MEDICINA PSICOSOMATICA: DALLE ORIGINI ALL`ATTUALE

MEDICINA PSICOSOMATICA: DALLE ORIGINI ALL’ATTUALE EVOLUZIONE
A cura di Fulvio Respini
Riflessioni e contenuti relativi al testo di Piero Porcelli: “Medicina
psicosomatica e psicologia clinica. Modelli teorici, diagnosi,
trattamento” Raffaello Cortina Ed., 2008.
Il testo di Porcelli è molto interessante e piuttosto complesso. La
medicina psicosomatica viene presentata come una disciplina scientifica che
ha come scopo l’indagine delle cause e degli effetti delle relazioni fra mente e
corpo in ambito clinico.
L'autore riconosce alla psicoanalisi freudiana il primo importante tentativo di
collocare la psicologia clinica su basi scientifiche più rigorose. Nei primi
decenni del secolo si ebbero al proposito le prime opere di autori europei come
Groddeck e Deutsch che fecero riferimento alla presenza o meno della
funzione simbolica. La medicina psicosomatica è debitrice alla psicoanalisi
della scoperta dell'inconscio e delle funzioni svolte dalle diverse istanze
psichiche (Io, Es, Super-Io) e che queste risultano essere in relazione non solo
tra di loro ma anche con le funzioni del corpo.
La medicina psicosomatica non si concentra soltanto sulla mente ma ritiene
necessario prendere in considerazione anche il corpo, soprattutto, la
rappresentazione che il soggetto fa di esso, delle sue funzione importanti ed
in particolare la capacità di decodificare, comprendere profondamente i
segnali che puntualmente invia. I conflitti interni, i deficit di strutturazione, i
disagi e le sofferenze per quanto rimossi riemergono nel linguaggio e nei segni
della malattia fisica assumendo precise connotazioni simboliche. Ogni parte
del corpo ha una sua specifica funzione, che si integra in modo
complementare con la globalità del nostro sistema corpo-mente. Secondo
questo approccio se si riesce a mettere in relazione il significato profondo del
sintomo con il significato simbolico dell’organo colpito, sarà più facile arrivare
alla causa del malessere. I disturbi psicosomatici possono colpire i diversi
organi e apparati del nostro corpo, che assumono un significato simbolico
secondo la loro funzione. Questo filone di ricerca delle malattie
psicosomatiche è considerato un approccio culturale legato alla dimensione
linguistica e simbolica. Nel 1963, ad esempio, Marty e David introdussero il
concetto di «pensiero operativo» per indicare una presunta povertà
immaginativa ed una scarsa attitudine alla simbolizzazione dei pazienti
psicosomatici. Secondo gli psicanalisti francesi, il malato psicosomatico è di
solito una persona efficiente ed apparentemente ben adattata, estremamente
concreta ed incapace di staccarsi col pensiero dal presente immediato.
Un diverso approccio alla psicosomatica venne proposto sia dalla Dunbar
che da Alexander, i quali ritenevano che il sintomo psicosomatico fosse l’effetto
di stati di attivazione fisiologica cronica ed abnorme generata da emozioni
inappropriate alla situazione e agli stimoli o inadeguatamente espresse
(Dunbar, 1934, 1935; Alexander, 1934, 1939, 1950). I due autori propongono
che quando una situazione esterna suscita una reazione emotiva, rabbia,
ansia, paura, il corpo subisce delle vistose e rapide modificazioni fisiologiche.
Se le condizioni esterne o le nostre abitudini, le inclinazioni personali, le nostre
particolari valutazioni, i vincoli sociali e morali ci impediscono di eliminare la
causa della reazione emotiva, allora l’attivazione fisiologica legata alla reazione
emotiva viene mantenuta, non trova sfogo, si cronicizza, provocando alterazioni
organiche più o meno pericolose. A partire da questa prospettiva si iniziava a
ipotizzare una qualche corrispondenza tra reazioni emotive e sintomi
psicosomatici.
Secondo la Dunbar, dunque, esisteva una sorta di cliché caratteriale per ogni
malattia psicosomatica. Il soggetto sofferente alle coronarie, ad esempio, era
una persona che lavorava e lottava con fermezza, che aveva grande
autocontrollo e tendeva al successo e al pieno raggiungimento degli scopi
prefissi. Mentre il malato di ulcera peptica era un tipo iperattivo ed
eccessivamente intraprendente. Malgrado le critiche le teorie della Dunbar
hanno influenzato le ricerche sulla psicosomatica fatta da autori successivi.
Esse sono rintracciabili nelle teorizzazioni di Friedman e Rosenman sulle
associazioni tra disturbi e tipi di personalità, che si sono imposte con forza
nel dibattito medico sino alla fine degli anni ’80.
Alexander, definiva i disturbi psicosomatici “nevrosi vegetative”, le quali
rappresenterebbero l’effetto della persistenza e della cronicizzazione
dell’attivazione fisiologica, dovuta ad uno specifico conflitto psichico che
impedisce lo scarico delle emozioni in una azione esterna. Così, le patologie
correlate alle emozioni, legate alla lotta o alla fuga, “sarebbero il risultato di
inibizioni o di repressioni di impulsi ostili e di autoaffermazione”. Ad esempio,
alcune sindromi cardiache rappresenterebbero gli effetti dell’ansietà neurotica
o della repressione della collera; mentre l’ipertensione essenziale, sarebbe il
risultato di un incremento della pressione sanguigna mantenuto
dall’attivazione del simpatico tipica delle emozioni di rabbia; allo stesso modo
l’attivazione e il blocco dei sistemi neuro-endocrini legati alla lotta e alla fuga
porta all’emicrania e l’ipertiroidismo, all’artrite reumatoide. Le affezioni
psicosomatiche dipendenti dal blocco delle emozioni connesse alle attività
trofiche e riparative del parasimpatico erano, secondo Alexander, tutti i disturbi
funzionali gastroenterici, l’asma, l’affaticamente cronico. Essi costituirebbero,
infatti, l’esito di un fenomeno psicologico e quindi vegetativo di “ritirata”
dall’azione e di disimpegno dall’adattamento ad un ambiente ostile. Per
esempio, un individuo ansioso ed insicuro, sempre pronto a recedere dalla lotta
e dai possibili pericoli, poteva mettere in atto, secondo Alexander, risposte
viscerali paradossali, come la secrezione dei succhi gastrici, che si
accompagnano a situazioni di sicurezza e di dipendenza, come l’alimentazione
quando si è bambini. Reiterando tale atteggiamento e tale risposta fisiologica, il
soggetto in questione, finirebbe per sviluppare un’ulcera peptica o la colite.
