MEDICINA PSICOSOMATICA: DALLE ORIGINI ALL’ATTUALE EVOLUZIONE A cura di Fulvio Respini Riflessioni e contenuti relativi al testo di Piero Porcelli: “Medicina psicosomatica e psicologia clinica. Modelli teorici, diagnosi, trattamento” Raffaello Cortina Ed., 2008. Il testo di Porcelli è molto interessante e piuttosto complesso. La medicina psicosomatica viene presentata come una disciplina scientifica che ha come scopo l’indagine delle cause e degli effetti delle relazioni fra mente e corpo in ambito clinico. L'autore riconosce alla psicoanalisi freudiana il primo importante tentativo di collocare la psicologia clinica su basi scientifiche più rigorose. Nei primi decenni del secolo si ebbero al proposito le prime opere di autori europei come Groddeck e Deutsch che fecero riferimento alla presenza o meno della funzione simbolica. La medicina psicosomatica è debitrice alla psicoanalisi della scoperta dell'inconscio e delle funzioni svolte dalle diverse istanze psichiche (Io, Es, Super-Io) e che queste risultano essere in relazione non solo tra di loro ma anche con le funzioni del corpo. La medicina psicosomatica non si concentra soltanto sulla mente ma ritiene necessario prendere in considerazione anche il corpo, soprattutto, la rappresentazione che il soggetto fa di esso, delle sue funzione importanti ed in particolare la capacità di decodificare, comprendere profondamente i segnali che puntualmente invia. I conflitti interni, i deficit di strutturazione, i disagi e le sofferenze per quanto rimossi riemergono nel linguaggio e nei segni della malattia fisica assumendo precise connotazioni simboliche. Ogni parte del corpo ha una sua specifica funzione, che si integra in modo complementare con la globalità del nostro sistema corpo-mente. Secondo questo approccio se si riesce a mettere in relazione il significato profondo del sintomo con il significato simbolico dell’organo colpito, sarà più facile arrivare alla causa del malessere. I disturbi psicosomatici possono colpire i diversi organi e apparati del nostro corpo, che assumono un significato simbolico secondo la loro funzione. Questo filone di ricerca delle malattie psicosomatiche è considerato un approccio culturale legato alla dimensione linguistica e simbolica. Nel 1963, ad esempio, Marty e David introdussero il concetto di «pensiero operativo» per indicare una presunta povertà immaginativa ed una scarsa attitudine alla simbolizzazione dei pazienti psicosomatici. Secondo gli psicanalisti francesi, il malato psicosomatico è di solito una persona efficiente ed apparentemente ben adattata, estremamente concreta ed incapace di staccarsi col pensiero dal presente immediato. Un diverso approccio alla psicosomatica venne proposto sia dalla Dunbar che da Alexander, i quali ritenevano che il sintomo psicosomatico fosse l’effetto di stati di attivazione fisiologica cronica ed abnorme generata da emozioni inappropriate alla situazione e agli stimoli o inadeguatamente espresse (Dunbar, 1934, 1935; Alexander, 1934, 1939, 1950). I due autori propongono che quando una situazione esterna suscita una reazione emotiva, rabbia, ansia, paura, il corpo subisce delle vistose e rapide modificazioni fisiologiche. Se le condizioni esterne o le nostre abitudini, le inclinazioni personali, le nostre particolari valutazioni, i vincoli sociali e morali ci impediscono di eliminare la causa della reazione emotiva, allora l’attivazione fisiologica legata alla reazione emotiva viene mantenuta, non trova sfogo, si cronicizza, provocando alterazioni organiche più o meno pericolose. A partire da questa prospettiva si iniziava a ipotizzare una qualche corrispondenza tra reazioni emotive e sintomi psicosomatici. Secondo la Dunbar, dunque, esisteva una sorta di cliché caratteriale per ogni malattia psicosomatica. Il soggetto sofferente alle coronarie, ad esempio, era una persona che lavorava e lottava con fermezza, che aveva grande autocontrollo e tendeva al successo e al pieno raggiungimento degli scopi prefissi. Mentre il malato di ulcera peptica era un tipo iperattivo ed eccessivamente intraprendente. Malgrado le critiche le teorie della Dunbar hanno influenzato le ricerche sulla psicosomatica fatta da autori successivi. Esse sono rintracciabili nelle teorizzazioni di Friedman e Rosenman sulle associazioni tra disturbi e tipi di personalità, che si sono imposte con forza nel dibattito medico sino alla fine degli anni ’80. Alexander, definiva i disturbi psicosomatici “nevrosi vegetative”, le quali rappresenterebbero l’effetto della persistenza e della cronicizzazione dell’attivazione fisiologica, dovuta ad uno specifico conflitto psichico che impedisce lo scarico delle emozioni in una azione esterna. Così, le patologie correlate alle emozioni, legate alla lotta o alla fuga, “sarebbero il risultato di inibizioni o di repressioni di impulsi ostili e di autoaffermazione”. Ad esempio, alcune sindromi cardiache rappresenterebbero gli effetti dell’ansietà neurotica o della repressione della collera; mentre l’ipertensione essenziale, sarebbe il risultato di un incremento della pressione sanguigna mantenuto dall’attivazione del simpatico tipica delle emozioni di rabbia; allo stesso modo l’attivazione e il blocco dei sistemi neuro-endocrini legati alla lotta e alla fuga porta all’emicrania e l’ipertiroidismo, all’artrite reumatoide. Le affezioni psicosomatiche dipendenti dal blocco delle emozioni connesse alle attività trofiche e riparative del parasimpatico erano, secondo Alexander, tutti i disturbi funzionali gastroenterici, l’asma, l’affaticamente cronico. Essi costituirebbero, infatti, l’esito di un fenomeno psicologico e quindi vegetativo di “ritirata” dall’azione e di disimpegno dall’adattamento ad un ambiente ostile. Per esempio, un individuo ansioso ed insicuro, sempre pronto a recedere dalla lotta e dai possibili pericoli, poteva mettere in atto, secondo Alexander, risposte viscerali paradossali, come la secrezione dei succhi gastrici, che si accompagnano a situazioni di sicurezza e di dipendenza, come l’alimentazione quando si è bambini. Reiterando tale atteggiamento e tale risposta fisiologica, il soggetto in questione, finirebbe per sviluppare un’ulcera peptica o la colite. L'attenzione verso le risposte fisiologiche ed emotive sono state riprese da Sifeneos che nel 1972 in “psicoterapia breve e crisi emotiva” ha descritto uno stile affettivo e cognitivo caratterizzato da una difficoltà marcata a esprimere verbalmente le emozioni associata ad una accentuata diminuzione, o assenza, della fantasia. Il concetto di “alessitimia” deriva dal greco “a”, per mancanza, “lexis”per parola e “thymos”, per emozione; letteralmente “mancanza di parole per le emozioni” e, sta ad indicare, una sorta di “analfabetismo emozionale”, una marcata difficoltà nel riconoscere, esplorare ed esprimere i propri vissuti interiori. Per alessitimia si intende la difficoltà di identificare, descrivere , comunicare le emozioni e di distinguere i vissuti emotivi dall’attivazione fisiologica sottostante. Include anche la povertà dei processi immaginativi, lo stile cognitivo orientato verso la realtà esterna e l’adattamento sociale di tipo conformistico. Un’incapacità di modulare le emozioni per mezzo dell’elaborazione cognitiva, potrebbe anche spiegare la tendenza dei soggetti alessitimici a scaricare la tensione causata da stati emotivi sgradevoli, mediante atti impulsivi o comportamenti compulsivi, quali l’abbuffarsi al cibo, l’abuso