In effetti la Suprema Corte di Cassazione, in questa materia, non ha

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INPGI/1 e INPGI/2-DIBATTITO SUI DIRITTI DEI GIORNALISTI.
Le sei grandi questioni sul tappeto. Il lavoro giornalistico occasionale, la
prescrizione dei crediti e la cessione del diritto d’autore. La forzatura della
delega: i giornalisti dipendenti costretti a diventare “autonomi”. La libertà di
cumulo: giornalisti cittadini di serie B rispetto agli avvocati e ai ragionieri. La
Consulta ha stabilito che“i pensionati di anzianità possono cumulare l’assegno
con i redditi di lavoro dipendente (o autonomo)”. L’Istituto si trincera dietro
circolari e regolamenti e non arretra, ma chiede i danni a chi muove critiche.
ricerca di Franco Abruzzo/presidente OgL
Proviamo ad individuare le grandi questioni della gestione principale e della gestione separata
dell’Inpgi che creano profondo malessere nel mondo giornalistico italiano:
A. Il decreto legislativo 103/1996 “forza” la delega conferita dalla legge
335/1995: l’obbligo di iscriversi alla gestione separata esteso anche a chi
collabora ma è anche dipendente. Violazione costituzionale?
Il pateracchio maturato tra il 1995 e il 1996 è stato spiegato da Riccardo Sabbatini: “Tutto nasce da
una legge del ’95 (comma 25 art. 2 della legge n. 335/95) che intendeva assicurare la “tutela
previdenziale in favore dei soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione, senza
vincolo di subordinazione, il cui esercizio è subordinato all’iscrizione ad appositi albi o elenchi”.
La legge istituiva una gestione separata presso l’Inps e disponeva un contributo previdenziale del 10
per cento. La ratio del legislatore era chiara e condivisibile: assicurare una tutela previdenziale alle
schiere di nuovi lavoratori autonomi privi di qualunque paracadute. Con un successivo decreto
legislativo in attuazione di quella legge (dlgs n. 103/1996) è stato attribuito ad enti professionali
erogatori di pensioni obbligatorie (com’è l’Inpgi) di istituire gestioni separate per provvedere alle
necessità previdenziali dei propri “autonomi” iscritti agli albi professionali. E qui è avvenuta una
prima forzatura. Si è infatti stabilito che l’obbligo di iscrizione incombeva anche sui soggetti “che
esercitano attività libero-professionale, ancorché contemporaneamente svolgono attività di lavoro
dipendente”. Quindi, a dispetto dell’originaria finalità della legge, la platea dei contribuenti è stata
estesa anche a quanti già risultavano iscritti ad una gestione pensionistica obbligatoria (quella da
lavoratori dipendenti)”.
I giornalisti assunti a tempo pieno hanno già – come scrive Sabbatini - due coperture pensionistiche,
quella di base dell’Inpgi ed il Fondo complementare di categoria gestito dalla Fnsi. Con una terza
coperta pensionistica non starebbero più al caldo. Semplicemente soffocherebbero.
B. Lavoro occasionale. Il lavoro fino a 5mila euro all’anno oppure per complessivi 30 giorni
all’anno è occasionale ed è privo dell’obbligo d’iscrizione alla gestione separata Inps (ex articoli 61
della legge 276/2003 e 44 della legge 326/2003). Questo principio vale anche per l’Inpgi2 in virtù
del principio costituzionale di uguaglianza tra i cittadini e dell’articolo 76 (punto 4) della legge
388/2000: “Le forme previdenziali gestite dall'INPGI devono essere coordinate con le norme che
regolano il regime delle prestazioni e dei contributi delle forme di previdenza sociale obbligatoria,
sia generali che sostitutive". Perché i giornalisti sono discriminati rispetto ai cittadini assicurati
con l’Inps?