L'attenzione verso le risposte fisiologiche ed emotive sono state riprese da
Sifeneos che nel 1972 in “psicoterapia breve e crisi emotiva” ha descritto uno
stile affettivo e cognitivo caratterizzato da una difficoltà marcata a esprimere
verbalmente le emozioni associata ad una accentuata diminuzione, o assenza,
della fantasia. Il concetto di “alessitimia” deriva dal greco “a”, per mancanza,
“lexis”per parola e “thymos”, per emozione; letteralmente “mancanza di parole
per le emozioni” e, sta ad indicare, una sorta di “analfabetismo emozionale”,
una marcata difficoltà nel riconoscere, esplorare ed esprimere i propri vissuti
interiori. Per alessitimia si intende la difficoltà di identificare, descrivere ,
comunicare le emozioni e di distinguere i vissuti emotivi dall’attivazione
fisiologica sottostante. Include anche la povertà dei processi immaginativi, lo
stile cognitivo orientato verso la realtà esterna e l’adattamento sociale di tipo
conformistico. Un’incapacità di modulare le emozioni per mezzo
dell’elaborazione cognitiva, potrebbe anche spiegare la tendenza dei soggetti
alessitimici a scaricare la tensione causata da stati emotivi sgradevoli,
mediante atti impulsivi o comportamenti compulsivi, quali l’abbuffarsi al cibo,
l’abuso di sostanze, il comportamento sessuale perverso o l’inedia volontaria
caratteristica dell’anoressia nervosa. Il soggetto che non dispone di una
funzione simbolica e quindi di un'incapacità di regolare le emozioni può
indulgere nel tentativo di regolare la propria affettività mediante l’uso di
droghe, alcol e altro. Secondo Lipowski
i “somatizzatori”
vivono e
comunicano primariamente non il distress psicologico ma quello somatico, e
questo è proprio ciò che li caratterizza". Questo chiarimento ha consentito di
sviluppare una differenziazione fra conversione, in cui comparirebbero funzioni
simboliche e somatizzazione in cui invece i sintomi iniziano nel corpo e seguono
leggi somatiche piuttosto che psichiche. Graeme Taylor ha fatto studi specifici
relativamente al tema “somatizzazione e conversione”.
Nella metà del secolo scorso circa, la fiducia nella prospettiva teorico/cliniche
psicosomatica ha subito una forte delusione a causa di una complessità di
fattori. Il primo fattore, forse il più rilevante, consisteva nel fatto che i
trattamenti
psicologici
dell'epoca
si
dimostravano
poco
efficaci;
secondariamente si andava sviluppando un maggior interesse verso la
neurobiologia, l'attenzione crescente verso le componenti fisiologiche dello
stress aveva promosso una maggior attenzione verso la neurofisiologia e,
infine, lo sviluppo di tecniche e di metodologie di analisi statistica più raffinate
aveva facilitato l'organizzazione di studi che avevano messo in dubbio il
legame eziologico diretto fra personalità e malattie somatiche .
Dagli anni settanta in poi si è registrato un deciso cambiamento di approccio
della medicina psicosomatica, il paradigma originario della psicoanalisi
applicato alla medicina (paradigma basato sul conflitto) nel tempo è stato
messo in secondo piano a favore di un paradigma basato sul deficit evolutivo e
di modelli teorici più integrati con il cognitivismo, come per es. i costrutti di
attaccamento e di alexithymia.
I contributi della teoria dell'attaccamento.
Gli individui adulti con stile sicuro di attaccamento hanno avuto caregiver
adeguati e disponibili e pertanto sono in grado di essere oggetto di assistenza
e cura e di fornirla agli altri e possiedono un buon senso di efficacia
nell’affrontare lo stress (modello positivo del sé e dell’altro). Individui con stile
distanziante di attaccamento hanno avuto invece probabilmente caregiver
poco adeguati e poco disponibili e pertanto hanno sviluppato strategie per
avere rigidamente e compulsivamente fiducia solo in se stessi (modello
positivo del sé) e si sentono corrispettivamente poco sicuri nei rapporti di
intimità o nel nutrire fiducia nell’altro (modello negativo dell’altro). Tendono
quindi a cercare da se stessi le strategie di risoluzione dei propri problemi
(inclusi quelli relativi alla salute) e tollerano male il fatto di dipendere dalle
figure sanitarie per l’assistenza o il ricovero ospedaliero in caso di malattie
acute. Individui con stile preoccupato hanno probabilmente vissuto con
caregiver disponibili nei loro confronti ma in modo discontinuo e
imprevedibile, per cui sono diventati eccessivamente sospettosi e guardinghi
ma nel contempo emotivamente dipendenti dall’approvazione dell’altro
(modello positivo dell’altro). Viceversa, nei propri confronti nutrono scarsa
fiducia, hanno bassa autostima, avvertono generalmente il carico dello stress
e tendono a concentrarsi sulle proprie emozioni negativi (modello negativo del
sé). Di conseguenza, tendono a cercare molto le cure mediche per i propri
problemi di salute ma contemporaneamente a non sentirsi rassicurati, se non
in modo parziale e provvisorio. Infine individui adulti con stile timoroso di
attaccamento sono simili ai soggetti preoccupati poiché desiderano avere
contatti interpersonali ma tale desiderio è fortemente inibito dal timore di
essere rifiutati. È probabile che questi soggetti abbiano avuto caregiver
esplicitamente rifiutanti o rigidi (modello negativo dell’altro) che hanno
determinato lo sviluppo di scarsa fiducia in se stessi e bassa autostima
(modello negativo del sé). Questi soggetti potrebbero accusare molti sintomi
somatici – sia per cercare attenzioni in modo meno ansiogeno, sia per effetto
delle emozioni negative – ma nel contempo tendono a non cercare rimedi
medici a causa della diffidenza interpersonale. Basandosi sui dati emersi dalle
ricerche di Maunder e Hunter l’attaccamento insicuro può favorire uno stato
di malattia in diversi modi. I soggetti preoccupati sono caratterizzati da una
sensazione di vulnerabilità personale e di allarme così intensi che ogni
sensazione enterocettiva può essere percepita come una potenziale minaccia.
Diversamente, l’attaccamento distanziante, può indurre a percepire come
pericolosa ogni condizione che richiede intimità o dipendenza. Inoltre
l'attaccamento insicuro è caratterizzato da una maggiore e prolungata
attivazione fisiologica allo stress sperimentale, come è stato dimostrato da
studi. I fattori protettivi non vengono utilizzati perché il soggetto risulta essere
diffidente o di cadere in forme pericolose di dipendenza. Queste persone in
genere hanno una grande difficoltà a regolare gli affetti e le emozioni e quindi
cadono facilmente in comportamenti compulsivi nel tentativo di stemperare
l'angoscia di fondo. .
Bisogna infine considerare la possibilità che lo stile di attaccamento possa
interagire con la malattia favorendo la manifestazione di alterazioni
psicopatologiche, come uno stato depressivo o di intensa ansia, che
pregiudicano a loro volta la condizione clinica. Uno stile di attaccamento non
può essere considerato causa di malattia, ma piuttosto, seguendo una
prospettiva biopsicosociale, deve essere inteso come una dimensione che
interagisce con altri sistemi (genetici, psicologici, culturali, sociali,
ambientali).
Il costrutto di alexithymia.
Letteralmente significa “mancanza di parole per le emozioni”; dal greco a,
assenza, lexis, linguaggio e thymos, emozione. E' un concetto psicologico,
elaborato da John Nemiah e Peter Sifneos, applicato in ambito medico più
conosciuto e indagato negli ultimi decenni. Le 4 caratteristiche cliniche
principali dell’alexithymia sono:
1.Difficoltà di identificare e descrivere le emozioni. I soggetti alessitimici
manifestano una marcata difficoltà a verbalizzare i propri stati
emotivi e, a un’indagine più approfondita, sembrano non averne
affatto consapevolezza. Possono anche avere scoppi improvvisi di
emozioni intense (come rabbia, paura o pianto) ma non riescono a
collegare la manifestazione emozionale con ricordi, fanasie o
specifiche situazioni.
2.Difficoltà di distinguere fra stati affettivi soggettivi e le componenti
somatiche dell’attivazione emotiva. I soggetti alessitimici esprimono le
proprie emozioni preminentemente attraverso la componente
fisiologica poichè incapaci di elaborarne l’aspetto soggettivo vissuto.
