Cornelio Nepote - Digilander

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Cronelio Nepote
Alcibiades, 1
Latino
ALCIBIADES, Cliniae filius, Atheniensis. In hoc, quid natura efficere possit, videtur experta.
Constat enim inter omnes, qui de eo memoriae prodiderunt, nihil illo fuisse excellentius vel in vitiis
vel in virtutibus. 2 Natus in amplissima civitate summo genere, omnium aetatis suae multo
formosissimus, ad omnes res aptus consiliique plenus - namque imperator fuit summus et mari et
terra, disertus, ut in primis dicendo valeret, quod tanta erat commendatio oris atque orationis, ut
nemo ei [dicendo] posset resistere -, dives; 3 cum tempus posceret, laboriosus, patiens; liberalis,
splendidus non minus in vita quam victu; affabilis, blandus, temporibus callidissime serviens: 4
idem, simulac se remiserat neque causa suberat, quare animi laborem perferret, luxuriosus,
dissolutus, libidinosus, intemperans reperiebatur, ut omnes admirarentur in uno homine tantam esse
dissimilitudinem tamque diversam naturam.
Italiano
Alcibiade, figlio di Clinia, era Ateniese. In questo, pare che la natura abbia tentato di fare le
massime prove possibili. Infatti risulta evidente tra tutti quelli che hanno tramandato la sua
memoria, che nessuno più di lui è stato eccellente sia nei vizi che nelle virtù. Nato in una
grandissima città, di ottima famiglia, era di gran lunga il più bello di tutti nel suo tempo, adattissimo
e pieno di saggezza a tutte le cose anche le più difficili ( e infatti era un grandissimo comandante sia
in mare che in terra ); era eloquente tanto da farsi valere tra i primi nel dire, poiché era di un’
eloquenza tanto straordinaria che nessuno gli poteva resistere. Quando le circostanze lo
richiedevano, era laborioso, paziente , liberale, signorile nella vita pubblica e non meno nella vita
privata, era affabile, lusinghiero, poiché si adattava con astuzia alle circostanze. Egli stesso, nello
stesso tempo si era svagato e non c’ era motivo per cui sopportasse il dolore dell’ animo, era
considerato sregolato al massimo, dissoluto, capriccioso, così tanto che tutti si meravigliavano che
in un solo uomo ci fosse una così grande varietà di costumi ed una tanto diversa natura.
Alcibiades, 2
Latino
Educatus est in domo Pericli - privignus enim eius fuisse dicitur -, eruditus a Socrate; socerum
habuit Hipponicum, omnium Graeca lingua loquentium ditissimum: ut, si ipse fingere vellet, neque
plura bona comminisci neque maiora posset consequi, quam vel natura vel fortuna tribueret. Ineunte
adulescentia amatus est a multis amore Graecorum, in eis Socrate; de quo mentionem facit Plato in
symposio. Namque eum induxit commemorantem se pernoctasse cum Socrate neque aliter ab eo
surrexisse, ac filius a parente debuerit. Posteaquam robustior est factus, non minus multos amavit;
in quorum amore, quoad licitum est odiosa, multa delicate iocoseque fecit, quae referremus, nisi
maiora potiora haberemus.
Italiano
Fu allevato nella casa di Pericle -infatti si dice che fosse suo figliastro -, istruito da Socrate. Ebbe
per suocero Ipponico, di gran lunga il più ricco di tutti i Greci, sì che se anche avesse voluto
inventarsele, non avrebbe potuto immaginare più ricchezze né ottenerne di maggiori, rispetto a
quelle che o la natura o la fortuna gli aveva concesso. Nella sua prima giovinezza fu amato da molti,
come è costume dei Greci, fra cui Socrate e di questo fa cenno Platone nel Simposio. Infatti lo
introduce che ricorda di aver dormito con Socrate e di essersi alzato dal suo letto non altrimenti che
un figlio si sarebbe alzato dal letto del padre. Dopo che divenne più maturo, ne amò a sua volta
altrettanti e nel corso di questi amori commise, finché gli fu lecito, atti biasimevoli, ma anche molti
raffinati e spiritosi. Li riferiremmo se non avessimo da parlare di cose più serie ed importanti.
