la parola della domenica Anno liturgico C omelia di don Angelo nell’Epifania del Signore secondo il rito ambrosiano 6 gennaio 2013 Is 60,1-6 Sal 71 Tt 2,11-3,2 Mt 2,1-12 Il fascino dell’epifania è indubbio, è indubbiamente una festa che ci fa sognare. Ci sono giorni in cui tutti, penso, sentiamo un bisogno impellente, urgente, di respirare, respirare boccate d’aria. A cielo aperto. E qui nel racconto trovi queste dune infinite, questo cielo che nessuno può derubare della sua luminosità e ampiezza. “Di notte il turno lo fanno le stelle” ha scritto qualcuno. E chi, chi, potrebbe loro impedirlo? Ed è vero. Mi sono anche detto che, perché il fascino non sia mutilato, il racconto va rispettato, così come Matteo lo ha costruito, al di fuori da indolcimenti o incrostazioni. Così come suona. E così come suona è un racconto straripante di dirottamenti, una parola questa, “dirottamenti”, che ci viene sempre più facile usare parlando di vangeli. Un caso evidente di dirottamento potremmo rilevarlo mettendo a confronto il racconto di Matteo con la profezia del rotolo di Isaia che questa mattina abbiamo ascoltato, dove si parla di Gerusalemme: “Rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché ecco la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli. Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendere del tuo sorgere”. Nel racconto di Matteo sembra di assistere diremmo semplicemente all’opposto: nelle tenebre è la città, a risplendere luminosi sono i volti dei magi, rappresentanti di quei popoli descritti dal profeta come avvolti da nebbie. “Cammineranno le genti alla tua luce” era detto di Gerusalemme nella profezia. Ebbene nel racconto, i magi non camminano certo alla luce di Gerusalemme, macchia buia nel racconto, camminano alla luce di una stella. Come se Matteo volesse dirci che non è una istituzione, nemmeno religiosa, la luce del mondo, non è lei la meta del cammino. I magi ritrovano la luce della stella non in Gerusalemme, ma uscendo da Gerusalemme: un dirottamento. Ma chi erano i magi? E anche su di loro si è cercato di resistere al dirottamento che viene dal testo. Innanzitutto cambiando il nome perché suonava male. Erano maghi, lo si è addolcito in “magi”. Perchè? Perché i maghi erano guardati con sospetto. Esercitavano una attività ritenuta a tal punto ambigua e maledetta che contaminati erano considerati persino coloro che li consultavano. Non era forse scritto nel Talmud: “Chi impara qualcosa da un mago, merita la morte”? Dunque chiamiamoli magi e poi per rendere più accomodante il racconto facciamoli diventare re. Inventiamo che siano dei re. È ovvio che se nasce il re dei giudei, se vogliamo significare la grandezza di questo Messia, debbano muoversi, è ovvio, delle persone importanti, certamente dei re. Chiamiamoli “re”, i santi re magi. E così un’altra volta si resiste al dirottamento di Dio che risplende nella nascita di suo Figlio. Pensate, come Luca racconta un dirottamento facendo arrivare alla grotta solo dei pastori, unici arrivati, razza di non praticanti, di sospettati, di irregolari nel popolo di Dio, gli unici alla grotta, così Matteo racconta un simile dirottamento facendo arrivare alla casa di Giuseppe e Maria – non siamo più in una grotta, siamo in una casa – dei magi. Siamo in una casa qualunque. Luca sembra dire: “Pensate quanti appartenenti al popolo di Dio! Ebbene arrivano gli irregolari. Matteo dice: “Arrivano quelli che nemmeno appartengono al popolo di Dio, vengono dall’oriente, e sono dei maghi”. “Alcuni magi” è scritto “vennero dall’oriente”. Arrivano e chiedono dove è nato il re dei Giudei. Aggiungono: “Abbiamo visto una stella e siamo venuti ad adorarlo”. E Matteo dilata il fascino dei magi, proprio così, non connotandoli, non specificando. Dice: “vengono dall’Oriente”. Vengono da dove nasce la luce, uomini e donne delle stelle, curiosi persino dei cieli. Bellissimo, vengono da una terra che sa di inizio, una terra che può essere in ogni uomo e in ogni donna, un oriente che Dio ha deposto in ogni uomo e in ogni donna. Anche in te. Perche, vedete, c’è un oriente, una possibilità di inizio in ogni terra. E c’è un oriente, una possibilità d’inizio di cammino in ogni anima, ogni anima è fatta di inizi. E anche i segni che mettono in cammino sono molteplici. E dunque respira. Matteo non ha paura di contaminazioni, come noi. Possono metterti in cammino verso Dio le stelle e, insieme, possono metterti in cammino le Scritture sacre. Matteo non teme la contaminazione, le une e le altre. Purché tu abbia sete, purché tu sia uomo o donna delle dune infinite e dei cieli sconfinati. Le stelle mettono in cammino. Le Scritture sacre mettono in cammino. Andare dunque dietro una stella! Una stella. A me piace pensare che sia la coscienza, la coscienza di ogni essere vivente. Stella la coscienza e la nostalgia che la abita. Questa luce che Dio ha posto in ciascuno di noi. Spesso noi siamo fuori, viviamo fuori, non rientriamo in questa dimora silenziosa dove una luce può metterci in cammino alla ricerca di significati. O spesso i significati li aspettiamo dagli altri o dai palazzi alti. Abbiamo dimenticato o trascurato il magistero della coscienza. Frequentiamo meno questo luogo interiore. Avete la stella dentro di voi. Ma poi la luce filtra anche da ciò che è custodito nelle Scritture sacre. Anche se coloro che le consultano fossero immobili. Consultano il Libro, dicono: “E’ Betlemme”, ma loro rimangono seduti. Nel racconto infatti ritrovi sorprendentemente questi due poli: il cammino e l’immobilità. Ma l’immobilità regna, a Gerusalemme, anche nella reggia. Il potere, Erode, odora un pericolo. “da gente come questa” sembra pensare “devi stare in guardia. Non si sa mai, possono accendere speranze di nuovi assetti, speranza di salvezza per tutti, di giustizia per tutti, di pace per tutti, di vita per tutti”. Gente pericolosa. Da addomesticare. E Matteo con il suo racconto fa una fotografia drammaticamente impietosa delle ipocrite strategie del mondo politico nei confronti della religione. Matteo, con sguardo disincantato, insegna che quelli che detengono il potere possono anche andare strumentalmente a braccetto con la religione: si scambiano opinioni e favori. Erode e i sacerdoti. È una santa, poco santa, alleanza, dove la religione – e parlo di religione e non di fede, perché la fede è libertà – la religione diventa “instrumentum regni”, strumento del potere. E la stella si fermò sulla casa. A volte penso: se la stella si fosse fermata sulla reggia e sul tempio, che cosa sarebbero tornati a dire i magi ai loro concittadini che li avevano visti partire per spinta di stelle? Niente di nuovo. La novità, il vangelo, la buona notizia era che un Figlio di Dio abitasse una casa qualunque, che fosse un bambino qualunque e che i suoi genitori fossero gente comune. Cambiava il modo di guardare la vita. Nulla era più come prima. La manifestazione di Dio era sulla terra. La manifestazione di Dio è sulla terra. Per la riflessione E oggi per me dove si è fermata la stella?