la parola della domenica Anno liturgico C omelia di don Angelo nella Solennità dell’Epifania, anno C secondo il rito ambrosiano 6 gennaio 2010 Is 60,1-6 Sal 71 Tt 2,11-3,2 Mt 2,1-12 Questa festa dilata il natale e, forse, a ragione in Oriente il mistero della nascita viene festeggiato nel giorno dell’Epifania. Mi sono soffermato a pensare come pochi racconti del vangelo siano entrati così tanto nell’immaginario dei credenti da consentire una efflorescenza di aggiunte, di coloriture, di invenzioni, di simboli che vanno al di là del nudo testo evangelico. E mi sono chiesto perché mai, in questo caso, l’operazione non la riteniamo così dissacrante. Perché? Perché Matteo, lui stesso, ha creato un racconto pieno di simboli, di coloriture, di immaginazione. È dunque tutto da interpretare. Oggi, diventati adulti, forse riusciamo a intuire che questa non è nuda cronaca, narrazione oggettiva. Ci sembra invece di capire che qui Matteo rielabora materiali diversi e costruisce un bellissimo midrash. E nessuno gridi al falso storico, perché Matteo ci passa qualcosa di più di una cronaca di alcuni Magi. Ci passa la cronaca di una moltitudine sterminata, e a moltitudine si aggiunge moltitudine, di donne e di uomini. Cronaca dunque reale. Cronache! Ma perché il pulsare di tanta creatività su questa pagina di Matteo? Forse anche perché questa pagina dei cosiddetti magi ha il potere, dico il miracolo, di farci respirare. E noi abbiamo bisogno di aria, abbiamo bisogno di respirare. Perché a volte, e non così raramente, la sensazione che si prova ascoltando certi discorsi, assistendo a certi dibattiti, osservando certi eventi della vita, è che ti manchi l’aria. Hai la sensazione di vivere in un mondo angusto, in piccinerie dello spirito, in meschinità di visione. E ti manca l’aria. E senti un bisogno impellente, urgente, di respirare, boccate d’aria. A cielo aperto. E qui nel racconto trovi queste dune infinite, questo cielo, che nessuno può derubare della sua luminosità e ampiezza. Questo Dio dei cammini, nell’immensità. Finalmente respiri. E nel racconto rinvieni sorprendentemente questi due poli. Che rinvieni poi nella vita: ciò che toglie il respiro e ciò che ti fa respirare, ciò che si muove e ciò che non si muove. Ciò che toglie il respiro, lo percepisci nel racconto, è un mondo: Erode, ma anche tutto ciò che lo circonda: sacerdoti, scribi, la gente stessa, asservita al potente di turno. Gerusalemme reagisce all’arrivo dei magi con una sensazione di turbamento. Che non è solo di Erode. Con lui, scrive Matteo, turbata tutta – “tutta”! è scritto – Gerusalemme. Matteo ha evocato con nomi, nomi simbolo, la storia, diremmo di sempre. Matteo, con sguardo disincantato, svela come quelli che adorano il potere possano anche andare a braccetto con la religione: Erode e i sacerdoti si scambiano opinioni e favori. È una santa, poco santa, alleanza, dove la religione - e parlo di religione e non di fede, perché la fede è libertà - dove la religione diventa “instrumentum regni”, strumento del potere. Questo è il mondo di cui parlavamo prima, l’aria irrespirabile. Che mondo piccino e triste! Mondo vecchio, mondo di sempre. Ebbene i magi, questi transfughi dello spirito entrano in una città, in una reggia, nei centri del potere religioso e politico e che cosa vi trovano se non i soliti giochi? Un’aria irrespirabile. Non so se avete notato la polemica senza addolcimenti di Matteo: il Messia non è lì, in quell’aria greve, irrespirabile. Non Gerusalemme, la grande, ma Betlemme, la piccola; non la reggia, ma una casa qualunque, che sarebbe sfuggita all’attenzione di chiunque, se non fosse stato per via di quella stella; non le autorità, ma le stelle e i libri sacri. Matteo non risparmia. Il Messia è fuori. E dunque non devi vendere l’anima a nessuno. Esci. Esci da ogni realtà che toglie respiro. E come uscirai, ti riapparirà la stella. Se il Messia fosse stato in una reggia o in un tempio, non sarebbe stato di tutti. Ti ci sarebbe voluta una tessera. Abita invece una casa qualunque. Questo racconta il natale. È in una casa: questo è Dio. Si respira. E Matteo dilata il fascino dei magi, proprio così, non connotandoli, non specificando. Dice: “vengono dall’Oriente”. Bellissimo, vengono da una terra che sa di inizio, una terra che può essere in ogni uomo e in ogni donna, nell’oriente che Dio ha deposto in ogni uomo e in ogni donna, anche in te. Perche, vedete, c’è un oriente, una possibilità di inizio in ogni terra. E c’è un oriente, una possibilità di inizio in ogni anima, ogni anima è fatta di inizi. E anche i segni che ci mettono in cammino sono molteplici. E dunque respira. Matteo non ha paura di contaminazioni, come noi. Possono metterti in cammino verso Dio le stelle - e e voi sapete come allora gli uomini che stavano in ascolto delle stelle fossero guardati con sospetto - possono metterti in cammino le stelle e insieme le Scritture sacre. Matteo non teme la contaminazione, le une e le altre. Purché tu abbia sete, purché tu sia uomo o donna delle dune infinite e dei cieli sconfinati. Le stelle mettono in cammino. Le scritture sacre mettono in cammino. Mettono in cammino anche se a citarle fossero uomini immobili. Matteo ricorderà che Gesù di loro ha detto: “fate quello che dicono, ma non fate quello che fanno”. Non siate imitatori delle loro immobilità. E anche voi magi, adorate e ripartite, ma inventate un’altra strada: “per un’altra strada” è scritto “fecero ritorno al loro paese”. Quel Messia, scoperto in una casa qualunque, aveva cambiato il loro modo di guardare la vita. Era diventato lui la loro strada. Per la riflessione Dove vediamo oggi baluginare l’Oriente, i segni di un inizio di cammino? Dove le cause della immobilità e come vincerle?