e intensa esplorazione dei
ricordi traumatici, questi possono sviluppare un maggior senso di frammentazione dell'identità che può
tradursi in una diagnosi errata di DDI. Studi di confronto tra pazienti con disturbi di personalità e pazienti
con DDI hanno dimostrato che un'attenta valutazione clinica, l’uso di test diagnostici come il DES, la
SCID-D, e il MID e la valutazione psicologica possono essere utili nella diagnosi differenziale (Boon &
Draijer, 1993; Brand, Armstrong, et al, 2009;. Draijer & Boon, 1999). 15
I clinici inesperti possono anche confondere l'investimento di un paziente in un metaforico "bambino
interiore" o fenomeni simili con la diagnosi clinica di DDI. I terapeuti scarsamente addestrati in ipnosi
possono confondere fenomeni ipnotici, come ad esempio la produzione di "stati dell'Io", con il DDI
(Watkins & Watkins, 1997). In alcuni casi, queste situazioni possono essere aggravate dal desiderio del
paziente di avere un disturbo più "interessante" o elaborato, con il conseguente rischio di credere che
siano realmente affetti da disturbo dissociativo dell’identità. Ad esempio, Boon e Draijer hanno descritto il
" disturbo dissociativo dell’identità imitativo", in particolare in pazienti con disturbi di personalità. Nel
disturbo imitativo, i pazienti, gli altri interessati, e anche il terapeuta credono fortemente nella presenza
del disturbo nell’identità del paziente (Boon & Draijer, 1993; Draijer & Boon, 1999). Tra gli altri sintomi, i
pazienti con questo pseudo-DDI sono caratterizzati da una entusiasta accettazione e visualizzazione
delle loro "identità" che è contraria al pervasivo disconoscimento tipico dei pazienti DDI, riguardante la
negazione di aspetti dissociati di se stessi, di traumi travolgenti e della diagnosi di DDI, almeno durante le
fasi iniziali del trattamento.
Come con qualsiasi condizione psichiatrica, una presentazione di DDI può essere fittizia o simulata
(Coons, 1991; Coons e Milstein, 1994; Draijer & Boon, 1999; RP Kluft, 1987c, Thomas, 2001). I clinici
devono essere consapevoli di ciò, soprattutto nelle situazioni in cui vi è una forte motivazione a simulare
una malattia (ad esempio, in attesa di spese legali, contenzioso civile, e/o di determinazione d’invalidità o
di compensazione). Le ricerche hanno dimostrato che la SCID-D, il MID e altri strumenti diagnostici
possono essere utili nel differenziare un “finto” disturbo, da pazienti in buona fede (Marca, McNary,
Loewenstein, Kolos, e Barr, 2006). Specialmente in un ambiente forense, la completa valutazione del
possibile finto e/o fittizio DDI può comprendere (A) un colloquio, (b) l'esame clinico completo di tutte le
disponibili documentazioni e informazioni cliniche collaterali, (c) misure standardizzate di dissociazione e
PTSD, (d) test psicologici standard (ad esempio, il Millon Clinical Multiaxial Inventory-II [Millon, 1997] o il
Rorschach), e (e) azioni di simulazione di malattia (ad esempio, un'intervista strutturata dei sintomi riferiti,
Rogers, Bagby, e Dickens, 1992). Tuttavia, Brand, McNary et al. (2006) hanno rilevato che alcuni
individui con DDI avevano punteggi elevati su qualche sottoscala dello Structured Interview of Reported
Symptoms perché gli elementi di prova comprendono un numero di sintomi dissociativi comuni come la
depersonalizzazione.
COMORBIDITA TRA DISTURBI SOMATOMORFI E DDI
Storicamente parlando, i disturbi somatoformi e i disturbi dissociativi sono stati collegati attraverso il
concetto di isterismo, fino a quando nel DSM-III sono stati concettualizzati come aventi meccanismi e
processi sottostanti simili. Il comitato che ha sviluppato il DSM-III ha posto i disturbi somatomorfi e
dissociativi in categorie separate, anche se questa decisione è stata contestata (RJ Brown, Cardeña,
Nijenhuis, ¸Sar, e Van der Hart, 2007). La International Classification of Diseases-9, ICD-9
(Organizzazione Mondiale della Sanità, 1977), tuttavia, ha continuato a concettualizzare questi disturbi 16
come se condividessero una relazione sottostante. Lo stesso vale per la International Classification of
Diseases-10 (Organizzazione Mondiale della Sanità, 1992), che include i disturbi dissociativi del
movimento e di sensazione, piuttosto che i disturbi di conversione. Nei pazienti con disturbo dissociativo
d’identità son stati riscontrati alti tassi di somatizzazione e disturbi somatoformi. Nijenhuis (1999) ha
definito molti di questi tipi di sintomi come dissociazione somatomorfa. I sintomi somatoformi comuni nei
pazienti DDI sono molto vari e possono includere dolore addominale, dolore pelvico, dolore alle
articolazioni, al viso e alla testa, nodo alla gola, mal di schiena, convulsioni non epilettiche e
pseudo-asma. La dissociazione somatoforme potrebbe spiegare gli alti tassi di maltrattamento infantile, in
particolare l'abuso sessuale, trovato in pazienti con disturbo di somatizzazione (sindrome di Briquet),
disturbo algico, ipocondria, e disturbo di conversione, in particolare le crisi non epilettiche (Barsky, Lana,
Barnett, e Cleary, 1994; Bowman & Markand, 1996; Goodwin & Attias, 1999; Litwin & Cardeña, 2000;
Loewenstein, 1990, 2002; Loewenstein & Goodwin, 1999;. McCauley et al, 1997; Morrison, 1989; ¸ Sar,
Akyüz, Kundakci, Kiziltan, e Dogan, 2004; Saxe et al., 1994).
Considerazioni sul trattamento. Alcuni pazienti hanno una straordinaria capacità di produrre una
conversione realistica (cioè, sintomi dissociativi somatoformi che imitano gravi problemi medici, tra cui
convulsioni, forti mal di testa, problemi neurologici, difficoltà respiratorie, ecc.). Inoltre, un disturbo
somatomorfo può essere sovrapposto a malattia medica. Soprattutto nelle culture al di fuori del Nord
America, è possibile che i pazienti DDI si presentino al pronto soccorso con una dissociazione
somatomorfa (conversione), quindi sintomi come una pseudo-epilessia (¸Sar, Koyuncu, et al., 2007). Nel
momento in cui può essere escluso ogni disturbo medico fisico, gli interventi di psicoterapia sono molto
utili, come accedere e lavorare con le identità alternative che incarnano o controllano i sintomi
somatoformi e/o risolvere i conflitti tra le identità che hanno portato a queste manifestazioni. A volte, le
ospedalizzazioni a breve termine possono essere utili per escludere una grave malattia medica,
stabilizzare sintomi fisici debilitanti e avviare la psicoterapia. Alcuni sintomi somatoformi possono essere
concepiti come flashback somatoformi, la componente somatica dissociata di una memoria traumatica
(talvolta denominata come "memoria del corpo"; vedere Braun, 1988). Gli sforzi terapeutici, per aiutare a
esprimere verbalmente il contenuto di questi sintomi, possono migliorare i flashback e i sintomi
somatoformi - a volte con una rapidità sorprendente. La psicoterapia sensomotoria, che è stata segnalata
per essere un trattamento aggiuntivo utile per la DDI, può anche essere efficace nella risoluzione dei
sintomi somatoformi (Ogden, Minton, & Pain, 2006). Complessivamente, questi interventi possono ridurre
i trattamenti medici e farmacologici inappropriati, contribuire a migliorare il benessere e il funzionamento
del paziente e diminuire le spese d’interventi medici inappropriati su sintomi somatomorfi .
Alcuni pazienti DDI sono preoccupati di sindromi somatoformi dolorose e prendono alte dosi di analgesici
narcotici con scarsi e limitati effetti. Altri pazienti dissociano il dolore per lunghi periodi, ritardando così
cure mediche, fino al verificarsi di complicazioni gravi (ad esempio, anche casi di cancro metastatico). I
pazienti DDI hanno diversi modelli di utilizzo di cure mediche: alcuni pazienti utilizzano le risorse mediche
a un tasso superiore rispetto alla popolazione generale e altri si dimostrano fobici riguardo alla ricerca di
17
cure mediche a tutti i costi. Quest'ultima situazione può essere dovuta alla rievocazione di modelli
d'infanzia di negligenza medica, a sintomi intrusivi legati a traumi medici riportati o di abusi da parte di
professionisti medici o, ancora, la vergogna e il disturbo post-traumatico da stress basato sull’evitare di
mostrare o far toccare il proprio corpo. Ci sono questioni complesse che devono essere affrontate nella
valutazione e trattamento dei problemi somatici del paziente DDI (vedi Goodwin & Attias, 1999). In breve,
il medico curante deve educare il paziente circa una sanità “ragionevole” ed essere disposto ad aiutare il
paziente a cercare cure mediche adeguate.
In alcuni circostanze, può essere utile per i professionisti della salute mentale fornire consulenza ai
medici su come gestire la reattività post-traumatico dei pazienti DDI, causata da professionisti o
procedure mediche. Inoltre, la consultazione può essere utile quando il paziente si presenta con una
ampia somatizzazione che può complicare o impedire la diagnosi medica accurata e la conseguente
cura.
Inoltre, lo psichiatra che svolge il trattamento ha spesso un ruolo d’interfaccia con la comunità medica,
aiuta il paziente a ottenere i servizi necessari, nonché lo aiuta a tenere a freno il desiderio di fare nuovi
interventi ed esami per valutare nuovi problemi.
Molti pazienti DDI possono avere particolari difficoltà con le procedure mediche o i trattamenti. Il
terapeuta può avere bisogno di educare il personale medico sulla dissociazione e avvisare delle possibili
difficoltà. L'attenta preparazione è particolarmente importante per qualsiasi intervento intrusivo, come le
procedure ginecologiche, l'anestesia, e/o la chirurgia. Il terapeuta può avere bisogno di lavorare con le
identità alternative che negano la proprietà del "corpo", affermano che vivono in un corpo diverso,
sostengono che il loro corpo ha una età diversa, e così via, in modo che il paziente accetti l’appropriata
cura medica.
OBIETTIVI DI TRATTAMENTO ED ESITO
IL FUNZIONAMENTO INTEGRATO COME OBIETTIVO DEL TRATTAMENTO
Anche se il paziente DDI ha l'esperienza personale di aver identità separate, è importante per i terapeuti
di tenere a mente che il paziente non è un insieme di persone separate che condividono lo stesso corpo.
Il paziente DDI dovrebbe essere visto come una persona adulta intera, con le identità che condividono le
responsabilità della vita quotidiana. I terapeuti che lavorano con pazienti con il disturbo dissociativo
dell’identità, generalmente, devono considerare tutta la persona (ad esempio, il sistema d’identità
alternative) come responsabile del comportamento di una o tutte le identità costituenti, anche in presenza
di amnesia o di senso di mancanza di controllo o di agency sul comportamento (vedi Radden, 1996). 18
Il trattamento deve portare il paziente verso un migliore funzionamento integrato, quando possibile. Nel
sostenere l’integrazione graduale, il terapeuta può, a volte, riconoscere che il paziente sperimenta le
identità alternative come se fossero separate. Tuttavia, un principio fondamentale della psicoterapia dei
pazienti con DDI è di determinare un livello maggiore di comunicazione e il coordinamento tra le identità.
Nella maggior parte dei pazienti DDI ogni identità sembra avere la sua "propria" prospettiva in prima
persona e senso del "proprio" sé, nonché una visione delle altre parti come "non sé". L'identità che ha il
controllo parla di solito in prima persona e può disconoscere le altre parti o essere completamente
all'oscuro della loro esistenza. L’alternanza tra le identità avviene in risposta ai cambiamenti di stato
emotivo o alle esigenze ambientali, la cui conseguenza è l’assunzione di controllo dell’identità emergente.
Poiché diverse identità hanno ruoli, esperienze, emozioni, ricordi e credenze diverse, il terapeuta è
costantemente in lotta con i loro punti di vista in competizione.
Al centro di un processo terapeutico con pazienti DDI, deve esserci l’idea di aiutare le identità a
conoscersi l'una l'altra, accettarsi come parti legittime del sé e negoziare e risolvere i loro conflitti. È
controterapeutico per il terapeuta trattare qualsiasi identità alternativa come se fosse più "reale" o più
importante di qualsiasi altra. Il terapeuta non deve "avere dei preferiti" tra le identità alternative o
escludere quelle apparentemente antipatiche o di disturbo alla terapia (anche se tali fasi possono essere
necessarie, per un periodo di tempo limitato, affinché le fasi successive si basino sulla sicurezza e la
stabilità del paziente o la sicurezza degli altri). Il terapeuta deve promuovere l'idea che tutte le identità
alternative rappresentino tentativi di adattamento per far fronte o padroneggiare problemi che il paziente
ha affrontato. Quindi, è controterapeutico dire ai pazienti di ignorare o di "sbarazzarsi" delle identità
(anche se è accettabile fornire strategie al paziente per resistere all'influenza delle identità distruttive, o
per aiutarlo a controllare l'emergere di alcune identità in circostanze inappropriate).
È controterapeutico suggerire al paziente di creare una identità supplementare, di nominare una identità
quando non ha un nome (anche se il paziente può scegliere nomi, se lo desidera), o di suggerire che le
identità funzionino in modo elaborato e autonomo più di quanto già fanno.
Il risultato auspicabile del trattamento è una forma praticabile d’integrazione o armonia tra identità
alternative. Termini come integrazione e fusione sono a volte utilizzati in modo confuso. L'integrazione è
un ampio, longitudinale processo in riferimento a tutto il lavoro sui processi mentali dissociati durante il
trattamento. RP Kluft (1993a) ha definito l'integrazione come
“un continuo processo di annullamento di tutti gli aspetti della divisione dissociativa che comincia molto tempo prima
che ci sia una riduzione del numero o della distinzione delle identità, continua durante la loro fusione, e si mantiene a
un più profondo livello anche dopo che le identità sono fuse in una sola. Nella tradizione della prospettiva
psicoanalitica, ciò denota un processo in corso del cambiamento strutturale.” (p. 109)
La fusione si riferisce a un momento in cui due o più identità alternative sperimentano se stesse come
unione, insieme con una completa perdita della soggettiva separazione. La fusione finale si riferisce al
momento in cui il senso del sé del paziente si sposta autonomamente dall’avere identità molteplici a 19
essere un sé unificato. Alcuni membri del comitato che ha sviluppato la guida del 2010, hanno promosso
l'uso del termine unificazione per evitare la confusione tra le prime fusioni e la fusione finale.
RP Kluft (1993a) ha sostenuto che il risultato più stabile del trattamento è la fusione finale- integrazione
completa, aggregazione, perdita totale della separazione - di tutti gli stati d’identità. Tuttavia, anche dopo
aver subito un considerevole trattamento, un consistente numero di pazienti DDI non sarà in grado di
raggiungere una fusione finale e/o non raggiungerà la fusione come auspicabile. Molti sono i fattori che
possono contribuire affinché i pazienti siano in grado di ottenere la fusione finale: le situazioni di stress
cronico e grave, l’evitare l’irrisolto, le questioni di vita estremamente dolorose, tra cui ricordi traumatici, la
mancanza di risorse finanziarie per il trattamento delle comorbidità mediche, i disturbi, l’ età avanzata, il
indicativo aumento di una comorbidità tra Asse I e/o Asse II del DSM IV, e/o un significativo investimento
narcisistico sulle identità alternative e/o sul disturbo stesso. Di conseguenza, un più realistico esito a
lungo termine per alcuni pazienti può essere un accordo di cooperazione a volte chiamato "risoluzione",
cioè un funzionamento sufficientemente integrato e coordinato tra le identità alternative che promuove
una concordanza ottimale. Tuttavia, i pazienti che raggiungono un accordo di cooperazione, piuttosto che
una fusione finale, possono essere più vulnerabili a un successivo scompenso (in un florido DDI e/o
PTSD), quando è sufficientemente sollecitato e stressato.
Anche dopo la fusione finale, il lavoro supplementare per integrare rimanenti modi di pensare e di vivere
dissociati del paziente dovrebbe continuare. Per esempio, il terapeuta e il paziente potrebbero aver
bisogno di lavorare integrando pienamente le capacità che finora erano detenute da una identità
alternativa, o il paziente può aver bisogno di imparare la sua nuova soglia del dolore , o come integrare
tutte le età dissociate in una cronologica, o il modo di stimare la dimensione appropriata e l'esercizio
fisico sano o i livelli di sforzo adatti alla sua età. Anche il materiale traumatico e stressante può avere
bisogno di essere rielaborato da questa nuova prospettiva unificata.
RISULTATI, TRAIETTORIE E RAPPORTO COSTO-EFFICACIA NEL TRATTAMENTO DI
PAZIENTI DDI
Anche se gli studi del trattamento per DDI risalgono a più di un secolo fa (Janet, 1919 Prince, 1906), la
rigorosa ricerca sul trattamento del DDI è ancora ai suoi esordi. Nella loro revisione di studi sul
trattamento di una varietà di disturbi dissociativi, Brand, Classen, McNary, e Zaveri (2009) hanno
identificato diversi fattori che complicano la ricerca in questo settore, tra cui il trattamento prolungato che
è normalmente richiesto e la necessità pragmatica di un approccio al trattamento flessibile per gestire le
complesse situazioni cliniche dei pazienti DDI. Nonostante le sfide, il trattamento dei DDI è stato
esplorato attraverso studi di casi, studi di costo-efficacia, e studi sui risultati naturali di efficacia
terapeutica. Nel suo insieme, il corpo di questo lavoro fornisce la prova dei trattamenti effettivi per DDI e
una vasta gamma di sintomi associati. 20
Nei Paesi Bassi, uno studio basato sull’esame delle cartelle di 101 pazienti con disturbo dissociativo in
trattamento ambulatoriale, per una durata media di 6 anni, ha dimostrato che il miglioramento clinico è
correlato all'intensità del trattamento; le terapie esaurienti e complete hanno avuto esiti migliori
(Groenendijk & Van der Hart, 1995). Dati sugli esiti di terapie, sistematicamente raccolti da serie di casi e
studi di trattamento, indicano che dal 16,7% al 33% di questi pazienti sono riusciti a raggiungere la piena
integrazione (vale a dire, la fusione finale; Coons e Bowman, 2001; Coons e Sterne, 1986; Ellason &
Ross, 1997).