Per esempio, il soggetto può riferire le modificazioni somatiche
avvertite durante la lite con la moglie (irrequietezza motoria, tensione
muscolare ecc) ma non comprendere che l’esperienza complessiva
della rabbia ingloba in se tutte le sensazioni riferite. Tale caratteristica
è stata inquadrata, dal punto di vista della psicoanalisi, come una
difesa massiva contro un’angoscia di natura psicotica, per cui la
distanza posta fra affetto e rappresentazione denota la distruzione del
legame di significato fornito dalle parole e da ciò che esse
simbolizzano. Dal punto di vista cognitivi stico, è stata
concettualizzata come attenzione selettiva e amplificazione delle
componenti somatiche delle emozioni e come predisposizione all’agire
motorio per scaricare una spiacevole tensione interna, il che
spiegherebbe il motivo per cui i soggetti alessitimici sviluppino
ipocondria, disturbi di somatizzazione e comportamenti compulsivi
come abbuffate alimentari, abuso di sostanze psicoattive, anoressia
nervosa.
3.Povertà dei processi immaginativi. La povertà di immaginazione e di
tutte le funzioni legate a essa è facilmente osservabile nell’attività
onirica dei soggetti alessitimici. Essi non sognano quasi mai e, quando
lo fanno, i loro sogni sono caratterizzati dalla più o meno letterale
riproduzione di pezzi di vita reale, avvenimenti diurni, eventi della vita
lavorativa. Allo stesso modo, i sogni a occhi aperti sono
quantitativamente molto scarsi e qualitativamente molto poveri poiché
anch’essi si soffermano su eventi accaduti o su preoccupazioni per il
futuro. Fisicamente i soggetti alessitimici appaiono rigidi nella postura
corporea e nella mimica facciale, evidenziano anche mancanza di
empatia.
4.Stile cognitivo orientato verso la realtà esterna. I soggetti alessitimici
sono elettivamente concentrati su tutto ciò che è esterno alla vita
psichica. Sul piano cognitivo, questa caratteristica si manifesta con un
pensiero razionale che tende a illustrare azioni ed esperienza senza
investimenti affettivi. L’attenzione è concentrata sulla realtà fattuale, di
cui riescono a descrivere i dettagli anche minuziosamente ma senza
mai dare la sensazione all’osservatore che vi stiano partecipando
emotivamente. “ifneos li ha descritti come “computer viventi
completamente privi di emozioni”.
Nemiah e Sifneos introdussero il nome di alexithymia a metà degli anni 70
per definire pazienti che non erano disturbati dal punto di vista della
personalità, che non mostravano disturbi cognitivi e dell’esame di realtà, ma
che avevano in comune il fatto di soffrire di alcune patologie fisiche
classicamente considerate come “psicosomatiche” o di patologie croniche. Da
queste osservazioni nacque la definizione di alexithymia, sulla base di
notazioni già contenute in letteratura come il concetto di arresto nello
sviluppo della personalità, che considerava tale deficit evolutivo come il
problema centrale nella clinica psicosomatica. Le notazioni di alcuni
psicoanalisti come Horney e Kelman confermavano che le difficoltà incontrate
nel trattamento analitico di pazienti psicosomatici erano dovute ad assenza
di consapevolezza emotiva, povertà della vita affettiva, scarso interesse per
l’attività onirica. Lo stesso indirizzo lo aveva anche la scuola francese di
Marty e de M’Uzan che sosteneva che il costrutto di pensiero operatorio del
paziente psicosomatico era caratterizzato da marcato impoverimento affettivo,
relazione terapeutica difficile a causa della mancanza di “movimenti
fantasmatici” e conformismo sociale.
Per comprendere il nucleo basilare del costrutto di alexithymia, è
fondamentale tornare alla distinzione concettuale fra emotions (letteralmente,
emozioni) e feelings (letteralmente, sentimenti). Le emozioni sono fenomeni
biologici innati, geneticamente programmati, mediati dai sistemi subcorticali
e limbici, funzionali alla sopravvivenza della specie e i cui indicatori sono
segnali non verbali come mimica facciale, gestualità, postura corporea e tono
vocale. I sentimenti sono invece fenomeni psicologici individuali molto più
complessi poiché implicano l’elaborazione cognitiva e il vissuto soggettivo
mediato dalle funzione neocorticoali. Tale componente psicologica dell’affetto
consente di valutare la risposta emotiva a stimoli esterni e interpersonali e di
comunicare intenzionalmente le emozioni mediante la funzione linguistica
verbale ed extraverbale di simbolizzazione. Essi, pertanto, dipendono dalla
cultura di appartenenza, dalle esperienze infantili, dalle rappresentazioni di
sé e degli altri, da ricordi, fantasie e sogni. Dati clinici fanno ritenere che
l’alexithymia non indichi individui senza emozioni (cosa impossibile) o con
inibizione difensiva della sfera emotiva, ma soggetti con un deficit della
componente psicologica dell’affetto, persone le cui emozioni sono espresse
attraverso le componenti biologiche degli affetti ma con scarsa o nessuna
possibilità di ricorrere agli strumenti psicologici (immagini, pensieri, fantasie)
per la loro rappresentazione simbolica. Gli studi di neurobiologia, infatti,
hanno evidenziato che l’alexithymia è associata a deficit del transfer
interemisferico, disfunzione dell’emisfero destro, o disregolazione delle aree
della corteccia prefrontale.
Modello biopsicosociale
Al di fuori del campo della psicoanalisi, negli stessi anni 60 e 70 ci sono stati
contributi importanti per lo sviluppo di una moderna concezione della
psicosomatica. La base teorica del libro di Porcelli è costituita dal concetto di
peso relativo, implicito nel modello biopsicosociale di salute e di malattia
di Engel, il quale ha elaborato modelli di reazione psicofisiologica allo stress
oggi comunemente accettati. E' ampiamente riconosciuto oggi che le malattie
sono multifattoriali, ossia vengono causate da variabili multiple che in modo
diverso e in tempi si associano in fattori di rischio, co-fattori, fattori scatenanti
e fattori di mantenimento, contribuendo a spiegare esordio, progresso ed esito
delle patologie nelle fasi pre-cliniche e cliniche della loro storia naturale. Il
modello concepisce la malattia come il risultato dell’interazione multifattoriale
di sistemi a vari livelli dell’essere umano: cellulare, tissutale, organicistico,
interpersonale e ambientale e, qualsiasi malattia, viene vista in quest’ottica.
Comprendere l'origine del disturbo non significa più trovare la causa primaria
ma il contributo e il peso relativo di ciascun fattore e ciascun sistema nel
co-determinare l’esito finale. Il punto del pensare psicosomatico e
dell’approccio terapeutico che ne consegue è di individuare quali siano i fattori
psicologici, con un peso relativo importante e/o in associazione, con i fattori
biomedici. Detto diversamente, la psicosomatica non si interessa della causa
della patologia X né se sia da considerare psicosomatica ma il peso relativo dei
diversi fattori implicati da cui deriva anche la possibilità di intervenire
terapeuticamente in modo differenziato e individualizzato. I fenomeni
psicosomatici, infatti, hanno una propria autonomia non riconducibile ad un
legame causale diretto con nessuno dei fattori considerati singolarmente.
Engel prende come esempio due patologie, una chiaramente medica (il
diabete) e l’altra chiaramente psichiatrica (la schizofrenia), per illustrare il
suo punto di vista. Il modello biomedico procede tassonomicamente dai
sintomi presentati alle sindromi. Ora, diabete e schizofrenia sono entrambi
cluster di sintomi o sindromi, l’uno descritto in termini di anomalie
somatiche e biomediche e l’altra in termini psicologici; entrambi possono
essere descritti in prospettiva eziologica e mostrano un range di intensità da
severa e disabilitante a latente e borderline; infine, influenze genetiche e
ambientali contribuiscono allo sviluppo di entrambi. Pertanto, un modello
funzionale dovrebbe poter pensare alle malattie potendo far riferimento e
ricorso sia ai fattori biologici sia a quelli psicosociali per comprendere
accuratamente il quadro clinico.