di sostanze, il comportamento sessuale perverso o l’inedia volontaria caratteristica dell’anoressia nervosa. Il soggetto che non dispone di una funzione simbolica e quindi di un'incapacità di regolare le emozioni può indulgere nel tentativo di regolare la propria affettività mediante l’uso di droghe, alcol e altro. Secondo Lipowski i “somatizzatori” vivono e comunicano primariamente non il distress psicologico ma quello somatico, e questo è proprio ciò che li caratterizza". Questo chiarimento ha consentito di sviluppare una differenziazione fra conversione, in cui comparirebbero funzioni simboliche e somatizzazione in cui invece i sintomi iniziano nel corpo e seguono leggi somatiche piuttosto che psichiche. Graeme Taylor ha fatto studi specifici relativamente al tema “somatizzazione e conversione”. Nella metà del secolo scorso circa, la fiducia nella prospettiva teorico/cliniche psicosomatica ha subito una forte delusione a causa di una complessità di fattori. Il primo fattore, forse il più rilevante, consisteva nel fatto che i trattamenti psicologici dell'epoca si dimostravano poco efficaci; secondariamente si andava sviluppando un maggior interesse verso la neurobiologia, l'attenzione crescente verso le componenti fisiologiche dello stress aveva promosso una maggior attenzione verso la neurofisiologia e, infine, lo sviluppo di tecniche e di metodologie di analisi statistica più raffinate aveva facilitato l'organizzazione di studi che avevano messo in dubbio il legame eziologico diretto fra personalità e malattie somatiche . Dagli anni settanta in poi si è registrato un deciso cambiamento di approccio della medicina psicosomatica, il paradigma originario della psicoanalisi applicato alla medicina (paradigma basato sul conflitto) nel tempo è stato messo in secondo piano a favore di un paradigma basato sul deficit evolutivo e di modelli teorici più integrati con il cognitivismo, come per es. i costrutti di attaccamento e di alexithymia. I contributi della teoria dell'attaccamento. Gli individui adulti con stile sicuro di attaccamento hanno avuto caregiver adeguati e disponibili e pertanto sono in grado di essere oggetto di assistenza e cura e di fornirla agli altri e possiedono un buon senso di efficacia nell’affrontare lo stress (modello positivo del sé e dell’altro). Individui con stile distanziante di attaccamento hanno avuto invece probabilmente caregiver poco adeguati e poco disponibili e pertanto hanno sviluppato strategie per avere rigidamente e compulsivamente fiducia solo in se stessi (modello positivo del sé) e si sentono corrispettivamente poco sicuri nei rapporti di intimità o nel nutrire fiducia nell’altro (modello negativo dell’altro). Tendono quindi a cercare da se stessi le strategie di risoluzione dei propri problemi (inclusi quelli relativi alla salute) e tollerano male il fatto di dipendere dalle figure sanitarie per l’assistenza o il ricovero ospedaliero in caso di malattie acute. Individui con stile preoccupato hanno probabilmente vissuto con caregiver disponibili nei loro confronti ma in modo discontinuo e imprevedibile, per cui sono diventati eccessivamente sospettosi e guardinghi ma nel contempo emotivamente dipendenti dall’approvazione dell’altro (modello positivo dell’altro). Viceversa, nei propri confronti nutrono scarsa fiducia, hanno bassa autostima, avvertono generalmente il carico dello stress e tendono a concentrarsi sulle proprie emozioni negativi (modello negativo del sé). Di conseguenza, tendono a cercare molto le cure mediche per i propri problemi di salute ma contemporaneamente a non sentirsi rassicurati, se non in modo parziale e provvisorio. Infine individui adulti con stile timoroso di attaccamento sono simili ai soggetti preoccupati poiché desiderano avere contatti interpersonali ma tale desiderio è fortemente inibito dal timore di essere rifiutati. È probabile che questi soggetti abbiano avuto caregiver esplicitamente rifiutanti o rigidi (modello negativo dell’altro) che hanno determinato lo sviluppo di scarsa fiducia in se stessi e bassa autostima (modello negativo del sé). Questi soggetti potrebbero accusare molti sintomi somatici – sia per cercare attenzioni in modo meno ansiogeno, sia per effetto delle emozioni negative – ma nel contempo tendono a non cercare rimedi medici a causa della diffidenza interpersonale. Basandosi sui dati emersi dalle ricerche di Maunder e Hunter l’attaccamento insicuro può favorire uno stato di malattia in diversi modi. I soggetti preoccupati sono caratterizzati da una sensazione di vulnerabilità personale e di allarme così intensi che ogni sensazione enterocettiva può essere percepita come una potenziale minaccia. Diversamente, l’attaccamento distanziante, può indurre a percepire come pericolosa ogni condizione che richiede intimità o dipendenza. Inoltre l'attaccamento insicuro è caratterizzato da una maggiore e prolungata attivazione fisiologica allo stress sperimentale, come è stato dimostrato da studi. I fattori protettivi non vengono utilizzati perché il soggetto risulta essere diffidente o di cadere in forme pericolose di dipendenza. Queste persone in genere hanno una grande difficoltà a regolare gli affetti e le emozioni e quindi cadono facilmente in comportamenti compulsivi nel tentativo di stemperare l'angoscia di fondo. . Bisogna infine considerare la possibilità che lo stile di attaccamento possa interagire con la malattia favorendo la manifestazione di alterazioni psicopatologiche, come uno stato depressivo o di intensa ansia, che pregiudicano a loro volta la condizione clinica. Uno stile di attaccamento non può essere considerato causa di malattia, ma piuttosto, seguendo una prospettiva biopsicosociale, deve essere inteso come una dimensione che interagisce con altri sistemi (genetici, psicologici, culturali, sociali, ambientali). Il costrutto di alexithymia. Letteralmente significa “mancanza di parole per le emozioni”; dal greco a, assenza, lexis, linguaggio e thymos, emozione. E' un concetto psicologico, elaborato da John Nemiah e Peter Sifneos, applicato in ambito medico più conosciuto e indagato negli ultimi decenni. Le 4 caratteristiche cliniche principali dell’alexithymia sono: 1.Difficoltà di identificare e descrivere le emozioni. I soggetti alessitimici manifestano una marcata difficoltà a verbalizzare i propri stati emotivi e, a un’indagine più approfondita, sembrano non averne affatto consapevolezza. Possono anche avere scoppi improvvisi di emozioni intense (come rabbia, paura o pianto) ma non riescono a collegare la manifestazione emozionale con ricordi, fanasie o specifiche situazioni. 2.Difficoltà di distinguere fra stati affettivi soggettivi e le componenti somatiche dell’attivazione emotiva. I soggetti alessitimici esprimono le proprie emozioni preminentemente attraverso la componente fisiologica poichè incapaci di elaborarne l’aspetto soggettivo vissuto. Per esempio, il soggetto può riferire le modificazioni somatiche avvertite durante la lite con la moglie (irrequietezza motoria, tensione muscolare ecc) ma non comprendere che l’esperienza complessiva della rabbia ingloba in se tutte le sensazioni riferite. Tale caratteristica è stata inquadrata, dal punto di vista della psicoanalisi, come una difesa massiva contro un’angoscia di natura psicotica, per cui la distanza posta fra affetto e rappresentazione denota la distruzione del legame di significato fornito dalle parole e da ciò che esse simbolizzano. Dal punto di vista cognitivi stico, è stata concettualizzata come attenzione selettiva e amplificazione delle componenti somatiche delle emozioni e come predisposizione all’agire motorio per scaricare una spiacevole tensione interna, il che spiegherebbe il motivo per cui i soggetti alessitimici sviluppino ipocondria, disturbi di somatizzazione e comportamenti compulsivi come abbuffate alimentari, abuso di sostanze psicoattive, anoressia nervosa. 