Due studi sui risultati e sul rapporto costo-efficacia di un trattamento DDI, hanno esiti concordanti che
suggeriscono che il risultato dipende dalle caratteristiche cliniche del paziente(Loewenstein, 1994;
Loewenstein & Putnam, 2004). I pazienti DDI che hanno un alto funzionamento hanno risposto al
trattamento più rapidamente. Tuttavia, i benefici del trattamento, anche se di portata più limitata, erano
inequivocabilmente riscontrabili nei pazienti con una vasta gamma di condizioni di comorbidità in Asse I e
II e nei pazienti con una lunga storia psichiatrica.
In Brand, Classen, McNary, et al. (2009), per quanto riguarda la revisione del trattamento dei disturbi
dissociativi, otto studi hanno prodotto dati sugli esiti sufficienti per essere inclusi in una piccola
meta-analisi. Questi studi forniscono la prova preliminare che il trattamento è efficace nel ridurre una
serie di sintomi associati ai disturbi dissociativi , tra cui la depressione, l'ansia, diagnosi dell’ Asse I e
dell’Asse II , e sintomi dissociativi.
Un ampio studio naturalistico internazionale propone il concetto che la psicoterapia per il DDI dà benefici
(Brand, Classen, Lanius, et al., 2009). Questo studio longitudinale attualmente segue 292 terapeuti di
tutto il mondo e i loro pazienti DDI o DDNAS (n = 280). I risultati trasversali dei dati di base suggeriscono
che i pazienti DDI / DDNAS più avanti nel trattamento avevano meno sintomi dissociativi, post-traumatici
da stress, e psichiatrici generali rispetto a quelli che si trovano ancora nelle prime fasi del trattamento
(Brand, Classen, Lanius, et al., 2009). Coloro che si trovano nelle fasi successive della terapia hanno
anche mostrato, in modo indicativo, un funzionamento adattivo migliore e alti punteggi della Global
Assessment of Functioning, assegnati dai terapeuti. I report dei pazienti hanno indicato che coloro che si
trovano nelle fasi successive della terapia avevano più probabilità di essere impegnati in attività di
volontariato o di studio e aveva un minor numero di ricoveri.
APPROCCIO AL TRATTAMENTO CON FASI ORIENTATE
Negli ultimi due decenni, gli esperti hanno concordato nell’affermare che i disturbi correlati a traumi
complessi, tra cui DDI, sono trattati più appropriatamente in sequenze di fasi. Già alla fine del XIX °
secolo, Pierre Janet auspicava a un trattamento con fasi orientate per i disturbi dissociativi (vedi D.
Brown, Scheflin, & Hammond, 1998; Van der Hart, Brown, & Van der Kolk, 1989). La struttura più
comune nel campo è costituita da tre fasi o stadi: 21
1. Sicurezza, stabilizzazione e riduzione dei sintomi.
2. Lavoro diretto e profondo sulle memorie traumatiche.
3. Integrazione dell’identità e riabilitazione.
(Cfr. D. Brown et al, 1998; Chu, 1998; Courtois, 1999; Courtois, Ford, & Cloitre, 2009; Herman, 1992b;
RP Kluft, 1993a; Steele, Van der Hart, & Nijenhuis, 2001, 2005; Van der Hart et al, 2006;. Van der Hart,
Van der Kolk, & Boon, 1998). Gli scritti di RP Kluft (1993a), Steele et al. (2005), e Van der Hart et al.
(2006), affrontano molte delle specifiche considerazioni sul trattamento con fasi orientate di DDI e altri
disturbi dissociativi.
Il disturbo post-traumatico da stress complesso (Ford & Courtois, 2009; Herman, 1992a, 1993; Van der
Kolk, Roth, Pelcovitz, e Mandel, 1993) ha una struttura che si adatta a molti pazienti DDI (Courtois,
2004). Questi pazienti spesso sono stati ripetutamente traumatizzati, in genere a partire dall'infanzia e
attraverso diversi periodi dello sviluppo. Oltre ai sintomi del PTSD, le persone con il disturbo
post-traumatico da stress complesso hanno forti difficoltà con la dissociazione, la regolazione degli affetti,
hanno distorsioni dell'immagine del corpo, autolesionismo, suicidalità cronica e somatizzazione. Essi
possono avere patologie relazionali sostanziali, tra cui problemi di fiducia e di vittimizzazione in relazioni
violente o abusive. Spesso vedono il mondo come pericoloso e traumatizzante e tendono a vedere se
stessi come disonorevoli, danneggiati, e responsabili per i loro abusi. Il trattamento per PTSD complesso
assomiglia a quello DDI che spesso è di più lunga durata, è multimodale e relativamente eclettico, ed è
progettato per affrontare la moltitudine di difficoltà cliniche con cui questi pazienti combattono (Chu, 1998.
Courtois et al, 2009).
Un modello di trattamento a fasi orientate per DDI sarà brevemente discusso qui di seguito.
Le fasi del trattamento descrivono il focus dominante del lavoro terapeutico in ognuna di esse;
complessivamente, assistono il paziente DDI nello sviluppo della sicurezza, stabilità, e di un migliore
adattamento alla vita quotidiana. Il lavoro con le esperienze traumatiche è attentamente regolato e
definito. Per esempio, nella fase della stabilizzazione, il trattamento può concentrarsi a momenti di ricordi
traumatici, ma da una prospettiva distanziata e cognitiva. Nella fase centrale dell’intervento, la
stabilizzazione e la gestione dei sintomi sono spesso ancora necessarie per prevenire che il paziente sia
sopraffatto dalla natura del lavoro su ricordo traumatico. L'attenzione per la riabilitazione e il migliore
adattamento alla vita complessiva è essenziale durante qualsiasi processo di trattamento e avviene in
ciascuna fase del trattamento.
Fase 1: Sicurezza, stabilizzazione e riduzione dei sintomi
Nella prima parte, il clinico deve porre l’enfasi sulla stabilizzazione dell’alleanza terapeutica, l’educazione
del paziente circa la diagnosi e i sintomi, e la spiegazione del processo del trattamento. Gli obiettivi di
questa prima fase includono il mantenimento della sicurezza personale, il controllo dei sintomi, la 22
modulazione degli affetti, la tolleranza dello stress, il miglioramento delle funzioni vitali basilari e lo
sviluppo delle capacità relazionali. Mantenere una struttura solida del trattamento all’interno di un
ambiente terapeutico è assolutamente fondamentale per sviluppare una terapia stabile che massimizza la
probabilità di un esito di successo.
Problemi di sicurezza e gestione dei sintomi. I problemi di sicurezza e il controllo dei sintomi dovrebbero
essere affrontati in modo direttivo e comprensivo. Altri problemi del trattamento potrebbero non essere
affrontati fino a quando non viene stabilita la sicurezza necessaria.
Gli interventi dovrebbero includere:
1) un’educazione circa la necessità di sicurezza per il successo del trattamento;
2) un compromesso tra le funzioni del comportamento a rischio;
3) lo sviluppo di un repertorio di comportamenti funzionali e costruttivi;
4) l’identificazione d’identità alternative che controllano e attivano comportamenti insani e disfunzionali;
5) lo sviluppo di un compromesso tra identità per riuscire a mantenere il senso di sicurezza per il
paziente;
6) l’uso di strategie di controllo dei sintomi come tecnica dell’equilibrio (grounded technique),
pianificazione delle crisi, autoipnosi;
7) il controllo di ulteriori disturbi che potrebbero necessitare di un ulteriore e specifico trattamento;
8) il coinvolgimento di eventuali agenzie nel caso in cui ci si chiedesse se il paziente fosse abusivo o
violento verso bambini, adulti vulnerabili o altri;
9) l’aiutare il paziente con appropriate risorse per proteggersi nel caso di violenza domestica;
10) se necessario, insistere con un trattamento più restrittivo come le ospedalizzazioni, per proteggerlo,
eventualmente, da se stesso o per proteggere gli altri. (Brand, 2002).
I comportamenti suicidari e/o autolesivi sono eccezionalmente comuni tra i pazienti DDI; studi hanno
dimostrato che il 67% dei pazienti con disturbi dissociativi riferisce una storia di ripetuti tentativi di suicidio
e il 42% ha una storia di autolesionismo (Foote, Smolin, Neft, e Lipschitz, 2008;. Putnam et al,
1986; Ross & Norton, 1989b). Inoltre, il disturbo borderline di personalità è diagnosticato dal30% al 70%
della popolazione DDI (Boon & Draijer, 1993; Dell, 1998; Ellason, Ross, & Fuchs, 1996; Horevitz &
Braun, 1984; Korzewa, Dell, Links, Thabane, e Fougere, 2009; Ross et al, 1991;. ¸ Sar et al, 2003) e dal
60% al 70% dei pazienti borderline fanno tentativi di suicidio (Gunderson, 2001). Tuttavia, molti esperti
del disturbo dissociativo dell’identità credono che un grave PTSD e i sintomi dissociativi giustifichino una
instabilità globale che porta ad alto tasso di diagnosi di disturbo borderline di personalità; la minoranza
dei pazienti DDI corrisponde ai criteri del disturbo borderline di personalità solo dopo una stabilizzazione
definitiva (Brand, Armstrong, et al, 2009;. Loewenstein, 2007; Ross, 1997). Recenti studi hanno inoltre
dimostrato che il maltrattamento, in generale, (Arnow, 2004) e l’abuso sessuale infantile, in particolare,
(Van der Kolk, Perry, e Herman, 1991) sono associati a un alto rischio di comportamenti suicidari e
parasuicidari. 23
I pazienti DDI di solito raccontano di aver subito abusi o di aver vissuto per tutta l’infanzia e/o
adolescenza in un ambiente che ignorava la loro sicurezza. Essi tendono a rimettere in scena questi
comportamenti, sfogando la loro aggressività, vergogna, paura, orrore, e altri affetti travolgenti, su se
stessi attraverso comportamenti autolesivi e distruttivi, spesso attraverso l’identificazione con
l'aggressore. Di conseguenza, il fondamento del trattamento è di aiutare i pazienti a ridurre al minimo i
comportamenti che sono pericolosi per sé o per gli altri (bambini e minorenni soprattutto) o che li rendono
vulnerabili alle vittimizzazioni da parte di altri. Questi includono comportamenti suicidari e parasuicidari,
abuso di sostanze e alcool, relazioni violente, disordini dell’alimentazione, violenza o aggressioni e
comportamenti ad alto rischio.
Senza l’attenzione ai problemi di sicurezza dei pazienti DDI, poco sarà compiuto durante il trattamento. I
problemi di sicurezza spesso si manifestano come comportamenti palesi o nascosti che possono essere
meglio intesi come auto-regolamentazione o anche come strategie auto-calmanti, e sono logicamente
legati alla storia di abbandono e di traumi del paziente e dei suoi tentativi di far fronte a questi ultimi.
Durante la terapia, questi comportamenti sono di solito riconosciuti come acquisiti, trattati come
adattamenti da modellare in una direzione diversa e come modi utilizzati per affrontare un dolore
immenso, piuttosto che come atti "cattivi" da eliminare. Ciò nonostante, il terapeuta deve affrontare
queste manifestazioni come attualmente disfunzionali e insistere sull’idea del paziente alleato con un
atteggiamento di "valori non-abusivi "per sé o per altri (Loewenstein, 1993).
Come parte dell'accento sulla sicurezza e l’autogestione, il clinico sviluppa comunemente "accordi di
sicurezza" con un'identità alternativa del paziente per fornire una struttura al paziente con lo scopo di
ridurre i comportamenti non sicuri. Sia da un punto di vista clinico che medico-legale, questi accordi non
sostituiscono il giudizio del clinico per la sicurezza del paziente. Gli accordi di sicurezza devono essere
interpretati nel contesto complessivo della situazione clinica del paziente che deve essere riesaminata su
base regolare con il paziente. I medici dovrebbero riconoscere che nessun linguaggio è privo di lacune,
dovrebbero insistere sul fatto che i pazienti siano conformi allo spirito della convenzione, e devono
rispettare le date di "scadenza" incluse in alcuni accordi di sicurezza. Inoltre, gli psicoterapeuti non
devono sopportare l'onere di fare un accordo con ciascun’identità alternativa. Invece, dovrebbero essere
sviluppate strategie (ad esempio, "parlando attraverso ") per fare in modo che tutte le identità alternative
riconoscano di essere vincolate dall'accordo. Il clinico deve sempre insistere su modalità restrittive di
trattamento se, a suo giudizio clinico, il paziente è a rischio.
Gli accordi di sicurezza possono essere meglio concettualizzati come strategie per ritardare o
temporeggiare che, nel corso del tempo, aiutino i pazienti a capire la loro ambivalenza per la sicurezza, a
rendersi conto che hanno il controllo della sicurezza personale, ad aiutarli a mobilitare più efficacemente i
loro sforzi verso la sicurezza. La discussione sul controllare i comportamenti non sicuri porta spesso
all’emergere di un ricco materiale, fondamentale nella terapia, sul sistema d’identità alternative, sulla
storia del paziente, sui problemi di transfert (transfert particolarmente traumatico), e sulle idee e
convinzioni dominanti che modellano il comportamento del paziente. 24
Il padroneggiamento e controllo dei sintomi post-traumatici sono una priorità di questa prima fase del
trattamento. Ad esempio: se il paziente ha uno spontaneo flashback o rivive un episodio intrusivo durante
il trattamento, il terapeuta deve insegnargli a modulare l’intensità dell’esperienza. In questa fase, il clinico
dovrebbe assistere il paziente nel controllare la sintomatologia dissociativa e post-traumatica e a
modulare un livello di soglia psicofisico piuttosto che incoraggiare l’esplorazione del materiale traumatico.
La formazione di competenze è spesso un elemento essenziale della fase di sicurezza e stabilizzazione
del trattamento DDI. Questi interventi riguardano i processi mentali e le mancanze che minano la
sicurezza; essi includono il miglioramento della consapevolezza e regolazione emotiva, diminuendo la
fobia degli affetti, costruendo la tolleranza dell’angoscia, e imparando a ottimizzare l'efficacia nelle
relazioni. In letteratura sono stati descritti diversi programmi di formazione, riguardanti lo sviluppo di
competenze, tra i quali i Systems Training for Emotional Predictability and Problem Solving (Blum, Pfohl,
San Giovanni, & Black, 2002), Trauma Adaptive Recovery Group Education and Terapy (Ford & Russo,
2006), terapia dell'accettazione e dell'impegno (Follette & Pistorello, 2007), e il Seeking Safety (Najavits,
2001). La terapia comportamentale dialettica (DBT, Linehan, 1993a, 1993b) dà un forte supporto
empirico al trattamento del disturbo borderline di personalità (Salsman & Linehan, 2006) e ai traumi
complessi (Wagner, Shireen, Rizvi, & Harned, 2007). Gli adattamenti di DBT alla fase 1 del trattamento di
DDI sono attualmente in fase di sviluppo in diversi paesi (ad esempio, Somer, Rivera, & Berger, 2010;
Van Orden, Schultz, e Foote, 2009). Elementi della DBT sono stati inseriti nel primo manuale di
formazione specificamente sviluppato per i disturbi dissociativi (Boon, Steele, e Van der Hart, 2010).
Lavorare con le identità alternative. In generale, i clinici che trattano il disturbo dissociativo dell’identità
reputano utile portare l'attenzione terapeutica al sistema d’identità alternative come un gruppo
organizzato, soggettivamente "logico" e regolamentato di stati che interagiscono e/o sono in conflitto,
piuttosto che focalizzare l'attenzione esclusivamente sulle diverse identità alternative. Nel conoscere la
natura del disturbo e i loro sistemi interni, i pazienti devono iniziare a capire e accettare le identità
alternative che svolgono un ruolo attivo nella loro vita attuale, e, infine, accedere alle stesse. La
responsabilità del paziente per i comportamenti di tutte le identità alternative - nel mondo esterno, in
terapia, e internamente - è solitamente discussa nei primi momenti del trattamento. Le strategie volte a
migliorare la comunicazione interna possono comprendere le tecniche per incoraggiare la negoziazione
tra le identità alternative, riconoscere l'importanza di tutte le identità alternative, e la fissazione d’impegni
da parte di ognuna per la sicurezza da autolesionismo e/o comportamenti suicidari.
Lo sviluppo della cooperazione tra le varie identità è una parte essenziale della prima fase, e continua
anche nella seconda. Quest’obiettivo è facilitato grazie alla consistente azione ad aiutare il paziente ad
accettare i ruoli e la validità di tutte le identità, di cercare un modo per soddisfare i bisogni ognuna nel
prendere decisioni e migliorare il supporto interno. All’inizio del processo del trattamento, alcune identità
alternative negano le esperienze traumatiche o la loro associazione affettiva. Una parte importante per la
terapia è proprio quella di portare queste identità ad accettare le memorie e i sentimenti negati e di
conseguenza il ruolo e l’importanza delle altre. Il terapeuta può aiutare il processo di accettazione 25
spingendo le altre identità a sviluppare un accordo interno condiviso da tutte. (Ad esempio, "se si è in
grado di riconoscere e accettare alcuni dei sentimenti di cui la 'parte arrabbiata' fa esperienza, forse
quella parte può accettare di fermare alcuni dei comportamenti distruttivi che minacciano la sicurezza ").