Alcibiades, 3
Latino
Bello Peloponnesio huius consilio atque auctoritate Athenienses bellum Syracusanis indixerunt; ad
quod gerendum ipse dux delectus est, duo praeterea collegae dati, Nicia et Lamachus. Id cum
appararetur, priusquam classis exiret, accidit, ut una nocte omnes Hermae, qui in oppido erant
Athenis, deicerentur praeter unum, qui ante ianuam erat Andocidi. Itaque ille postea Mercurius
Andocidi vocitatus est. Hoc cum appareret non sine magna multorum consensione esse factum,
quae non ad privatam, sed publicam rem pertineret, magnus multitudini timor est iniectus, ne qua
repentina vis in civitate exsisteret, quae libertatem opprimeret populi. Hoc maxime convenire in
Alcibiadem videbatur, quod et potentior et maior quam privatus existimabatur. Multos enim
liberalitate devinxerat, plures etiam opera forensi suos reddiderat. Qua re fiebat, ut omnium oculos,
quotienscumque in publicum prodisset, ad se converteret neque ei par quisquam in civitate
poneretur. Itaque non solum spem in eo habebant maximam, sed etiam timorem, quod et obesse
plurimum et prodesse poterat. Aspergebatur etiam infamia, quod in domo sua facere mysteria
dicebatur; quod nefas erat more Atheniensium, idque non ad religionem, sed ad coniurationem
pertinere existimabatur.
Italiano
Durante la guerra del Peloponneso gli Ateniesi, seguendo il suo autorevole parere, dichiararono
guerra ai Siracusani; ed a condurla fu scelto come comandante lui stesso; gli furono inoltre
assegnati due colleghi, Nicia e Lámaco. Mentre si facevano i preparativi, prima che la flotta uscisse
dal porto, accadde che in una stessa notte tutte le erme della città venissero abbattute tranne una,
che si trovava davanti alla casa di Andocide: così quella fu in seguito chiamata il Mercurio di
Andocide. Siccome era evidente che l\'azione era stata compiuta con la complicità di molti, che non
avevano di mira faccende private, ma dello Stato, la gente fu presa da una grande paura che
all\'improvviso scaturisse nella città un colpo di Stato per sopprimere la libertà. Sembrava che tutto
questo si addicesse a pennello ad Alcibiade, dato che era abbastanza potente e più che un privato
cittadino: infatti molti aveva legato a sé con la sua generosità, più ancora aveva fatto suoi sostenitori
con la sua attività forense. Per questo motivo, ogni volta che si presentava in pubblico, attirava su di
sé gli occhi di tutti e nessuno nella città era considerato pari a lui. Così riponevano in lui non solo
una grandissima speranza ma anche timore perché poteva fare del bene o del male in sommo grado.
Godeva inoltre di cattiva fama perché si vociferava che in casa sua praticasse i misteri, cosa empia
per gli Ateniesi e si riteneva che ciò avesse a che fare non tanto con la religione quanto con una
congiura.
Alcibiades, 4
Latino
Hoc crimine in contione ab inimicis compellabatur. Sed instabat tempus ad bellum proficiscendi. Id
ille intuens neque ignorans civium suorum consuetudinem postulabat, si quid de se agi vellent,
potius de praesente quaestio haberetur, quam absens invidiae crimine accusaretur. 2 Inimici vero
eius quiescendum in praesenti, quia noceri non posse intellegebant, et illud tempus exspectandum
decreverunt, quo exisset, ut absentem aggrederentur; itaque fecerunt. 3 Nam postquam in Siciliam
eum pervenisse crediderunt, absentem, quod sacra violasset, reum fecerunt. Qua de re cum ei
nuntius a magistratu in Siciliam missus esset, ut domum ad causam dicendam rediret, essetque in
magna spe provinciae bene administrandae, non parere noluit et in trierem, quae ad eum erat
deportandum missa, ascendit. 4 Hac Thurios in Italiam pervectus, multa secum reputans de
immoderata civium suorum licentia crudelitateque erga nobiles, utilissimum ratus impendentem
evitare tempestatem clam se ab custodibus subduxit et inde primum Elidem, dein Thebas venit. 5
Postquam autem se capitis damnatum bonis publicatis audivit et, id quod usu venerat, Eumolpidas
sacerdotes a populo coactos, ut se devoverent, eiusque devotionis, quo testatior esset memoria,
exemplum in pila lapidea incisum esse positum in publico, Lacedaemonem demigravit. 6 Ibi, ut ipse
praedicare consuerat, non adversus patriam, sed inimicos suos bellum gessit, qui eidem hostes
essent civitati: nam cum intellegerent se plurimum prodesse posse rei publicae, ex ea eiecisse
plusque irae suae quam utilitati communi paruisse. 7 Itaque huius consilio Lacedaemonii cum Perse
rege amicitiam fecerunt, dein Deceleam in Attica munierunt praesidioque ibi perpetuo posito in
obsidione Athenas tenuerunt; eiusdem opera Ioniam a societate averterunt Atheniensium; quo facto
multo superiores bello esse coeperunt.
