Manifesto di adesione per l’Europa che vogliamo Europa immaginata ed Europa concreta Perché un manifesto per l’Europa? La realtà europea sta permeando sempre più profondamente ogni aspetto della vita sociale e politica dei paesi membri dell’UE. Nondimeno, sempre abbastanza scarsa ed episodica è la riflessione su ciò che implica la costruzione europea. Tale costruzione si è svolta nell’ultimo cinquantennio in maniera differente, seguendo sostanzialmente due vie: dalla fine degli anni Quaranta fino alla metà degli anni Cinquanta, la pressione della tensione internazionale aveva spinto verso progetti che contemplavano sia la dimensione economica sovranazionale (la Comunità Europea del Carbone e dell’acciaio - Ceca) che quella politico-militare (la Comunità Europea di Difesa - Ced). Entrambi i progetti nascevano con l’intenzione da un lato di eliminare ogni motivo di contrasto all’interno dello spazio specificamente europeo, rivolgendosi principalmente alla Germania e alla Francia per il controllo delle risorse carbosiderurgiche (la Ceca), dall’altro tendevano a mettere l’Europa in grado di reagire ad aggressioni da parte dei paesi di oltre cortina (la Ced). Quest’ultima realizzazione in particolare implicava la nascita di un potere politico unico, dal momento che un esercito unificato è inutile se non segue le direttive di un singolo potere politico. La Ced fallì nel 1954, a causa dell’opposizione congiunta dei nazionalisti e dei comunisti francesi (nonché a causa dell’inerzia italiana). L’unico paese dei sei membri della Ceca che ratificò il trattato Ced fu la Germania. La Ceca invece continuò nella sua attività di unificare il mercato del carbone e dell’acciaio, per poi scomparire quando emerse l’idea del c.d. “Mercato Comune Europeo”, che portò alla firma dei Trattati di Roma nel 1957. La Cee (Comunità Economica Europea), è divenuta da allora l’unico segno vitale di una volontà sovranazionale tra i paesi europei. Tramontata l’opzione politica rappresentata dalla Ced, l’unico spazio rimasto è stato quello economico, dell’integrazione funzionalista. Col termine “funzionalista” si intende quell’idea gradualista che postula che solo unificando ambiti complementari, uno alla volta, si possa arrivare al nocciolo politico dell’unificazione. Tale idea, ha mostrato negli anni più di una debolezza: il mercato economico dell’Europa è divenuto talmente ampio e interdipendente da richiedere con urgenza la nascita di un potere politico che si occupi di almeno quattro ambiti fondamentali: la moneta, la politica estera, la politica di difesa, le direttive di politica economica generale. Alla moneta unica siamo ormai arrivati; gli altri settori sono invece ben lontani. Il risultato della moneta unica può a prima vista deporre a favore della bontà della soluzione funzionalista; ma in realtà, se si guarda più da vicino il processo di integrazione, si vedrà che si tratta di un processo gestito in maniera esclusiva dai governi e dagli apparati nazionali. I cittadini europei, che pure dal 1979 eleggono un parlamento europeo che li rappresenta, sono di fatto esclusi da qualsiasi potere di scelta o di indirizzo sul processo di integrazione, proprio perché tale Parlamento ha poteri di fatto molto limitati e sottoposti ai voleri dei governi nazionali. Sorprende inoltre che si possa pensare che gli apparati nazionali, i quali come tutti gli apparati di potere complessi tengono alle loro prerogative e attribuzioni, possano pensare di rinunciarvi in gran parte, da un giorno all’altro. Ma il sistema avviato con l’integrazione economica ha superato le stesse intenzioni dei suoi ideatori e fondatori: l’iniziativa tende sempre più a porsi su di un piano politico, dando per scontato invece quello economico. In altre parole: l’Europa economica ha sempre più bisogno, per esistere, di una dimensione politica autonoma, per la sua stessa esistenza. A questo punto due strade si aprono: o continuare a osservare dall’esterno passivamente il processo di integrazione gestito dai governi dei quindici, oppure cercare nuove forme di partecipazione politica dei cittadini europei, forme che non possono non passare da un’aumentata autonomia del Parlamento Europeo. Per questo motivo abbiamo parlato di “Europa