I clinici devono accettare che un trattamento ben riuscito richiede interazione e comunicazione tra gli stati
identitari. Ignorarli sarebbe francamente contro-terapeutico. Il terapeuta e il paziente, fin dall’inizio del
trattamento, devono instaurare un sicuro e controllato modo di interagire con le identità alternative che
potrebbero anche diventare coscienti, accettate e integrate. Affinché si possa lavorare con le identità,
l’accesso può essere diretto o indiretto. Le identità possono essere avvicinate direttamente (ad esempio,
"Ho bisogno di parlare con le parti di te che sono andate ad Atlantic City la scorsa notte e hanno avuto un
rapporto sessuale non protetto "). Un clinico esperto sviluppa un vero e proprio repertorio di abilità per
accedervi in modo indiretto. Ad esempio, al paziente può essere chiesto di "ascoltare dentro", di sentire
quello che le altre identità hanno da dire, o il clinico può suggerire che le identità s’impegnino in
conversazioni interiori l’una con l’altra per comunicare informazioni o negoziare questioni importanti.
Il terapeuta può insistere sul fatto che "tutte le parti che hanno bisogno di sapere dovrebbero ascoltare",
quando sono in atto, discussioni su questioni cruciali, o possono "parlare attraverso" per comunicare con
le identità alternative rilevanti per le attuali problematiche cliniche. I riferimenti di Putnam (1989), Ross
(1997), RP Kluft (2001, 2006), RP Kluft e Fine (1993), e Van der Hart et al. (2006) contengono ampie
discussioni sulle strategie di accesso e utilizzo d’identità alternative durante il trattamento.
Gli stati di trance caratterizzano il pensiero di pazienti DDI. Per esempio, alcune identità alternative
possono insistere sul fatto che non abitano lo stesso corpo come gli altri o che il suicidio o
l’autolesionismo non avrebbero alcun effetto su di loro; essi possono anche essere incaricati di
sterminare gli "altri". I problemi seri di sicurezza possono derivare da ciò, ed è importante sfidare
direttamente questa forma estrema di negazione dissociativa, a volte chiamata divisione delirante
(delusional separateness). In alcuni casi, tuttavia, superare questa illusione di separatezza può richiedere
molte sessioni, poiché questa convinzione può trattenere il doloroso, le cognizioni potenti, gli affetti, i
conflitti, e il materiale della memoria.
Alcuni autori hanno suggerito che è utile generare una continua "mappa" o "lista di successione" dei punti
di vista attuali del paziente sul sistema delle identità alternative (RP Kluft, 1993a; Putnam, 1989; Ross,
1997). In tal modo, i clinici non dovrebbero cercare di identificare o carpire le informazioni delle identità
unicamente per sviluppare la mappatura. Può essere potenzialmente destabilizzante e controterapeutico
chiedere ai pazienti di rivelare le identità alternative prima di essere psicologicamente preparati a farlo. In
generale, lavorare con le identità alternative dovrebbe verificarsi quando queste appaiono naturalmente
in relazione alle questioni cliniche trattate. Tuttavia, in situazioni che coinvolgono problemi di sicurezza
significativi, in tempi di ripetuti acting out da parte del paziente e/o in momenti di stallo terapeutico, può
essere essenziale suscitare direttamente o entrare in contatto con le identità alternative, già note e non,
che sono relative a queste difficoltà. 26
La fiducia e l'alleanza terapeutica. I clinici non dovrebbero sottostimare le difficoltà dei pazienti DDI nel
stabilire, mantenere e stabilizzare l’alleanza terapeutica. I pazienti con ampie storie di esperienze
traumatiche infantili spesso hanno maggiori difficoltà ad avere fiducia, correlate al maltrattamento e/o alla
negligenza da parte dei familiari, di operatori sanitari, e altre persone in posizioni di autorità. Questa
diffidenza si manifesta nella relazione terapeutica e può svilupparsi in una complessa manifestazione di
transfert. (D. Brown et al, 1998; Davies e Frawley, 1994; RP Kluft, 1994; Loewenstein, 1993; Pearlman &
Saakvitne, 1995). Alcuni transfert traumatici possono essere manifestati in modo “over” o “cover” (ad
esempio, un’identità manifesta fiducia verso il terapeuta, mentre le altre cercano di sabotare il lavoro,
sentendosi vulnerabili e diffidenti). Infine, i pazienti con una storia di abusi - soprattutto d’incesto possono essere particolarmente a rischio di sfruttamento sessuale, da parte di figure di autorità, tra cui
professionisti della salute mentale (R. P. Kluft, 1990). I pazienti con una storia di abuso subito da parte di
un terapeuta, di solito, richiedono un tempo ancora più lungo per sviluppare un senso di sicurezza nel
trattamento, per non parlare della fiducia.
Una terapia efficace per pazienti DDI richiede un terapeuta che sia attivamente impegnato sia nel
processo di trattamento che nelle interazioni. È utile per il terapeuta strutturare sessioni che
comprendano l'educazione sulla natura del disturbo, del trauma e del disagio intenso che può essere
generato nel corso del trattamento. È anche utile per il terapeuta anticipare e discutere apertamente i
problemi di transfert traumatici, soprattutto i transfert negativi. Un graduale sviluppo di una vera e propria
alleanza terapeutica avviene quando il clinico aiuta il paziente a percorrere il lavoro terapeutico, a
imparare le abilità per padroneggiare i sintomi e le crisi, a separare il passato traumatico dal presente, e a
cambiare le distorsioni cognitive derivanti dal disturbo post-traumatico e dissociativo.
I pazienti DDI variano molto in termini di forza dell’Io, dedizione al trattamento, supporto sociale, vita
stressante, risorse economiche; questi fattori rendono il paziente più o meno capace di intraprendere il
difficile percorso di un trattamento orientato al cambiamento. Pertanto, alcuni pazienti potrebbero
continuare la fase 1 per un lungo periodo, altri anche per tutta la terapia. Questi soggetti possono
migliorare alcune loro funzioni di sicurezza ma non riuscire a partecipare all’esplorazione dettagliata,
emozionante e intensiva della loro storia traumatica. Per quelli che hanno deficit funzionali, il trattamento
dovrebbe focalizzarsi sulla stabilizzazione, sulla capacità di maneggiare crisi e sulla riduzione dei sintomi
(tralasciando i processi di analisi della memoria traumatica e di fusione delle identità). Sono numerosi i
fattori che possono influenzare la decisione di mantenere l'attenzione sugli obiettivi della fase 1 di
stabilizzazione e riduzione del sintomo. Questi includono gravi problemi di attaccamento, bassa forza
dell'Io e capacità di coping, invischiamento in corso con i perpetratori, grave patologia dell’ Asse II del
DSM-IV-TR, significativi problemi medici, età, e tra gli altri continuo abuso di sostanze e altre dipendenze,
(vedi Boon, 1997; RP Kluft, 1997; RP Kluft & Loewenstein, 2007). 27
Fase 2: Lavoro diretto e profondo sulle memorie traumatiche
In questa fase del trattamento, l’accento del lavoro con il paziente DDI è posto sulle memorie delle
esperienze traumatiche del soggetto. Il lavoro effettivo da svolgere in questa fase è ricordare, tollerare,
elaborare e integrare gli intensi eventi passati. Questo include il processo di abreazione, la realizzazione
delle emozioni forti connesse a un’esperienza o percezione (di solito una percezione o esperienza del
passato) studiato a lungo nelle scienze della salute mentale. Numerose esperienze cliniche hanno
dimostrato che le abreazioni, sia spontanee sia quelle facilitate dalla psicoterapia, hanno aiutato molti
pazienti a migliorare a livello sintomatico e generale.
È consigliato crearsi un vero e proprio schema e piano per affrontare le memorie traumatiche. I pazienti e
i terapeuti dovrebbero discutere e raggiungere un accordo su quali memorie focalizzarsi, a quale livello
d’intensità procedere, quali tipi d’interventi usare (ad esempio l’abreazione pianificata), quale identità
alternativa far partecipare, quale punto mantenere sicuro durante il lavoro, e quali procedure attuare per
contenere le memorie traumatiche se il lavoro diventasse molto intenso. I pazienti traggono beneficio
quando il terapeuta li aiuta nella pianificazione, nell’esplorazione,(vedi Belle, 1991; RP Kluft, 2001; RP
Kluft & Loewenstein, 2007;. Van der Hart et al, 2006) e nello sviluppo di strategie per mantenere il
controllo sul materiale traumatico emergente. In questa fase, gli interventi specifici nei pazienti DDI
riguardano anche il lavoro con le identità alternative, le quali per prime hanno contenuto i ricordi
traumatici. Questi trattamenti aiutano sia il paziente, che amplia la propria gamma di emozioni attraverso
le identità alternative, sia il clinico che lo assiste e tollera gli affetti associati al trauma quali vergogna,
terrore, orrore, confusione, rabbia, devastazione.
I clinici dovrebbero fornire una educazione sulla natura del processo della fase 2, esplicitando sia il
rischio di un’intensificazione dei sintomi, così come i risultati positivi che si possono verificare con
l'elaborazione con successo della memoria (RP Kluft & Loewenstein, 2007). Può essere utile discutere le
questioni sulla natura della memoria "recuperata" e l'aspetto rinnovato della memoria autobiografica (vedi
"consenso informato" e "Validità dei ricordi di abuso del paziente").
In questa fase, tenendo presente che deve essergli dedicato un tempo adeguato e che il paziente deve
riuscire a svolgere l’elaborazione senza significative interruzioni, man mano che gli elementi traumatici
emergono, sono esplorati o rapidamente contenuti invece di essere ri-dissociati,. A volte, tuttavia, può
essere più sicuro incoraggiare una permissiva amnesia tra le sessioni. Grazie a ripetute interazioni, il
materiale delle memorie si trasforma da traumatico in quella che generalmente è definita memoria
narrativa. (vedi D. Brown et al., 1998, per una rassegna completa del trauma e memoria in trattamento).
L’approccio moderno all’abreazione, oltre che un intenso scarico di emozioni e tensioni collegate al
trauma, coinvolge il cambiamento e le abilità cognitive; la scarica emozionale intensa di per sé può
semplicemente ri-traumatizzare ed è controindicata. Un importante meccanismo di cambiamento sono i
ripetuti ri-accessi e ri-associazioni che mutano l’integrazione di elementi frammentati e dissociati delle
memorie traumatiche in comprensibili e coerenti narrazioni. (Van der Hart & Brown, 1992). Una 28
dettagliata discussione dei processi coinvolti nel lavoro attraverso i ricordi traumatici va al di là dello
scopo della guida, essi, comunque, includono la ristrutturazione cognitiva delle esperienze traumatiche e
il contrastare la colpa irrazionale e la vergogna attraverso il riconoscimento delle risposte di adattamento
che il paziente ha avuto durante quelle esperienze.
Per integrazione di memorie traumatiche s’intende il riunire aspetti di esperienze passate in precedenza
dissociati: le memorie e le sequenze degli eventi, l’affettività associata e le rappresentazioni somatiche e
fisiologiche dell’esperienza. L’Integrazione, inoltre, indica il conseguimento di una consapevolezza
cognitiva adulta e la comprensione dei ruoli propri e degli altri negli episodi (Braun, 1988; D. Brown et al,
1998;. Chu, 1998). Il lavoro sulla perdita, sull’afflizione e sul lutto deve essere molto profondo per aiutare
il paziente a comprendere e realizzare le perdite subite durante la propria vita a causa del passato
traumatico (alcune delle quali continuano nel presente).
I processi della seconda fase permettono al soggetto di comprendere che le esperienze traumatiche
appartengono al passato, di capire il loro impatto sulla propria vita, di sviluppare una più completa e
coerente storia personale e senso del sé. Inoltre, i pazienti DDI sviluppano l’abilità di richiamare le
esperienze traumatiche attraverso le identità alternative, soprattutto quelle che erano amnesiche o che
non suscitavano risposte emotive. Alcuni autori hanno utilizzato il termine sintesi, per definire questo
processo (Van der Hart, Steele, Boon, & Brown, 1993; Van der Hart et al, 2006). La sintesi, come livello
base della integrazione, può essere descritta come un processo terapeutico controllato che assiste le
identità alternative, che si avvertono come portatori dei ricordi traumatici, a condividere questi con altre
identità che non ne sono consapevoli o che non lo considerano come parte della loro memoria
autobiografica. La sintesi riuscita deve essere seguita da un processo di "realizzazione" e
"personificazione" (Van der Hart et al., 2006), cioè da una piena consapevolezza che si è vissuto il
trauma ma che questo trauma è in effetti passato. A questo punto, il paziente riesce a collocare l’evento
traumatico nella propria autobiografia. A volte il processo di realizzazione spaventa molto i pazienti DDI,
fino a evitare la sintesi dei ricordi traumatici a tutti i costi.
È importante comprendere che, in questa fase del trattamento, non si dovrebbe permettere alle memorie
intense di dominare sessione dopo sessione. I pazienti potrebbero essere ri-traumatizzati o destabilizzati
se il trattamento non lasciasse il giusto tempo per affrontare l’impatto del trauma o se non gli permettesse
di prendersi una pausa. Anche con un piano terapeutico cauto, la destabilizzazione può richiedere un
ritorno ai problemi della prima fase quali stabilizzazione, comunicazione interna, contenimento,
padroneggiamento dei sintomi. Il terapeuta dovrebbe, in tal caso, indirizzare ogni resistenza e riluttanza
tra le identità alternative verso l’integrazione delle memorie traumatiche. Le distorsioni cognitive basate
sul trauma e/o la reattività al transfert possono interferire con il lavoro della fase 2, che richiede
l'attenzione sistematica a queste ultime. Rallentare il ritmo o focalizzarsi sulla discontinuità delle memorie
traumatiche possono essere necessari se un paziente mantiene una posizione di rifiuto, se produce
ripetutamente "nuovi" ricordi piuttosto che concentrarsi sulla sintesi di materiale già vissuto, e/o se si
destabilizza ripetutamente durante la fase 2. 29
Nel momento in cui le memorie traumatiche sono integrate, le identità alternative possono far esperienza
di loro stesse come non separate e distinte: si assiste a una spontanea e facile fusione. Quest’ultima
spesso implica un rituale. Le cerimonie terapeutiche coinvolgono l’ipnosi e il simbolismo e "sono
percepite da alcuni . . . pazienti come riti cruciali del passaggio dal senso soggettivo di separazione al
senso personale di unità "(Kluft, come citato in RP Kluft, 1993a, p. 119). L'esperienza del paziente è
quella della partecipazione delle identità alternative con un'immagine di unione o del diventare unificate.
"[Questi rituali] formalizzano solo l'esperienza soggettiva del lavoro che la terapia ha già compiuto "(RP
Kluft, 1993a, p. 120).
I rituali della fusione sono utili quando, come risultato del lavoro psicoterapeutico, la separazione non ha
più alcuna funzione significativa per l’adattamento intrapsichico e ambientale del paziente. Quando il
paziente non investe più narcisisticamente nel mantenere la separazione interna, avviene la fusione, che
non deve essere indotta dal terapeuta fintanto che il soggetto non è pronto a tal fine. Una prematura
fusione potrebbe causare un significativo disagio nel paziente, o una superficiale compiacenza da parte
delle identità alternative verso la richiesta del clinico di scomparire.
Prematuri tentativi di fusione possono verificarsi anche quando il terapeuta e il paziente colludono
nell’evitare un materiale particolarmente difficile in terapia.
Fase 3: Integrazione e Riabilitazione
Nella terza fase del trattamento, i pazienti traggono maggior profitto dalla cooperazione interna, dalle
funzioni coordinate, e dall’integrazione. Solitamente, durante questo stadio, i soggetti iniziano a fare
esperienza di un senso del sé stabile e solido e di nuove sensazioni su come relazionarsi con gli altri e
con il mondo esterno. I pazienti DDI possono continuare con la fusione delle identità e sviluppare le loro
funzioni: spesso hanno bisogno di rivisitare la loro storia traumatica per avere una nuova prospettiva
unificata. Quando i pazienti diventano meno frammentati, iniziano a sviluppare un senso di calma, di
resilienza e di pace interna. Essi acquistano un senso di coerenza della propria storia che risulta essere
anche collegato con i problemi che devono affrontare nel presente. Il soggetto può iniziare a distogliere
l’attenzione dal suo passato traumatico, direzionare la propria energia sul vivere il presente e sviluppare
prospettive future. Con un buon livello d’integrazione, il paziente può essere in grado di rivivere le
memorie traumatiche e decidere che alcune siano più simboliche di altre, che siano più reali senza
diventare oggettivamente realtà.
Alcuni compiti di quest’ultima fase del trattamento sono simili a quelli di una psicoterapia di una persona
non traumatizzata che ha problemi nelle esperienze emotive, sociali e professionali. Inoltre, anche un
paziente che ha raggiunto un’ottima unificazione e fusione ha bisogno di uno specifico training
nell’affrontare i problemi di tutti i giorni. Allo stesso modo, ha bisogno di essere aiutato nel tollerare lo
stress quotidiano, le emozioni “fastidiose” e la delusione che caratterizza parte dell’esistenza umana. 30
Infine, in questa fase, alcuni pazienti sviluppano la capacità di comprendere il proprio potenziale in termini
di funzioni interpersonali e personali.
MODALITA 'DEL TRATTAMENTO
Quadro per il trattamento ambulatoriale
La prima modalità di trattamento per i pazienti DDI è la psicoterapia individuale. La frequenza delle
sessioni e la durata delle sedute dipendono da alcune variabili tra cui le caratteristiche del paziente, le
abilità e le preferenze del clinico, e da fattori esterni come i rimborsi e la variabilità delle competenze
terapeutiche. I pazienti variano ampiamente nelle loro motivazioni, nelle risorse per il trattamento e nella
comorbidità, che influenzano il corso del trattamento. Come per tutti i pazienti con un disordine
post-traumatico, anche il trattamento del disturbo dissociativo dell’identità è a lungo termine: richiede anni
e non settimane o mesi.