Italiano
Nell\'assemblea popolare era accusato di questo crimine dai suoi nemici. Ma incalzava il tempo di
partire per la guerra. Pensando egli a questo e ben conoscendo le abitudini dei suoi concittadini,
chiedeva che se volessero intraprendere\' un\'azione penale contro di lui, si facesse subito l\'indagine
giudiziaria piuttosto che essere citato assente per un\'accusa dei malevoli. 2 I suoi nemici però
capivano che per il momento bisognava star calmi, perché non si poteva nuocergli e decisero di
aspettare quando fosse partito, per attaccarlo durante la sua assenza. E così fecero. 3 Infatti, quando
ritennero che fosse giunto in Sicilia, lo accusarono assente di aver profanato i misteri. Per questo gli
fu spedito in Sicilia un messo dal magistrato, con l\'ordine di ritornare per difendersi ed egli, che
nutriva molte speranze di poter adempiere bene alla sua missione, non volle disubbidire e si
imbarcò su una trireme mandata apposta per riportarlo. 4 Arrivato con questa a Turii in Italia,
riflettendo molto tra sé e sé sulla licenza senza freno dei suoi concittadini e sulla loro crudeltà
contro i nobili, ritenne la soluzione migliore di evitare l\'imminente tempesta, e quindi si sottrasse di
nascosto ai suoi guardiani e da lì andò prima nell\'Elide, poi a Tebe. 5 Quando poi venne a sapere di
essere stato condannato a morte, alla confisca dei beni e, cosa che accadeva spesso, che i sacerdoti
Eumolpidi erano stati costretti dal popolo a scomunicarlo e una copia della scomunica, perché ne
rimanesse più sicura memoria, incisa su una colonnetta di pietra, era stata esposta in pubblico, se ne
andò a Sparta. 6 Lì, come soleva ripetere, condusse una guerra non contro la patria, ma contro i suoi
avversari, perché erano anche i nemici della città; i quali benché capissero che lui poteva essere di
grande aiuto allo Stato, lo avevano cacciato e avevano ubbidito più al proprio risentimento che
all\'interesse comune. 7 Così dietro suo suggerimento gli Spartani strinsero amicizia con il re di
Persia; quindi fortificarono Decelèa nell\'Attica e, posto ivi un presidio permanente, strinsero
d\'assedio Atene. Sempre per opera sua allontanarono la lonia dall\'alleanza con gli Ateniesi. Da
quel momento cominciò la netta supremazia degli Spartani nella guerra.
Alcibiades, 5
Latino
Neque vero his rebus tam amici Alcibiadi sunt facti quam timore ab eo alienati. Nam cum acerrimi
viri praestantem prudentiam in omnibus rebus cognoscerent, pertimuerunt, ne caritate patriae ductus
aliquando ab ipsis descisceret et cum suis in gratiam rediret. Itaque tempus eius interficiundi
quaerere instituerunt. Id Alcibiades diutius celari non potuit. Erat enim ea sagacitate, ut decipi non
posset, praesertim cum animum attendisset ad cavendum. Itaque ad Tissaphernem, praefectum regis
Darii, se contulit. Cuius cum in intimam amicitiam pervenisset et Atheniensium male gestis in
Sicilia rebus opes senescere, contra Lacedaemoniorum crescere videret, initio cum Pisandro
praetore, qui apud Samum exercitum habebat, per internuntios colloquitur et de reditu suo facit
mentionem. Erat enim eodem, quo Alcibiades, sensu, populi potentiae non amicus et optimatium
fautor. Ab hoc destitutus primum per Thrasybulum, Lyci filium, ab exercitu recipitur praetorque fit
apud Samum; post suffragante Theramene populi scito restituitur parique absens imperio praeficitur
simul cum Thrasybulo et Theramene. Horum in imperio tanta commutatio rerum facta est, ut
Lacedaemonii, qui paulo ante victores viguerant, perterriti pacem peterent. Victi enim erant quinque
proeliis terrestribus, tribus navalibus, in quibus ducentas naves triremes amiserant, quae captae in
hostium venerant potestatem. Alcibiades simul cum collegis receperat Ioniam, Hellespontum,
multas praeterea urbes Graecas, quae in ora sitae sunt Asiae, quarum expugnarant complures, in his
Byzantium, neque minus multas consilio ad amicitiam adiunxerant, quod in captos clementia
fuerant usi. Ita praeda onusti, locupletato exercitu, maximis rebus gestis Athenas venerunt.
