L`euro: conseguenze sociali tra opportunità e rischi

L’Euro: conseguenze sociali tra opportunità e rischi
Marco Bontempi
(Università di Firenze)
Riflettere sulle conseguenze sociali dell’Euro significa mettere in movimento una molteplicità
di questioni tra cui globalizzazione economica e culturale, trasformazioni della cittadinanza,
mutamento delle istituzioni politiche e perdita della loro centralità sociale, trasformazioni dello
stato nazionale, cambiamenti nel mercato del lavoro. Si tratta di un intreccio assi complesso che per
motivi di sintesi è opportuno ricondurre ad alcune relazioni tra categorie fondamentali.
Una prima relazione significativa è quella che può essere definita in una forma triadica tra
“benessere economico-coesione sociale-libertà politica” e che può essere impiegata per esaminare
alcune importanti conseguenze del mutamento sociale che ha caratterizzato le società dell’Europa
occidentale dalla fine della seconda guerra mondiale in poi.
1. Benessere economico-Coesione sociale-Libertà politica
La forma che il mutamento sociale ha assunto dal dopoguerra alla caduta del muro di Berlino è
stata contrassegnata da alcune linee di fondo:
a) Mutamento economico caratterizzato da trend di crescita e di espansione.
b) Mutamento sociale caratterizzato dalla definitiva transizione della forma della stratificazione
sociale dallo status al contratto, dai criteri di differenziazione sociale basati sull’ascrizione a
criteri basati sull’acquisizione. Tal passaggio è stato reso possibile dalla redistribuzione
operata dalla politica delle opportunità create dalla crescita economica (sviluppo del Welfare
state).
c) Mutamento politico caratterizzato dalla istituzionalizzazione del conflitto sociale nelle
istituzioni democratiche e dalla formazione e diffusione di politiche di emancipazione
orientate a svincolare un numero crescente di individui – per la prima volta nella storia
maggioritario – da legami e forme di dipendenza tradizionali.
La complessa intersecazione di queste tre macrodimensioni dello sviluppo è stata ed è
fortemente connotata da un’ulteriore dimensione che le attraversa in senso trasversale: la dinamica
di inclusione-esclusione prodotta dal continuo sviluppo di diseguaglianze sociali e da corrispondenti
movimenti sociali e politici orientati alla perequazione delle opportunità.
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La logica dell’inclusione-esclusione ha avuto in questa fase di espansione economica e politica
nella cittadinanza lo strumento fondamentale per realizzare forme di integrazione sociale sempre
più ampie. Per molto tempo la cittadinanza si è caratterizzata infatti come mezzo di inclusione di
ampi strati della popolazione che hanno potuto tradurre i benefici prodotti dallo sviluppo economico
in opportunità universalistiche di crescita sociale attraverso il riconoscimento di diritti fondamentali
come l’istruzione, la salute e le diverse forme di previdenza sociale. Il carattere esclusivo della
cittadinanza no n è emerso chiaramente fintanto che l’esistenza dei due blocchi della politica
intenazionale (sovietico e occidentale) ha ridotto gli scambi e le relazioni tra i cittadini del Primo e
quelli del Secondo Mondo. La logica di esclusione presente nella cittadinanza è emersa dunque a
partire dagli anni ’90 in seguito al crescente sviluppo dei processi migratori verso i paesi
dell’Europa occidentale. In questa nuova situazione si assiste alla formazione, all’interno delle
società dell’Unione europea di strati
marginali di individui ai quali in molti casi vengono
riconosciuti di fatto minori diritti rispetto ai cittadini a pieno titolo.
La tendenziale inversione della logica inclusiva della cittadinanza in esclusiva ha però la propria
origine in una dinamica interna alla forma di sviluppo economico e sociale proprio delle società
europee. A partire dalla fine degli anni ’80 lo sviluppo economico dei paesi occidentali ha raggiunto
un livello tale che le opportunità economiche che si aprono pongono, per poter essere
effettivamente perseguite, di fronte a scelte talvolta drammatiche, per lo meno rispetto alla stabilità
raggiunta dal sistema di diritti (cittadinanza) fino a quel momento. La crescita economica - e
dunque la permanenza nel mercato mondiale della produzione ad un elevato livello di competitività
– ha richiesto sempre di più scelte che incidono in misura pesante sulle modalità con le quali è stata
perseguita nei decenni precedenti l’integrazione sociale (crescita della produzione crescita dei
consumi partecipazione politica Welfare crescita dell’istruzione mobilità sociale verso
l’alto nuovi bisogni sociali crescita della produzione). Ciò che viene messo in discussione è
l’architettura delle relazioni tra i diversi ambiti dello sviluppo e della cittadinanza. In altri termini la
pressione economica per modificare questi assetti e le possibilità di sviluppo connesse alle
trasformazioni dell’economica conseguenti ai processi di globalizzazione richiedono una
ridefinizione della cittadinanza che tenga conto delle mutate condizioni di affermazione e pratica
dei diritti. Il paradosso di questa situazione è dunque che il tentativo di conservare l’impianto che si
è andato costruendo nei decenni postbellici avvierebbe probabilmente un processo di restrizione
della politica democratica e delle forme di libertà a questa connesse. Dall’altro lato le necessità di
ridefinizione dei diritti richiedono una capacità di saper articolare in modo nuovo le tre dimensioni
di Benessere economico-Coesione sociale-Libertà politica.