immaginata ed Europa concreta”: a fronte delle realizzazioni governative ed economiche che portano verso l’Europa dei finanzieri e dei ministri, c’è bisogno di un’Europa immaginata, un’Europa della partecipazione democratica e della riflessione su quali forme questa partecipazione possa e debba assumere. Nel corso di questi ultimi cinquant’anni, molti sono stati coloro i quali hanno pensato ad un’Europa diversa. A partire dai federalisti europei e dal pensiero di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, ai progetti federalisti di Silvio Trentin ed Adriano Olivetti, per giungere al c.d. federalismo integrale di pensatori quali Alexandre Marc e Adolf Gasser. Non si tratta certo di nomi noti al grande pubblico, eppure sorprenderà sapere che se il Parlamento Europeo ha votato nel 1985 un Progetto di Trattato sull’Unione politica dei paesi membri della Cee (subito dimenticato ed eluso dai governi), è stato grazie alla battaglia di Altiero Spinelli per un ruolo costituente del Parlamento Europeo. Così pure, se un dibattito sul federalismo è fiorito in Europa dopo il 1989, esso si è alimentato delle visioni e delle idee maturate negli anni Quaranta e Cinquanta e poi perite nel clima inclemente della guerra fredda. Nondimeno, le stesse high politics dell’Europa hanno preso una direzione netta verso un modello che, se pure persegue un ampliamento costante, ricerca anche forme di gestione e di amministrazione legate a dimensioni più ridotte. La stessa espressione “Europa delle Regioni”, che si contrappone nettamente all’“Europa delle Patrie” gollista e all’“Europa dei Popoli” genericamente cosmopolita, ha un significato ben chiaro: seguendo la linea dell’integrazione economica ma anche della sussidiarietà amministrativa, “Europa delle Regioni” è una formula che si appoggia ampiamente sui principi del classico federalismo che vuole che ogni istanza direttiva gestisca con risorse proprie solo i problemi che la toccano direttamente, lasciando gli altri problemi di portata minore o maggiore alle istanze rispettivamente inferiori o superiori. Il federalismo europeo, che sembrava messo alla porta dal funzionalismo economico, rientra dalla finestra dei concreti modelli per un’Europa più ampia e in grado di rispondere efficacemente alle domande che provengono dai suoi abitanti. Resistenze permangono, e si incontrano soprattutto sul piano interno dei paesi membri, che vivono l’evoluzione europea con un misto di ansia per le modificazioni interne che vengono richieste, e di incertezza per il futuro di quella particolate forma di organizzazione – la forma-stato nazionale – che pareva eterna solo pochi decenni fa. E’ anche per questi motivi, per questa dimenticanza collettiva delle radici dell’europeismo militante e attento al problema della partecipazione democratica dei cittadini europei, per questa necessità di ripensare il rapporto cittadino/istituzioni, a tutti i livelli, che oggi proponiamo di riprendere in mano la discussione sull’Europa che vogliamo. Ed è per la novità rappresentata dalla sintesi politica del movimento dell’Ulivo, che ci rivolgiamo in primis ai suoi simpatizzanti, proponendo la nascita di un luogo telematico all’interno del quale condurre una discussione e una riflessione. All’interno di tale contenitore, potranno trovare posto sia spazi dedicati alla ricostruzione storica del pensiero europeista attraverso i documenti, sia forum di discussione e di confronto; sia spazi di servizio, che forniscano gli strumenti per una migliore conoscenza delle dinamiche dell’Unione Europea, sia, infine, strumenti di approfondimento dei problemi dell’Europa “concreta”. Crediamo che fare politica e discutere di politica sia soprattutto mettere in discussione, alla luce della critica, ciò che appare come statico e immutabile oppure ciò che appare come deciso in maniera finale da altre istanze “superiori”. E inoltre non dobbiamo dimenticarci che il processo di integrazione economica e politica va a toccare molti ambiti ed aspetti della nostra vita di tutti i giorni; è quindi con buon diritto che dobbiamo confrontarci con esso e riappropriarci della facoltà di fare sentire la nostra voce di cittadini europei, non solo “euro-entusiasti”, ma anche “euro-coscienti”.