3.Povertà dei processi immaginativi. La povertà di immaginazione e di tutte le funzioni legate a essa è facilmente osservabile nell’attività onirica dei soggetti alessitimici. Essi non sognano quasi mai e, quando lo fanno, i loro sogni sono caratterizzati dalla più o meno letterale riproduzione di pezzi di vita reale, avvenimenti diurni, eventi della vita lavorativa. Allo stesso modo, i sogni a occhi aperti sono quantitativamente molto scarsi e qualitativamente molto poveri poiché anch’essi si soffermano su eventi accaduti o su preoccupazioni per il futuro. Fisicamente i soggetti alessitimici appaiono rigidi nella postura corporea e nella mimica facciale, evidenziano anche mancanza di empatia. 4.Stile cognitivo orientato verso la realtà esterna. I soggetti alessitimici sono elettivamente concentrati su tutto ciò che è esterno alla vita psichica. Sul piano cognitivo, questa caratteristica si manifesta con un pensiero razionale che tende a illustrare azioni ed esperienza senza investimenti affettivi. L’attenzione è concentrata sulla realtà fattuale, di cui riescono a descrivere i dettagli anche minuziosamente ma senza mai dare la sensazione all’osservatore che vi stiano partecipando emotivamente. “ifneos li ha descritti come “computer viventi completamente privi di emozioni”. Nemiah e Sifneos introdussero il nome di alexithymia a metà degli anni 70 per definire pazienti che non erano disturbati dal punto di vista della personalità, che non mostravano disturbi cognitivi e dell’esame di realtà, ma che avevano in comune il fatto di soffrire di alcune patologie fisiche classicamente considerate come “psicosomatiche” o di patologie croniche. Da queste osservazioni nacque la definizione di alexithymia, sulla base di notazioni già contenute in letteratura come il concetto di arresto nello sviluppo della personalità, che considerava tale deficit evolutivo come il problema centrale nella clinica psicosomatica. Le notazioni di alcuni psicoanalisti come Horney e Kelman confermavano che le difficoltà incontrate nel trattamento analitico di pazienti psicosomatici erano dovute ad assenza di consapevolezza emotiva, povertà della vita affettiva, scarso interesse per l’attività onirica. Lo stesso indirizzo lo aveva anche la scuola francese di Marty e de M’Uzan che sosteneva che il costrutto di pensiero operatorio del paziente psicosomatico era caratterizzato da marcato impoverimento affettivo, relazione terapeutica difficile a causa della mancanza di “movimenti fantasmatici” e conformismo sociale. Per comprendere il nucleo basilare del costrutto di alexithymia, è fondamentale tornare alla distinzione concettuale fra emotions (letteralmente, emozioni) e feelings (letteralmente, sentimenti). Le emozioni sono fenomeni biologici innati, geneticamente programmati, mediati dai sistemi subcorticali e limbici, funzionali alla sopravvivenza della specie e i cui indicatori sono segnali non verbali come mimica facciale, gestualità, postura corporea e tono vocale. I sentimenti sono invece fenomeni psicologici individuali molto più complessi poiché implicano l’elaborazione cognitiva e il vissuto soggettivo mediato dalle funzione neocorticoali. Tale componente psicologica dell’affetto consente di valutare la risposta emotiva a stimoli esterni e interpersonali e di comunicare intenzionalmente le emozioni mediante la funzione linguistica verbale ed extraverbale di simbolizzazione. Essi, pertanto, dipendono dalla cultura di appartenenza, dalle esperienze infantili, dalle rappresentazioni di sé e degli altri, da ricordi, fantasie e sogni. Dati clinici fanno ritenere che l’alexithymia non indichi individui senza emozioni (cosa impossibile) o con inibizione difensiva della sfera emotiva, ma soggetti con un deficit della componente psicologica dell’affetto, persone le cui emozioni sono espresse attraverso le componenti biologiche degli affetti ma con scarsa o nessuna possibilità di ricorrere agli strumenti psicologici (immagini, pensieri, fantasie) per la loro rappresentazione simbolica. Gli studi di neurobiologia, infatti, hanno evidenziato che l’alexithymia è associata a deficit del transfer interemisferico, disfunzione dell’emisfero destro, o disregolazione delle aree della corteccia prefrontale. Modello biopsicosociale Al di fuori del campo della psicoanalisi, negli stessi anni 60 e 70 ci sono stati contributi importanti per lo sviluppo di una moderna concezione della psicosomatica. La base teorica del libro di Porcelli è costituita dal concetto di peso relativo, implicito nel modello biopsicosociale di salute e di malattia di Engel, il quale ha elaborato modelli di reazione psicofisiologica allo stress oggi comunemente accettati. E' ampiamente riconosciuto oggi che le malattie sono multifattoriali, ossia vengono causate da variabili multiple che in modo diverso e in tempi si associano in fattori di rischio, co-fattori, fattori scatenanti e fattori di mantenimento, contribuendo a spiegare esordio, progresso ed esito delle patologie nelle fasi pre-cliniche e cliniche della loro storia naturale. Il modello concepisce la malattia come il risultato dell’interazione multifattoriale di sistemi a vari livelli dell’essere umano: cellulare, tissutale, organicistico, interpersonale e ambientale e, qualsiasi malattia, viene vista in quest’ottica. Comprendere l'origine del disturbo non significa più trovare la causa primaria ma il contributo e il peso relativo di ciascun fattore e ciascun sistema nel co-determinare l’esito finale. Il punto del pensare psicosomatico e dell’approccio terapeutico che ne consegue è di individuare quali siano i fattori psicologici, con un peso relativo importante e/o in associazione, con i fattori biomedici. Detto diversamente, la psicosomatica non si interessa della causa della patologia X né se sia da considerare psicosomatica ma il peso relativo dei diversi fattori implicati da cui deriva anche la possibilità di intervenire terapeuticamente in modo differenziato e individualizzato. I fenomeni psicosomatici, infatti, hanno una propria autonomia non riconducibile ad un legame causale diretto con nessuno dei fattori considerati singolarmente. Engel prende come esempio due patologie, una chiaramente medica (il diabete) e l’altra chiaramente psichiatrica (la schizofrenia), per illustrare il suo punto di vista. Il modello biomedico procede tassonomicamente dai sintomi presentati alle sindromi. Ora, diabete e schizofrenia sono entrambi cluster di sintomi o sindromi, l’uno descritto in termini di anomalie somatiche e biomediche e l’altra in termini psicologici; entrambi possono essere descritti in prospettiva eziologica e mostrano un range di intensità da severa e disabilitante a latente e borderline; infine, influenze genetiche e ambientali contribuiscono allo sviluppo di entrambi. Pertanto, un modello funzionale dovrebbe poter pensare alle malattie potendo far riferimento e ricorso sia ai fattori biologici sia a quelli psicosociali per comprendere accuratamente il quadro clinico. L’interesse contemporaneo per