L’interesse contemporaneo per la psicosomatica è molto alto per svariati
motivi che vanno dalle politiche sanitarie mondiali, alla diffusione dei
disturbi di somatizzazione in vari setting clinici, all’interesse per i temi del
corpo e della salute da parte del pubblico in generale. La filosofia di fondo
delle proposte di formazione è verso la maggiore integrazione possibile delle
conoscenze specialistiche, dello sviluppo degli aspetti sia tecnici (diagnosi e
trattamento) sia generali di comunicazione, fino alla funzione di raccordo dei
vari agenti della cura fra di loro e con il paziente. La visione principale non è
formare specialisti in psicosomatica ma allargare le competenze
specialistiche (di medicina, di psichiatria, e psicologia clinica) in un’ottica
psicosomatica integrata, partendo dall’assistenza di base, quella della
medicina di base fino ai livelli di una branca professionale specialistica.
L'unità mente corpo: dal mito alle neuroscienze
Porcelli fa notare che nella cultura greca classica, nella Grecia preomerica,
non vi erano espressioni verbali per differenziare lo psichico dal somatico. La
cultura greca delle origini non aveva termini singoli per designare ciò che noi
intendiamo unitariamente come “psiche” o come “soma”. Facendo riferimento
ad un articolo di Romolo Rossi (1986), l'autore riporta gli struggenti versi
della poetessa Saffo (VII secolo a.C.), la quale descrive il suo dolore, la sua
gelosia nel vedere la sua amante che sta incontrando l'uomo che la prenderà
in sposa.
A me pare uguale agli dei
chi a te vicino così dolce
suono ascolta mentre parli
e ridi amorosamente. Subito
il mio cuore nel torace si agita con violenza,
come appena ti vedo
così la voce non esce,
la lingua si spezza.
Un calore corre rapido sotto la pelle
nulla più vedono gli occhi
rombano possenti le orecchie
il sudore scorre per le membra
un tremito m'assale
e pallida più di uno stelo d'erba
simile sono a colui che è vicino alla morte.
Rossi
fa
notare
che
la
sofferenza
della
poetessa
coinvolge
contemporaneamente sia il suo essere fisico che mentale nel constatare che la
sua amante, si comporta in modo seduttivo e sensuale, verso il futuro sposo.
Ciascun verso esprime una sensazione somatica e ciascuna sensazione,
riferita da Saffo, indica un sintomo dovuto a precisi meccanismi
fisiopatologici: turbe della frequenza e del battito cardiaco, afonia, turbe del
linguaggio ecc..
IL DIBATTITO CONTEMPORANEO SUL RAPPORTO MENTE-CERVELLO.
Il rapporto mente-corpo è un problema peculiarmente percettivo, di punti di
vista, di prospettiva di osservazione della medesima sostanza, secondo il
modello di Jaak Panksepp del dual-aspect monism, l’essere umano non è né
un essere fisico né un essere mentale ma è fatto di una medesima sostanza
(da cui il termine monismo) che viene però percepita in due irriducibili
modalità differenti (da cui il termine aspetto duale). Le neuroscienze cercano
di comprendere in quale modo i circuiti neuronali, il loro sviluppo e le loro
modificazioni costituiscono le basi neurologiche della vita emotiva, affettiva e
cognitiva. L’indagine neuroscientifica si pone allora tra due ambiti eterogenei,
il fisico e lo psichico, alla ricerca delle loro correlazioni, superando, a livello
epistemologico, la prospettiva dualista. Certo è che il cervello è assolutamente
necessario per l’esistenza della mente. Più difficile è determinare se i fenomeni
mentali (non solo il pensiero ma tutti i fenomeni psichici, dalla coscienza alle
emozioni, dai sentimenti al linguaggio) siano riducibili ai circuiti cerebrali in
termini di secrezione neurale. Tuttavia è interessante notare come la mente
possa modificare i meccanismi biologici invertendo la direzione di causalità.
Una possibilità per capire la relazione mente cervello senza ridurre la prima al
secondo è rappresentata dalla concezione della mente intesa come proprietà
emergente del cervello cioè una o più caratteristiche che si verificano ad un
livello più elevato di complessità di un sistema e che non sono predette dal
livello inferiore (ad esempio, le singole molecole dell’acqua, dell'idrogeno e
dell'ossigeno non bagnano, mentre l’acqua, nella sua complessità, sì). La
mente è dunque dovuta all’interazione dei neuroni ma è fatta di elementi
(pensieri, sentimenti, ricordi) che non esistono a livello di neuroni. Si potrebbe
quasi dire che l’essere umano è fatto da una sola sostanza (monismo) che
viene colta attraverso due prospettive così diverse da essere considerate due
(aspetto duale). Del resto, la sostanza mentale ci appare fisica se la guardiamo
come un oggetto (cervello) e mentale quando la guardiamo dall’interno del
soggetto stesso (mente).
Porcelli prende come esempio il caso di un ragazzo di 25 anni, Luca, che dopo
la morte del padre per infarto avvenuta di notte, ha tre attacchi di panico.
L'autore facendo dei complessi riferimenti a Damasio conviene che il cervello è
un sistema creativo che costruisce mappe di ciò che accade usando parametri
propri e la propria struttura interna. Quando l’organismo viene coinvolto da
un oggetto (una persona, un luogo, una melodia) i segnali conseguenti
all’elaborazione delle immagini multiple dell’oggetto attivano siti neurali che
sono predisposti a rispondere alla particolare classe di induttori ai quali
appartiene l’oggetto.
Il cervello nel rappresentarsi ciò che accade
nell'ambiente esterno e nel milieu interno dell'organismo, non rispecchia la
situazione così com'è, come se fosse un registratore o un qualsiasi dispositivo
artificiale di processazione delle informazioni. Il cervello è invece un sistema
creativo che costruisce mappe di ciò che accade usando parametri propri e la
propria struttura interna. La percezione somatica riguarda la mente intesa
come proprietà emergente delle mappe neurali che effettuano il monitoraggio
dei cambiamenti corporei (il milieu interno): per motivi reali relativi al
cambiamenti che stanno effettivamente avvenendo, o rappresentati, ossia
relativi a percezioni di cambiamento somatico, il soggetto avverte sensazioni
fisiche ed emotive che avvengono a un livello di complessità del sistema
“organismo” più elevato rispetto alle singole parti costituenti. Il progresso
delle tecniche di indagine per immagini del cervello (brain imagin) consente
oggi di comprendere qualcosa in più sulla complessa rete di connessioni
neurali che si attiva in risposta agli eventi. In un recente studio condotto da
importanti ricercatori viene dimostrato che l’esperienza del dolore altrui può
entrare a fare parte del proprio sé attraverso l’attivazione di aree specifiche del
proprio cervello.