Con il parere n. 881 (17 giugno 1998) emesso su richiesta del Ministro del Lavoro e del Ministro
del Tesoro, il Consiglio di Stato ha affermato: “Non sussiste obbligo di iscrizione alla Cassa di
previdenza per i soggetti iscritti nell'Albo che esercitano un'attività professionale in maniera
occasionale” . I due Ministri hanno disatteso il parere. Può l’Inpgi marciare in direzione opposta
agli interessi dei suoi iscritti? Due leggi hanno completato il lavoro del Consiglio di Stato,
precisando che è occasionale il lavoro fino a 5 mila euro all’anno o a 30 giorni di lavoro all’anno.
C. Diritto d’autore. Con una lettera raccomandata 6 luglio 2004, il dirigente della gestione
separata dell’Inpgi (o INPGI/2) ha annunciato che l’Istituto riconosce la cessione dei diritti d’autore
fino all’anno fiscale 2000, ma non dal 2001 in poi. Bisognerebbe chiedere all’Istituto di rivelare
quale legge a partire dal 2001 ha modificato detto regime, assoggettando a contribuzione i proventi
derivanti dall’utilizzazione economica di opere dell’ingegno. In verità quella legge non esiste. La
posizione dell’Inpgi è contraddittoria e non rispetta le legislazione dell’Inps alla quale è tenuta ad
adeguarsi (art. 76 della legge n. 388/200). Non esistono cittadini di serie A e di serie B: la gestione
separata dell’Inps non chiede quattrini a chi realizza proventi collegati alle opere dell’ingegno.
Perché l’inpgi/2 si comporta diversamente?
Dall’archivio elettronico della gestione separata dell’Inpgi affiora una circolare 16 maggio 1996
firmata da Gabriele Cescutti la quale dice esattamente il contrario rispetto a quanto nel 2004 ha
scritto la dirigente della gestione separata. Riportiamo una parte di quella interessante circolare
allineata ai criteri operativi dell’Inps:
“CHI NON È TENUTO ALL'ISCRIZIONE
In base alla legge le esclusioni sono due.
1) Non è obbligato chi svolge attività occasionale. In tal caso l'attività giornalistica è saltuaria e
sporadica. Non può sicuramente costituire la fonte principale di reddito e nemmeno una fonte
secondaria permanente, in quanto non sussiste un rapporto fisso con l'editore. I servizi vengono resi
in via eccezionale, anche se su specifica ordinazione, e non sussiste alcuna situazione giuridica che
garantisca la prosecuzione del rapporto, il conseguimento di ulteriori compensi o la pretesa
dell'editore di ricevere altri servizi.
In senso tecnico specifico il soggetto non è nemmeno considerato ai fini fiscali come lavoratore
autonomo tanto che, oltre a non essere tenuto all'apertura di partita Iva, in sede di dichiarazione dei
redditi non è neanche tenuto alla compilazione del quadro E, ma del differente quadro L.
Conseguentemente non ha la possibilità di iscriversi ad alcuna forma di previdenza, né deve versare
contributi, né può pretendere prestazioni.
2) Non è obbligato all'iscrizione chi effettua cessioni di diritti d'autore. Possono essere
considerate tali esclusivamente quelle prestazioni che esplicitamente sono regolate tra le parti
(azienda editoriale e giornalista) come cessione del diritto d'autore, e che come tali sono soggette
all'imposizione Irpef. La cessione dei diritti d'autore, se effettuata direttamente dall'autore stesso, è
esente da Iva ed in sede di dichiarazione dei redditi deve essere compilata nella sezione II del
quadro E (in apposito rigo, differente da quello di cui all'ipotesi di collaborazione coordinata e
continuativa) con l'indicazione dei compensi lordi effettivamente percepiti e dai quali viene detratta
una percentuale forfetaria a titolo di riconoscimento delle spese sostenute.
Anche in questo caso non è previsto obbligo (né possibilità) di iscrizione ad alcuna forma di
previdenza. Fto Gabriele Cescutti”.
L’Ordine dei Giornalisti della Lombardia si attiene alle leggi della Repubblica in tema di lavoro
occasionale e di cessione dei diritti d’autore nonché alle indicazione date dal presidente dell’Inpgi
nel 1996.