La frequenza delle sessioni dipende da una notevole varietà di fattori, inclusi gli obiettivi del trattamento,
lo stato e la stabilità delle funzioni del paziente. La frequenza minima delle sessioni per la maggior parte
dei pazienti è di una volta la settimana, ma molti esperti nel campo consigliano due o anche tre volte
settimanali se le risorse lo permettono. Per i pazienti ad alto funzionamento, una volta la settimana è
spesso sufficiente, anche se la necessità di mantenere l'equilibrio di funzionamento del paziente, con il
lavoro su materiale difficile, può richiedere appuntamenti più frequenti. Per coloro i cui sintomi sono floridi
e la cui vita è caotica, una volta la settimana rischia di essere insufficiente. In determinate circostanze,
una frequenza maggiore delle sessioni (fino a tre o più a settimana) può essere programmata per un
tempo limitato allo scopo di consentire al paziente di sostenere il funzionamento adattivo (in alternativa al
ricovero), contenere gli impulsi autodistruttivi e/o i comportamenti gravemente disfunzionali. Le sedute
ambulatoriali frequenti, allo scopo di ristabilizzare il paziente, dovrebbero essere generalmente limitate a
brevi periodi affinché si minimizzi il rischio di regressione e di eccessiva dipendenza dal terapeuta.
Anche se, per la maggior parte dei clinici, la seduta dovrebbe durate 45/50 minuti, molti terapeuti
sostengono che per i pazienti DDI sia necessario un tempo più lungo (ad esempio, 75-90 minuti) affinché
risulti essere utile (ad esempio, per il lavoro programmato sui ricordi traumatici). I terapeuti devono
cercare di aiutare i pazienti a ri-orientare la realtà esterna prima della fine di ogni sessione, affinché i
pazienti non lascino la seduta in uno stato scompensato o dissociato. Il clinico può sviluppare interventi
con il paziente allo scopo di ritornare nel presente e terminare la sessione (ad esempio, avvisare il
paziente alcuni minuti prima del termine della sessione e avviare il processo di riorientamento).
Vi è una divergenza di opinioni riguardo le sedute molto lunghe (ad esempio, più lunghe di 90 minuti):
alcuni esperti dubitano che siano sempre richieste e altri le trovano utili per scopi specifici. Se usate,
dovrebbero essere programmate, strutturate, e avere un focus specifico, come ad esempio il 31
completamento dell'integrazione dei ricordi traumatici. Le sedute molto lunghe possono essere indicate
anche quando situazioni di logistica costringono il paziente a venire dal terapeuta di rado e quindi
lavorare intensamente mentre è disponibile.
Tipi di trattamento per DDI. Il trattamento più usato è la psicoterapia a orientamento psicodinamico, cui
vengono incorporate altre tecniche (Putnam & Loewenstein, 1993). . Ad esempio, la terapia
cognitivo-comportamentale può essere “modellata” per aiutare i pazienti a esplorare e modificare il
sistema di credenze disfunzionale basato sul trauma subito, o a padroneggiare le esperienze stressanti o
i comportamenti impulsivi. Molti terapeuti usano l’ipnosi come modalità aggiuntiva per la terapia dei
disturbi dissociativi(Putnam & Loewenstein, 1993; vedi sotto). Gli usi più comuni dell’ipnosi sono calmanti,
di contenimento, e di rinforzo dell’Io. Oltre alla psicoterapia individuale, i pazienti possono beneficiare
d’interventi specifici come terapie famigliari ed espressive, la terapia dialettico-comportamentale DBT
(Linehan, 1993a, 1993b), la desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari (EMDR;
Shapiro, 2001), la psicoterapia sensomotoria (Ogden et al., 2006), e altri trattamenti. Ci sono pazienti che
richiedono ulteriori trattamenti più specifici, come quelli per i disturbi alimentari e di abuso di sostanze.
In una certa misura, imparare la teoria e i principi della terapia comportamentale può guidare il
trattamento di disturbi dissociativi. Imparare la teoria è utile per comprendere le reazioni post-traumatiche
come la paura condizionata, la rabbia, e la vergogna in risposta a stimoli esterni e interni che favoriscono
la dissociazione. L’esplorazione e l’integrazione dei ricordi traumatici può essere definita come una forma
di terapia di esposizione che permette al paziente di trasformare i ricordi traumatici . Superare le reazioni
fobiche richiede anche l'esposizione (ad esempio, vivere le esperienze corporee e sensazioni emotive in
precedenza evitate; collegarsi/affezionarsi ad altri soggetti, tra cui il terapeuta; sviluppare la cooperazione
tra identità alternative). È controproducente, nella maggior parte dei casi, usare delle tecniche di
modificazione del comportamento per punire l'espressione della dissociazione stessa (Ad esempio, per
ignorare o tentare di estinguere l'espressione delle identità alternative). Inoltre, l’avversione condizionata
o procedure di estinzione sono generalmente controindicate perché possono evocare l’esperienza
precedente di abuso.
Molte tecniche e interventi specifici sono stati sviluppati per facilitare il trattamento DDI. Questi includono
immagini e tecniche ipnotiche, approcci al transfert e controtransfert, tecniche cognitive, e così via. Gran
parte della letteratura sulla terapia per il disturbo post traumatico da stress complesso possono essere
molto utili (vedi, tra gli altri, Briere, 1989; Chu, 1988, 1998; Courtois, 1999, 2004; Courtois et al, 2009;.
D'oro, 2000; Herman, 1992b; Ross, 2007), come lo può essere la letteratura sul trattamento dei DDI (cfr.,
tra gli altri, Fraser, 2003; RP Kluft, 1993a, 1993b, 1999; RP Kluft & Belle, 1993; Putnam, 1989; Rivera,
1996; Ross, 1997; Steele et al, 2005;. Van der Hart et al, 1998, 2006. Watkins & Watkins, 1988).
Il trattamento dei pazienti DDI solitamente avviene con un terapeuta. Tuttavia, clinici aggiuntivi possono
risultare un’ ottima risorsa. A seconda delle circostanze si consiglia di affrontare questo tipo di terapia con
un’equipe clinica multidisciplinare: psichiatri, terapeuti familiari, terapeuti espressivi, psicoterapeuti
sensorimotori e medici professionisti. Ovviamente, è fondamentale che i professionisti coordinino un 32
intervento condiviso e che un terapeuta prenda le decisioni circa il paziente in questione. Sarebbe
contro-produttivo, però, che il paziente abbia contemporaneamente incontri intensivi con più
professionisti: questo perché il paziente, i cui processi mentali sono dissociati, è in grado di creare
relazioni differenti con i clinici a seconda dell’identità alternativa che prende il sopravvento. Questo
potrebbe impedire di raggiungere gli obiettivi d’integrazione delle funzioni, e portare a esternalizzare i
conflitti che il paziente nutre verso alcuni membri del gruppo di trattamento.
Trattamento ospedaliero
Il trattamento dei pazienti DDI si verifica in genere a livello ambulatoriale, anche durante
l’approfondimento sul materiale traumatico. Tuttavia, il trattamento ospedaliero può essere necessario nei
momenti in cui i pazienti rischiano di danneggiare se stessi o gli altri e/o quando la loro sintomatologia
post-traumatica o dissociativa è travolgente e fuori controllo. Il trattamento per pazienti interni a strutture
specifiche avviene in un contesto di strategie orientate a obiettivi, designate a stabilizzare il paziente a un
livello di funzionamento simile a quello dei pazienti esterni che vanno direttamente in psicoterapia. Lo
sforzo maggiore deve essere fatto per identificare i fattori che hanno destabilizzato il paziente come, ad
esempio, conflitti famigliari, perdite significative, e determinare le strategie migliori per risolvere la
situazione. Il trattamento ospedaliero è spesso usato per la stabilizzazione delle crisi e la costruzione (o il
ripristino) di competenze e strategie di coping.
A volte, l’ospedalizzazione può essere un’opportunità per chiarire la diagnosi. La valutazione di un
degente può permettere di osservare l’eventuale presenza di una condizione di comorbidità che richiede
un intervento immediato (come ad esempio episodi di depressione maggiore che possono caratterizzare
sia l’incremento dei sintomi della sintomatologia post-traumatica che una depressione oppure casi di un
disturbo schizofrenico emergente con una sintomatologia dissociativa). D’altro canto, la diagnosi di DDI
può richiedere un tipo di osservazione intensiva, sequenziale e sforzi diagnostici che solo un ospedale
può fornire, oppure vi può essere qualche altro caso di persistente mascheramento della sindrome DDI
(ad esempio, disturbo di conversione, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbi alimentari, abuso di
sostanze, o apparente disturbo personalità borderline).
A causa di fattori più prettamente economici e finanziari, le ospedalizzazioni sono spesso di breve durata
e con il solo obiettivo di stabilizzazione. In alcuni casi, la struttura e la sicurezza dell’ospedale permettono
di svolgere un lavoro terapeutico che sarebbe destabilizzante o impossibile in una classica psicoterapia
individuale. Nel caso di una degenza prolungata, l’ospedalizzazione favorisce il trattamento del trauma,
includendo un’analisi programmata del materiale traumatico, un lavoro con le identità alternative
aggressive e autodistruttive sul loro comportamento.
Le unità di degenza specializzata, dedicata al trattamento del trauma e/o disturbi dissociativi, possono
essere particolarmente efficaci nell'aiutare i pazienti a sviluppare le competenze di cui hanno bisogno per
33
diventare più sicuri e stabili. Questi programmi forniscono servizi che non sono di solito forniti nei
programmi psichiatrici degli ospedali generali: accertamenti diagnostici specializzati, intensiva
psicoterapia, terapie specializzate gruppali, interventi psicofarmacologici, e lavoro specializzato
focalizzato sul trauma e sulla gestione e costruzione di abilità.
Durante il trattamento ospedaliero, isolamento e contenzione fisica o chimica possono essere richieste
per il paziente DDI che si comporta con violenza verso se stesso o gli altri e che non ha risposto a
interventi verbali, comportamentali o farmacologici. Purtroppo, la moderazione e la solitudine può essere
traumatizzante per tutti i pazienti, per non parlare di quelli con una preesistente psicopatologia
post-traumatica. Di conseguenza, molti sistemi ospedalieri sono ora impegnati a un obiettivo ideale di
minimizzare o eliminare l'uso d’isolamento e moderazione. A questo proposito, tali misure restrittive
spesso possono essere evitate attraverso un'attenta pianificazione della gestione dei sintomi e di
strategie di contenimento per aiutare il paziente nei momenti più critici. Alcuni sistemi ospedalieri
richiedono che tutti i pazienti sviluppino "piani di sicurezza personali" poiché i fattori enumerati tendono a
migliorare o ridurre la loro capacità di mantenere la sicurezza. Per i pazienti DDI, questi possono
includere la lista di ciò che innesca il post-traumatico idiosincratico così come le misure che forniscono un
effetto lenitivo e di comfort. Gli specifici interventi per i pazienti DDI potrebbero includere il supporto delle
identità alternative, utilizzando immagini di un "luogo sicuro" interiore per fronteggiare le identità
travolgenti o autodistruttive, e utilizzando immagini di "dial down" (riduttive) o, in altro modo, attenuare
una forte influenza. I farmaci per l'ansia e/o l’agitazione, come le benzodiazepine o i neurolettici, possono
anche contribuire a ridurre l'agitazione ed evitare una crisi.
L'uso di "volontaria" contenzione fisica per controllare una identità alternativa violenta, durante il lavoro
attraverso il trauma, non è più considerata un intervento appropriato.
Ospedale parziale o trattamento residenziale
I pazienti con disturbo dissociativo dell’identità potrebbero beneficiare dell’assistenza ospedaliera con
programmi generici dopo una dimissione da un trattamento ospedalizzato specifico. I programmi che
permettono un focus individualizzato per il sopravvissuto a un evento traumatico e che sono consapevoli
di questioni correlate al trauma stesso, possono essere più utili a questo scopo.
Un ospedale parzialmente specializzato, o con trattamento residenziale per i pazienti DDI e altri con un
grave trauma, può essere molto utile sia come passo successivo di un ricovero specializzato che come
una modalità ambulatoriale più intensiva per prevenire un eventuale ricovero ospedaliero e/o per fornire
le competenze di una formazione intensiva. In generale, questi programmi specializzati utilizzano gruppi
terapeutici diversi, quotidiani per educare alle patologie trauma-correlate, per insegnare le tecniche di
gestione dei sintomi e per fornire formazione in relazioni ad altre abilità di vita. La DBT o altre tecniche
più formali e strutturate per la gestione dei sintomi, possono essere incorporate in questi programmi. 34
Terapia di gruppo
I pazienti con DDI non beneficiano molto dei gruppi di terapia generici che includono individui con
diagnosi eterogenee e problemi clinici. Molti pazienti hanno difficoltà a tollerare la forte affettività
provocata nei gruppi psicoterapeutici tradizionali orientati al processo o che incoraggiano la discussione
di esperienze traumatiche anche in modo limitato. Alcuni, gruppi di terapia hanno provocato un
incremento esagerato della sintomatologia e lo sviluppo di relazioni disfunzionali tra i membri del gruppo.
La psicoterapia di gruppo non è la prima modalità di trattamento usata per i pazienti DDI. In alcuni casi,
però, a un numero selezionato di pazienti con disturbo dissociativo dell’identità o con un disturbo
post-traumatico da stress, per un tempo limitato, si può affiancare una terapia individuale a una gruppale,
ottenendo ottimi risultati. Questa tipologia di gruppo può aiutare i pazienti a sviluppare competenze sul
trauma, sulla dissociazione, assistere lo sviluppo di specifiche abilità (ad esempio, strategie di coping,
abilità sociali, e la gestione dei sintomi), e permettere al paziente di capire che non è il solo ad avere a
che fare con i sintomi dissociativi e le memorie traumatiche. È fondamentale che questi gruppi siano a
tempo limitato, ben strutturati e dichiaratamente focalizzati.
Alcuni clinici hanno osservato che pazienti DDI riescono a beneficiare di un gruppo a lungo termine e
omogeneo. Questi gruppi forniscono un costante sostegno, la possibilità di focalizzarsi sullo sviluppo
delle funzioni interpersonali e rinforzare gli obiettivi della terapia individuale. Un gruppo così definito
richiede una struttura articolata e rigorosi confini per i partecipanti nel gruppo e al di fuori (come ad
esempio regole sulla discussione di traumi solo nel gruppo e sulla non socializzazione al di fuori di esso
con altri membri).
Alcuni pazienti possono beneficiare dei gruppi basati sull’approccio dei 12 passi, come Alcolisti Anonimi,
Narcotici Anonimi, soprattutto per coloro che hanno un problema di uso o abuso di sostanze. Tuttavia, i
gruppi dei 12 passi per “sopravvissuti a un incesto" o i gruppi di "auto-aiuto", sono generalmente
considerati come controindicati per i pazienti DDI, dato che la struttura tipica non è regolamentata e può
causare una “inondazione” emotiva e altri disagi psicologici. Inoltre, vi è la possibilità che vi siano confini
sottili fra i membri del gruppo, causando situazioni disturbate, di dipendenza, e/o comportamenti di
sfruttamento. Molti terapeuti esperti non inizierebbero una terapia con i pazienti che insistono nel
partecipare a questi tipi di gruppi.
Farmacoterapia
I farmaci psicotropi non sono un trattamento fondamentale nei processi dissociativi, e le raccomandazioni
specifiche per la terapia farmacologica, per la maggior parte di questa sintomatologia, attendono i risultati
della ricerca sistematica. Tuttavia, i terapeuti riportano che la maggior parte dei pazienti hanno ricevuto
35
farmaci nell'ambito del loro trattamento (Putnam & Loewenstein, 1993). Nell'unico studio naturalistico su
un trattamento ambulatoriale del disturbo dissociativo, lo 80% dei pazienti ha ricevuto la prescrizione di
un farmaco aggiuntivo (Brand, Classen, Lanius, et al., 2009). La farmacoterapia per pazienti con disturbi
dissociativi ha tipicamente, come obiettivi d’intervento, l’ ipervigilanza e l’invadenza dei sintomi del PTSD
e le condizioni di comorbidità come disturbi affettivi e sintomi ossessivo-compulsivi (Loewenstein, 1991b;
Torem, 1996). Il consenso informato in materia di protocolli terapeutici per pazienti DDI dovrebbe
includere la comprensione che la prescrizione è per lo più empirica.
La gestione farmacologica dei pazienti DDI richiede una particolare attenzione per i confini e le linee
attive di comunicazione tra i terapeuti che trattano il paziente, i membri del team di trattamento, e lo
psichiatra per evitare la "scissione" del team di trattamento (soprattutto quando lo psichiatra non è anche
il terapeuta principale). È essenziale che le funzioni del terapeuta e dello psichiatra curante siano
chiaramente definite. Il paziente dovrebbe avere un solo medico coinvolto nella psicoterapia intensiva. In
generale, il medico psichiatra dovrebbe svolgere un ruolo aggiuntivo, concentrandosi principalmente sulla
gestione dei farmaci e vedere il paziente con maggiore frequenza solo quando i farmaci vengono regolati
o in risposta a una emergenza psichiatrica. Il terapeuta primario dovrebbe essere responsabile di tutte le
emergenze psicoterapeutiche. Lo psichiatra non deve né essere considerato il "backup di default" quando
il paziente non è in grado di raggiungere il terapeuta, né fornire una psicoterapia di “copertura” durante
l'assenza del terapeuta principale per vacanza o per altri motivi, se non ci sono state specifici accordi
riguardo a un cambiamento dei ruoli. Il regolare scambio d’informazioni fondamentali tra i membri del
team di trattamento risulta importante per fornire un contesto agli interventi e una calibrazione e
modificazione del trattamento in corso. Come in qualsiasi trattamento psicofarmacologico, le questioni di
non aderenza al regime di trattamento, tra cui un sovradosaggio, sottoutilizzo, e/o l'uso surrettizio di altre
droghe o alcool, dovrebbero sempre essere prese in considerazione. L’indagine su una sospetta non
aderenza può richiedere una conoscenza delle tecniche di psicoterapia con i pazienti DDI e, per la
completa chiarezza, l'impegno con il sistema delle identità alternative. Questo compito può essere svolto
dal terapeuta principale, se lo psichiatra curante non ha familiarità con tali indagini.