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In questo quadro è utile ricordare che il processo di integrazione europea ha assunto dalla fine degli
anni ’50 la forma della integrazione economica a scapito dell’integrazione politica. l’avvio della
moneta unica segna il passaggio ad un livello superiore, sebbene ancora interno alle logiche
economiche, com’è evidente – destinato, secondo alcuni ad innescare inevitabili processi di
unificazione politica e di mutamento sociale.
Per comprendere meglio la relazione tra l’avvento della moneta unica e i mutamenti sociali a questa
connessi (come cause e come effetti) è utile riflettere brevemente su una seconda relazione
categoriale: il nesso tra processi di globalizzazione e trasformazioni della società civile.
2. L’Euro nell’intreccio di globalizzazione e nuove forme della cittadinanza
La globalizzazione costituisce un insieme di processi di mutamento sociale ed economico che è
particolarmente complesso e fittamente intrecciato. In una prospettiva generale e ai fini della nostra
riflessione possiamo definire la globalizzazione come una interconnessione dei mercati delle merci
e dei servizi e dei processi produttivi sotto la spinta dello sviluppo su scala mondiale del mercato
finanziario. In questo senso è opportuno considerare che :
a) la globalizzazione dell’economica non è semplicemente uniformazione perché i contesti
cultuali locali interagiscono in modo differenziato con lo sviluppo di regole e spazi
economici comuni. In altri termini ciò che appare (ed è) omogeneizzazione è però sempre e
allo stesso tempo anche ‘localizzazione’ dei processi globali secondo i caratteri sociali,
economici e culturali di questi contesti.
b) La globalizzazione si sviluppa in modo fluido generando nei diversi contesti locali e su
scala globale le condizioni di un continuo, rapido mutamento.
Questi due aspetti definiscono le condizioni generali della flessibilità, come una caratteristica
che investe i più diversi ambiti del lavoro. In generale si può dire che flessibilità è l’esito
dell’allentamento/riduzione dei vincoli normativi che fino ad oggi avevano definito le identità
professionali e le posizioni lavorative nel mercato del lavoro. La diffusione di nuove forme di
lavoro (dal part-time, al lavoro in affitto, al lavoro temporaneo) si caratterizza per uno
svincolamento delle posizioni lavorative dalla tradizionale stabilità che (specie in Italia) aveva a
lungo caratterizzato il mercato del lavoro, tuttavia la flessibilità non riguarda soltanto i
lavoratori poiché anche gli imprenditori si trovano a dover sviluppare capacità flessibili come la
disponibilità ad una innovazione tecnologica continua, lo sviluppo di capacità di abbandonare
vecchie posizioni per la ricerca di nuove opportunità, la capacità di interagire in modo flessibile
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e diretto con il consumatore (e, su scala globale, con i diversi contesti culturali). In generale
flessibilità definisce un insieme di dimensioni che hanno da un lato i tratti della incertezza,
della precarietà e del rischio, dall’altro lato si caratterizzano per le opportunità connesse al
mutamento continuo.
La profondità e l’estensione dei mutamenti connessi a questi processi investono com’è evidente
anche ambiti diversi da quelli lavorativi. In altri termini cambiano gli stili di vita, le forme di
associazione degli individui, le modalità di declinazione dell’impegno sociale e politico di molti,
cambia cioè anche la società civile. In via sintetica possiamo definire la società civile come il
reticolo di relazioni sociali formato da associazioni e istituzioni che devono la loro esistenza ai
bisogni e alle iniziative della società, in contrapposizione alle istituzioni centralizzate dello Stato.
In questo senso comprenderemo nella società civile un’ampia varietà di forme associative: dalle
associazioni culturali, religiose, sportive, politiche, alla famiglia, alle chiese. La società civile è
dunque il luogo dell’integrazione sociale, cioè l’ambito dei pertinenza di cittadini nel quale i
cittadini stessi sviluppano forme di attività orientate a soddisfare bisogni e interessi collettivi. Lo
sviluppo della società civile interagisce con la sfera economica da un lato e con quella politica
dall’altro lato. La cittadinanza sociale è allora un importante elemento di incontro della crescita
economica con la realizzazione delle opportunità contenute nei diritti politici della partecipazione.