la psicosomatica è molto alto per svariati motivi che vanno dalle politiche sanitarie mondiali, alla diffusione dei disturbi di somatizzazione in vari setting clinici, all’interesse per i temi del corpo e della salute da parte del pubblico in generale. La filosofia di fondo delle proposte di formazione è verso la maggiore integrazione possibile delle conoscenze specialistiche, dello sviluppo degli aspetti sia tecnici (diagnosi e trattamento) sia generali di comunicazione, fino alla funzione di raccordo dei vari agenti della cura fra di loro e con il paziente. La visione principale non è formare specialisti in psicosomatica ma allargare le competenze specialistiche (di medicina, di psichiatria, e psicologia clinica) in un’ottica psicosomatica integrata, partendo dall’assistenza di base, quella della medicina di base fino ai livelli di una branca professionale specialistica. L'unità mente corpo: dal mito alle neuroscienze Porcelli fa notare che nella cultura greca classica, nella Grecia preomerica, non vi erano espressioni verbali per differenziare lo psichico dal somatico. La cultura greca delle origini non aveva termini singoli per designare ciò che noi intendiamo unitariamente come “psiche” o come “soma”. Facendo riferimento ad un articolo di Romolo Rossi (1986), l'autore riporta gli struggenti versi della poetessa Saffo (VII secolo a.C.), la quale descrive il suo dolore, la sua gelosia nel vedere la sua amante che sta incontrando l'uomo che la prenderà in sposa. A me pare uguale agli dei chi a te vicino così dolce suono ascolta mentre parli e ridi amorosamente. Subito il mio cuore nel torace si agita con violenza, come appena ti vedo così la voce non esce, la lingua si spezza. Un calore corre rapido sotto la pelle nulla più vedono gli occhi rombano possenti le orecchie il sudore scorre per le membra un tremito m'assale e pallida più di uno stelo d'erba simile sono a colui che è vicino alla morte. Rossi fa notare che la sofferenza della poetessa coinvolge contemporaneamente sia il suo essere fisico che mentale nel constatare che la sua amante, si comporta in modo seduttivo e sensuale, verso il futuro sposo. Ciascun verso esprime una sensazione somatica e ciascuna sensazione, riferita da Saffo, indica un sintomo dovuto a precisi meccanismi fisiopatologici: turbe della frequenza e del battito cardiaco, afonia, turbe del linguaggio ecc.. IL DIBATTITO CONTEMPORANEO SUL RAPPORTO MENTE-CERVELLO. Il rapporto mente-corpo è un problema peculiarmente percettivo, di punti di vista, di prospettiva di osservazione della medesima sostanza, secondo il modello di Jaak Panksepp del dual-aspect monism, l’essere umano non è né un essere fisico né un essere mentale ma è fatto di una medesima sostanza (da cui il termine monismo) che viene però percepita in due irriducibili modalità differenti (da cui il termine aspetto duale). Le neuroscienze cercano di comprendere in quale modo i circuiti neuronali, il loro sviluppo e le loro modificazioni costituiscono le basi neurologiche della vita emotiva, affettiva e cognitiva. L’indagine neuroscientifica si pone allora tra due ambiti eterogenei, il fisico e lo psichico, alla ricerca delle loro correlazioni, superando, a livello epistemologico, la prospettiva dualista. Certo è che il cervello è assolutamente necessario per l’esistenza della mente. Più difficile è determinare se i fenomeni mentali (non solo il pensiero ma tutti i fenomeni psichici, dalla coscienza alle emozioni, dai sentimenti al linguaggio) siano riducibili ai circuiti cerebrali in termini di secrezione neurale. Tuttavia è interessante notare come la mente possa modificare i meccanismi biologici invertendo la direzione di causalità. Una possibilità per capire la relazione mente cervello senza ridurre la prima al secondo è rappresentata dalla concezione della mente intesa come proprietà emergente del cervello cioè una o più caratteristiche che si verificano ad un livello più elevato di complessità di un sistema e che non sono predette dal livello inferiore (ad esempio, le singole molecole dell’acqua, dell'idrogeno e dell'ossigeno non bagnano, mentre l’acqua, nella sua complessità, sì). La mente è dunque dovuta all’interazione dei neuroni ma è fatta di elementi (pensieri, sentimenti, ricordi) che non esistono a livello di neuroni. Si potrebbe quasi dire che l’essere umano è fatto da una sola sostanza (monismo) che viene colta attraverso due prospettive così diverse da essere considerate due (aspetto duale). Del resto, la sostanza mentale ci appare fisica se la guardiamo come un oggetto (cervello) e mentale quando la guardiamo dall’interno del soggetto stesso (mente). Porcelli prende come esempio il caso di un ragazzo di 25 anni, Luca, che dopo la morte del padre per infarto avvenuta di notte, ha tre attacchi di panico. L'autore facendo dei complessi riferimenti a Damasio conviene che il cervello è un sistema creativo che costruisce mappe di ciò che accade usando parametri propri e la propria struttura interna. Quando l’organismo viene coinvolto da un oggetto (una persona, un luogo, una melodia) i segnali conseguenti all’elaborazione delle immagini multiple dell’oggetto attivano siti neurali che sono predisposti a rispondere alla particolare classe di induttori ai quali appartiene l’oggetto. Il cervello nel rappresentarsi ciò che accade nell'ambiente esterno e nel milieu interno dell'organismo, non rispecchia la situazione così com'è, come se fosse un registratore o un qualsiasi dispositivo artificiale di processazione delle informazioni. Il cervello è invece un sistema creativo che costruisce mappe di ciò che accade usando parametri propri e la propria struttura interna. La percezione somatica riguarda la mente intesa come proprietà emergente delle mappe neurali che effettuano il monitoraggio dei cambiamenti corporei (il milieu interno): per motivi reali relativi al cambiamenti che stanno effettivamente avvenendo, o rappresentati, ossia relativi a percezioni di cambiamento somatico, il soggetto avverte sensazioni fisiche ed emotive che avvengono a un livello di complessità del sistema “organismo” più elevato rispetto alle singole parti costituenti. Il progresso delle tecniche di indagine per immagini del cervello (brain imagin) consente oggi di comprendere qualcosa in più sulla complessa rete di connessioni neurali che si attiva in risposta agli eventi. In un recente studio condotto da importanti ricercatori viene dimostrato che l’esperienza del dolore altrui può entrare a fare parte del proprio sé attraverso l’attivazione di aree specifiche del proprio cervello. Queste complesse riflessioni derivate dagli studi di Damasio sollecitano l'autore a fare anche riferimento alla “dimensione empatica” del cervello, una delle più importanti scoperte neurofisiologiche nell’ultimo decennio, grazie al gruppo italiano di Giacomo Rizzolatti e Vittorio Gallese dell’Università di Parma: il termine neuroni specchio si riferisce ad un gruppo di neuroni che si attivano non solo quando si compie un movimento ma anche quando lo si osserva compiere. Il soggetto riproduce cerebralmente la possibilità di utilizzazione dell’oggetto, indipendentemente dal fatto che compia realmente quell’azione, o resti semplicemente a osservare l’oggetto. Questi neuroni, che si attivano in noi anche solo osservando un altro soggetto compiere azioni che potenzialmente noi stessi potremmo compiere, sono stati definiti neuroni specchio perché il processo avviene riflettendo