Italiano
Ma pur con questi successi, gli Spartani non tanto divennero amici di Alcibiade, quanto gli si fecero
nemici per paura. Infatti conoscendo di quell\'uomo tanto energico la grande intelligenza in tutte le
cose, temettero che spinto dall\'amor di patria, una volta o l\'altra si staccasse da loro e si
riconciliasse con i propri concittadini. Così cominciarono a cercar l\'occasione di ucciderlo. La cosa
non poté rimanere a lungo celata ad Alcibiade; aveva infatti un fiuto infallibile, soprattutto quando
avesse predisposto la mente a star all\'erta. Così si rifugiò da Tissaferne, satrapo del re Dario. Ne
divenne intimo amico e poiché vedeva che la potenza degli Ateniesi, per l\'infelice impresa di
Sicilia, declinava, mentre aumentava quella degli Spartani, in un primo momento per mezzo di
intermediari entra in trattativa con lo stratego Pisandro che aveva l\'esercito presso Samo e accenna
al suo ritorno: questi infatti era delle stesse idee politiche di Alcibiade, ostile al potere del popolo e
fautore degli ottimati. Abbandonato da costui, prima grazie a Trasibulo, figlio di Lico, viene
riammesso nell\'esercito e ottiene un comando presso Samo, poi, coll\'appoggio di Terámene, per
decreto dei popolo viene riabilitato e benché assente ottiene il comando militare insieme con
Trasibulo e Terámene. Durante il loro comando, ci fu un così grande cambiamento della situazione,
che gli Spartani, che poco prima erano vittoriosi e potenti, atterriti chiesero la pace. Erano stati vinti
infatti in cinque battaglie terrestri, tre navali, in cui avevano perso duecento trirerni catturate e
cadute in potere dei nemici. Alcibiade insieme con i colleghi aveva riconquistato la Ionia,
l\'Ellesponto, inoltre parecchie città greche delle coste dell\'Asia, parecchie delle quali avevano
espugnate, tra queste Bisanzio, e altrettante se le erano fatte alleate, con una politica lungimirante
perché avevano usato clemenza con i prigionieri. Così carichi di preda, avendo arricchito l\'esercito,
e compiuto imprese grandiose, tornarono ad Atene.
Alcibiades, 6
Latino
His cum obviam universa civitas in Piraeum descendisset, tanta fuit omnium exspectatio visendi
Alcibiadis, ut ad eius triremem vulgus conflueret, proinde ac si solus advenisset. 2 Sic enim populo
erat persuasum, et adversas superiores et praesentes secundas res accidisse eius opera. Itaque et
Siciliae amissum et Lacedaemoniorum victorias culpae suae tribuebant, quod talem virum e civitate
expulissent. Neque id sine causa arbitrari videbantur. Nam postquam exercitui praeesse coeperat,
neque terra neque mari hostes pares esse potuerant. 3 Hic ut e navi egressus est, quamquam
Theramenes et Thrasybulus eisdem rebus praefuerant simulque venerant in Piraeum, tamen unum
omnes illum prosequebantur, et, id quod numquam antea usu venerat nisi Olympiae victoribus,
coronis laureis taeniisque vulgo donabatur. Ille lacrumans talem benevolentiam civium suorum
accipiebat reminiscens pristini temporis acerbitatem. 4 Postquam astu venit, contione advocata sic
verba fecit, ut nemo tam ferus fuerit, quin eius casui illacrumarit inimicumque iis se ostenderit,
quorum opera patria pulsus fuerat, proinde ac si alius populus, non ille ipse, qui tum flebat, eum
sacrilegii damnasset. 5 Restituta ergo huic sunt publice bona, eidemque illi Eumolpidae sacerdotes
rursus resacrare sunt coacti, qui eum devoverant, pilaeque illae, in quibus devotio fuerat scripta, in
mare praecipitatae.
Italiano
Giacchè tutta la popolazione era scesa loro incontro al Pireo, divenne così grande l\'attesa di tutti di
vedere Alcibiade che la gente confluì alla sua trireme proprio come se lui fosse giunto da solo. 2.
Infatti il popolo era convinto che le precedenti disfatte e le attuali vittorie si erano verificate per
opera sua. Così imputavano a loro stessi la colpa della perdita della Sicilia e delle vittorie degli
Spartani, dal momento che avevano allontanato dalla città un tale uomo. E sembrava che pensassero
questo non senza ragione. Infatti, dopo che cominciò ad essere a comando dell\'esercito, nè per terra
nè per mare i nemici poterono essere pari. 3.Qui appena scese dalla nave, nonostante Teramene e
Trasibulo fossero stati a capo delle medesime imprese e nonostante fossero giunti insieme al Pireo,
tutti seguivano lui solo e, cosa che mai era stata in uso prima - se non per i vincitori a Olimpia -, gli
venivano donati dal popolo corone di alloro e nastri. Lui riceveva commosso tale benevolenza dei
suoi concittadini ricordando l\'asprezza dei loro rapporti precedenti. 4. Dopo che giunse in città,
convocata un\'assemblea, parlò in un modo tale che nessuno fu tanto duro da non piangere delle sue
disgrazie e da non mostrarsi nemico di coloro a causa dei quali era stato cacciato dalla patria, come
se un altro popolo, e non quello stesso che allora piangeva, lo avesse condannato per sacrilegio. 5.
