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Brano : Ab urbe condita X, 5
Autore : Livio
Originale
[5] Nuntio allato dictator signa ferri ac sequi iubet armatos; sed celeriora prope omnia imperio erant; rapta
extemplo signa armaque, et uix ab impetu et cursu tenebantur. Cum ira ab accepta nuper clade stimulabat,
tum concitatior accidens clamor ab increscente certamine. urgent itaque alii alios hortanturque signiferos ut
ocius eant. Quo magis festinantes uidet dictator, eo impensius retentat agmen ac sensim incedere iubet.
Etrusci contra, principio exciti pugnae, omnibus copiis aderant; et super alios alii nuntiant dictatori omnes
legiones Etruscorum capessisse pugnam nec iam ab suis resisti posse, et ipse cernit ex superiore loco in
quanto discrimine praesidium esset. Ceterum satis fretus esse etiam nunc tolerando certamini legatum nec
se procul abesse periculi uindicem, quam maxime uolt fatigari hostem ut integris adoriatur uiribus fessos.
Quamquam lente procedunt, iam tamen ad impetum capiundum, equiti utique, modicum erat spatium. Prima
incedebant signa legionum, ne quid occultum aut repentinum hostis timeret; sed reliquerat interualla inter
ordines peditum, qua satis laxo spatio equi permitti possent. Pariter sustulit clamorem acies et emissus
eques libero cursu in hostem inuehitur incompositisque aduersus equestrem procellam subitum pauorem
offundit. Itaque, ut prope serum auxilium iam paene circumuentis, ita uniuersa requies data est. Integri
accepere pugnam nec ea ipsa longa aut anceps fuit. Fusi hostes castra repetunt inferentibusque iam signa
Romanis cedunt et in ultimam castrorum partem conglobantur. Haerent fugientes in angustiis portarum; pars
magna aggerem uallumque conscendit, si aut ex superiore loco tueri se aut superare aliqua et euadere
posset. Forte quodam loco male densatus agger pondere superstantium in fossam procubuit atque ea, cum
deos pandere uiam fugae conclamassent, plures inermes quam armati euadunt. Hoc proelio fractae iterum
Etruscorum uires, et pacto annuo stipendio et duum mensum frumento permissum ab dictatore ut de pace
legatos mitterent Romam. Pax negata, indutiae biennii datae. Dictator triumphans in urbem rediit.?habeo
auctores sine ullo memorabili proelio pacatam ab dictatore Etruriam esse seditionibus tantum Arretinorum
compositis et Cilnio genere cum plebe in gratiam reducto.?consul ex dictatura factus M. Valerius. Non
petentem atque adeo etiam absentem creatum tradidere quidam et per interregem ea comitia facta; id unum
non ambigitur consulatum cum Apuleio Pansa gessisse.
Traduzione
5 Quando il dittatore ricevette il messaggio, ordin? ai soldati di uscire dall'accampamento e di seguirlo con le
armi in pugno. Occorse meno tempo ad eseguire gli ordini che a impartirli. Gli uomini afferrarono in un attimo
armi e insegne, e non era facile impedire che partissero immediatamente di corsa. A pungolarli erano tanto
la rabbia per la sconfitta subita quanto il frastuono che arrivava sempre pi? forte dal campo di battaglia a
misura che lo scontro aumentava di intensit?. Cos? si incitavano l'uno con l'altro, esortando gli alfieri ad
accelerare l'andatura. Ma il dittatore, pi? li vedeva impazienti, pi? era risoluto nell'ordinar loro di rallentare la
marcia e di procedere lentamente. Dal canto loro gli Etruschi si erano gettati nella mischia impiegando s?bito
tutte le loro forze. Un messaggero dopo l'altro arrivavano a riferire al dittatore che tutte le legioni etrusche
stavano prendendo parte alla battaglia e che il presidio romano non era pi? in grado di resistere. Egli stesso
pot? vedere da un'altura in quali difficolt? si dibattessero i suoi. Confidando per? nel fatto che il luogotenente
fosse ancora in grado di reggere lo scontro, pur essendo gi? cos? vicino da poter accorrere in aiuto in caso
di pericolo, volle che il nemico si sfiancasse il pi? possibile, in modo da poterlo aggredire con le truppe
fresche quando ormai fosse allo stremo delle forze. Pur avanzando molto lentamente, restava ora poco
spazio per lanciare la carica, specialmente per i cavalieri. In testa marciavano le insegne della fanteria, per
evitare che il nemico avesse a sospettare mosse a sorpresa o tranelli. Ma il dittatore aveva lasciato intervalli
tra le file di fanti, in modo che ci fosse spazio a sufficienza per far caricare i cavalli. Non appena si lev? il
grido di battaglia, i cavalieri si lanciarono a briglia sciolta contro i nemici che, impreparati a resistere all'urto
imperioso della cavalleria, vennero colti da un attacco improvviso di panico. Cos?, anche se l'aiuto per poco
non arrivava troppo tardi agli uomini che stavano per essere sopraffatti, ora poterono finalmente riposarsi per
bene. Infatti subentrarono nel combattimento i soldati freschi, e lo scontro non fu pi? n? incerto n? si trascin?
per le lunghe. Travolti, i nemici puntarono verso l'accampamento, e cedendo ai Romani che stavano gi?
facendo breccia si andarono ad ammassare sul lato opposto del campo. I fuggitivi restarono intrappolati
negli stretti passaggi delle porte: molti salivano sulla trincea e sul terrapieno, sperando di difendersi meglio
da quella posizione elevata o di scavalcarne il perimetro in qualche punto e scappare. Ma per puro caso
avvenne che il terrapieno, non essendosi ancora rassodato per bene, a causa del peso dei soldati che vi si
trovavano al di sopra fran? in un punto sbriciolandosi nel fossato sottostante: sfruttando quella breccia i
nemici - pi? numerosi quelli disarmati che quelli armati - si precipitarono fuori urlando che gli d?i avevano
voluto aprire loro una via di fuga.Quella battaglia fu la seconda occasione in cui la potenza etrusca venne
sopraffatta, e il dittatore concesse agli sconfitti di mandare ambasciatori a Roma per discutere la pace, a
patto che pagassero lo stipendio di un anno all'esercito e lo rifornissero di viveri per due mesi. La pace fu
negata, mentre venne concessa una tregua di due anni. Il dittatore torn? a Roma in trionfo. Alcuni autori
riferiscono che il dittatore riport? la pace in Etruria senza dover combattere battaglie degne di menzione,
limitandosi a soffocare l'insurrezione degli Aretini grazie a una riconciliazione della plebe con la famiglia dei
Cilni. Dopo la dittatura, Marco Valerio venne eletto console. Secondo alcune fonti egli venne eletto pur non
avendo presentato la candidatura e per di pi? restando assente, e a presiedere quelle elezioni fu un interr?.
Ci? su cui tutti si trovano d'accordo, ? che egli detenne il consolato insieme ad Apuleio Pansa.