D. La prescrizione dei contributi pretesi dall’Inpgi/2. Il diritto di ottenere il versamento
relativo a contributi pregressi si estingue trascorsi cinque anni dalla data del mancato pagamento e
non – come assume Inpgi/2 – dal momento in cui lo stesso istituto ne prende conoscenza, attraverso
possibili comunicazioni dell’Agenzia delle Entrate, magari sei, sette o, addirittura, dieci anni dopo.
“Nella materia previdenziale – ha avuto modo di precisare e chiarire in più occasioni la Cassazione,
n. 6340, n. 330/02, n.11140/01 – a differenza che in quella civile, il regime della prescrizione già
maturata è sottratto alla disponibilità delle parti. Pertanto deve escludersi la sussistenza di un
diritto dell’assicurato a versare i contributi previdenziali prescritti (di conseguenza dell’ente
previdenziale a pretenderne il pagamento)”. Costante giurisprudenza della Suprema Corte precisa,
senza possibilità di equivoci, che “il credito contributivo ha una sua esistenza autonoma che
prescinde dalla richiesta di adempimento fattane dall’ente previdenziale, e insorge nel momento in
cui matura il periodo lavorativo cui si riferisce, momento dal quale decorre il termine
2
prescrizionale dello stesso credito contributivo”. Nessuna deroga è prevista neppure per enti
previdenziali cosiddetti “privatizzati”, in quanto il decreto legislativo n. 509/94, mentre ha mutato la
natura giuridica delle Casse, facendone enti privati, nulla ha innovato in ordine al rapporto
previdenziale tra l’ente e gli iscritti che resta assoggettato agli stessi principi e alle stesse regole
della previdenza obbligatoria, con le particolarità previste dalla stessa legge n.335/95”. (cfr., ex
multis, Cass., n. 5522/03, n. 330/02). La Suprema Corte ha poi aggiunto – a ribadire autorevolmente
il concetto già sopra esposto – “che nell’obbligazione contributiva la prescrizione estintiva si
atteggia in modo diverso dalla prescrizione regolata dal codice civile”, di modo che “l’ente
previdenziale creditore non può pretenderla, né riceverla” (Cass., 11116/02, n.9525/02, n.
9408/02). Con la sentenza n. 20343/2006, depositata il 27 giugno 2006, la Suprema Corte di
Cassazione, Sezione Lavoro, è nuovamente intervenuta sul tema della prescrizione dei contributi,
degli accessori e delle sanzioni dovute agli enti previdenziali privatizzati. Nella specie, si trattava di
sanzioni dovute alla Cassa Forense per l'omessa comunicazione dell'ammontare del reddito
professionale da parte di un iscritto con riferimento agli anni 1992 e 1993, sanzioni per le quali la
Cassa Forense aveva notificato una cartella esattoriale successivamente opposta per la dedotta
intervenuta prescrizione quinquennale del credito dell'ente previdenziale.
La problematica della prescrizione dei contributi, degli accessori e delle sanzioni dovute agli enti
previdenziali privatizzati concerne, in primo, luogo l'individuazione della normativa di riferimento,
in quanto gli ordinamenti previdenziali dei singoli enti di previdenza (Cassa Forense, Cassa
Commercialisti, Inarcassa, Cassa Ragionieri, Cassa Geometri, Inpgi, ecc. ecc.) contemplano
specifiche norme in tema di prescrizione che prevedono un termine decennale della prescrizione e
una decorrenza della medesima fissata in coincidenza con l'invio, da parte dell'obbligato, della
comunicazione obbligatoria annuale dei redditi e dei volumi d'affari prodotti.
Nel surriferito quadro normativo, è intervenuto il Legislatore del 1995, con la legge n. 335/95 di
riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare, prevedendo, ai commi 9 e 10
dell'art. 3, che tutti i contributi di previdenza e assistenza sociale obbligatoria si prescrivono e non
possono più essere versati con il decorso di 5 anni.