Poi gli furono restituiti pubblicamente i suoi beni e i sacerdoti Eumolpidi, gli stessi che lo avevano
scomunicato, furono costretti a benedirlo di nuovo e le colonne su cui era stata scritta la scomunica
furono gettate in mare.
Alcibiades, 6
Latino
His cum obviam universa civitas in Piraeum descendisset, tanta fuit omnium exspectatio visendi
Alcibiadis, ut ad eius triremem vulgus conflueret, proinde ac si solus advenisset. 2 Sic enim populo
erat persuasum, et adversas superiores et praesentes secundas res accidisse eius opera. Itaque et
Siciliae amissum et Lacedaemoniorum victorias culpae suae tribuebant, quod talem virum e civitate
expulissent. Neque id sine causa arbitrari videbantur. Nam postquam exercitui praeesse coeperat,
neque terra neque mari hostes pares esse potuerant. 3 Hic ut e navi egressus est, quamquam
Theramenes et Thrasybulus eisdem rebus praefuerant simulque venerant in Piraeum, tamen unum
omnes illum prosequebantur, et, id quod numquam antea usu venerat nisi Olympiae victoribus,
coronis laureis taeniisque vulgo donabatur. Ille lacrumans talem benevolentiam civium suorum
accipiebat reminiscens pristini temporis acerbitatem. 4 Postquam astu venit, contione advocata sic
verba fecit, ut nemo tam ferus fuerit, quin eius casui illacrumarit inimicumque iis se ostenderit,
quorum opera patria pulsus fuerat, proinde ac si alius populus, non ille ipse, qui tum flebat, eum
sacrilegii damnasset. 5 Restituta ergo huic sunt publice bona, eidemque illi Eumolpidae sacerdotes
rursus resacrare sunt coacti, qui eum devoverant, pilaeque illae, in quibus devotio fuerat scripta, in
mare praecipitatae.
Italiano
Giacchè tutta la popolazione era scesa loro incontro al Pireo, divenne così grande l\'attesa di tutti di
vedere Alcibiade che la gente confluì alla sua trireme proprio come se lui fosse giunto da solo. 2.
Infatti il popolo era convinto che le precedenti disfatte e le attuali vittorie si erano verificate per
opera sua. Così imputavano a loro stessi la colpa della perdita della Sicilia e delle vittorie degli
Spartani, dal momento che avevano allontanato dalla città un tale uomo. E sembrava che pensassero
questo non senza ragione. Infatti, dopo che cominciò ad essere a comando dell\'esercito, nè per terra
nè per mare i nemici poterono essere pari. 3.Qui appena scese dalla nave, nonostante Teramene e
Trasibulo fossero stati a capo delle medesime imprese e nonostante fossero giunti insieme al Pireo,
tutti seguivano lui solo e, cosa che mai era stata in uso prima - se non per i vincitori a Olimpia -, gli
venivano donati dal popolo corone di alloro e nastri. Lui riceveva commosso tale benevolenza dei
suoi concittadini ricordando l\'asprezza dei loro rapporti precedenti. 4. Dopo che giunse in città,
convocata un\'assemblea, parlò in un modo tale che nessuno fu tanto duro da non piangere delle sue
disgrazie e da non mostrarsi nemico di coloro a causa dei quali era stato cacciato dalla patria, come
se un altro popolo, e non quello stesso che allora piangeva, lo avesse condannato per sacrilegio. 5.
Poi gli furono restituiti pubblicamente i suoi beni e i sacerdoti Eumolpidi, gli stessi che lo avevano
scomunicato, furono costretti a benedirlo di nuovo e le colonne su cui era stata scritta la scomunica
furono gettate in mare.
Alcibiades, 7
Latino
Haec Alcibiadi laetitia non nimis fuit diuturna. Nam cum ei omnes essent honores decreti totaque
res publica domi bellique tradita, ut unius arbitrio gereretur, et ipse postulasset, ut duo sibi collegae
darentur, Thrasybulus et Adimantus, neque id negatum esset, classe in Asiam profectus, quod apud
Cymen minus ex sententia rem gesserat, in invidiam recidit. 2 Nihil enim eum non efficere posse
ducebant. Ex quo fiebat, ut omnia minus prospere gesta culpae tribuerent, cum aut eum neglegenter
aut malitiose fecisse loquerentur; sicut tum accidit. Nam corruptum a rege capere Cymen noluisse
arguebant. 3 Itaque huic maxime putamus malo fuisse nimiam opinionem ingenii atque virtutis.