dentro di sé il movimento di un altro. Il sistema dei neuroni specchio è in grado di codificare non solo l’azione osservata ma soprattutto l’intenzione dell’azione, il suo significato, verosimilmente perché il soggetto riproduce nel proprio cervello e anticipa gli atti successivi dell’altra persona a cui la prima azione è concatenata. La scoperta dei neuroni specchio sta conducendo verso l’idea che la stessa dimensione ambientale dell’intersoggettività sia anch’essa un fenomeno cerebrale. Nel Capitolo 2 del libro di Porcelli ("La cornice teorica della diagnosi in psicosomatica") viene discussa l'architettura teorica della diagnosi in psicosomatica, fra medicina e psicologia, e in particolare come la percezione soggettiva degli stati fisici contribuisca fortemente a determinare l'oggetto della diagnosi psicosomatica. L'autore specifica che in psicosomatica non esistono test diagnostici, per cui i disturbi dell’area somatoforme vengono in prima istanza diagnosticati ex negativo, cioè in assenza di evidenze organiche. Il rischio è di sopravvalutare o sottovalutare gli aspetti “psico“ del problema clinico presentato. Essendo i disturbi di interesse psicosomatico, non organici per definizione, il rischio è di sottovalutare tutti i fattori biologici non ancora noti o non sufficientemente indagati. Inoltre, la diagnosi psicosomatica, deve contenere affermazioni relative alla presenza di aspetti psicologici del paziente che, fanno supporre che essi siano implicati nelle manifestazioni cliniche, ma difficilmente può avere il carattere categoriale o binario della diagnosi in senso biomedico ristretto (il paziente ha o non ha..). La diagnosi in psicosomatica verte invece selettivamente sul peso relativo di ciascun fattore in relazione all’entità della manifestazione clinica. Nel capitolo 3 (“Pesi relativi e diagnosi psicosomatica”) l’autore esamina in modo più puntuale i costrutti psicologici che possono avere un peso relativo rilevante nella clinica psicosomatica (esperienza di malattia, comportamento abnorme di malattia, amplificazione somatosensoriale, stile attributivo di malattia, rappresentazioni di malattia)... L'autore si chiede come il soggetto risponda alla percezione dei personali segnali del corpo, rispondere a una sensazione corporea, interpretarla e le decisioni che si prendono in rapporto a essa dipendono in larga misura dalle convinzioni del soggetto su quale sia la causa. Quando le sensazioni vengono interpretate come indicatori di possibile malattia, è molto probabile che i fattori cognitivi, emotivi o comunque non medici influenzino la decisione dell’individuo di consultare un medico. In questo caso, la sensazione assume la configurazione di sintomo, ossia di percezione soggettiva di un cambiamento somatico che l’individuo ritiene essere degno di attenzione medica. Amplificazione somatosensoriale e ansia per la salute. Nella prospettiva psicologica, Barsky e Klerman hanno introdotto il concetto di amplificazione somatosensoriale per indicare la tendenza del soggetto ad amplificare selettivamente il livello fisiologico delle sensazioni fisiche e ad attribuire loro il significato di sintomi di malattia. Un’altra dimensione proposta, strettamente associata al concetto di amplificazione somatosensoriale, è quella di ansia per la salute. Nei modelli teorici più recenti, l’ansia per la salute viene concepita in senso lato, come una dimensione psicologica di preoccupazione per il proprio stato di salute. Le varie forme di ansia per la salute possono rimanere latenti anche per lunghi periodi, costituire una sorta di sottofondo costante di interpretazione delle sensazioni somatiche ed essere improvvisamente attivate, in modo acuto, da stati di ansia e di depressione, da situazioni stressanti e da eventi ambientali come le varie epidemie di influenza aviaria e di SARS (sindrome respiratoria acuta grave) amplificata di recente dai media. Nel Capitolo 4 ("Approcci diagnostici e classificazione in psicosomatica") vengono discussi i problemi di classificazione diagnostica, esaminando la classificazione ufficiale dei disturbi somatoformi (DSM-IV e ICD-10), le proposte avanzate fino a oggi di modificazione dei criteri diagnostici in vista del prossimo DSM-V e le classificazioni diagnostiche alternative al DSM (con particolare attenzione ai Diagnostic Criteria for Psychosomatic Research, DCPR), compresa la classificazione proposta dal nuovo modello del Psychodynamic Diagnostic Manual (PDM). Per facilità espositiva prenderò in considerazione esclusivamente le proposte e i cambiamenti del DSM. I disturbi somatoformi nel DSM-IV : La classificazione DSM-IV dei disturbi somatoformi ha ricevuto moltissime critiche fin dalla sua pubblicazione e le posizioni si allineano lungo un continuum che va da coloro che difendono i criteri del DSM-IV a coloro che invece vorrebbero una revisione radicale, fino all’abolizione completa di questa rubrica. Nel DSM-IV Sono inclusi sette disturbi in cui la caratteristica determinante è una lamentela fisica o una preoccupazione somatica che non è meglio attribuibile ad una condizione medica generale o ad un altro disturbo mentale. - Disturbo di Conversione - Disturbo di Somatizzazione - Disturbo Somatoforme Indifferenziato - Disturbo Algico - Ipocondria - Disturbo di Dismorfismo Corporeo - Disturbo Somatoforme Non Altrimenti Specificato Il DSM-5 ha conservato alcuni principi fondamentali delle prime edizioni, come l’ateoricità e la regola gerarchica, ha però modificato radicalmente la sezione dei Disturbi Somatoformi del DSM-IV eliminando l’Ipocondria, raggruppando tutte le sindromi principali in due categorie di Disturbo da Sintomi Somatici e Disturbo da Ansia di Malattia e spostando la Dismorfofobia nei Disturbi Ossessivo-Compulsivi. La nuova classificazione ha generato moltissime critiche di metodo e di merito con il timore che i nuovi criteri possano sovrapatologizzare le sensazioni fisiche normali, stigmatizzare come malattia mentale i sintomi delle malattie mediche gravi. Nel Capitolo 5 ("La psicoterapia in psicosomatica") vengono illustrati i principi-base dei due principali modelli teorici di psicoterapia applicati in psicosomatica, il modello psicodinamico e la terapia cognitivo-comportamentale: I contributi del modello psicodinamico vogliono dimostrare che l’alterazione dei sistemi fisiologici e/o dei comportamenti diretti ad affrontare i problemi di salute è determinata da un deficit nell’elaborazione e nella regolazione delle emozioni. In questo modello vengono privilegiati gli aspetti profondi dell’elaborazione affettiva (organizzazione del Sé, conflitti intrapsichici) e gli aspetti evolutivi remoti (stili di attaccamento e relazioni oggettuali precoci), con uno spostamento di attenzione verso la storia affettiva del paziente. In questo modello, il mentale si costituisce progressivamente come sviluppo evolutivo del somatico all’interno della relazione con la figura materna, intesa come caregiver primario. Il neonato percepisce il mondo esterno, il proprio corpo e il mondo interno come un insieme non organizzato di esperienze originariamente somatiche. Vive le proprie sensazioni interne come un tutt’uno con le sensazioni provenienti dall’esterno e comunica i propri stati emotivi attraverso movimenti corporei. Nel corso dello sviluppo psicobiologico, il bambino impara a differenziare le sensazioni interne da quelle esterne, questo processo di differenziazione dal somatico allo psichico non