La cittadinanza sociale è stata lo strumento maggiormente impiegato per governare i processi di
mutamento sociale legati ai problemi sollevati dalle diseguaglianze generate dallo sviluppo
economico.
Tra gli effetti sociali più rilevanti dei processi di mutamento economico in atto due meritano
una particolare attenzione:
a) l’aumento delle diseguaglianze secondo due possibili tendenze nello sviluppo delle diseguaglianze: diseguaglianze verticali e diseguaglianze orizzontali. Con le diseguaglianze
verticali si intende lo sviluppo di disparità in relazione ad opportunità occupazionali e
trattamenti economici, secondo un ordinamento gerarchico delle posizioni professionali.
Possiamo indicare in due fattori e una conseguenza la formazione di questo tipo di
diseguaglianze. Un fattore è dato dall'aumento delle figure professionali, cioè dalla
creazione di nuove professioni che allunga la scala delle posizioni professionali, disgregando le precedenti differenziazioni. Strettamente connesso a questo è l'altro fattore;
ovvero la tendenza a preferire, ai blocchi di manodopera scarsamente qualificata, personale
dotato di qualifiche specifiche o con una formazione flessibile che permetta di acquisirle
rapidamente. La combinazione di questi due fattori porta ad un'alta variabilità delle
professioni
e
delle
carriere
e
quindi
ad
una
frammentazione,
quasi
una
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"individualizzazione", dei percorsi lavorativi e dei criteri di selezione. Variabilità delle
professioni e delle carriere significa anche riduzione della stabilità del posto di lavoro e
marcata differenziazione delle esperienze e delle conoscenze che si concreta nello sviluppo,
da parte delle imprese, di nuovi incentivi che comportano il rischio di maggiori diseguaglianze salariali fra imprese della stessa dimensione, anche quando applicano il medesimo
contratto. La conseguenza più importante di questi fenomeni è, dal nostro punto di vista, la
polarizzazione della scala gerarchica delle occupazioni. La rapida nascita e morte di molti
profili professionali e l'incremento, al di fuori dell'industria, di posti di lavoro a bassa
qualità del lavoro comportano non solo un allungamento della scala delle posizioni
professionali, ma anche una maggiore ripidità di questa e una maggior distanza tra gli
scalini. Tratti peculiari delle diseguaglianze generate da questa situazione sono i lavori
temporanei, "di transito" o "di attesa", che riguardano un numero crescente di individui, ma
che in alcuni paesi sembrano caratterizzare una condizione di marginalità e precariato dalla
quale diventa molto difficile uscire; è il caso dei paesi mediterranei, come l'Italia, e molto
meno dei paesi nordici, come la Svezia. Questa nuova situazione introduce importanti
trasformazioni anche nella struttura della disoccupazione, differenziando i disoccupati con
criteri nuovi. Infatti, chi non dispone dei criteri socio-anagrafici richiesti dalle nuove forme
di lavoro (età, formazione flessibile, esperienza nel settore ecc.) rischia, molto pi— che in
passato, di trasformare la disoccupazione in una carriera negativa, cioè di passare dai settori
marginali ai lavori temporanei a bassa qualificazione fino ad entrare nella disoccupazione di
lungo periodo. Si viene a creare anche in tal modo quel circolo vizioso che conduce alla
esclusione sociale. Tra le diseguaglianze di tipo orizzontale, ossia relative a opportunità e a
trattamenti di attività lavorative appartenenti alla medesima fascia professionale, si colloca
innanzitutto la riduzione di uniformità delle garanzie e dei trattamenti, con un conseguente
ampliamento della gamma dei trattamenti economici della manodopera. La variabilità del
lavoro e la maggiore articolazione delle carriere genera una riduzione di alcune delle garanzie del lavoro che la tutela sindacale aveva ottenuto in passato, allargando - in modo
simmetrico all'allungamento della scala - le diseguaglianze all'interno della medesima fascia
professionale.
Gli effetti sull’insieme della società sono fondamentalmente quelli della erosione delle
classi medie e dello sviluppo di segmenti della popolazione che hanno un maggiore rischio
nel perdere le posizioni sociali ed economiche acquisite. Si pensi, ad esempio, che negli
anni ’90 il 40% della popolazione in Europa occidentale ha visto calare il proprio livello di
vita, mentre un 20% di già ricchi ha incrementato la propria ricchezza.
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b) una seconda conseguenza dei processi di mutamento, questa volta in chiave culturale, è data
dall’incremento del processo di individualizzazione. Di fronte alle appartenenze collettive
acquistano una maggiore importanza le preferenze e i valori individuali. Se nel mercato del
lavoro aumentano le differenze tra le posizioni ciò significa anche un aumento delle
differenze tra i percorsi
biografici degli individui, una diffusione delle possibilità di
scegliere la direzione e la forma della propria vita, assumendo come criterio la possibilità di
reversibilità delle scelte compiute (dai rapporti di coppia, al lavoro, agli stili di vita).