Si è posta e tuttora si pone la questione dell'applicabilità delle norme di cui alla legge n. 335/95 in
tema di prescrizione agli enti previdenziali privatizzati, soprattutto in relazione alla prassi di alcuni
importanti enti del comparto (Inarcassa e Cassa Forense) di applicare la propria normativa speciale
sui termini prescrizionale, considerando la medesima non abrogata dalle disposizioni richiamate
della legge n. 335/95.
La Suprema Corte, con la sentenza in commento, ponendosi nel solco di una consolidata
giurisprudenza di legittimità ha ribadito l'applicabilità delle disposizioni in tema di prescrizione di
cui alla legge n. 335/95, agli enti previdenziali privatizzati. In tal senso ha richiamato le precedenti
decisioni nn. 5522/2203 e 6340/2005 riferite a Cassa Forense, la prima e a Cassa Geometri la
seconda.
In effetti la Suprema Corte di Cassazione, in questa materia, non ha mostrato mai alcun genere di
tentennamento avendo costantemente affermato l'applicabilità dei commi 9 e 10 dell'art. 3 della
legge n. 335/95 agli enti previdenziali privatizzati, sia sotto il profilo del termine di prescrizione
applicabile (si veda in tal senso la già richiamata Cass. Civ. Sez. Lav. n. 5522/2003 nonchè Cass.
Civ. Sez. Lav. n. 20343/2006 oggetto del presente commento), sia sotto il profilo dell'irricevibilità
dei contributi prescritti (si vedano, sul punto Cass. Civ. Sez. Lav. nn. 2760/06, 24863/2005,
6340/2005, 23116/2004, 9408/2002, 9525/2002, 330/2002, 11140/2001).
Con la sentenza n. 20343/2006, la Suprema Corte di Cassazione ha posto in rilievo, tuttavia,
un'importante distinzione, precisando che, sia le disposizioni di cui ai commi 9 e 10 dell'art. 3 della
legge n. 335/95 che quelle di cui alle norme speciali dei singoli ordinamenti previdenziali degli enti
privatizzati concernenti la prescrizione non riguardano le sanzioni per il tardivo o per l'omesso invio
delle comunicazioni reddituali.
Il sistema della riscossione dei contributi degli enti previdenziali privatizzati è fondato, infatti,
sull'autodichiarazione dei redditi e dei volumi d'affari da parte del professionista entro un termine
3
che generalmente è fissato in riferimento alla scadenza del termine per la presentazione della
dichiarazione fiscale. La tardiva/omessa comunicazione dei dati reddituali all'ente di previdenza
comporta l'applicazione di una sanzione (qualificata dalla giurisprudenza di legittimità come
sanzione amministrativa).
Gli enti previdenziali dei liberi professionisti hanno generalmente applicato a tali sanzioni lo stesso
regime della prescrizione previsto per i contributi (5 o 10 anni decorrenti dall'invio della
comunicazione reddituale da parte del professionista).
La sentenza n. 20343/2006, invece, partendo dalla considerazione per cui la sanzione per tardiva
omessa comunicazione dei dati reddituali non assume valenza accessoria rispetto ai contributi, ha
ritenuto che alla stessa non sia applicabile il regime della prescrizione di cui all'art. 19 della L. n.
576/1980 (analogo ad altre disposizioni in tema di prescrizione presenti in altri Ordinamenti libero
professionali), il cui titolo recita: "prescrizione dei contributi" ma quello di cui all'art. 28 della legge
n. 689/81.
In tale prospettiva, il termine di prescrizione risulta quinquennale (cioè lo stesso previsto dall'art. 3
commi 9 e 10 della L. n. 335/95) ma tale termine decorre dalla commessa infrazione e non già,
come prevederebbero le norme speciali degli enti previdenziali privatizzati, dalla data di invio della
comunicazione reddituale.
Per fare un esempio, ove la scadenza per l'invio della comunicazione reddituale del 1993, fosse il
30/9/1993 e la stessa fosse stata concretamente inviata solo nel 2005, la sanzione, seguendo la linea
interpretativa di Cass. Civ. n. 20343/2006, risulterebbe prescritta, mentre, seguendo l'impostazione
sin qui seguita dagli enti previdenziali privatizzati, risulterebbe tuttora esigibile.