avviene per una spinta puramente fisiologica innata ma è modulato nel contesto della relazione primaria con la figura materna. La madre quindi svolge nei confronti del neonato quella complessa funzione che, dopo Winnicott, viene comunemente intesa come holding. La holding materna è fisicamente espressa dal modo di tenere in braccio il bambino e più precisamente dall’insieme di scambi comunicativi preverbali attraverso cui la madre contiene gli stati affettivi del figlio, comunicandogli il senso di sicurezza di base. Quando poi il bambino impara a utilizzare gli schemi cognitivi per identificare le emozioni, la funzione materna resta essenziale perché è il caregiver primario a nominare per primo le emozioni, consentendo al figlio di riconoscersi in essi e quindi di riconoscerle anche in assenza della madre. Lo sviluppo della capacità di simbolizzazione è pertanto legato all’interiorizzazione oggettuale, nel senso che il bambino impara a sostituire la funzione svolta dalla madre reale esterna con le proprie funzioni mentali interne. I vari autori psicoanalitici, pur con delle differenze, ritengono che il disturbo psicosomatico sia un deficit evolutivo per cui le funzioni mentali non consentono al soggetto di elaborare adeguatamente le proprie emozioni a livello cognitivo e simbolico. Per esempio, McDougall usa la metafora del corps a deux per indicare la matrice di base da cui il neonato si differenzia per individuazione. Il fallimento maturativo dell’individuazione comporta il processo di desaffectation: emozioni precoci intense che minacciano l’integrità psico-fisica costringono a erigere una barriera difensiva potentissima per preservare la sopravvivenza psichica e rendere il campo affettivo inaccessibile alla consapevolezza. Ciò determina l’inabilità del paziente psicosomatico adulto a formulare fantasie e la permanenza in zone o livelli di rischio psicosomatico a causa della compromissione della capacità dell’individuo di riconoscersi nel proprio corpo e nei propri affetti. Taylor, ha dato un grande contributo verso la comprensione dei disturbi psicosomatici mettendo a confronto le diagnosi di somatizzazione con quella di conversione, inoltre sostiene che all’interno della relazione di attaccamento siano “nascosti” meccanismi sia psicologici sia fisiologici di regolazione dell’organismo infantile che vengono inizialmente forniti dalla figura materna. Il deficit evolutivo di relazione comporta anche un deficit interno di regolazione autonoma dei sistemi espressivi degli affetti che predispongono l’individuo a disturbi psichiatrici e medici. Marty parla di pensiero operatorio e di depressione essenziale per indicare una modalità di adattamento alla realtà sociale e di stile di pensiero del tutto privati di qualsiasi connotazione affettiva e riconducibile a un doppio deficit parallelo, intrapsichico del sistema preconscio ed evolutivo della funzione materna. La psicoterapia analitica si avvicina in sostanza all'idea di psicoterapia espressivo-supportiva e al concetto di Alexander della esperienza emozionale correttiva dove le modificazioni della tecnica riguardano più la forma che il contenuto della comunicazione fra paziente e terapeuta e sono finalizzate ad ampliare la consapevolezza del paziente dei difetti nel modo di vivere ed elaborare le emozioni. Nella sintesi fatta da Porcelli mancano i contributi importanti svolti da alcune scuole di pensiero come quella di Fonagy che fa convergere la teoria dell'attaccamento con la funzione riflessiva che, a mio avviso, getta un ponte fra gli approcci psicodinamici e quelli cognitivi. Anche gli studi dell'Infant Research, sviluppati prevalentemente da Stern, sono stati utili per comprendere a fondo i disturbi della regolazione delle emozioni e degli affetti svolti attraverso osservazioni sofisticate da cui sono nati gli importanti concetti di sintonia affettiva. Una particolare menzione va fatta all'approccio teorico/clinico di Wilma Bucci, la quale ha proposto un suo personale percorso di ricerca per allargare gli orizzonti della psicoanalisi freudiana verso i contenuti delle neuroscienze, da un lato, e delle scienze cognitive, dall'altro. Si tratta di un'operazione teorica tutt'altro che semplice e non facilmente accettata ma che senza dubbio contiene interessantissimi spunti di riflessione tanto sulla teoria quanto sulla pratica clinica. Nel modello cognitivo-comportamentale, l’attenzione è rivolta verso la dimensione attuale del paziente e quindi alla modificazione degli stili percettivo-cognitivi messi in atto nel presente. Si tende cioè a modificare il modo in cui il soggetto elabora le sensazioni corporee (percezione), pensa ai propri sintomi (cognizione) e agisce in rapporto a essi (comportamento). Beck ipotizza che alla base del sintomo psicosomatico vi sia un circolo vizioso, un’interazione autoriproducentesi fra sistemi differenti che sostiene la formazione dei sintomi, del distress associato e della disabilità conseguente. Il modello alla base della CBT considera la storia evolutiva non come una dimensione determinante nella formazione della personalità del paziente psicosomatico (come nel modello analitico), ma come uno dei fattori che contribuisce, insieme agli altri, al modo in cui il soggetto è, pensa, vive le emozioni, avverte i sintomi, affronta le situazioni, si comporta ecc. al presente. Un aspetto che differenzia in modo sostanziale il modello della CBT da quello psicodinamico è che, secondo quest’ultimo, la genesi del disturbo psicosomatico avviene a monte, nel deficit evolutivo delle funzioni di simbolizzazione e di elaborazione degli affetti; secondo il modello cognitivista, invece, la genesi del disturbo psicosomatico è a valle, originato dal circolo vizioso di percezione-cognizione-comportamento. Per questo motivo, la CBT è fortemente centrata sulla modificazione dei pensieri e dei comportamenti attuali più che sulla ricostruzione evolutiva delle funzioni deficitarie della psicoterapia psicodinamica. Il modello generale della CBT si basa sulla classica doppia componente cognitiva (modificazione delle convinzioni disfunzionali) e comportamentale (modificazione della risposta disfunzionale). Le strategie di intervento sono quelle classiche della CBT, e si possono suddividere in tre grandi categorie: strategie di tipo cognitivo, strategie di tipo fisiologico, e strategie di tipo comportamentale. Strategie di tipo cognitivo: sono strategie usate per aiutare i pazienti a identificare, valutare più obiettivamente e modificare le proprie convinzioni riguardo al proprio stato di salute o ai propri sintomi fisici. Fra le strategie cognitive più frequentemente usate ci sono: - il diario per il monitoraggio delle situazioni scatenanti e delle reazioni individuali abitualmente associate, allo scopo di promuovere una maggiore autoconsapevolezza del paziente. Generalmente si registra il momento in cui verifica l’evento, la situazione scatenante, il pensiero automatico che insorge nel paziente e il livello di intensità, i comportamenti immediati e i pensieri alternativi più adattivi in rapporto alla situazione; - il dialogo socratico: grazie al quale il terapeuta propone una serie di domande secondo un preciso ordine logico finalizzato al tipo di convinzioni disfunzionali, e per insinuare il dubbio nel pensieri automatici del paziente e favorire la ricerca di soluzione alternative più adattive e controllate; - il training sui pattern attentivi: lo scopo è di imparare