Timebatur enim non minus quam diligebatur, ne secunda fortuna magnisque opibus elatus
tyrannidem concupisceret. Quibus rebus factum est, ut absenti magistratum abrogarent et alium in
eius locum substituerent. 4 Id ille ut audivit, domum reverti noluit et se Pactyen contulit ibique tria
castella communiit, Ornos, Bisanthen, Neontichos, manuque collecta primus Graecae civitatis in
Thraeciam introiit, gloriosius existimans barbarum praeda locupletari quam Graiorum. 5 Qua ex re
creverat cum fama tum opibus magnamque amicitiam sibi cum quibusdam regibus Thraeciae
pepererat. Neque tamen a caritate patriae potuit recedere.
Italiano
Questa letizia di Alcibiade non durò troppo a lungo. Infatti gli erano state decretate tutte le cariche e
affidati tutti i poteri dello Stato in pace e in guerra, sì che esso veniva governato dall\'arbitrio di lui
solo; dopo aver chiesto ed ottenuto che gli fossero dati come colleghi Trasibulo e Adimanto, fece
una spedizione navale in Asia; ma presso Cime le cose non andarono secondo le attese e quindi
ricadde nell\'odio: 2 ritenevano infatti che non ci fosse nulla che non potesse riuscirgli. Ne
conseguiva che gli imputassero a colpa tutti gli insuccessi, dicendo che aveva agito o con
negligenza o per tradimento. E così accadde anche allora: infatti lo accusavano di non aver voluto
conquistare Cime, perché corrotto dal re. 3 Per cui riteniamo che gli nuocesse soprattutto
l\'eccessiva considerazione del suo ingegno e del suo valore. Era infatti temuto non meno che
amato: c\'era il rischio che imbaldanzito dalla buona sorte e dalla grande potenza potesse aspirare
alla tirannide. Avvenne così che gli revocarono, mentre era assente, l\'incarico e gli sostituirono un
altro. 4 Come lo venne a sapere, non volle tornare in patria e si diresse a Pattia e li fece fortificare
tre borghi, Orno, Bizante, Neontico e, radunata una schiera, primo di tutti i Greci penetrò nella
Tracia, ritenendo più glorioso arricchirsi con le prede dei barbari che dei Greci. 5 Perciò si era
arricchito sia di fama che di mezzi e si era legato di stretta amicizia con alcuni re della Tracia.
Alcibiades, 8
Latino
Neque tamen a caritate patriae potuit recedere.Nam cum apud Aegos flumen Philocles, praetor
Atheniensium, classem constituisset suam neque longe abesset Lysander, praetor
Lacedaemoniorum, qui in eo erat occupatus, ut bellum quam diutissime duceret, quod ipsis pecunia
a rege suppeditabatur, contra Atheniensibus exhaustis praeter arma et navis nihil erat super,
Alcibiades ad exercitum venit Atheniensium ibique praesente vulgo agere coepit: si vellent, se
coacturum Lysandrum dimicare aut pacem petere spondet; Lacedaemonios eo nolle classe
confligere, quod pedestribus copiis plus quam navibus valerent: sibi autem esse facile Seuthem,
regem Thraecum, deducere, ut eum terra depelleret; quo facto necessario aut classe conflicturum aut
bellum compositurum. Id etsi vere dictum Philocles animadvertebat, tamen postulata facere noluit,
quod sentiebat se Alcibiade recepto nullius momenti apud exercitum futurum et, si quid secundi
evenisset, nullam in ea re suam partem fore, contra ea, si quid adversi accidisset, se unum eius
delicti futurum reum. Ab hoc discedens Alcibiades `Quoniam\' inquit `victoriae patriae repugnas,
illud moneo, ne iuxta hostem castra habeas nautica: periculum est enim, ne immodestia militum
vestrorum occasio detur Lysandro vestri opprimendi exercitus\'. Neque ea res illum fefellit. Nam
Lysander cum per speculatores comperisset vulgum Atheniensium in terram praedatum exisse
navesque paene inanes relictas, tempus rei gerendae non dimisit eoque impetu bellum totum delevit.