Le identità alternative all'interno del paziente DDI possono determinare diverse risposte al farmaco
stesso. Questo può avvenire a causa dei diversi livelli di attivazione fisiologica nelle diverse identità, dei
sintomi somatoformi che possono realisticamente mimare tutti gli effetti collaterali noti dei farmaci, e/o
delle esperienze soggettive di separazione delle identità, piuttosto che a causa degli effetti biologici
differenziali dei farmaci. In generale, i farmaci è probabile che siano efficaci solo quando sono riportati i
sintomi su cui intervenire attraverso "l'intero essere umano." I pazienti con disturbo dissociativo
dell’identità possono avere molte fluttuazioni dei sintomi, giorno per giorno, causate dalla modulazione
delle difese dissociative, così come dalle situazioni difficili personali e dalle sollecitazioni della vita.
Risulta, quindi, più utile cambiare o regolare i farmaci che intervengono sul "clima emozionale" generale
del paziente, piuttosto che cercare di curare i cambiamenti psicologici giorno per giorno. Lo 36
sviluppo di competenze psicoterapeutiche efficaci nella regolazione affettiva, nella stabilizzazione, nella
gestione del PTSD e dei sintomi dissociativi, può essere più efficace del farmaco.
Le identità alternative specifiche o i gruppi d’identità possono sperimentare se stessi come "blocco" del
farmaco o ignorando i suoi effetti. Ciò può verificarsi in una varietà di modi, incluso l'aumento dell’
agitazione mediante l’innalzamento del conflitto interno o la persecuzione o, ancora, aumentando
l'attivazione di stati basali fisiologici delle identità. Allo stesso modo, le identità possono "ingannare" altre
identità non assumendo i farmaci o prendendo più della quantità prescritta; le altre identità che
desiderano aderire al regime del farmaco hanno un’amnesia per questi comportamenti. Inoltre, a causa
della trance logica di separazione, alcuni pazienti DDI possono prendere troppi farmaci basandosi sulla
loro convinzione che ogni identità alternativa ha bisogno di una dose di farmaco proprio perché "corpo
separato".
I farmaci per i pazienti DDI sono concettualizzati come ammortizzatori di shock piuttosto che interventi
curativi. È molto comune che le risposte siano parziali a differenti tipi di farmaci sia nei pazienti DDI sia in
quelli affetti da PTDS. Le prescrizioni, quindi, dovrebbero tenere in considerazione che più terapie sui
pazienti possono causare eventuali effetti negativi. Nei momenti di crisi, lo psichiatra può anche adattare
le dosi dei farmaci per i problemi emergenti nel sonno, nell’ansia, e nella sintomatologia post-traumatica,
sia permanente sia in caso di bisogno. Spesso questo intervento risulta essere più parsimonioso e utile
piuttosto che avviare nuovi processi farmacologici.
Quasi tutte le classi di farmaci psicotropi sono state utilizzate empiricamente con i pazienti DDI. I farmaci
antidepressivi sono più spesso utilizzati per trattare i sintomi depressivi e/o sintomi del disturbo
post-traumatico da stress. La gamma di risposte standard per la titolazione degli inibitori della
ricaptazione della serotonina (SSRI) si applica a questa popolazione (ad esempio per affrontare i sintomi
d'ansia [usando basse dosi], i sintomi della depressione [dosi moderate] e i sintomi
ossessivo-compulsivi/depressione refrattaria [dosi più elevate]).
I più vecchi gruppi di antidepressivi come gli inibitori delle monoaminoossidasi (IMAO) e gli antidepressivi
triciclici (TCI) sono stati in gran parte sostituiti dagli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina in
virtù di effetti collaterali più lievi di questi ultimi, uniti a una maggiore sicurezza d’uso. Tuttavia, questi
vecchi farmaci possono essere utili in alcuni pazienti che li riescono a utilizzare in tutta sicurezza, in
particolare l’antidepressivo triciclico ‘anti-ossessivo’ Clomipramina (Anafranil). E' utile informare il
paziente circa la parziale risposta antidepressiva. Spesso il miglior risultato lo si ottiene quando il
paziente riconosce che è più depresso senza il farmaco antidepressivo piuttosto che vivere una
remissione depressiva significativa.
Gli ansiolitici possono essere utilizzati principalmente come approccio a breve termine per trattare l'ansia,
ma il medico deve tenere in considerazione che le benzodiazepine, farmaci comunemente usati, hanno
un potenziale di dipendenza, un rischio alto per i pazienti vulnerabili all’abuso di sostanze. I pazienti con
PTSD possono essere apparentemente tolleranti ad alte dosi di benzodiazepine. Questo si ritiene essere
determinato dalla grave ipervigilanza cronica e alle presunte alterazioni dei recettori delle benzodiazepine
37
in questi pazienti. Tuttavia, alcuni pazienti con DDI possono venir trattati con successo attraverso un
regime stabile e a lungo termine di benzodiazepine. In generale, in questa popolazione, benzodiazepine
a lunga durata d’azione (per esempio, lorazepam [Tavor], clonazepam [Rivotril]) risultano essere più
sicure e con minori effetti collaterali rispetto alle benzodiazepine a breve durata come alprazolam (Xanax)
e ipnotici con durata d’azione ultra-breve.
Altri farmaci con evidenti effetti sedativo-ipnotici possono essere utilizzati per i problemi di sonno (ad
esempio, trazodone [Trittico]; difenidramina [Benadryl]; mirtazapina [Remeron]; basse dosi di
antidepressivi triciclici; e neurolettici a basso dosaggio con un minor numero di effetti extrapiramidali,
quali quetiapina [Seroquel] o clorpromazina [Largactil]. I pazienti DDI comunemente soffrono di un
complesso disturbo del sonno caratterizzato da incubi e flashback post-traumatici, problemi di sonno
legati a disturbi affettivi, reazioni di paura scatenate di notte dovute alla rievocazione dell'abuso notturno
segnalato, e le attività notturne di alcune identità alternative. Le identità notturne sono vissute come se
esistessero solo di notte, e le identità "diurne" possono sperimentare una vera e propria amnesia per la
loro presenza e attività.
I problemi di sonno nei pazienti DDI sono di solito meglio affrontati nel quadro globale del trattamento,
utilizzando strategie di gestione dei sintomi della paura delle identità alternative, la negoziazione del
sonno con le identità notturne, l'utilizzo di strategie cognitivo-comportamentali focalizzate sul trauma per
ridurre la reattività post-traumatica di notte, insieme con l'uso giudizioso dei farmaci. In generale, i
barbiturici, l’idrato di cloralio, e simili farmaci dovrebbero essere evitati nei pazienti DDI a causa della loro
caratteristica di creare dipendenza e la possibilità di un’ overdose letale.
I neurolettici o i farmaci antipsicotici, in particolare i nuovi antipsicotici atipici, sono stati usati in dosi
relativamente basse con pazienti DDI per trattare con successo l’ iperattivazione, la disorganizzazione del
pensiero, i sintomi intrusivi del PTSD, così come l'ansia cronica, l’insonnia e l’irritabilità. Bisogna fare
attenzione a non confondere le allucinazioni uditive psicotiche con le complesse, personificate, (per lo
più) interiori voci descritte dai pazienti con disturbo dissociativo dell’identità, che rappresentano le
comunicazioni tra le identità alternative (vedi Loewenstein, 1991a). I fenomeni allucinatori nei DDI, anche
quando le identità alternative innestano allucinazioni imperative di danno verso di sé o verso gli altri, sono
di solito inalterati dai neurolettici, anche ad alto dosaggio. Invece, a causa di effetti collaterali problematici
come la sonnolenza, i neurolettici possono causare una diminuzione del funzionamento, piuttosto che alla
scomparsa di voci.
Le allucinazioni dissociative multimodali con manifestazioni uditive, visive, olfattive, tattili, e gustative,
spesso nel contesto di perdita del dato di realtà (psicosi dissociativa), generalmente non rispondono in
maniera significativa ai farmaci antipsicotici, sebbene possano attenuare l’ipervigilanza generale, il
panico, il terrore, e la disorganizzazione del pensiero. Questo può consentire una maggiore efficacia degli
interventi psicoterapeutici per i processi dissociativi/post-traumatici sottostanti questi sintomi. Gli individui
con DDI che hanno una vera comorbidità psicotica possono essere sensibili ai farmaci neurolettici per i
sintomi psicotici, anche se i sintomi DDI stessi rimangono relativamente inalterati. 38
I neurolettici hanno molti effetti collaterali. E' da sottolineare che alcuni degli antipsicotici "atipici" di
seconda generazione sono associati a un aumentato rischio di significativo aumento di peso e a una
sindrome metabolica caratterizzata da ipercolesterolemia e intolleranza al glucosio, spesso determinando
un franco diabete mellito. I farmaci cui si associano questi effetti collaterali includono Clozapina
(Leponex) e Olanzapina (Zyprexa) e, in misura minore, Quetiapina (Seroquel), Risperidone (Risperdal),
Aripiprazolo (Abilify), e Ziprasadone (Zeldox). Lo psichiatra deve monitorare attentamente tutti i pazienti
che assumono antipsicotici atipici, e, qualora si verifichi un significativo aumento di peso e/o lo sviluppo
della sindrome metabolica, il paziente e lo psichiatra dovrebbero attentamente rivalutare i rischi e i
benefici nella prosecuzione della cura.
Alcuni pazienti DDI, con disturbo grave e persistente, con funzionamento prevalente a livello di psicosi
cronica, hanno risposto bene alla Clozapina per quanto riguarda i gravi sintomi post-traumatici e i disturbi
cronici del pensiero. Il pensiero può manifestarsi come refrattario, spesso bizzarro, quasi delirante o
francamente delirante con distorsioni cognitive. Questi pazienti possono mostrare sfiducia confinante in
una vera paranoia.
Gli stabilizzatori dell'umore sono farmaci che agiscono specificamente sulle oscillazioni dell''umore in
pazienti bipolari. Poiché molti pazienti DDI soffrono di rapidi cambiamenti dell’ umore, i clinici spesso
pongono diagnosi errate di Disturbo bipolare II o Disturbo Ciclotimico. Tuttavia, un'attenta anamnesi, di
solito, mostra che lo stato d'animo altalenante è in realtà causato da intrusioni post-traumatiche,
disregolazione affettiva, e la commutazione, la sovrapposizione e /o l’interferenza tra identità alternative.
Così, solo una piccola minoranza di pazienti con DDI ha un reale disturbo bipolare in comorbidità, con
manifestazioni chiare, sostenute alternando episodi maniacali/ipomaniacali e depressivi che acquisiranno
una maggiore stabilità dell'umore con questi agenti. Non vi sono prove che dimostrino che il disturbo
bipolare sia più (o meno) comune tra DDI pazienti rispetto alla popolazione generale.
Altri farmaci utilizzati per il trattamento di pazienti DDI includono il naltrexone (Antaxone), un antagonista
degli oppiacei che può avere una certa efficacia nel diminuire l'impulso verso l'auto-mutilazione o altri
comportamenti autodistruttivi e di auto-stimolazione, soprattutto se il paziente riferisce un "alto" livello di
autolesionismo. Alcuni pazienti hanno risposto ai beta-bloccanti centralmente attivi, quali propanolo
(Inderal) per l’ipervigilanza e il panico post-traumatici. La Clonidina (Catapresan) e la Prazosina
(Minipress), sono alfa agonisti ad azione centrale utilizzati principalmente come farmaci antipertensivi; la
clonidina può essere efficace per l’ipervigilanza e per i sintomi intrusivi post-traumatici in alcuni pazienti
DDI. Studi condotti sui veterani in combattimento hanno dimostrato che la prazosina ha come principale
obiettivo gli incubi post-traumatici (Raskind et al., 2003). I farmacologi hanno anche trovato che la
Prazosina è utile per la stessa indicazione in alcuni pazienti DDI. Tuttavia, con un significativo aumento
degli incubi a causa di stress della vita quotidiana, traumi aggiuntivi, e/o del lavoro sul materiale
traumatico in terapia, è meno probabile che questo intervento farmacologico porti a una buona risposta,
e, generalmente, risulta essere più efficace la ristabilizzazione psicoterapeutica. L’effetto collaterale più
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problematico di questi farmaci è l'ipotensione, specialmente in pazienti con una bassa pressione
sanguigna e/o pazienti con disturbi del comportamento alimentare restrittivi.
Gli psicostimolanti (Metilfenidato [Ritalin e altri], composto di sali di amfetamina [Adderal e altri],
Destroanfetamina [Dexedrine e altri], ecc) possono essere utilizzati per i pazienti con disturbo
dell’attenzione e una comorbidità con il disturbo dissociativo dell’identità. Tuttavia, la diagnosi
differenziale di problemi di attenzione su base dissociativa e disturbo da deficit di attenzione (ADD) può
essere difficile, e richiede una particolare attenzione al contesto e alla natura della apparente
sintomatologia ADD. Questo può essere particolarmente vero nei bambini e adolescenti traumatizzati, i
cui problemi di attenzione e d’iperattività tendono a essere le reazioni innescate dal PTSD , alternate a
“spacing out” dissociativi, piuttosto che il tipico modello trovato nei bambini ADD / HD (Disordine da
Iperattività). Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività e i disturbi post-traumatici/dissociativi possono
coesistere nello stesso paziente, complicando la diagnosi differenziale. Inoltre, gli stimolanti possono
avere un effetto positivo sulla attenzione aspecifica, anche in pazienti senza ADD. Gli psicostimolanti
sono potenzialmente abusati in tutti i pazienti e particolarmente nei pazienti DDI a causa della frequente
concomitanza dei disturbi alimentari ricorrenti in questa popolazione.
I farmacologi che hanno fatto esperienza del DDI non considerano la "fatica" come indicazione all'uso di
stimolanti, in questa popolazione. Uno studio recente ha trovato una storia di abuso sessuale infantile in
una grande percentuale dei pazienti con diagnosi di "sindrome da stanchezza cronica" (Heim et al.,
2009). I sintomi somatoformi dissociativi e/o l’abuso di farmaci sedativi nel caso di politerapia può
giustificare la stanchezza cronica in questi pazienti.
I pazienti DDI ospedalizzati vivendo ansia acuta, agitazione, sintomi post-traumatici invadenti,
commutazione caotica, e/o pulsione di danneggiare se stessi o altri, possono rispondere alle
benzodiazepine per via orale o per via intramuscolare, se necessario (principalmente lorazepam [Tavor]
e/o neurolettici per via orale o intramuscolare). Sia i neurolettici tipici o atipici, possono essere
somministrati per queste indicazioni. Le Quetiapina (disponibile solo per via orale) può essere utilizzata in
dosi moderate per intervento subacuto in questi pazienti. I neurolettici tipici utilizzati per l'agitazione acuta
dei pazienti in degenza comprendono l'Aloperidolo (Haldol) e Flufenazina (Moditen), ma i neurolettici
atipici come lo Ziprasidone intramuscolare o l'Olanzapina intramuscolare o sublinguale possono anche
essere utili per il rapido trattamento di gravi situazioni di agitazione acuta e/o pericolosità per sé o per gli
altri. In generale, l'uso ripetuto di farmaci al bisogno preconizza la necessità di una somministrazione
regolare per impedire lo sviluppo di lacune di copertura farmacologica e/o per definire quali sintomi sono
effettivamente trattati.
Molti pazienti DDI usano un minor numero di farmaci con il progredire del trattamento proprio a causa di
una riduzione dell'intensità dei sintomi post-traumatici e altra sintomatologia severa, specialmente quando
avviene la fusione/integrazione. Tuttavia, quando il paziente più integrato diventa globalmente meno
sintomatico, la comorbidità sull'Asse I, come ad esempio disturbi affettivi, disturbo ossessivo-compulsivo,
ADD, e persino disturbo psicotico, può manifestarsi in modo più evidente. Molti pazienti DDI possono 40
richiedere farmaci di mantenimento per il trattamento di disturbi dell'umore, disturbo
ossessivo-compulsivo, e così via, anche dopo una completa fusione/integrazione.
Proprio come per altri pazienti, i DDI necessitano di un'attenta discussione sul rapporto rischio/beneficio
dell'uso di farmaci, sui pericoli di una loro sospensione, e sulla necessità di aderenza ai regimi terapeutici.
Come con tutti i pazienti, i cambiamenti di terapie stabili e utili dovrebbero essere fatti con attenzione, in
modo ottimale quando il paziente non è in fase critica o non si sta svolgendo un intenso lavoro in terapia,
e quando il riemergere dei sintomi risulta meno invadente nella vita di tutti i giorni. Il paziente, lo
psichiatra curante, e il terapeuta dovrebbero essere tutti coinvolti nella collaborazione circa i problemi dei
farmaci, la loro continuazione / interruzione, in particolare quando il paziente è più stabilizzato nelle fasi
più avanzate di trattamento.
Purtroppo, la ricerca sistematica sui farmaci per i DDI non esistere, e solo pochi studi di farmacoterapia
per il PTSD hanno avuto la partecipazione di un gruppo di donne superstiti al maltrattamento infantile
cronico. Finché non aumenteranno gli studi, il trattamento farmacologico per pazienti con disturbi
dissociativi rimarrà quasi interamente empirico e basato su esperienze cliniche.
L'ipnosi come Facilitatore di Psicoterapia
L’ ipnosi è stata utilizzata per aiutare il trattamento dei disturbi dissociativi fin dai primi anni del XIX°
secolo (Ellenberger, 1970), e vi è una vasta letteratura riguardante il suo uso nel trattamento dei DDI (cfr.