a non focalizzarsi esclusivamente sulle sensazioni fisiche prestando attenzione ad altre fonti di stimolazioni ambientali, esterne al proprio corpo; - l’immaginazione guidata: viene utilizzata per mettere a confronto il paziente con stimoli ansiogeni che non incontra solitamente nella sua esperienza di vita, come per esempio la morte o il cancro o l’AID“. Strategie di tipo fisiologico: si tratta di strategie volte a modificare direttamente la fisiologia della risposta allo stress e quindi a promuovere il rilassamento. Le tecniche sono quelle classiche utilizzate per questi scopi (biofeedback, training autogeno, meditazione, yoga). Strategie di tipo comportamentale: si tratta di strategie che tendono a modificare la risposta comportamentale innescata automaticamente nelle situazioni scatenanti. Pensiamo ad esempio agli interventi basati sull’esposizione allo stimolo ansiogeno e sulla prevenzione della risposta disadattiva. L’esposizione è di solito effettuata in modo graduale e nel concreto delle situazioni quotidiane (esposizione in vivo). Uno dei modelli manualizzati di CBT più recenti specificamente disegnato per i disturbi psicosomatici è l’Affective Cognitive-Behavioral Therapy – ACBT, elaborato da Woolfolk e Allen. Lo scopo del trattamento è aiutare il paziente ad accedere alle emozioni implicite ed elaborare adeguate risposte cognitive, quindi non solo a correggere i pattern disfunzionali ma anche a esplorare gli affetti come strumento per far comprendere ai pazienti pensieri e comportamenti attuati automaticamente, senza consapevolezza. È un trattamento strutturato in 10 sedute che include il rilassamento , le modificazioni comportamentali , la ristrutturazione cognitiva, la consapevolezza emozionale e le abilità interpersonali. Questo modello è stato testato in due trial clinici controllati, che hanno mostrato che esso è efficace in pazienti con diversi livelli di severità della somatizzazione, dai più comuni sintomi MUS afferenti alla medicina generale alle forme più severe dello spettro dei disturbi di somatizzazione afferenti a un setting psichiatrico. Nella sintesi fatta dall'autore mancano i contributi preziosi di Bruno Bara che ha messo assieme la teoria dell'attaccamento con le scienze cognitive. L'approccio di Bara risente degli studi fatti da Vittorio Guidano e Giovanni Liotti, la loro posizione teorica innovativa può essere definita come costruttivista ed evolutiva. Anche i contributi della metacognizione, per certi aspetti simili a quelli svolti da Fonagy, ad opera di Semerari e Di Maggio, si inseriscono all'interno di una importante ridefinizione concettuale degli approcci cognitivi. Efficacia delle psicoterapie in psicosomatica È difficile, se non illusorio, pensare a un unico approccio psicoterapeutico per la somatizzazione, valido per tutti i disturbi e per ogni paziente. Ogni situazione ha una propria specificità e il trattamento va individualizzato. Per valutare l’efficacia delle psicoterapia in psicosomatica sono state considerate le principali revisioni sistematiche degli studi controllati randomizzati (RCT) pubblicate negli ultimi anni. Queste sono considerate il massimo della qualità della medicina basata sulle evidenze (EBM). Come avviene per molti disturbi psicopatologici, anche in psicosomatica gli studi di efficacia hanno utilizzato principalmente la CBT e solo marginalmente la terapia psicodinamica poichè le tecniche di CBT si prestano più facilmente a essere indagate con adeguate metodologie. In alcuni trial su pazienti con disturbi gastrointestinali funzionali, è stata evidenziata l’efficacia positiva della terapia psicodinamica nella riduzione dei sintomi intestinali e di ansia e depressione. CASI CLINICI Piero Porcelli ha discusso alcuni casi clinici tratti dalla pratica personale. Dispepsia e disturbo di panico (non-fearful panic disorder) Viene presentato un un caso di gastrite cronica atrofica con sovrapposizione di dispepsia funzionale e di disturbo mascherato di panico. È il caso di un uomo di 30 anni, Francesco, sposato, con un figlio di 2 anni. Fa il poliziotto da circa 10 anni e da tempo presta servizio in una squadra speciale di antiterrorismo. La madre viene descritta come una persona ansiosa, molto apprensiva e poco affettuosa, dal carattere forte e rigido. È lei che tiene i conti di casa, che prende le decisioni. Il padre è un carabiniere in pensione, descritto come una figura marginale e passiva, assolutamente dipendente e al servizio della madre. Un giorno Francesco, dopo essersi sposato, litiga fortemente con la madre, in quanto la madre ha tentato di allontanarlo dalla famiglia della moglie, cercando di convincerlo in qualcosa di assolutamente non vero. Da quel giorno rompe così i rapporti con la famiglia di origine, accusata di sostenere la madre. Inizia quindi un periodo molto stressante, per il sentimento costante di delusione e per il lavoro che lo porta a continui viaggi. In quel periodo inizia a provare una sintomatologia dispeptica caratterizzata da episodi acuti intensi di dolore epigastrico e di pirosi gastrica accompagnati da nausea, gonfiore di stomaco, eruttazioni e acidità che perdurano per molti giorni. Per due volte gli episodi sono talmente intensi da dover correre al pronto soccorso in preda a dolore fortissimi, nausea intensa, palpitazioni, senso di soffocamento, sudorazione e sensazione di svenire. Il problema stava diventano importante perché non gli consentiva di partecipare adeguatamente alle operazioni di polizia. Nei due anni precedenti, un esame endoscopico aveva trovato una gastrite atrofica attiva lieve associata a infezione da Helicobacter pylori. Da un punto di vista medico, il caso risultava un po’ confuso poiché il paziente aveva episodi acuti di dispepsia funzionale ma i sintomi potevano anche essere inquadrati in senso biomedico a causa della pregressa infezione da Helicobacter pylori e della presenza di gastrite atrofica. Nel corso degli episodi acuti, il paziente riferiva, oltre ai sintomi dispeptici cardinali, anche tachicardia, sudorazioni, tremori, dispnea, dolore toracico diffuso, nausea profonda, senso di vertigine, sbalzi termini repentini e senso di malessere molto intenso. La consulenza psichiatrica chiesta per il paziente confermò la diagnosi di panico. In questo caso, però, non vi è la caratteristica centrale del disturbo panico, cioè l’angoscia di morire o di impazzire, ma si tratta di una sorta di panico mascherato da dispepsia funzionale, in cui i pazienti presentano esclusivamente sintomi fisici che hanno le caratteristiche cliniche del panico ma senza presentare la caratteristica centrale. È una condizione clinica raramente diagnosticata proprio per la confusione di sintomi fisici e psichici e quindi per difficoltà di diagnosi differenziale. Il disturbo mascherato di panico assume nel caso di Francesco un peso relativo molto importante. Se, dal punto di vista psichiatrico, i sintomi acuti di dispepsia possono essere inquadrati come “panico mascherato” , dal punto di vista psicologico il senso di fragilità e di impotenza è connesso alle vicende personali accadute dopo il suo matrimonio. Il senso di impotenza generalizzato, la lunga durata di questa condizione psicologica sono elementi che portano alla diagnosi di demoralizzazione dei Criteri Diagnosi per la Ricerca in Psicosomatica. Essa è caratterizzata da una sensazione di incapacità soggettiva, perdita di autostima, alienazione e senso di impotenza e