Queste complesse riflessioni derivate dagli studi di Damasio sollecitano
l'autore a fare anche riferimento alla “dimensione empatica” del cervello, una
delle più importanti scoperte neurofisiologiche nell’ultimo decennio, grazie al
gruppo italiano di Giacomo Rizzolatti e Vittorio Gallese dell’Università di
Parma: il termine neuroni specchio si riferisce ad un gruppo di neuroni
che si attivano non solo quando si compie un movimento ma anche quando lo
si osserva compiere. Il soggetto riproduce cerebralmente la possibilità di
utilizzazione dell’oggetto, indipendentemente dal fatto che compia realmente
quell’azione, o resti semplicemente a osservare l’oggetto. Questi neuroni, che
si attivano in noi anche solo osservando un altro soggetto compiere azioni che
potenzialmente noi stessi potremmo compiere, sono stati definiti neuroni
specchio perché il processo avviene riflettendo dentro di sé il movimento di
un altro. Il sistema dei neuroni specchio è in grado di codificare non solo
l’azione osservata ma soprattutto l’intenzione dell’azione, il suo significato,
verosimilmente perché il soggetto riproduce nel proprio cervello e anticipa gli
atti successivi dell’altra persona a cui la prima azione è concatenata. La
scoperta dei neuroni specchio sta conducendo verso l’idea che la stessa
dimensione ambientale dell’intersoggettività sia anch’essa un fenomeno
cerebrale.
Nel Capitolo 2 del libro di Porcelli ("La cornice teorica della diagnosi in
psicosomatica") viene discussa l'architettura teorica della diagnosi in
psicosomatica, fra medicina e psicologia, e in particolare come la percezione
soggettiva degli stati fisici contribuisca fortemente a determinare l'oggetto
della diagnosi psicosomatica. L'autore specifica che in psicosomatica non
esistono test diagnostici, per cui i disturbi dell’area somatoforme vengono in
prima istanza diagnosticati ex negativo, cioè in assenza di evidenze organiche.
Il rischio è di sopravvalutare o sottovalutare gli aspetti “psico“ del problema
clinico presentato. Essendo i disturbi di interesse psicosomatico, non organici
per definizione, il rischio è di sottovalutare tutti i fattori biologici non ancora
noti o non sufficientemente indagati. Inoltre, la diagnosi psicosomatica, deve
contenere affermazioni relative alla presenza di aspetti psicologici del paziente
che, fanno supporre che essi siano implicati nelle manifestazioni cliniche, ma
difficilmente può avere il carattere categoriale o binario della diagnosi in senso
biomedico ristretto (il paziente ha o non ha..). La diagnosi in psicosomatica
verte invece selettivamente sul peso relativo di ciascun fattore in relazione
all’entità della manifestazione clinica.
Nel capitolo 3 (“Pesi relativi e diagnosi psicosomatica”) l’autore esamina in
modo più puntuale i costrutti psicologici che possono avere un peso relativo
rilevante nella clinica psicosomatica (esperienza di malattia, comportamento
abnorme di malattia, amplificazione somatosensoriale, stile attributivo di
malattia, rappresentazioni di malattia)...
L'autore si chiede come il soggetto risponda alla percezione dei personali
segnali del corpo, rispondere a una sensazione corporea, interpretarla e le
decisioni che si prendono in rapporto a essa dipendono in larga misura dalle
convinzioni del soggetto su quale sia la causa. Quando le sensazioni vengono
interpretate come indicatori di possibile malattia, è molto probabile che i
fattori cognitivi, emotivi o comunque non medici influenzino la decisione
dell’individuo di consultare un medico. In questo caso, la sensazione assume
la configurazione di sintomo, ossia di percezione soggettiva di un
cambiamento somatico che l’individuo ritiene essere degno di attenzione
medica.
Amplificazione somatosensoriale e ansia per la salute. Nella prospettiva
psicologica, Barsky e Klerman hanno introdotto il concetto di amplificazione
somatosensoriale per indicare la tendenza del soggetto ad amplificare
selettivamente il livello fisiologico delle sensazioni fisiche e ad attribuire loro il
significato di sintomi di malattia. Un’altra dimensione proposta, strettamente
associata al concetto di amplificazione somatosensoriale, è quella di ansia per
la salute. Nei modelli teorici più recenti, l’ansia per la salute viene concepita
in senso lato, come una dimensione psicologica di preoccupazione per il
proprio stato di salute.
Le varie forme di ansia per la salute possono rimanere latenti anche per
lunghi periodi, costituire una sorta di sottofondo costante di interpretazione
delle sensazioni somatiche ed essere improvvisamente attivate, in modo acuto,
da stati di ansia e di depressione, da situazioni stressanti e da eventi
ambientali come le varie epidemie di influenza aviaria e di SARS (sindrome
respiratoria acuta grave) amplificata di recente dai media.
Nel Capitolo 4 ("Approcci diagnostici e classificazione in psicosomatica")
vengono discussi i problemi di classificazione diagnostica, esaminando la
classificazione ufficiale dei disturbi somatoformi (DSM-IV e ICD-10), le
proposte avanzate fino a oggi di modificazione dei criteri diagnostici in vista
del prossimo DSM-V e le classificazioni diagnostiche alternative al DSM (con
particolare attenzione ai Diagnostic Criteria for Psychosomatic Research,
DCPR), compresa la classificazione proposta dal nuovo modello del
Psychodynamic Diagnostic Manual (PDM). Per facilità espositiva prenderò in
considerazione esclusivamente le proposte e i cambiamenti del DSM.
I disturbi somatoformi nel DSM-IV :
La classificazione DSM-IV dei disturbi somatoformi ha ricevuto moltissime
critiche fin dalla sua pubblicazione e le posizioni si allineano lungo un
continuum che va da coloro che difendono i criteri del DSM-IV a coloro che
invece vorrebbero una revisione radicale, fino all’abolizione completa di questa
rubrica.
Nel DSM-IV Sono inclusi sette disturbi in cui la caratteristica determinante è
una lamentela fisica o una preoccupazione somatica che non è meglio
attribuibile ad una condizione medica generale o ad un altro disturbo
mentale.
- Disturbo di Conversione
- Disturbo di Somatizzazione
- Disturbo Somatoforme Indifferenziato
- Disturbo Algico
- Ipocondria
- Disturbo di Dismorfismo Corporeo
- Disturbo Somatoforme Non Altrimenti Specificato
Il DSM-5 ha conservato alcuni principi fondamentali delle prime edizioni,
come l’ateoricità e la regola gerarchica, ha però modificato radicalmente la
sezione dei Disturbi Somatoformi del DSM-IV eliminando l’Ipocondria,
raggruppando tutte le sindromi principali in due categorie di Disturbo da
Sintomi Somatici e Disturbo da Ansia di Malattia e spostando la
Dismorfofobia nei Disturbi Ossessivo-Compulsivi. La nuova classificazione ha
generato moltissime critiche di metodo e di merito con il timore che i nuovi
criteri possano sovrapatologizzare le sensazioni fisiche normali, stigmatizzare
come malattia mentale i sintomi delle malattie mediche gravi.
Nel Capitolo 5 ("La psicoterapia in psicosomatica") vengono illustrati i
principi-base dei due principali modelli teorici di psicoterapia applicati in
psicosomatica,
il
modello
psicodinamico
e
la
terapia
cognitivo-comportamentale:
I
contributi del modello psicodinamico vogliono dimostrare che
l’alterazione dei sistemi fisiologici e/o dei comportamenti diretti ad affrontare i
problemi di salute è determinata da un deficit nell’elaborazione e nella
regolazione delle emozioni. In questo modello vengono privilegiati gli aspetti
profondi dell’elaborazione affettiva (organizzazione del Sé, conflitti intrapsichici)
e gli aspetti evolutivi remoti (stili di attaccamento e relazioni oggettuali precoci),
con uno spostamento di attenzione verso la storia affettiva del paziente.