Italiano
Ma non poté rinunciare all\'amore di patria. Difatti quando Filocle, comandante degli Ateniesi,
ancorò la flotta presso Egospotami e vicino c\'era Lisandro, comandante degli Spartani, che si dava
da fare per protrarre quanto più poteva la guerra, perché a loro forniva il denaro necessario il re di
Persia, mentre agli Ateniesi esausti non rimanevano che le armi e le navi, Alcibiade si recò presso
l\'esercito ateniese e lì alla presenza della truppa cominciò a parlare così: se volevano, egli avrebbe
costretto Lisandro a combattere o a chiedere la pace; gli Spartani non volevano combattere in mare,
perché erano più forti nell\'esercito di terra che nella flotta; ma per lui era comunque facile
convincere Seute,il re dei Traci, a cacciare Lisandro dal continente: per cui sarebbe stato costretto o
a combattere per mare o a far la pace. Filocle si rendeva conto che le cose che quello diceva erano
giuste, tuttavia non volle fare quanto richiesto, perché capiva che se avesse accolto Alcibiade, lui
nell\'esercito non avrebbe più contato nulla e nel caso di qualche successo, non gliene sarebbe stato
riconosciuto alcun merito; nel caso di una sconfitta, sarebbe stato ritenuto l\'unico responsabile
dell\'errore. Andandosene da lui Alcibiade disse: "Poiché ti opponi alla vittoria della patria, ti
avverto di una cosa: non tenere vicino al nemico gli schieramenti navali: \'è infatti il pericolo che
per l\'indisciplina dei vostri soldati si dia a Lisandro l\'occasione di annientare il vostro esercito". E
non si ingannò a tale proposito. Infatti Lisandro, avendo appreso dai suoi osservatori che il grosso
dell\'esercito ateniese era sbarcato per depredare e che le navi erano rimaste quasi vuote, non si
lasciò sfuggire l\'occasione di attaccare e con quel solo assalto pose fine a tutta la guerra.
Alcibiades, 9
Latino
At Alcibiades, victis Atheniensibus non satis tuta eadem loca sibi arbitrans, penitus in Thraeciam se
supra Propontidem abdidit, sperans ibi facillime suam fortunam occuli posse. Falso. Nam Thraeces,
postquam eum cum magna pecunia venisse senserunt, insidias fecerunt; qui ea, quae apportarat,
abstulerunt, ipsum capere non potuerunt. Ille cernens nullum locum sibi tutum in Graecia propter
potentiam Lacedaemoniorum, ad Pharnabazum in Asiam transiit; quem quidem adeo sua cepit
humanitate, ut eum nemo in amicitia antecederet. Namque ei Grynium dederat, in Phrygia castrum,
ex quo quinquagena talenta vectigalis capiebat. Qua fortuna Alcibiades non erat contentus neque
Athenas victas Lacedaemoniis servire poterat pati. Itaque ad patriam liberandam omni ferebatur
cogitatione. Sed videbat id sine rege Perse non posse fieri ideoque eum amicum sibi cupiebat
adiungi neque dubitabat facile se consecuturum, si modo eius conveniundi habuisset potestatem.
Nam Cyrum fratrem ei bellum clam parare Lacedaemoniis adiuvantibus sciebat: id si aperuisset,
magnam se initurum gratiam videbat.
Italiano
Ma Alcibiade, dopo la sconfitta degli Atenicsi, ritenendo che quei luoghi non fossero
sufficientemente sicuri per lui, si nascose all\'interno della Tracia, oltre la Propontide, sperando che
lì molto facilmente avrebbe potuto tener nascosti i suoi averi. Si sbagliava. Infatti quando i Traci si
accorsero che era arrivato con una grande quantità di denaro, gli tesero un agguato: gli portarono
via quello che aveva recato con sé, ma non riuscirono a prenderlo. lcibiade, rendendosi conto che
nessun luogo nella Grecia era per lui sicuro per lo strapotere degli Spartani, passò in Asia da
Farnabazo e lo legò talmente a sé con i suoi modi affabili, da divenire il suo più intimo amico. E
così gli concesse Grinio, un castello in Frigia, da cui ricavava un tributo di cinquanta talenti. Ma
Alcibiade non si sentiva pago di questa fortuna e non riusciva a darsi pace che Atene vinta fosse
sotto il giogo degli Spartani. E così tutti i suoi pensieri erano rivolti a liberare la patria. Ma capiva
che ciò non poteva realizzarsi senza il re di Persia e perciò desiderava farselo amico ed era certo che
ci sarebbe riuscito se solo avesse avuto la possibilità di incontrarlo. Sapeva infatti che il fratello
Ciro, gli preparava in segreto una guerra con l\'aiuto degli Spartani; se glielo avesse rivelato, capiva
che avrebbe conquistato pienamente il suo favore.