E. Libertà di cumulo. La Corte costituzionale (sentenza 437/2002) limita l’autonomia della
Cassa ragionieri (= Inpgi), ritenendo prevalente il diritto all’uguaglianza sulle esigenze di bilancio.
E’ noto che i ragionieri possono cumulare pensione di anzianità e reddito da lavoro dipendente o
autonomo. Questo principio, fissato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 437/2002, vale
ovviamente per i professionisti (medici, commercialisti, giornalisti, veterinari, chimici, etc) iscritti
nelle altre Casse previdenziali trasformate dal dlgs n. 509/1994 in Fondazioni (è il caso dell’Inpgi)
o in Associazioni di diritto privato. Gli avvocati avevano già spuntato un’analoga sentenza (n.
73/1992) dalla Consulta. Nella sentenza n. 437/2002 si legge: “E’, infatti, da osservare anzitutto
che il perseguimento dell’obiettivo tendenziale dell’equilibrio di bilancio non può essere assicurato
da parte degli enti previdenziali delle categorie professionali .... con il ricorso ad una normativa
che, trattando in modo ingiustificatamente diverso situazioni sostanzialmente uguali, si traduce in
una violazione dell’art. 3 (pari dignità sociale e uguaglianza, ndr) della Costituzione. L’iscrizione
ad albi o elenchi per lo svolgimento di determinate attività è, infatti, prescritta a tutela della
collettività ed in particolare di coloro che dell’opera degli iscritti intendono avvalersi”.
L’ordinamento in sostanza non consente la politica dei due pesi e delle due misure. Il principio
della pari dignità sociale e dell’uguaglianza vince. Sempre. Non sono ammessi trattamenti
differenziati tra ragionieri e giornalisti sul piano pensionistico. L’Inpgi ignora i principi fissati dalla
Corte costituzionale. Eppure le casse previdenziali dei professionisti, nate dalla legge 537/1993 e
dal dlgs 509/1994, mantengono la veste pubblica, che avevano in precedenza. Lo afferma la
sentenza 248/1997 della Corte costituzionale. In questa sentenza si legge che “la trasformazione ha
lasciato immutato il carattere pubblicistico dell'attività istituzionale di previdenza ed assistenza
svolta dagli enti, articolandosi invece sul diverso piano di una modifica degli strumenti di gestione
e della differente qualificazione giuridica dei soggetti stessi: l'obbligo contributivo costituisce un
corollario, appunto, della rilevanza pubblicistica dell'inalterato fine previdenziale”. Il Consiglio di
Stato, con la sentenza 182/2006, occupandosi dell’ente previdenziale dei dottori commercialisti, ha
stabilito che le casse privatizzate sono enti pubblici così come stabilisce la normativa comunitaria.
Si legge nella sentenza: “La sopraggiunta direttiva (31.3.2004) n. 2004/18/CE, relativa al
coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di
servizi, dissipando ogni eventuale dubbio, ha, all’allegato III, espressamente incluso tra gli
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organismi di diritto pubblico, gli enti che gestiscono forme obbligatorie di previdenza e di
assistenza”.La normativa comunitaria vale soprattutto per l’Inpgi, che tra le casse privatizzate dal
dlgs 509/1994 è l’unica ad essere sostitutiva dell’Inps in base all’articolo 76 della legge 388/2000.
Questa legge richiama le precedenti leggi degli anni 50 che avevano dato la veste giuridica
pubblica all’Istituto di previdenza dei giornalisti. Ora uno spiraglio si è aperto a Milano: il
Tribunale civile prima e la Corte d’Appello dopo hanno sentenziato che la libertà di cumulo spetta
al giornalista, il quale può pertanto ricevere l’assegno dall’Inpgi e lo stipendio dalla società per la
quale lavora dopo il pensionamento di anzianità.