In questo modello, il mentale si costituisce progressivamente come sviluppo
evolutivo del somatico all’interno della relazione con la figura materna, intesa
come caregiver primario. Il neonato percepisce il mondo esterno, il proprio
corpo e il mondo interno come un insieme non organizzato di esperienze
originariamente somatiche. Vive le proprie sensazioni interne come un
tutt’uno con le sensazioni provenienti dall’esterno e comunica i propri stati
emotivi attraverso movimenti corporei. Nel corso dello sviluppo psicobiologico,
il bambino impara a differenziare le sensazioni interne da quelle esterne,
questo processo di differenziazione dal somatico allo psichico non avviene per
una spinta puramente fisiologica innata ma è modulato nel contesto della
relazione primaria con la figura materna. La madre quindi svolge nei confronti
del neonato quella complessa funzione che, dopo Winnicott, viene
comunemente intesa come holding. La holding materna è fisicamente espressa
dal modo di tenere in braccio il bambino e più precisamente dall’insieme di
scambi comunicativi preverbali attraverso cui la madre contiene gli stati
affettivi del figlio, comunicandogli il senso di sicurezza di base. Quando poi il
bambino impara a utilizzare gli schemi cognitivi per identificare le emozioni, la
funzione materna resta essenziale perché è il caregiver primario a nominare
per primo le emozioni, consentendo al figlio di riconoscersi in essi e quindi di
riconoscerle anche in assenza della madre. Lo sviluppo della capacità di
simbolizzazione è pertanto legato all’interiorizzazione oggettuale, nel senso che
il bambino impara a sostituire la funzione svolta dalla madre reale esterna con
le proprie funzioni mentali interne. I vari autori psicoanalitici, pur con delle
differenze, ritengono che il disturbo psicosomatico sia un deficit evolutivo per
cui le funzioni mentali non consentono al soggetto di elaborare adeguatamente
le proprie emozioni a livello cognitivo e simbolico. Per esempio, McDougall usa
la metafora del corps a deux per indicare la matrice di base da cui il neonato si
differenzia per individuazione. Il fallimento maturativo dell’individuazione
comporta il processo di desaffectation: emozioni precoci intense che
minacciano l’integrità psico-fisica costringono a erigere una barriera difensiva
potentissima per preservare la sopravvivenza psichica e rendere il campo
affettivo inaccessibile alla consapevolezza. Ciò determina l’inabilità del
paziente psicosomatico adulto a formulare fantasie e la permanenza in zone o
livelli di rischio psicosomatico a causa della compromissione della capacità
dell’individuo di riconoscersi nel proprio corpo e nei propri affetti.
Taylor, ha dato un grande contributo verso la comprensione dei disturbi
psicosomatici mettendo a confronto le diagnosi di somatizzazione con quella di
conversione, inoltre sostiene che all’interno della relazione di attaccamento
siano “nascosti” meccanismi sia psicologici sia fisiologici di regolazione
dell’organismo infantile che vengono inizialmente forniti dalla figura materna.
Il deficit evolutivo di relazione comporta anche un deficit interno di regolazione
autonoma dei sistemi espressivi degli affetti che predispongono l’individuo a
disturbi psichiatrici e medici.
Marty parla di pensiero operatorio e di depressione essenziale per indicare
una modalità di adattamento alla realtà sociale e di stile di pensiero del tutto
privati di qualsiasi connotazione affettiva e riconducibile a un doppio deficit
parallelo, intrapsichico del sistema preconscio ed evolutivo della funzione
materna.
La psicoterapia analitica si avvicina in sostanza all'idea di psicoterapia
espressivo-supportiva e al concetto di Alexander della esperienza emozionale
correttiva dove le modificazioni della tecnica riguardano più la forma che il
contenuto della comunicazione fra paziente e terapeuta e sono finalizzate ad
ampliare la consapevolezza del paziente dei difetti nel modo di vivere ed
elaborare le emozioni.
Nella sintesi fatta da Porcelli mancano i contributi importanti svolti da alcune
scuole di pensiero come quella di Fonagy che fa convergere la teoria
dell'attaccamento con la funzione riflessiva che, a mio avviso, getta un ponte
fra gli approcci psicodinamici e quelli cognitivi. Anche gli studi dell'Infant
Research, sviluppati prevalentemente da Stern, sono stati utili per
comprendere a fondo i disturbi della regolazione delle emozioni e degli affetti
svolti attraverso osservazioni sofisticate da cui sono nati gli importanti
concetti di sintonia affettiva. Una particolare menzione va fatta all'approccio
teorico/clinico di Wilma Bucci, la quale ha proposto un suo personale
percorso di ricerca per allargare gli orizzonti della psicoanalisi freudiana verso
i contenuti delle neuroscienze, da un lato, e delle scienze cognitive, dall'altro.
Si tratta di un'operazione teorica tutt'altro che semplice e non facilmente
accettata ma che senza dubbio contiene interessantissimi spunti di riflessione
tanto sulla teoria quanto sulla pratica clinica.
Nel modello cognitivo-comportamentale, l’attenzione è rivolta verso la
dimensione attuale del paziente e quindi alla modificazione degli stili
percettivo-cognitivi messi in atto nel presente. Si tende cioè a modificare il
modo in cui il soggetto elabora le sensazioni corporee (percezione), pensa ai
propri sintomi (cognizione) e agisce in rapporto a essi (comportamento). Beck
ipotizza che alla base del sintomo psicosomatico vi sia un circolo vizioso,
un’interazione autoriproducentesi fra sistemi differenti che sostiene la
formazione dei sintomi, del distress associato e della disabilità conseguente. Il
modello alla base della CBT considera la storia evolutiva non come una
dimensione determinante nella formazione della personalità del paziente
psicosomatico (come nel modello analitico), ma come uno dei fattori che
contribuisce, insieme agli altri, al modo in cui il soggetto è, pensa, vive le
emozioni, avverte i sintomi, affronta le situazioni, si comporta ecc. al presente.
Un aspetto che differenzia in modo sostanziale il modello della CBT da quello
psicodinamico è che, secondo quest’ultimo, la genesi del disturbo
psicosomatico avviene a monte, nel deficit evolutivo delle funzioni di
simbolizzazione e di elaborazione degli affetti; secondo il modello cognitivista,
invece, la genesi del disturbo psicosomatico è a valle, originato dal circolo
vizioso di percezione-cognizione-comportamento. Per questo motivo, la CBT è
fortemente centrata sulla modificazione dei pensieri e dei comportamenti
attuali più che sulla ricostruzione evolutiva delle funzioni deficitarie della
psicoterapia psicodinamica. Il modello generale della CBT si basa sulla
classica doppia componente cognitiva (modificazione delle convinzioni
disfunzionali) e comportamentale (modificazione della risposta disfunzionale).
Le strategie di intervento sono quelle classiche della CBT, e si possono
suddividere in tre grandi categorie: strategie di tipo cognitivo, strategie di tipo
fisiologico, e strategie di tipo comportamentale.
Strategie di tipo cognitivo: sono strategie usate per aiutare i pazienti a
identificare, valutare più obiettivamente e modificare le proprie convinzioni
riguardo al proprio stato di salute o ai propri sintomi fisici. Fra le strategie
cognitive più frequentemente usate ci sono: - il diario per il monitoraggio delle
situazioni scatenanti e delle reazioni individuali abitualmente associate, allo
scopo di promuovere una maggiore autoconsapevolezza del paziente.
Generalmente si registra il momento in cui verifica l’evento, la situazione
scatenante, il pensiero automatico che insorge nel paziente e il livello di
intensità, i comportamenti immediati e i pensieri alternativi più adattivi in
rapporto alla situazione;
- il dialogo socratico: grazie al quale il terapeuta propone una serie di domande
secondo un preciso ordine logico finalizzato al tipo di convinzioni
disfunzionali, e per insinuare il dubbio nel pensieri automatici del paziente e
favorire la ricerca di soluzione alternative più adattive e controllate;
- il training sui pattern attentivi: lo scopo è di imparare a non focalizzarsi
esclusivamente sulle sensazioni fisiche prestando attenzione ad altre fonti di
stimolazioni ambientali, esterne al proprio corpo;
- l’immaginazione guidata: viene utilizzata per mettere a confronto il paziente
con stimoli ansiogeni che non incontra solitamente nella sua esperienza di
vita, come per esempio la morte o il cancro o l’AID“.