inadeguatezza. Rispetto al trattamento, si è deciso di iniziare un trattamento mirano al panico, insieme a una psicoterapia breve a due sedute settimanali. Il trattamento nel suo complesso aveva 3 obiettivi strategici poiché ognuno contribuiva con il suo peso relativo alla formazione della condizione clinica: 1. La componente psicopatologica di “panico mascherato” o “panico senza paura”, per cui vennero impiegati farmaci psichiatrici utilizzati per il classico disturbo di panico; 2. La componente di sé; 3. La componente sintomatologia acuta di agorafobia, trattata con la tecnica CBT di esposizione in vivo. Dopo due anni, il paziente non aveva più alcun indice di demoralizzazione, non ha ripreso il rapporto con la famiglia e non ha più avuto né epigastralgia né attacchi di panico. Disturbo immunitario e alexithymia Il secondo è un caso di deficit selettivo di IgA (immunoglobine A, molecole coinvolte nella risposta immunitaria) associato a un comportamento abnorme di malattia atipico e a un’organizzazione alessitimia di personalità. È il caso di Carla, una ragazza di 30 anni che ha una disfunzione autoimmune benigna – deficit selettivo delle immunoglobine di tipo A. il deficit selettivo delle IGA è una disfunzione immunitaria poco frequente, che viene definito “selettivo” poiché l’assenza delle IgA è accompagnata comunque dalla normale presenza delle altre immunoglobine e delle altre componenti del sistema immunitario. La funzione delle IgA è essenziale perché consente la protezione delle superfici del corpo. Nella maggior parte dei casi, gli individui con questo deficit sono del tutto asintomatici, possono restare in buona salute per tutta la vita e non essere mai diagnosticati. Una parte però si ammala molto frequentemente e può essere a rischio di sviluppare patologie immunitarie serie, come l’artrite reumatoide, il morbo celiaco o l’epatite cronica. Non potendo rimpiazzare dall’esterno le IgA deficitarie, la terapia è di fatto inesistente e consiste nel trattamento delle singole infezioni e dei singoli problemi fisici che di volta in volta possono presentarsi. A Carla venne diagnosticato il deficit selettivo di IgA in un periodo in cui ha avuto un’irritazione agli occhi e una bronchite persistente. In seguito non ha più avuto infezioni o disturbi infiammatori di rilievo o in eccesso ma da qualche mese iniziava a lamentare una diarrea persistente, senza dolori addominali. Poiché diarrea e altri sintomi gastrointestinali sono conseguenze della disfunzione immunitaria, il medico di base ha effettuato i dovuti controlli strumentali che però non hanno dato esiti positivi, così come non hanno dato risultati positivi i trattamenti sintomatici per la diarrea. Il clima familiare generale è da sempre caratterizzata da distanza e freddezza emotiva, al punto da non festeggiare mai feste come il Natale, non scambiarsi mai gli auguri neanche per il compleanno, non farsi mai regali di alcun tipo. Lo stesso clima freddo e distante ha caratterizzato anche il rapporto con la sorella. Da quando le è stata diagnostica la sindrome immunitaria, la paziente è terrorizzata dall’idea di vivere costantemente nel dolore fisico, di non avere più autonomia nel fare le cose, di essere costretta a vivere da vegetale. In realtà dice che queste preoccupazioni sono presenti ma lei evita deliberatamente di pensarci. Fa finta pertanto che non esista nulla: quando ha qualcosa, un raffreddore o un mal di gola, non prende niente, spero solo che passi presto: non va dal medico, non prende farmaci, non ne parla con nessuno. Carla da circa 3 anni ha iniziato la sua prima storia sentimentale, afferma che non è innamorata, e di aver deciso di iniziare la storia per non restare troppo tempo da sola, per avere la sensazione di stare con qualcuno, per avere qualcosa da fare nei fine settimana. Di solito esce poco di casa, non ha hobby e durante il tempo libero resta in camera sua a guardare la televisione o un DVD. In una prospettiva psicosomatica, è possibile sostenere che il fattore di predisposizione immunitaria ha un peso relativo basso poiché non spiega se non molto parzialmente lo stile di vita di Carla e, attualmente, non spiega la resistenza ai farmaci per la diarrea. Tre sono i fattori psicologici con un peso relativo importante. Il primo è l’amplificazione somatosensoriale: un meccanismo di base che innesca un atteggiamento di ansia per la salute .Il 2 riguarda una modalità atipica di comportamento abnorme di malattia: Carla da un lato, è molto preoccupata di poter stare molto male a causa del deficit di IgA. Dall’altro, però, esibisce un marcato comportamento di negazione di malattia: fa finta di non avere nulla, non si cura quando ha qualche malanno, non va mai dal medico per i controlli. Il 3 fattore è la presenza di marcati tratti alessitimici. Carla ha una vita affettiva e relazionale molto piatta, povera di emotività, iper-adattata ai ritmi lavorativi. Il rapporto sentimentale è molto freddo e privo di ogni elemento passionale.: serve per annoiarsi di meno nel fine settimana. Afferma di non sognare mai. Il peso relativo dell’alexithymia è molto alto nel delineare sia la personalità di Carla sia il comportamento adottato nei confronti degli altri e soprattutto nel modulare i comportamenti nei confronti della propria salute. La personalità della paziente sembra caratterizzata da due componenti di base: una di scarsa mentalizzazione e una di distanza interpersonale, tipiche di uno stile di attaccamento timoroso che non le consentono di comprendere il significato della malattia e delle relazioni interpersonali. Con la paziente è stata intrapresa una psicoterapia a lungo termine della durata di 4 anni. Il trattamento è stato lungo e faticoso. L’impostazione terapeutica ha seguito i principi della psicoterapia psicodinamica, basata fondamentalmente sulla modificazione della forma più che dei contenuti degli interventi, finalizzati ad ampliare la consapevolezza del proprio modo di vivere ed elaborazione le emozioni e sul fare esperienze emotive correttive per poter pensare agli affetti e integrarli maggiormente nella nozione di sé. A circa 3 anni di psicoterapia, si verificò un evento drammatico: il padre ebbe un ictus che lo portò a vivere da invalido. Lentamente, il padre iniziò a farle tenerezza, le faceva vederlo fragile. L’evento tragico del padre ha avuto un effetto molto positivo su di lei perché ha quasi liberato l’accesso a emozioni fino ad allora inesistenti. Nei mesi successivi la paziente ha iniziato a parlare della sua malattia in modo diverso da prima, senza più evitare di pensarci come faceva prima. Sul piano clinico vi sono stati sicuramente alcuni miglioramenti sostanziali: la diarrea (sintomo iniziale) era regredita dopo 2 mesi di trattamento e non si è più ripresentata poiché evidentemente era strettamente connessa a uno stato di disregolazione emotiva; ha conosciuto una ragazza molto sportiva che l’ha convinta ad andare in palestra; è maggiormente consapevole di sé e soprattutto il rapporto con gli altri è molto più gratificante e profondo sul piano della comprensione empatica e dell’affettività. Ha conosciuto inoltre un gruppo ambientalista e spesso effettuano gite per visitare parchi naturali. Molti aspetti di personalità e tratti alessitimici restano invariati: la vita fantasmatica resta bloccata, non ha una chiara idea di autonomia personale, non fa nulla di creativo e difficilmente prende lei l’iniziativa nel parlare dei suoi problemi.