Cardeña, Maldonado, Van der Hart, & Spiegel, 2009; RP Kluft, 1982, 1988a, 1989, 1994; Phillips &
Frederick, 1995; Ross & Norton, 1989a). Diversi punti razionali e logici supportano l'uso di strategie
ipnotiche in aggiunta al trattamento del disturbo. In primo luogo, i pazienti DDI sono più ipnotizzabili di
altre popolazioni cliniche (Frischholz, Lipman, Braun, & Sachs, 1992)e hanno, quindi, alte probabilità di
portare al successo una terapia con l’ipnosi. Secondo, il lavoro ipnotico può potenziare varie strategie
terapeutiche. Studi hanno dimostrato l'efficacia clinica dell’ ipnosi per trattare la sintomatologia
post-traumatica (Cardeña, Maldonado, et al., 2009), e interventi d’ipnosi-facilitata hanno svolto un ruolo
importante nel successo di trattamenti di un'ampia serie di pazienti DDI (RP Kluft, 1984, 1986, 1993a,
1994). In terzo luogo, dato che l’ipnosi porta a uno stato spontaneo di trance, autoipnosi o eteroipnosi
(trance indotta da un'altra persona; H. Spiegel & Spiegel, 1978, 2004), alcune forme d’ipnosi possono
verificarsi durante il lavoro terapeutico, soprattutto con un gruppo di pazienti altamente ipnotizzabile. Una
formulazione di questo problema è che i pazienti dissociati, di solito inconsapevolmente, usano una
varietà di strategie auto-ipnotiche in modo spontaneo, non controllato, e disorganizzato, e insegnargli a
esercitare un certo controllo sull'ipnosi e l'autoipnosi spontanee può permettere loro di contenere certi
sintomi angoscianti e di utilizzare i loro talenti ipnotici per facilitare la costruzione di strategie per la cura
di sé.
Molte tecniche che si basano sulle competenze incredibili del paziente DDI – utilizzando o meno
l’induzione formale a uno stato di trance- si sono guadagnate un posto nel trattamento del disturbo (RP
41
Kluft, 1982, 1988a, 1989, 1994; Phillips & Frederick, 1995). Queste tecniche comprendono l'accesso alle
identità alternative non immediatamente disponibili, un intervento che può facilitare l'emergere d’identità
critiche per il processo terapeutico e/o che possono aiutare a risolvere la situazione in cui si ha una
identità infantile, disorientata, o disfunzionale "bloccata" al termine della sessione di terapia. La
riconfigurazione è una tecnica correlata in cui un sistema d’identità alternative in un disequilibrio
disfunzionale può essere "riordinato", chiedendo che le diverse identità assumano ruoli d’importanza
diversa in una costellazione più sicura e stabile.
Altre tecniche ipnoterapeutiche son state progettate per contenere flashback, per controllare i processi di
abreazione e le memorie traumatiche, per modulare gli affetti, per esplorare e risolvere i sintomi
psicologici e fisici, per adattare le identità alla corrente mentale principale di proteggere le funzioni e di
sicurezza, per mettere a dormire le identità alternative tra una seduta e l’altra, per promuovere la
ri-stabilizzazione, per incoraggiare le identità a comunicare e di impegnarsi con gli altri in modo
costruttivo (ad esempio, Fraser, 2003, tecnica tavola dissociativa), e per promuovere o realizzare
l'integrazione (ad esempio, i rituali di fusione). Ad esempio, durante la fase 2 (trattamento di ricordi
traumatici), le tecniche ipnotiche come la visualizzazione controllabile interna dei ricordi su uno schermo
possono aiutare a regolare e modulare l’influenza determinata dalla memoria. Le tecniche di "schermo
diviso" possono aiutare con la ristrutturazione cognitiva di eventi traumatici, e l'uso giudizioso di tecniche
di regressione (tenendo presente le vicissitudini della memoria) può essere utile quando si rammentano
gli eventi passati. Nella fase 3 (reintegro e riabilitazione), le tecniche ipnotiche possono aiutare a
consolidare un senso di adattamento del sé nel presente e nel futuro attraverso, per esempio, il ripetere
mentalmente possibili eventi futuri in modo da prevenire le ricadute (Cardeña, Maldonado, et al., 2009).
Le abilità autoipnotiche dei pazienti DDI permettono di usare tecniche ipnotiche senza la formale
induzione allo stato di trance. Ai pazienti può essere insegnato l’ uso di almeno alcune di queste tecniche
al di fuori dello studio del terapeuta. Nella prima fase del trattamento, le tecniche di autoipnosi possono
essere utili per indurre il rilassamento, per permettere al paziente di usare con l’immaginazione un luogo
per attuare tecniche di rasserenamento, per alleviare i sintomi, per aiutare il paziente a controllare
l’umore disforico con suggestioni per il rafforzamento dell’Io, per incrementare le strategie di coping, e per
creare abilità di “grounding” nel presente con l’ ipnosi attiva- vigile. Nelle fasi seguenti si possono
insegnare ulteriori abilità autoipnotiche, come contenere le memorie traumatiche e usare una locazione
visuale interna, come luogo d’incontro per le identità alternative, per discutere i problemi e risolverli.
I clinici dovrebbero essere consapevoli delle attuali controversie concernenti l'uso d’ipnosi nel trattamento
di traumi, in particolare l'uso di tecniche d’ipnosi facilitata per esplorare aree di amnesia o per esplorare
ulteriormente immagini o ricordi frammentati (D. Brown et al., 1998). Le autorità che sostengono l'uso dell’
ipnosi per queste indicazioni ritengono che il recupero di materiale confermato successivamente (RP
Kluft, 1995) e il progresso terapeutico spesso raggiunto, avvengono attraverso l’uso delle tecniche
ipnotiche. I detrattori sostengono che il lavoro della memoria con l’ipnosi facilitata aumenti la possibilità
del paziente di etichettare erroneamente la fantasia come memoria reale. Tuttavia, è probabile che i 42
risultati indesiderati dei clinici attribuiti alla ipnosi risiedano più in indicazioni fuorvianti e altri abusi
d’ipnosi, che nella modalità della ipnosi stessa. L'evidenza suggerisce che gli interventi suggestivi come
domande fuorvianti, piuttosto che l'uso d’ipnosi di per sé, producono distorsioni della memoria(Scoboria,
Mazzoni, e Kirsch 2006), soprattutto in popolazioni altamente ipnotizzabili (McConkey, 1992). Come gli
altri interventi, l'ipnoterapia deve essere utilizzata solo con una formazione adeguata, sia nella modalità
stessa sia nel suo uso specifico con pazienti traumatizzati e dissociativo.
Oltre ad essere altamente ipnotizzabili, alcuni pazienti DDI vengono riconosciuti per essere altamente
propensi alla fantasia (Lynn, Rhue, & Green, 1988). Una minoranza può essere così, anche se diversi
studi suggeriscono che la maggior parte dei pazienti DDI sono solo moderatamente inclini alla fantasia
(Williams, Loewenstein, & Gleaves, 2004). Tuttavia, si teme che, con l’induzione dell’ipnosi, almeno
alcuni pazienti DDI siano vulnerabili alla fantasia confusa con la memoria ed esperienze autentiche,
scambiando personaggi dei mondi interiori per eventi della realtà esterna (RP Kluft, 1998). Così, i
terapeuti che utilizzano l'ipnosi in maniera esplorativa, dovrebbero ridurre al minimo il loro uso di
domande direttive ed evitare suggerimenti e pressioni che potrebbero potenzialmente falsare i dettagli di
quello che viene ricordato con l'ipnosi. Questa tecnica può anche lasciare i pazienti con un livello
ingiustificato di fiducia in quello che è stato richiamato in stati ipnotici, anche se ci sono prove che il
consenso specifico informato riguardo a quest'ultimo aspetto, può ridurre la fiducia indebita (cfr. Cardeña,
Maldonado, et al., 2009).
I terapeuti che introducono l'uso d’ipnosi o di qualsiasi altra tecnica specializzata devono ottenere il
consenso informato da parte del paziente riguardante i possibili benefici, i rischi, i limiti e le polemiche in
corso riguardante la tecnica in questione. Il consenso informato dovrebbe includere anche eventuali
limitazioni alla legittimità della testimonianza in ambito legale riguardante ricordi ottenuti sotto ipnosi
basata su statuti e sentenze giudiziarie della giurisdizione in cui il terapeuta pratica (American Society of
Clinical Hypnosis, 1994).
EMDR
L’ EMDR è stato sviluppato nel 1989 e divenne noto, tra gli altri usi, per facilitare la rapida risoluzione dei
ricordi traumatici in disturbi post-traumatici da stress non complessi (Shapiro, 1989). Tuttavia, l'uso
precoce dell’ EMDR standard con i pazienti con un disturbo dissociativo dell’identità non ancora
diagnosticato, ha provocato gravi problemi clinici, tra cui una violazione delle barriere dissociative,
sopraffazione, improvviso emergere d’identità alternative non diagnosticate e rapida destabilizzazione
(Lazrove & Fine, 1996; Paulsen, 1995; Shapiro, 1995; Young, 1994). Come risultato, i clinici, ora,
sollecitano fortemente di valutare tutti i clienti per la presenza e l'estensione della dissociazione prima di
introdurre procedure di EMDR, indipendentemente dalla presentazione del problema. Inoltre, il consenso
attuale degli esperti è che protocolli originali dell’EMDR devono essere modificati per un uso sicuro ed 43
efficace con pazienti DDI (Beere, 2009; Fine, 2009; Forgash & Knipe, 2008; Gelinas, 2003; Paulsen,
2008; Twombly, 2005; Van der Hart et al, 2006).
L’ EMDR ha molti potenziali benefici nel trattamento del disturbo dissociativo dell’identità. Questi
comprendono un insieme coerente d’interventi previsti per cambiare le distorsioni causate dal trauma
nella rappresentazione di sé, aumentando così i collegamenti associativi a un materiale adattivo, e per
facilitare l'integrazione dei materiale traumatico trattato nelle identità alternative (Fine, 2009; Gelinas,
2003; Twombly, 2005). L’ EMDR migliora anche lo sviluppo di nuovi comportamenti consentendo ai
singoli di elaborare le esperienze traumatiche del passato e le loro cause attuali e quindi sviluppare nuovi
modelli di abilità o comportamenti desiderati.
Linee guida raccomandate: Una guida generale per l'uso di EMDR nel Disturbi dissociativi (A General
Guide to EMDR’s Use in the Dissociative Disorders; creata dal EMDR Dissociative Disorders Task Force
pubblicato in Shapiro, 1995, 2001) contiene una serie di raccomandazioni. La guida raccomanda che
l'EMDR sia utilizzato all'interno di un approccio complessivo di trattamento piuttosto che come
trattamento autonomo. Se è presente un disturbo dissociativo, solo i clinici esperti nel trattamento dei
disturbi dissociativi dovrebbero utilizzare procedure con l’EMDR, e dovrebbero farlo solo dopo che il
paziente ha valutato la sua disponibilità per il trattamento con questo strumento, del materiale traumatico.
Il trattamento EMDR è raccomandato solo quando il paziente è generalmente stabile e ha capacità di
coping adeguate, sufficiente cooperazione interna tra identità alternative, e la capacità di mantenere un
doppio focus di consapevolezza che è necessaria in queste procedure (Forgash & Knipe, 2008; Gelinas,
2003; Lazrove & Fine, 1996; Paulsen, 1995; Twombly, 2005). Sviluppare una relazione abusante, forte
opposizione delle identità alternative al trattamento e gravi diagnosi di comorbidità come psicosi, l'abuso
di sostanze attivo, o grave patologia del carattere sono situazioni in cui l’uso dell’ EMDR è controindicato.
L’ EMDR modificato può essere utile come tecnica aggiuntiva nel trattamento del DDI. Paulsen (1995),
Lazrove e Fine (1996), e Twombly (2000) hanno introdotto alcuni concetti di come l’ EMDR potrebbe
essere utilizzato nel trattamento dei disturbi dissociativi. Belle e Berkowitz (2001) hanno presentato un
innovativo modello con fasi orientate che utilizza l’ alta ipnotizzabilità del paziente DDI e alterna
ipnoterapia alle tecniche modificate EMDR. Questo permette al materiale traumatico di essere analizzato
in modo sicuro e integrato, così come permette al paziente di essere ripetutamente ristabilizzato. Le
procedure modificate dell’ EMDR, incastonate nella quadro complessivo delle fasi orientate, può essere
utilizzato quando, e se opportuno, per svolgere il lavoro sul materiale traumatico specifico, con il
potenziale di ridurre i rischi di esposizione prematura e iperattivazione delle memorie traumatiche (Fine &
Berkowitz, 2001; Forgash & Knipe, 2008; Gelinas, 2003; Paulsen, 2008; Twombly, 2005). L’EMDR
Institute Training Manual (Shapiro, 2009) ora include diversi interventi dell’ EMDR in tre fasi nell'approccio
fase- orientato.
I clinici hanno adottato interventi con l’ EMDR per la riduzione e il contenimento dei sintomi, il
rafforzamento dell'Io, il lavoro con le identità alternative, e, se appropriato, la negoziazione del consenso
44
e della preparazione delle identità alternative per il trattamento modificato con l’ EMDR dei ricordi
traumatici. I vari interventi comprendono il lavoro con le identità alternative e il problem solving durante il
trattamento (Fine & Berkowitz, 2001; Forgash & Knipe, 2008; Gelinas, 2003, 2009; Paulsen, 2008, 2009;
Twombly & Schwartz, 2008); utilizzo del lavoro di Korn e di Leeds (2002) Resource Development and
Istallation (Gelinas, 2003); uso dei protocolli per ripristinare l'orientamento e la sicurezza (Knipe 2009
oggi; Twombly, 2009a, 2009b); integrazione di tecniche ipnotiche con i protocolli dell’ EMDR per
mantenere la stabilizzazione (Fine & Berkowitz, 2001; Twombly, 2000, 2005), e applicazione dell’ EMDR
come “luogo sicuro” del lavoro, sviluppo di tolleranza degli affetti e delle sensazioni, e crescita della
cooperazione interna fra le identità alternative. Le capacità di coping acquistate con tali interventi sono
inizialmente usate per aiutare la stabilizzazione, ma, alla fine, anche come sostegno nella gestione
dell'elaborazione dei ricordi traumatici particolarmente spaventosi (Belle & Berkowitz, 2001; Paulsen,
1995; Twombly, 2005).
È essenziale, quando si utilizza l'EMDR con i pazienti DDI, ridurre i rischi di infrangere le barriere
dissociative e creare una situazione prevaricante. Come notato da Van der Hart et al. (2006), "Il rischio
inerente all'uso dell’ EMDR con individui cronicamente traumatizzati è che spesso riattiva troppa memoria
traumatica troppo in fretta "(p. 327). A differenza della solita procedura di EMDR, l’elaborazione
associativa (cioè, che consente l'elaborazione per superare i ricordi associati) non è consigliabile con i
pazienti DDI dato che si vuole mantenere la quantità di materiale e la sua intensità a un livello gestibile
(Fine & Berkowitz, 2001; Lazrove & Fine, 1996; Paulsen, 1995; Twombly, 2005). Invece, la memoria di
target dovrebbe essere isolata il più possibile. Varie tecniche sono state sviluppate per modulare
l'intensità del lavoro dell’ EMDR, compresa l’abreazione frazionata e la desensibilizzazione seriale, che
prevede un trattamento dei diversi elementi di una memoria tenuti separati negli stati del sé (Fine &
Berkowitz, 2001; Lazrove & Fine, 1996; Paulsen, 2008; Rouanzoin, 2007).
Altre modifiche protettive dell’ EMDR per i DDI coinvolge il “pacing” e il tipo di stimolazione alternata
bilaterale con pazienti altamente dissociativi. Molti clinici visualizzano l'uso di brevi stimolazioni alternate
bilaterali imposte (Lazrove & Fine, 1996; Paulsen, 1995; Wesselman, 2000), uditive o tattili, alternando la
stimolazione bilaterale all'uso di movimenti oculari poiché parrebbe essere più tollerabile per i pazienti
DDI (Bergmann, 2008; Forgash & Knipe, 2008). Sessioni più lunghe possono essere necessarie per non
esporre i pazienti più a lungo al materiale traumatico, ma piuttosto per consentire loro di elaborare e
integrare il materiale al ritmo che si può tollerare e per riequilibrarsi prima di concludere la sessione (Van
der Hart et al., 2006).
I terapeuti devono essere consapevoli del fatto che per i pazienti DDI, l'elaborazione di una memoria
all'interno della maggior parte delle sessioni EMDR, sarà probabilmente incompleta. La necessità di
rivisitare i ricordi bersaglio e rielaborarli può rappresentare il naturale passo successivo dello specifico
ricordo o invece può essere che il paziente abbia sviluppato la capacità di elaborare e integrare ricordi
precedentemente insopportabili - una capacità raggiunta grazie al lavoro terapeutico fino ad ora svolto.
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Modalità di trattamento espressive e riabilitative
Le terapie espressive e riabilitative sono spesso parte integrante del trattamento residenziale, parziale e
ambulatoriale con pazienti con disturbo dissociativo dell’identità (Jacobson, 1994; ES Kluft, 1993).
Modalità come l’arte terapia, l’orticoltura terapia, il diario, la musicoterapia, la movimento terapia, la
terapia occupazionale, le poesia-terapia, lo psicodramma e la ricreazione terapeutica, forniscono al
paziente opportunità uniche di indirizzare i problemi del trattamento verso un contesto supportivo e
strutturato.