Strategie di tipo fisiologico: si tratta di strategie volte a modificare
direttamente la fisiologia della risposta allo stress e quindi a promuovere il
rilassamento. Le tecniche sono quelle classiche utilizzate per questi scopi
(biofeedback, training autogeno, meditazione, yoga).
Strategie di tipo comportamentale: si tratta di strategie che tendono a
modificare la risposta comportamentale innescata automaticamente nelle
situazioni scatenanti. Pensiamo ad esempio agli interventi basati
sull’esposizione allo stimolo ansiogeno e sulla prevenzione della risposta
disadattiva. L’esposizione è di solito effettuata in modo graduale e nel concreto
delle situazioni quotidiane (esposizione in vivo).
Uno dei modelli manualizzati di CBT più recenti specificamente disegnato
per i disturbi psicosomatici è l’Affective Cognitive-Behavioral Therapy –
ACBT, elaborato da Woolfolk e Allen. Lo scopo del trattamento è aiutare il
paziente ad accedere alle emozioni implicite ed elaborare adeguate risposte
cognitive, quindi non solo a correggere i pattern disfunzionali ma anche a
esplorare gli affetti come strumento per far comprendere ai pazienti pensieri
e comportamenti attuati automaticamente, senza consapevolezza. È un
trattamento strutturato in 10 sedute che include il rilassamento , le
modificazioni comportamentali , la ristrutturazione cognitiva, la
consapevolezza emozionale e le abilità interpersonali. Questo modello è stato
testato in due trial clinici controllati, che hanno mostrato che esso è efficace
in pazienti con diversi livelli di severità della somatizzazione, dai più comuni
sintomi MUS afferenti alla medicina generale alle forme più severe dello
spettro dei disturbi di somatizzazione afferenti a un setting psichiatrico.
Nella sintesi fatta dall'autore mancano i contributi preziosi di Bruno Bara
che ha messo assieme la teoria dell'attaccamento con le scienze cognitive.
L'approccio di Bara risente degli studi fatti da Vittorio Guidano e Giovanni
Liotti, la loro posizione teorica innovativa può essere definita come
costruttivista ed evolutiva. Anche i contributi della metacognizione, per certi
aspetti simili a quelli svolti da Fonagy, ad opera di Semerari e Di Maggio,
si inseriscono all'interno di una importante ridefinizione concettuale degli
approcci cognitivi.
Efficacia delle psicoterapie in psicosomatica
È difficile, se non illusorio, pensare a un unico approccio psicoterapeutico
per la somatizzazione, valido per tutti i disturbi e per ogni paziente. Ogni
situazione ha una propria specificità e il trattamento va individualizzato.
Per valutare l’efficacia delle psicoterapia in psicosomatica sono state
considerate le principali revisioni sistematiche degli studi controllati
randomizzati (RCT) pubblicate negli ultimi anni. Queste sono considerate il
massimo della qualità della medicina basata sulle evidenze (EBM). Come
avviene per molti disturbi psicopatologici, anche in psicosomatica gli studi di
efficacia hanno utilizzato principalmente la CBT e solo marginalmente la
terapia psicodinamica poichè le tecniche di CBT si prestano più facilmente a
essere indagate con adeguate metodologie. In alcuni trial su pazienti con
disturbi gastrointestinali funzionali, è stata evidenziata l’efficacia positiva
della terapia psicodinamica nella riduzione dei sintomi intestinali e di ansia e
depressione.
CASI CLINICI
Piero Porcelli ha discusso alcuni casi clinici tratti dalla pratica personale.
Dispepsia e disturbo di panico (non-fearful panic disorder)
Viene presentato un un caso di gastrite cronica atrofica con sovrapposizione
di dispepsia funzionale e di disturbo mascherato di panico. È il caso di un
uomo di 30 anni, Francesco, sposato, con un figlio di 2 anni. Fa il poliziotto
da circa 10 anni e da tempo presta servizio in una squadra speciale di
antiterrorismo. La madre viene descritta come una persona ansiosa, molto
apprensiva e poco affettuosa, dal carattere forte e rigido. È lei che tiene i
conti di casa, che prende le decisioni. Il padre è un carabiniere in pensione,
descritto come una figura marginale e passiva, assolutamente dipendente e
al servizio della madre. Un giorno Francesco, dopo essersi sposato, litiga
fortemente con la madre, in quanto la madre ha tentato di allontanarlo dalla
famiglia della moglie, cercando di convincerlo in qualcosa di assolutamente
non vero. Da quel giorno rompe così i rapporti con la famiglia di origine,
accusata di sostenere la madre. Inizia quindi un periodo molto stressante,
per il sentimento costante di delusione e per il lavoro che lo porta a continui
viaggi. In quel periodo inizia a provare una sintomatologia dispeptica
caratterizzata da episodi acuti intensi di dolore epigastrico e di pirosi
gastrica accompagnati da nausea, gonfiore di stomaco, eruttazioni e acidità
che perdurano per molti giorni. Per due volte gli episodi sono talmente
intensi da dover correre al pronto soccorso in preda a dolore fortissimi,
nausea intensa, palpitazioni, senso di soffocamento, sudorazione e
sensazione di svenire. Il problema stava diventano importante perché non gli
consentiva di partecipare adeguatamente alle operazioni di polizia. Nei due
anni precedenti, un esame endoscopico aveva trovato una gastrite atrofica
attiva lieve associata a infezione da Helicobacter pylori. Da un punto di vista
medico, il caso risultava un po’ confuso poiché il paziente aveva episodi acuti
di dispepsia funzionale ma i sintomi potevano anche essere inquadrati in
senso biomedico a causa della pregressa infezione da Helicobacter pylori e
della presenza di gastrite atrofica. Nel corso degli episodi acuti, il paziente
riferiva, oltre ai sintomi dispeptici cardinali, anche tachicardia, sudorazioni,
tremori, dispnea, dolore toracico diffuso, nausea profonda, senso di
vertigine, sbalzi termini repentini e senso di malessere molto intenso. La
consulenza psichiatrica chiesta per il paziente confermò la diagnosi di
panico. In questo caso, però, non vi è la caratteristica centrale del disturbo
panico, cioè l’angoscia di morire o di impazzire, ma si tratta di una sorta di
panico mascherato da dispepsia funzionale, in cui i pazienti presentano
esclusivamente sintomi fisici che hanno le caratteristiche cliniche del panico
ma senza presentare la caratteristica centrale. È una condizione clinica
raramente diagnosticata proprio per la confusione di sintomi fisici e psichici
e quindi per difficoltà di diagnosi differenziale. Il disturbo mascherato di
panico assume nel caso di Francesco un peso relativo molto importante. Se,
dal punto di vista psichiatrico, i sintomi acuti di dispepsia possono essere
inquadrati come “panico mascherato” , dal punto di vista psicologico il senso
di fragilità e di impotenza è connesso alle vicende personali accadute dopo il
suo matrimonio. Il senso di impotenza generalizzato, la lunga durata di
questa condizione psicologica sono elementi che portano alla diagnosi di
demoralizzazione dei Criteri Diagnosi per la Ricerca in Psicosomatica. Essa è
caratterizzata da una sensazione di incapacità soggettiva, perdita di
autostima, alienazione e senso di impotenza e inadeguatezza. Rispetto al
trattamento, si è deciso di iniziare un trattamento mirano al panico, insieme
a una psicoterapia breve a due sedute settimanali. Il trattamento nel suo
complesso aveva 3 obiettivi strategici poiché ognuno contribuiva con il suo
peso relativo alla formazione della condizione clinica: 1. La componente
psicopatologica di “panico mascherato” o “panico senza paura”, per cui
vennero impiegati farmaci psichiatrici utilizzati per il classico disturbo di
panico; 2. La componente di sé; 3. La componente sintomatologia acuta di
agorafobia, trattata con la tecnica CBT di esposizione in vivo. Dopo due anni,
il paziente non aveva più alcun indice di demoralizzazione, non ha ripreso il
rapporto con la famiglia e non ha più avuto né epigastralgia né attacchi di
panico.