È alla luce dei processi ora accennati che è necessario collocare l’adozione dell’Euro come
moneta unica europea. La moneta unica giunge all’interno di un contesto di forte
comunitarizzazione
della
politica
economica.
Il
trasferimento
di
sovranità
compiuto
nell’unificazione della politica economica ha eliminato l’uso politico di alcuni strumenti economici
che i paesi come l’Italia avevano largamente impiegato in passato come la svalutazione ella moneta
come mezzo per il controllo della disoccupazione. In un paese che è investito da una recessione che
fa salire il numero dei disoccupati gli interventi per ridurre la crisi possono essere di due tipi: a) una
riduzione del costo del lavoro, in seguito alla quale aumentano i posti di lavoro; b) lo spostamento
dei lavoratori dal settore in crisi ad un settore in espansione. Prima dell’adozione dell’Euro la scelta
della riduzione del costo del lavoro attraverso la svalutazione della lira è stata la più praticata,
perché permetteva di far calare il costo del lavoro senza ridurre il valore nominale dei salari
(evitando conflitti politico-sindacali). Il risultato era una riduzione della disoccupazione in seguito
ad un incremento delle vendite all’estero. In Italia questa politica é stata a lungo associata ad un
mercato del lavoro rigido - nel quale era difficile entrare (l’Italia ha sempre avuto un tasso di
disoccupazione giovanile tra i più elevati d’Europa), ma anche difficile perdere il posto una volta
entrati – e ad un sistema produttivo in parte finanziato dallo stato (contributi pubblici alle
imprese/cassa integrazione ecc..) e dunque poco incline alla trasformazione.
Con l’Euro non è più possibile svalutare solo la lira, restano solo le possibilità di ridurre i salari
o favorire la mobilità dei lavoratori in soprannumero. In altri termini i lavoratori si troveranno a
dover passare da un lavoro ad un altro con molta maggiore facilità di prima. Questo significa che
dovranno avere delle competenze multiple o che comunque dovranno essere in grado di acquisirle
rapidamente, anche da adulti. Da qui la necessità di un sistema di formazione che sia in grado di
fornire competenze facilmente allocabili nel mercato del lavoro e che abbia le caratteristiche di
permeabilità con il mercato del lavoro, costruendo percorsi formativi (corsi di studio ai diversi
livelli dell’istruzione superiore) flessibili e facilmente adattabili alle richieste del mercato. Si tratta
di una trasformazione radicale delle istituzioni preposte alla trasmissione della conoscenza e del
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sapere alle nuove generazioni. La formazione diviene un’attività permanente che trasforma il sapere
dandogli una conformazione applicativa, si verifica cioè un passaggio cruciale dalla formazione
come processo orientato alla maturazione di una personalità che disponga degli strumenti critici per
interagire con la realtà ad una formazione che al sapere sostituisce l’acquisizione di competenze.
Non si può dire però che ciò comporti necessariamente il declino della formazione umanistica,
quanto una sua ridefinizione in termini strutturali che sappia mettere in luce gli elementi di
intersecazione dei diversi approcci critici.
3. Conclusioni
La linea di integrazione economica della quale l’Euro rappresenta il massimo punto di arrivo
richiede ormai, proprio per l'elevato livello di complessità raggiunto, lo sviluppo di forme di
integrazione politica che siano in grado di governare i cambiamenti innescati dai processi di
mutamento e che l’integrazione economica ha fino ad oggi assecondato. Tuttavia, l’integrazione
politica costituisce un livello che per la sua complessità e per la sua rilevanza culturale non può
essere immaginato come conseguenza ‘naturale’ dei processi di integrazione economica, in una
sorta di ‘salto evolutivo’ che risparmi gli sforzi di convergenza politica agli stati nazionali. La
difficoltà della realizzazione di un’unità politica, pur di fronte alle necessità evidenti, è data anche
dalle differenze culturali e linguistiche dei membri dell’Unione europea, in questo senso la
mancanza di condizioni che contribuiscano a formare un’opinione pubblica europea è indubbio un
segnale di debolezza. La realizzazione di quotidiani e di canali televisivi europei avrebbero
probabilmente un effetto di avvio nella formazione di una ‘coscienza europea’ che abbia come
riferimento oltre al patrimonio culturale prodotto in una lunga storia, anche la consapevolezza e
l’identità di una ‘casa comune’ continentale. Ma, a ben vedere, la logica dello sviluppo politico
dell’Unione europea appare più orientata verso l’allargamento ad est, replicando la logica di
integrazione economica già collaudata, che interessata ad una effettiva costruzione di istituzioni
politiche comuni.
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