Le arti creative o terapie espressive avvengono in una diade o, ancora meglio, in gruppo. Ciascuna
modalità dispone di un formato alternativo attraverso il quale gli individui possono comunicare in modo
sicuro i pensieri e i sentimenti sottostanti. Il processo non verbale e i prodotti (cioè, opere grafiche,
espressione musicali, sequenze di movimenti, scrittura, ecc) possono servire come una traccia visiva o
scritta delle esperienze del sistema interno d’identità alternative e possono essere esaminati in qualsiasi
punto nel trattamento. Come informatori vitali su fattori di stress attuali, fattori scatenanti, problemi di
sicurezza, esperienze traumatiche del passato, e strategie di coping, essi sono spesso articolati, in modo
non verbale, molto prima che possano essere vocalizzati, pertanto le terapie espressive sono
particolarmente utili nel processo di guarigione. La successiva discussione di opere d'arte, scritti, musica,
e così via, può quindi essere utilizzata per elaborare diversi obiettivi del trattamento. In concomitanza con
le associazioni verbali, gli approcci psicoterapeutici non verbali colmano il divario di comunicazione tra le
parti scisse del Sé, così come quello tra il mondo interno del paziente e la realtà esterna.
Inoltre, il gruppo di terapia espressiva e il trattamento individuale agevolano anche lo sviluppo di una
maggiore concentrazione, il pensiero basato sulla realtà, l'organizzazione interna e la cooperazione, la
capacità di problem-solving e l'utilizzo di tecniche di contenimento. Le terapie creative possono
promuovere la comprensione, la sublimazione della rabbia e altri sentimenti intensi, il lavoro attraverso le
esperienze traumatiche e possono aiutare con gli obiettivi d’integrazione. Molti psicoterapeuti trovano utili
i disegni e le annotazioni sui diari dei pazienti durante le psicoterapie, oltre al loro ruolo che hanno nel
chiarire i problemi diagnostici. La serie di disegni diagnostici (Diagnostic Drawing Series) creata da
Cohen, Mills, e Kijak (1994) è una delle più standardizzate valutazioni d'arte spesso usata nel fare una
diagnosi differenziale di DDI. La sua specificità dell'uso con i pazienti dissociativi è anche stata
documentata (Mills & Cohen, 1993).
Le terapie riabilitative, tra cui quella occupazionale, l’orticoltura, la terapia ricreativa, sono molto utili per
migliorare le funzioni dei pazienti DDI. La capacità del paziente di eseguire le attività in modo coerente e
adeguato all'età viene registrata attraverso analisi funzionali e la fornitura di strutture, le attività o i compiti
basati sulla realtà. Le valutazioni della terapia occupazionale possono anche rivelare i dati relativi al
vivere quotidiano, l'igiene personale, la preparazione dei pasti, la gestione del denaro, il lavoro, la scuola,
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il tempo libero / o tempo non strutturato e la vita sociale che possono essere negativamente colpiti da
sintomi dissociativi.
I terapeuti espressivi e riabilitativi che lavorano in regime ospedaliero, parziale, residenziale e
ambulatoriale, sono in genere psicoterapeuti e psichiatri registrati negli albi dei loro rispettivi campi;
possono anche avere licenze come corollario nel campo della salute mentale. Nonostante i pazienti
possano portare opere d'arte in sessioni e/o clinici possono occasionalmente chiedere alle persone di
creare arte come parte di un incarico di terapia, l'uso formale di terapie espressive e di riabilitazione
dovrebbe essere praticata da medici con una formazione e una certificazione adeguata.
La psicoterapia sensomotoria
Il trattamento dei pazienti DDI è complicato dalla grande varietà di disordini delle sensazioni, delle
percezioni, della regolazione autonoma del movimento. La psicoterapia sensomotoria combina le
tecniche tradizionali di terapia e gli interventi centrati sul corpo che affrontano direttamente sintomi
dissociativi neurobiologico e somatoformi del trauma (Ogden et al., 2006). Dirigere gli interventi somatici
aiuta il paziente a recuperare la capacità di regolare stati incontrollati del corpo che contribuiscono alla
dissociazione. Dato che il corpo di una persona è un insieme condiviso da tutte le identità, la psicoterapia
sensomotoria è intrinsecamente integrata ed evita il peggioramento iatrogeno della dissociazione della
personalità. L'attenzione per il movimento e la sensazione del corpo possono fornire informazioni al
terapeuta sui traumi del passato e sulle posture fisiche, i gesti, e le espressioni caratteristiche di ogni
identità e quindi mettere alla prova questi schemi comportamentali. Dato che i sintomi somatici e
fisiologici sono spesso i primi segni del cambiamento, gli interventi sensomotori, che avvisano il paziente
di questi segni, possono essere uno strumento per aiutarlo a raggiungere il controllo dello scambio
dell’identità. L'uso della psicoterapia sensomotoria, in un trattamento a fasi orientate sul trauma,
necessita una comprensione di come intervenire, a un livello corporeo, per ciascun fase del trattamento:
per insegnare le tecniche somatiche per facilitare la stabilità e la riduzione del sintomo nella fase 1, per
proteggere la stabilità generale del paziente durante il lavoro focalizzato sul completare le azioni e
integrare la memoria traumatica nella fase 2, e per insegnare le azioni fisiche che promuovono una
maggiore integrazione e un adattamento in condizioni normali della vita, nella fase 3. Sottolineando l'uso
della "mindfulness," la psicoterapia sensomotoria può facilitare il ripristino di un sé testimoniante e quindi
può aiutare i pazienti a identificare le caratteristiche attuali delle identità. A differenza della maggior parte
delle terapie centrate sul corpo, la psicoterapia sensomotoria include l'uso di un contatto fisico come
possibilità, ma non è di per sé un approccio "hands-on" (mani addosso), che lo rende adatto per l'uso con
i clienti con disturbo dissociativo e risulta essere facile da integrare a modelli psicoterapeutici più
tradizionali. Tuttavia, quest’approccio deve essere attentamente introdotto e cronometrato a causa della
estrema fobia che molti pazienti DDI hanno del loro corpo e del contatto fisico. I clinici dovrebbero avere
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dimestichezza con il modello a fasi orientate del trattamento dei pazienti con disturbo dissociativo
dell’identità, prima di tentare di utilizzare interventi di terapia sensomotoria.
La Terapia elettroconvulsiva (ECT)
La ECT non ha dimostrato di essere un trattamento efficace o appropriato per i disturbi dissociativi, ma
può essere utile per alleviare una comorbidità refrattaria di depressione sovrapposta a DDI (Bowman e
Coons, 1992; Debattista, Solvason, & Spiegel, 1998) - la cosiddetta depressione doppia che descrive un
episodio depressivo maggiore sovrapposto a una linea base cronicamente depressa (Klein, Taylor,
Harding, e Dickstein, 1988). Nella doppia depressione nei pazienti DDI, le caratteristiche melanconiche
e/o quelle autenticamente psicotiche sono più propense a prevedere una risposta all’ECT. Come gli altri
pazienti sottoposti a ECT, un sottogruppo di pazienti DDI segnala una significativa perdita permanente
della memoria autobiografica e indebolimento della memoria attuale in corso che si sovrappone
all’amnesia dissociativa cronica e che può essere difficile da differenziare. Il consenso informato per ECT
nei pazienti DDI deve affrontare questi temi, così come il solito consenso informato per ECT.
Interviste farmacologicamente agevolate
Prima dello sviluppo di strumenti di valutazione clinica e psicometrica, le interviste d’ipnosi e/o
farmacologicamente facilitate - più comunemente utilizzando amobarbital (Amytal, non vendibile in Italia)
– sono state usate per aiutare nella diagnosi e nel trattamento di DDI, così come per la diagnosi
differenziale e il trattamento di disturbi di conversione acuta e amnesia dissociativa generalizzata (Napoli
e Hackett, 1978). Tuttavia, l'uso di amobarbital e farmaci simili è potenzialmente pericoloso per alcuni
pazienti e gli effetti collaterali possono includere la depressione respiratoria, la sedazione, l’ipotensione,
la perdita di coordinazione e reazioni allergiche. Negli Stati Uniti, gli standard attuali impostati da parte
della “Commissione mista per l'accreditamento delle organizzazioni sanitarie” (Joint Commission on
Accreditation of Healthcare Organizations) considerano le interviste farmacologicamente agevolate come
l’ essere in una "sedazione cosciente". Di conseguenza, queste procedure possono essere eseguite solo
in un ambiente ospedaliero, in base alle norme di monitoraggio e di sicurezza necessarie utilizzate
dall'ospedale nel reparto di anestesia. Altri paesi possono avere differenti regole amministrative su
questo, nonostante ciò, queste procedure sono rare anche al di fuori di Stati Uniti. Così, in questo
momento, le interviste farmacologicamente facilitate sono raramente eseguite nella diagnosi e nel
trattamento dei pazienti DDI. 48
SPECIALI PROBLEMATICHE DI TRATTAMENTO
Consenso informato
I clinici dovrebbero essere consapevoli delle questioni etiche, giuridiche e cliniche che sono relative al
consenso informato per la salute mentale, il trattamento e in particolare per il trattamento dei disturbi
dissociativi - e dovrebbero aver cura di ottenere il consenso informato in un modo coerente con gli
standard prevalenti di cura (D. Brown et al, 1998.; Courtois, 1999; Gutheil & Applebaum, 2000). Inoltre, i
terapeuti dovrebbero educare se stessi circa i temi specifici che hanno suscitato una crescente
preoccupazione a causa di recenti controversie intorno al trattamento del trauma, e devono considerare
l’idea di discuterne con pazienti nelle prime fasi del trattamento. I pazienti possono diventare molto
inquieti, stressati, o addirittura sentirsi traditi se prima incontrano queste polemiche nei media, a scuola,
in ambito sanitario, o da scettici nella loro vita quotidiana. Queste questioni controverse includono
l’eziologia traumatica contro quella sociocognitiva del disturbo dissociativo dell’identità, il dibattito
sull’esistenza di un richiamo ritardato delle esperienze traumatiche, la possibilità che la terapia possa
produrre "ricordi confabulati" di eventi che non si sono verificati, le potenziali distorsioni e certezze
indebite circa i ricordi accessibili tramite l'ipnosi, e la regressione e la maggiore dipendenza in
trattamento. Anche il trattamento eseguito correttamente può causare regressioni temporanee mentre il
pazienti è alle prese con la comprensione dei suoi sintomi, dei limiti e dei confini nel trattamento, con le
questioni relazionali, con i ricordi e le emozioni riguardanti le esperienze traumatiche. I terapeuti esperti
tentano di limitare la durata e la gravità di questi regressioni temporanee e informare i pazienti di questa
possibilità prima di affrontare il racconto del trauma. Il terapeuta può quindi fornire preventivamente
strategie per contribuire a limitare la durata e la gravità di queste regressioni temporanee, oltre a dare al
paziente più di un senso di prevedibilità e controllo durante il trattamento. Ci sono prove che un attento
consenso informato e l’educazione dei pazienti in materia di controversie circa l'affidabilità delle memorie
recuperate durante l'ipnosi e durante il trattamento del trauma, può aiutare i pazienti a valutare i ricordi
che emergono nel corso del trattamento e di considerarli diversi, rispetto a quanto farebbero con i ricordi
che richiamano in qualsiasi altra circostanza (Cardeña, Maldonado, et al., 2009).
Problemi di confine nella psicoterapia con il DDI
Cornice del trattamento. Le vittime di abuso o abbandono di minore, comprese le persone con DDI, sono
spesso cresciute in situazioni in cui i confini personali sono stati violati. Nella terapia di questa
popolazione, vi è un potenziale significativo per rievocazioni delle violazioni di confine. Ciò non può
essere sottovalutato e il clinico deve essere estremamente prudente, cauto e riflessivo circa la questione
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dei confini, compresa la necessità di definire chiaramente i ruoli, le regole, le aspettative, i diritti, e altri
elementi della cornice del trattamento e della relazione terapeutica. Il transfert e controtransfert con
pazienti DDI e pazienti DDNAS sono complessi e mutevoli e devono essere meticolosamente curati. Le
consultazione di esperti possono essere utili per anticipare e gestire i dilemmi legati ai confini clinici. Una
discussione su questi problemi può essere trovata altrove (vedi Dalenberg, 2000; Davies & Frawley,
1994; Loewenstein, 1993; Pearlman & Saakvitne, 1995; Wilson & Lindy, 1994).
I problemi di confine possono sorgere in ogni fase del trattamento DDI, e la negoziazione e la discussione
di queste questioni dovrebbero verificarsi, se necessarie. Molti esperti concordano sul fatto che il
paziente abbia bisogno di una chiara dichiarazione all'inizio del trattamento relativa ai confini terapeutici
che potrebbe includere alcuni o tutti i seguenti aspetti: lunghezza e tempo delle sessioni, pagamento e
relativi accordi, uso dell’assicurazione sanitaria, riservatezza e suoi limiti, disponibilità del terapeuta tra le
sessioni, rispettivi ruoli e responsabilità del paziente e del terapeuta, gestione delle crisi inter-sessione,
procedure in caso di ricovero necessario, cartella del paziente e chi ne ha accesso, contatto fisico tra il
terapeuta e il paziente, e, tra gli altri argomenti, coinvolgimento della famiglia del paziente o di altre
persone significative per il trattamento. Una discussione più completa di questi problemi può essere
trovata altrove (vedi Chu, 1998; Courtois, 1999).
A un certo punto del trattamento, i pazienti possono essere soggetti a crisi e avranno bisogno
d’informazioni chiare, idealmente previste in anticipo, circa la disponibilità delle risorse cliniche e di altro a
cui rivolgersi in caso di emergenza. Come regola generale, offrire contatti telefonici regolari o illimitati non
è utile e può anche essere regressiva. Eppure, ci possono essere momenti in cui è essenziale fornire
ulteriori disponibilità al paziente in crisi, su base predefinita. La politica di pagamento per il contatto
telefonico deve essere discussa con il paziente, possibilmente, in anticipo.
Le richieste o i tentativi di pazienti DDI di ampliare o modificare i parametri della terapia sono molto
comuni, soprattutto dalle "giovani" identità alternative; i terapeuti devono valutare con attenzione le
implicazioni e gli effetti potenziali di tali richieste prima di apportare modifiche ai confini abituali e usuali
del trattamento. I clinici esperti mantengono generalmente confini coerenti con tutte le identità alternative,
indipendentemente dalla loro età evolutiva.
Il paziente DDI può fortemente sostenere alcuni cambiamenti nei confini o nella struttura del trattamento,
chiedendo ripetutamente al clinico di fare questi cambiamenti direttamente o con pressioni indirette.
Piuttosto che alterare nella realtà la struttura del trattamento, i terapeuti dovrebbero vedere queste
situazioni come opportunità per esplorare il materiale clinico importante. Per esempio, gli sforzi per
cambiare i confini possono rappresentare lo spingere dell’inconscio a rimettere in scena l'inizio della
violazione del confine da parte di altri soggetti significativi, oppure i conflitti tra identità alternative che
desiderano testare l'affidabilità del terapeuta o, ancora, un tentativo di compensare i bisogni insoddisfatti
dell'infanzia.
Nell'ambito della stretta aderenza a un trattamento con confini ben delimitati, il trattamento ambulatoriale
deve ordinariamente avvenire solo nello studio del terapeuta o in un luogo appropriato, come un reparto
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di degenza. Anche in tempi di crisi, non è appropriato per un paziente essere ricevuto a casa del
terapeuta, né è appropriato per il terapeuta o membri della famiglia del terapeuta avere rapporti con il
paziente o la famiglia del paziente. Il trattamento di solito si verifica a faccia a faccia. L'uso di un lettino
analitico è accettabile solo per pazienti accuratamente selezionati trattati da terapeuti che hanno
completato la formazione psicoanalitica. Il trattamento deve normalmente avvenire in tempi determinati,
con una durata della sessione predeterminata e, nonostante la complessità del trattamento, i clinici
dovrebbero generalmente cercare di terminare ogni sessione nel tempo previsto.
Impegnarsi in una relazione personale di qualsiasi tipo con il paziente DDI, come con altri superstiti del
maltrattamento infantile, anche per un po’ 'di tempo dopo la conclusione del trattamento, non è
raccomandato ed è fortemente sconsigliato, anche se può essere ammissibile ai sensi dei codici etici
dell’organizzazione professionale dei terapeuti e di leggi e regolamenti locali.
Il contatto fisico con i pazienti. Il contatto fisico con un paziente DDI è generalmente raccomandato come
"tecnica" del trattamento. I terapeuti in genere hanno bisogno di esplorare i significati sottostanti le
richieste di un paziente per un abbraccio o del tenere la mano, per esempio, piuttosto che rispondere di
riflesso alle richieste. Le tecniche "reparenting" come la partecipazione sostenuta, simulated bottle o brest
feeding, e così via sono clinicamente comportamenti inappropriati e indebitamente regressivi che
ricadono sotto l'attuale standard di cura per ogni paziente. Essi non hanno alcun ruolo nella psicoterapia
del disturbo dissociativo. Alcuni terapeuti credono che il contatto fisico limitato possa essere opportuno
quando un paziente è altamente in difficoltà o sopraffatto, come ad esempio quando il paziente sta
intensamente rivivendo una inquietante esperienza nella terapia nella fase 2. Se preventivamente e
specificatamente discusso con il paziente, cioè se pienamente esplorato e analizzato con tutte le identità
alternative, il limitato contatto fisico, come il tenere brevemente la mano del paziente o il posare una
mano sul braccio del paziente, può aiutare il paziente stesso a rimanere in contatto con la realtà attuale.
Tuttavia, altri terapeuti avvertono che tale contatto debba essere evitato in quanto i pazienti possono
interpretare male il suo intento o significato, basandosi sul passato interpersonale traumatico o avere
distorsioni causate da intensi flashback o ricordi di esperienze traumatiche.
Alcuni pazienti possono cercare la terapia del massaggio o di altri tipi di "lavori centrati sul corpo” in
aggiunta alla psicoterapia; i rischi, i benefici, e la tempistica di tale decisione deve essere attentamente
discussa con il paziente, esplorando le potenzialità dell’impatto sull'intero sistema d’identità alternative.