Disturbo immunitario e alexithymia
Il secondo è un caso di deficit selettivo di IgA (immunoglobine A, molecole
coinvolte nella risposta immunitaria) associato a un comportamento abnorme
di malattia atipico e a un’organizzazione alessitimia di personalità. È il caso di
Carla, una ragazza di 30 anni che ha una disfunzione autoimmune benigna –
deficit selettivo delle immunoglobine di tipo A. il deficit selettivo delle IGA è
una disfunzione immunitaria poco frequente, che viene definito “selettivo”
poiché l’assenza delle IgA è accompagnata comunque dalla normale presenza
delle altre immunoglobine e delle altre componenti del sistema immunitario.
La funzione delle IgA è essenziale perché consente la protezione delle superfici
del corpo. Nella maggior parte dei casi, gli individui con questo deficit sono del
tutto asintomatici, possono restare in buona salute per tutta la vita e non
essere mai diagnosticati. Una parte però si ammala molto frequentemente e
può essere a rischio di sviluppare patologie immunitarie serie, come l’artrite
reumatoide, il morbo celiaco o l’epatite cronica. Non potendo rimpiazzare
dall’esterno le IgA deficitarie, la terapia è di fatto inesistente e consiste nel
trattamento delle singole infezioni e dei singoli problemi fisici che di volta in
volta possono presentarsi. A Carla venne diagnosticato il deficit selettivo di IgA
in un periodo in cui ha avuto un’irritazione agli occhi e una bronchite
persistente. In seguito non ha più avuto infezioni o disturbi infiammatori di
rilievo o in eccesso ma da qualche mese iniziava a lamentare una diarrea
persistente, senza dolori addominali. Poiché diarrea e altri sintomi
gastrointestinali sono conseguenze della disfunzione immunitaria, il medico di
base ha effettuato i dovuti controlli strumentali che però non hanno dato esiti
positivi, così come non hanno dato risultati positivi i trattamenti sintomatici
per la diarrea. Il clima familiare generale è da sempre caratterizzata da
distanza e freddezza emotiva, al punto da non festeggiare mai feste come il
Natale, non scambiarsi mai gli auguri neanche per il compleanno, non farsi
mai regali di alcun tipo. Lo stesso clima freddo e distante ha caratterizzato
anche il rapporto con la sorella. Da quando le è stata diagnostica la sindrome
immunitaria, la paziente è terrorizzata dall’idea di vivere costantemente nel
dolore fisico, di non avere più autonomia nel fare le cose, di essere costretta a
vivere da vegetale. In realtà dice che queste preoccupazioni sono presenti ma
lei evita deliberatamente di pensarci. Fa finta pertanto che non esista nulla:
quando ha qualcosa, un raffreddore o un mal di gola, non prende niente,
spero solo che passi presto: non va dal medico, non prende farmaci, non ne
parla con nessuno. Carla da circa 3 anni ha iniziato la sua prima storia
sentimentale, afferma che non è innamorata, e di aver deciso di iniziare la
storia per non restare troppo tempo da sola, per avere la sensazione di stare
con qualcuno, per avere qualcosa da fare nei fine settimana. Di solito esce
poco di casa, non ha hobby e durante il tempo libero resta in camera sua a
guardare la televisione o un DVD. In una prospettiva psicosomatica, è
possibile sostenere che il fattore di predisposizione immunitaria ha un peso
relativo basso poiché non spiega se non molto parzialmente lo stile di vita di
Carla e, attualmente, non spiega la resistenza ai farmaci per la diarrea. Tre
sono i fattori psicologici con un peso relativo importante. Il primo è
l’amplificazione somatosensoriale: un meccanismo di base che innesca un
atteggiamento di ansia per la salute .Il 2 riguarda una modalità atipica di
comportamento abnorme di malattia: Carla da un lato, è molto preoccupata di
poter stare molto male a causa del deficit di IgA. Dall’altro, però, esibisce un
marcato comportamento di negazione di malattia: fa finta di non avere nulla,
non si cura quando ha qualche malanno, non va mai dal medico per i
controlli. Il 3 fattore è la presenza di marcati tratti alessitimici. Carla ha una
vita affettiva e relazionale molto piatta, povera di emotività, iper-adattata ai
ritmi lavorativi. Il rapporto sentimentale è molto freddo e privo di ogni
elemento passionale.: serve per annoiarsi di meno nel fine settimana. Afferma
di non sognare mai. Il peso relativo dell’alexithymia è molto alto nel delineare
sia la personalità di Carla sia il comportamento adottato nei confronti degli
altri e soprattutto nel modulare i comportamenti nei confronti della propria
salute. La personalità della paziente sembra caratterizzata da due componenti
di base: una di scarsa mentalizzazione e una di distanza interpersonale,
tipiche di uno stile di attaccamento timoroso che non le consentono di
comprendere il significato della malattia e delle relazioni interpersonali. Con
la paziente è stata intrapresa una psicoterapia a lungo termine della durata di
4 anni. Il trattamento è stato lungo e faticoso. L’impostazione terapeutica ha
seguito i principi della psicoterapia psicodinamica, basata fondamentalmente
sulla modificazione della forma più che dei contenuti degli interventi,
finalizzati ad ampliare la consapevolezza del proprio modo di vivere ed
elaborazione le emozioni e sul fare esperienze emotive correttive per poter
pensare agli affetti e integrarli maggiormente nella nozione di sé. A circa 3
anni di psicoterapia, si verificò un evento drammatico: il padre ebbe un ictus
che lo portò a vivere da invalido. Lentamente, il padre iniziò a farle tenerezza,
le faceva vederlo fragile. L’evento tragico del padre ha avuto un effetto molto
positivo su di lei perché ha quasi liberato l’accesso a emozioni fino ad allora
inesistenti. Nei mesi successivi la paziente ha iniziato a parlare della sua
malattia in modo diverso da prima, senza più evitare di pensarci come faceva
prima. Sul piano clinico vi sono stati sicuramente alcuni miglioramenti
sostanziali: la diarrea (sintomo iniziale) era regredita dopo 2 mesi di
trattamento e non si è più ripresentata poiché evidentemente era strettamente
connessa a uno stato di disregolazione emotiva; ha conosciuto una ragazza
molto sportiva che l’ha convinta ad andare in palestra; è maggiormente
consapevole di sé e soprattutto il rapporto con gli altri è molto più gratificante
e profondo sul piano della comprensione empatica e dell’affettività. Ha
conosciuto inoltre un gruppo ambientalista e spesso effettuano gite per
visitare parchi naturali. Molti aspetti di personalità e tratti alessitimici restano
invariati: la vita fantasmatica resta bloccata, non ha una chiara idea di
autonomia personale, non fa nulla di creativo e difficilmente prende lei
l’iniziativa nel parlare dei suoi problemi.