F. Pensioni di anzianità. La sentenza 137/2006 della Corte costituzionale è un duro monito
indiretto anche per l’Inpgi: “I pensionati di anzianità possono cumulare l’assegno con i redditi di
lavoro dipendente (o autonomo)”. La Corte costituzionale, con la sentenza 137/2006, ha dichiarato
illegittimo il secondo comma dell’articolo 3 della legge 20 ottobre 1982 n. 773 (Riforma della
Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei geometri). Questo comma subordinava “la
corresponsione della pensione (di anzianità) alla cancellazione dall'albo dei geometri”. La
corresponsione della pensione di anzianità, dice ancora il comma citato, “è incompatibile con
l'iscrizione a qualsiasi albo professionale o elenco di lavoratori autonomi e con qualsiasi attività di
lavoro dipendente”. In sostanza, dopo questa sentenza, i pensionati di anzianità possono cumulare
l’assegno con i redditi di lavoro dipendente (o autonomo). La Corte costituzionale sottolinea che “è
già stata chiamata a scrutinare disposizioni analoghe a quella in esame, concernenti la disciplina
della pensione di anzianità di altre categorie professionali, e ne ha dichiarato la illegittimità
costituzionale. E, se è vero che in quei casi era stata rilevata la contrarietà delle norme censurate
al parametro di cui all’art. 3 della Costituzione (uguaglianza, ndr), non evocato dall’attuale
remittente, è anche vero che ne fu affermata la illegittimità anche per la violazione dell’art. 4
(primo comma) della Costituzione (diritto al lavoro, ndr)., in ragione della compressione del diritto
al lavoro, come nel caso in esame (sentenze n. 73 del 1992 e n. 437 del 2002). La Corte, poiché non
rinviene argomenti che possano indurre a discostarsi dall’orientamento espresso con le sentenze
citate, ritiene che esso debba essere ribadito”. L’Inpgi anche su questo punto non intende
adeguarsi. Ma è indubbio che anche l’Inpgi, sia pure fino al compimento del 65° anno, comprime il
principio costituzionale del diritto al lavoro e l’altro principio inviolabile dell’uguaglianza giuridica
ed economica. Il regolamento dell’Istituto, attaccando il diritto al lavoro dei pensionati di anzianità
e dei pensionati di vecchiaia anticipata (paragonati assurdamente ai primi), entra in conflitto con
l’articolo 3 (12° comma) della legge 335/1995 (“riforma Dini delle pensioni”). Le disposizioni della
legge 335/1995 “costituiscono – si legge nell’articolo 1 (punto 2) della stessa legge - princìpi
fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica”. Il 12° comma dell’articolo 3, “nel
rispetto dei princìpi di autonomia affermati dal decreto legislativo 30 giugno 1994 n. 509, relativo
agli enti previdenziali privatizzati, allo scopo di assicurare l'equilibrio di bilancio in attuazione di
quanto previsto dall'articolo 2 (comma 2) del predetto decreto legislativo” prevede misure precise
quali sono i “provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei
coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico
nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla
introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti”. Il divieto di cumulo non
rientra tra le “manovre” a disposizione delle casse privatizzate per assicurare la stabilità
delle gestioni. La legge finanziaria per il 2007 ha frattanto abrogato per l’Inpgi quel 12°
comma. Che succederà?
Su questi sei temi da dieci anni a questa parte il presidente dell’OgL anima un forte dibattito
all’interno della categoria, dibattito che ora l’Inpgi è deciso a stroncare con la minaccia di un atto di
citazione dalle robuste pretese (750mila euro). L’Istituto si trincera dietro circolari e regolamenti e
non arretra, ma chiede i danni a chi muove critiche. “Il diritto di cronaca giornalistica, sia questa
giudiziaria o di altra natura, rientra nella più vasta categoria dei diritti pubblici soggettivi,
relativi alla libertà di pensiero e di stampa riconosciuti dall'art. 21 Cost.; e consiste nel poteredovere conferito al giornalista di portare a conoscenza dell'opinione pubblica fatti, notizie e
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vicende interessanti la vita associata”. (Cass. pen., 12 gennaio 1982, Lo Greco, in Giust. Pen.,
1982, II, 656).
Franco Abruzzo
Milano, 13 maggio 2007
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