Alcuni pazienti hanno trovato questi interventi fisici utili, in particolare quando il medico è informato circa
le questioni dei traumi e l’attenzione ai confini personali. Altri pazienti hanno invece vissuto una
sintomatologia post traumatica grave e invadente, lo scambio d’identità e il disorientamento mentre
venivano toccati durante la terapia di massaggio o qualsiasi procedura che preveda il contatto fisico.
Il contatto sessuale con un paziente DDI (o qualsiasi altro paziente) non è mai appropriato o etico. 51
Validità dei ricordi di abuso dei pazienti
I pazienti spesso descrivono una storia di abuso dilagante all’inizio della propria infanzia. Anche se molti
entrano in terapia ricordando alcune esperienze di abusi infantili, la maggior parte recupera, nel corso del
trattamento, ulteriori ricordi di abuso e/o ulteriori dettagli del ricordo, in precedenza non richiamabili. Tale
richiamo della memoria si verifica sia all'interno sia al di fuori delle sedute di terapia. I ricordi traumatici
appena richiamati spesso precedono o si “affrettano” all’ingresso del paziente in psicoterapia (Chu, Frey,
Ganzel, e Matthews, 1999). I ricordi che vengono "recuperati" (cioè, dimenticati e successivamente
ricordati) spesso possono essere confermati e non sono più confabulabili delle altre memorie già
ricordate (Dalenberg, 1996, 2006; RP Kluft, 1995, 1997; Lewis et al., 1997).
Un certo numero di società professionali hanno rilasciato dichiarazioni concernenti i ricordi recuperati di
abuso (American Psychiatric Association, 1993, 2000b; American Psychological Association, 1994, 1996;
Australian Psychological Association, 1994; British Psychological Society, 1995). Queste dichiarazioni
hanno concluso che è possibile che le memorie accurate di abuso siano state dimenticate per molto
tempo, solo per essere ricordate molto più tardi nella vita. Essi indicano, inoltre, che è possibile che
alcune persone possano costruire pseudo-memorie di abuso e che i terapeuti non possano conoscere la
misura in cui le memorie di qualcuno siano accurate in assenza di conferme esterne - che può essere
difficile o impossibile da ottenere, specialmente dato il lasso di tempo. Come con tutte le memorie, i
ricordi di esperienze di pedofilia possono a volte mescolare ricordi di eventi reali con la fantasia, dettagli
confabulati, razionalizzazioni degli abusanti degli eventi, o condensazioni di diversi eventi. Le discussioni
complete sulla polemica intorno a questi problemi possono essere trovate altrove (D. Brown et al, 1998;.
Courtois, 1999; Dallam, 2002; Freyd, 1996; Pope, 1996).
La terapia non trae beneficio se il clinico automaticamente dichiara al paziente che i suoi ricordi
potrebbero essere falsi o che deve essere creduto perché le memorie sono accuratamente vere. Il
terapeuta non è un ricercatore, e ci sono considerazioni etiche, di confine, e controtransferali relative al
proprio ruolo per tentare di dimostrare o confutare la storia traumatica del paziente. Inoltre, i terapeuti
devono fare attenzione, qualunque sia la loro persuasione teoretica, a non perdere di vista la vulnerabilità
del paziente ad accomodare, in qualche modo, l'autorità del terapeuta nella relazione psicoterapeutica, e
la produzione di memorie può essere uno di queste. Una posizione neutrale rispetto alla parte del clinico,
che combina con cura l’evitare tecniche d’intervista suggestive e direttive, insieme con la discussione e la
formazione continua sulla natura della memoria, sembra permettere ai pazienti la più ampia libertà di
valutare la veridicità e il significato dei loro ricordi.
Anche se i terapeuti non sono responsabili di determinare la veridicità dei ricordi dei pazienti, a volte può
essere terapeutico comunicare il parere professionale (Van der Hart & Nijenhuis, 1999). Ad esempio, se
un paziente ha sviluppato una convinzione ben ponderata che i suoi ricordi sono autentici, il terapeuta
può sostenere questa convinzione, se appare credibile e coerente con la storia del paziente e la 52
presentazione clinica. Viceversa, se il terapeuta ha sviluppato una convinzione ben ponderata e forte che
i ricordi del paziente sono inautentici, può essere importante esprimere quest’opinione e fornire
l'informazione al paziente (ad esempio, per quanto riguarda le bizzarrie della memoria e del richiamo e la
presenza di pensiero delirante). Le credenze del terapeuta non devono essere condivise con il paziente
in un modo o in un momento che preclude la discussione o che non rispetta il diritto del paziente ad avere
diverse credenze.
I pazienti con disturbo dissociativo dell’identità spesso sono incerti e in conflitto circa i loro ricordi, con
diverse identità alternative, che assumono diversi punti di vista a seconda della loro prospettiva di
sviluppo e funzione del sistema d’identità globale. Di conseguenza, è molto utile per il terapeuta
incoraggiare le identità a esplorare i conflitti e i differenti punti di vista, piuttosto che sostenere uno
qualsiasi di essi. Il terapeuta può aiutare a educare il paziente circa la natura della memoria
autobiografica (che è, ad esempio, generalmente considerata ricostruttiva, non fotografica), sui fattori che
possono confondere la memoria e come questi potrebbero avere un impatto su una determinata
ricostruzione della memoria. Nelle prime fasi del trattamento, quando si è in una maggiore confusione
circa i ricordi, il terapeuta dovrebbe favorire un ambiente che incoraggia a non arrivare a una precoce
chiusura sul materiale della memoria, assicurando i pazienti che i problemi possono sempre essere
riesaminati, ad esempio dopo che una progressiva integrazione accresce l'accesso dei pazienti e la
capacità di valutare in modo più chiaro l’informazione precedentemente dissociata.
Abuso Organizzato
Una minoranza di pazienti ha segnalato abusi sadici, di sfruttamento, e coercitivi per mano di gruppi
organizzati. Questo tipo di abuso organizzato, vittimizza individui attraverso un estremo controllo dei
propri ambienti durante l’infanzia e spesso coinvolge più autori. Esso può essere organizzato dalle attività
delle reti di pedofili, di pornografia infantile o prostituzione di bambini, vari gruppi "religiosi" o culti, sistemi
multigenerazionali famigliari e reti di tratta / prostituzione di umani. L’abuso organizzato incorpora
frequentemente attività che sono sessualmente perverse, terrificanti e sadiche, e può comportare il
costringere il bambino a testimoniare o partecipare all'abuso di altri. Poiché le adeguate cure parentali e
l’educazione sono spesso fattori protettivi contro il coinvolgimento in abusi organizzati, gli individui
cresciuti in orfanotrofi o istituzioni connesse possono essere particolarmente vulnerabili ai ripetitivi abusi
da più autori.
L’abuso organizzato è tipicamente descritto come di lunga data, e non è insolito per le sue vittime
denunciare il trattamento quando sono ancora sfruttati da uno o più autori primari. In particolare, con
questa popolazione, il clinico deve considerare la possibilità che il paziente possa essere attualmente
abusato o possa aver ristabilito un legame con gli abusanti nel corso del trattamento, che è spesso 53
segnalato da un cambiamento inspiegabile nell’alleanza terapeutica o da un brusco cambiamento nella
traiettoria del miglioramento.
Le vittime di abusi organizzati - soprattutto coloro che lo subiscono ancora - è probabile che siano tra i
pazienti dissociativi più traumatizzati. Essi sono più inclini all’autolesionismo e a gravi tentativi di suicidio,
sono molto suscettibili a blocchi nel forte attaccamento ambivalente con il primario perpetratore, e il più
delle volte esprimono forme complesse di disturbo dissociativo dell’identità. Alcuni di questi pazienti molto
traumatizzati inizialmente sono segnati da amnesia per gran parte del loro abuso, e la storia di abuso
organizzato emerge solo con il trattamento in corso.
Vi è una divergenza di opinioni nel campo riguardante le origini delle segnalazioni di esperienze di abuso
apparentemente bizzarre, come nel coinvolgimento dei pazienti in abusi occultistici o “riti” satanici e
segreti esperimenti di controllo della mente. Ci sono clinici che credono che i resoconti di tali eventi di
alcuni pazienti possano essere radicati in eventi sadici reali di abuso organizzato vissuti da questi
pazienti in età pediatrica, mentre altri credono che le esperienze reali, che i pazienti vittime di eventi
estremamente sadici nell'infanzia, possano essere mal ricordate. Questi ultimi ipotizzano che gli eventi
reali siano distorti o amplificati a causa dell'età del paziente e del trauma al momento dell'abuso e,
talvolta, a causa di deliberati tentativi da parte dei perpetratori dell’abuso di ingannare, intimidire o
sopraffare la vittima. Ancora, altri terapeuti ritengono che le spiegazioni alternative - come il contagio, le
elaborazioni difensive inconsce, le pseudomemorie, le delusioni, o le confabulazioni intenzionali –
possano spiegare le relazioni di questi pazienti. I clinici, che considerano automaticamente tutti i racconti
come storicamente veri o storicamente falsi, possono diminuire la probabilità di una esplorazione di tali
ricordi. Come i pazienti diventano più integrati, possono essere in grado di chiarire di persona la
precisione relativa ai loro ricordi. Si consiglia di consultare Fraser (1997) per una discussione ben
ponderata della questione di abuso rituale.
Pubblicazioni e interazioni con i media
I media e il pubblico hanno a lungo avuto un fascino per i disturbi dissociativi dell’identità. Nel fare una
storia, i giornalisti dei media comunemente cercano un individuo diagnosticato per fornire l'aspetto
d’interesse umano della storia stessa. Così, i clinici che lavorano con i pazienti possono essere avvicinati
dai media, spesso con la richiesta che il clinico fornisca un paziente DDI da intervistare. La presenza dei
pazienti in ambienti pubblici con o senza i loro terapeuti, specialmente quando i pazienti sono incoraggiati
a dimostrare fenomeni dissociativi come lo scambio d’identità, può consciamente o inconsciamente
sfruttare i pazienti e può interferire con la terapia in corso. Pertanto, è generalmente consigliabile per un
terapeuta scoraggiare attivamente i pazienti ad andare in pubblico esponendo la loro condizione o la loro
storia, ed esplorare a fondo le fantasie dei pazienti e le motivazioni circa una divulgazione pubblica di
questo tipo. E' utile fornire l'istruzione che, in generale, i pazienti che si sono manifestati ai media hanno
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avuto molte esperienze negative, spesso tortuose e si sono sentiti ulteriormente sfruttati, violati, e
traumatizzati.
Spirituali, religiose e filosofiche dei pazienti
Come altre vittime di traumi causati da un intervento umano, i pazienti DDI possono divincolarsi da
questioni di responsabilità morale, di significato esistenziale della loro sofferenza, da questioni di bene e
male, dal bisogno di giustizia, e dalla fiducia di base nella benevolenza dell'universo. Quando i pazienti
portano questi temi in trattamento, gli standard etici per varie discipline professionali sottolineano la
necessità per il terapeuta di non imporre i suoi valori sui pazienti (ad esempio, che a "perdonare" i
colpevoli è incaricato da Dio, o che un appropriato risultato del trattamento comporterà al paziente
credere o non credere in Dio o in un potere superiore; American Psychiatric Association, 1990). Quando
le identità alternative di un paziente DDI sono accuratamente esplorate, si trovano spesso una serie di
credenze spirituali e religiose tra di esse. L’esplorazione di questioni spirituali ed esistenziali può essere
proficua nella terapia DDI e può comportare un approfondimento del lavoro terapeutico. La formazione, in
tal senso, del clero e il coordinamento tra questo e il terapeuta può essere utile nel garantire che i bisogni
religiosi e spirituali del paziente siano indirizzati (Bowman & Amos, 1993; Rosik, 1992). E’ utile anche
trovare un clero che sia esperto e sensibile alle questioni spirituali complesse sollevate dalle esperienze
estrema di trauma e tradimento dei pazienti .
Anche se i pazienti possono sperimentare alcune parti di se stessi come figure demoniache – e
occasionalmente entità spirituali tanto positive come angeli o santi - e come "non-sé", i clinici dovrebbero
considerare queste entità come supplenti dell’identità, esseri non soprannaturali. I nomi delle identità
alternative tali come "Diavolo" o "Satana" possono riflettere stereotipi concreti dei confini spirituali del
paziente, dei loro aspetti di sé, utilizzando terminologie religiose piuttosto che prove di una presenza
demoniaca. Gli stati del sé etichettati come cattivi, inoltre, possono riflettere l’abuso specifico spirituale
e/o religioso, come l'abuso da parte del clero e/o la proiezione della colpa da parte del molestatore. Per
esempio, a un bambino può essere detto che la punizione è necessaria perché lui o lei "è posseduto dal
diavolo/ha in sé il diavolo". Il bambino può racchiudere comportamenti proibiti e affetti in una identità
"altra" denominata cattiva, preservando in tal modo un senso di sé come "buono".
I terapeuti dovrebbero avvicinarsi con estrema cautela al desiderio dei pazienti DDI o ai loro altri interessi
per un rituale di esorcismo. Tali rituali non hanno dimostrato di essere un trattamento efficace per questo
disturbo e non hanno dimostrato di essere efficaci per la permanente "rimozione" delle identità
alternative, nonostante l'apparente scomparsa (dissociazione dal resto della identità alternative) d’identità
"demoniache" durante un esorcismo. Gli effetti deleteri dei rituali di esorcismo svolti al di fuori della
psicoterapia, sono stati riscontrati in due campioni di pazienti DDI che li hanno vissuti. Alcuni guide per i
membri del Comitato Pratico hanno notato che, in rari casi, rituali non coercitivi di esorcismo possono 55
fornire un modo per alcuni pazienti di riorganizzare le immagini dei loro sistemi d’identità in un modo
culturalmente sintonico (Bowman, 1993; Fraser, 1993; Rosik, 2004). Altri membri non credono che
l'esorcismo sia sempre un intervento appropriato per i pazienti DDI.
Ignorare le preoccupazioni religiose e spirituali dei pazienti DDI non è raccomandato. I terapeuti che si
sentono in grado di affrontare adeguatamente tali questioni possono fare riferimento al clero addestrato a
lavorare con DDI o persone gravemente traumatizzate e può comunicare al clero di coordinare approcci
di trattamento (Bowman, 1989; Bowman & Amos, 1993; Rosik, 1992).
I pazienti DDI come genitori
I pazienti DDI hanno dimostrato di avere una vasta gamma di competenze, come genitori - da esemplari
ad abusive (RP Kluft, 1987b). I clinici dovrebbero essere consapevoli del rischio di negligenza o abuso da
parte di un genitore DDI soprattutto in particolari stati dissociativi o quando, con questo disturbo, sono
compresenti altri problemi di vita associata (ad esempio, la depressione, la paura di essere assertivi).
L’abuso e la trascuratezza possono includere la possibilità dei bambini di essere esposti a membri di una
famiglia abusiva - sia la famiglia del paziente DDI di origine che eventuali partner abusivi e sottoporre i
bambini a testimoniare la violenza domestica o atti di autolesionismo.
Il terapeuta dovrebbe valutare attivamente questi problemi e poi offrire assistenza a un comportamento
genitoriale. Il lavoro per la sicurezza dei bambini del paziente dovrebbe essere una priorità assoluta nel
trattamento del paziente adulto. Il cliente può avere bisogno di vasta formazione su come “funzionare” in
modo appropriato come genitore, compreso il lavoro con le identità alternative che negano l’essere
genitore e/o rifiutano di riconoscere i bisogni dei loro figli. I pazienti devono essere incoraggiati a essere
in uno stato d’identità adulta, quando sono con i loro figli, non scambiare identità apertamente di fronte ai
bambini, e a non regredire in stati infantili per giocare con loro. Quando indicati, i figli di pazienti DDI
dovrebbero essere valutati da un terapeuta familiare, con attenzione ai disturbi dissociativi e indicatori di
abusi sui minori. Altri interventi della famiglia, come terapia di coppia e sedute di terapia familiare che
includono i bambini del paziente, possono essere indicati. Tuttavia, si devono usare con cautela nel
determinare quali informazioni, riguardanti la diagnosi DDI del paziente, vadano condivise con i figli
minori, a seconda dell'età dei bambini e del loro sviluppo cognitivo ed emotivo.
A volte, a seguito dello stato / diritto giurisdizionale, il clinico può avere bisogno di denunciare alle autorità
gli abusi, o i possibili abusi, sui bambini da parte del paziente, di membri della famiglia corrente, di
membri della famiglia di origine, o perpetratori extrafamiliari. Il terapeuta deve agire con forza per
proteggere i bambini da abuso o negligenza, anche se questo significa una rottura della relazione
terapeutica. In generale, avendo il paziente fatto il report insieme al terapeuta, il report stesso può
essere, clinicamente, il più utile intervento per il paziente. Quando possibile, il paziente (e il suo coniuge o
partner) deve essere avvertito di questa possibilità o necessità prima del tempo. 56
CONCLUSIONI
Le informazioni contenute in queste linee guida rappresentano i principi attuali e in continua evoluzione,
che rispecchiano le conoscenze scientifiche e il consenso clinico sviluppato negli ultimi 30 anni per
quanto riguarda la diagnosi e il trattamento del disturbo dissociativo dell’identità. Dato che la ricerca in
corso sulla diagnosi e il trattamento di disturbi dissociativi e altre condizioni correlate, come PTSD,
porteranno a ulteriori sviluppi nel campo, i clinici sono invitati a consultare la letteratura pubblicata per
stare al passo con le nuove importanti informazioni. E si raccomanda vivamente che i terapeuti che
trattano DDI e altri disturbi dissociativi abbiano un'adeguata formazione nella loro diagnosi e trattamento,
per esempio attraverso i programmi disponibili tramite l’ ISSTD.