Alcibiades, 10
Latino
Hoc cum moliretur peteretque a Pharnabazo, ut ad regem mitteretur, eodem tempore Critias
ceterique tyranni Atheniensium certos homines ad Lysandrum in Asiam miserant, qui eum
certiorem facerent, nisi Alcibiadem sustulisset, nihil earum rerum fore ratum, quas ipse Athenis
constituisset: quare, si suas res gestas manere vellet, illum persequeretur. His Laco rebus commotus
statuit accuratius sibi agendum cum Pharnabazo. Huic ergo renuntiat, quae regi cum Lacedaemoniis
essent, nisi Alcibiadem vivum aut mortuum sibi tradidisset. Non tulit hunc satrapes et violare
clementiam quam regis opes minui maluit. Itaque misit Susamithren et Bagaeum ad Alcibiadem
interficiendum, cum ille esset in Phrygia iterque ad regem compararet. Missi clam vicinitati, in qua
tum Alcibiades erat, dant negotium, ut eum interficiant. Illi cum ferro aggredi non auderent, noctu
ligna contulerunt circa casam eam, in qua quiescebat, eaque succenderunt, ut incendio conficerent,
quem manu superari posse diffidebant. Ille autem ut sonitu flammae est excitatus, etsi gladius ei
erat subductus, familiaris sui subalare telum eripuit. Namque erat cum eo quidam ex Arcadia
hospes, qui numquam discedere voluerat. Hunc sequi se iubet et id, quod in praesentia
vestimentorum fuit, arripit. His in ignem eiectis flammae vim transiit. Quem ut barbari incendium
effugisse viderunt, telis eminus missis interfecerunt caputque eius ad Pharnabazum rettulerunt. At
mulier, quae cum eo vivere consuerat, muliebri sua veste contectum aedificii incendio mortuum
cremavit, quod ad vivum interimendum erat comparatum. Sic Alcibiades annos circiter XL natus
diem obiit supremum.
Italiano
Si dava dunque da fare per questo piano e chiedeva a Farnabazo di essere inviato dal re; nel
medesimo tempo però Crizia e gli altri tiranni degli Ateniesi avevano mandato uomini fidati in Asia
da Lisandro per avvisarlo che se non avesse tolto di mezzo Alcibiade, nessuno dei provvedimenti da
lui presi per Atene sarebbe stato duraturo; per cui se voleva che la sua opera rimanesse, doveva
dargli la caccia. Lo Spartano, impressionato da questa notizia, stabilì di trattare in modo più stretto
con Farnabazo. Dunque gli fa sapere che l\'alleanza tra gli Spartani ed il re sarebbe stata annullata
se non gli avesse consegnato vivo o morto Alcibiade. Il satrapo non seppe tener testa a costui e
preferì violare lo spirito di umanità che vedere diminuita la potenza del re. Così mandò Susamitre e
Bageo ad uccidere Alcibiade, mentre lui era in Frigia e si apprestava ad andare dal re. Gli inviati
incaricano segretamente alcuni che abitavano vicino ad Alcibiade, di ucciderlo. Siccome quelli non
osavano attaccarlo con le armi, di notte accatastarono della legna intorno alla capanna in cui
dormiva e le dettero fuoco in modo da uccidere con le fiamme quello che non erano sicuri di poter
vincere con la spada. Ma lui come fu svegliato dal crepitio delle fiamme, sebbene gli fosse stata
portata via la spada, afferrò da un amico lo stiletto che portava sotto l\'ascella: c\'era infatti con lui
un ospite dell\'Arcadia che non aveva voluto mai separarsi da lui. Gli ordina di seguirlo e arraffa
tutte le vesti che in quel momento poté trovare. Gettatele sul fuoco, poté sfuggire alla violenza delle
fiamme. Quando i barbari videro che era sfuggito all\'incendio, scagliarono da lontano dei dardi e lo
uccisero e portarono la sua testa a Farnabazo. Ma la donna che viveva abitualmente con lui, lo
coperse con la sua veste muliebre e lo cremò, morto, nell\'incendio dell\'edificio, suscitato per
anilientarlo da vivo. Così morì Alcibiade all\'età di circa quaranta anni.
Alcibiades, 11
Latino
Hunc infamatum a plerisque tres gravissimi historici summis laudibus extulerunt: Thucydides, qui
eiusdem aetatis fuit, Theopompus, post aliquanto natus, et Timaeus: qui quidem duo
maledicentissimi nescio quo modo in illo uno laudando consentiunt. Namque ea, quae supra
scripsimus, de eo praedicarunt atque hoc amplius: cum Athenis, splendidissima civitate, natus esset,
omnes splendore ac dignitate superasse vitae; postquam inde expulsus Thebas venerit, adeo studiis
eorum inservisse, ut nemo eum labore corporisque viribus posset aequiperare - omnes enim Boeotii
magis firmitati corporis quam ingenii acumini inserviunt; undem apud Lacedaemonios, quorum
moribus summa virtus in patientia ponebatur, sic duritiae se dedisse, ut parsimonia victus atque
cultus omnes Lacedaemonios vinceret; fuisse apud Thracas, homines vinolentos rebusque veneriis
deditos; hos quoque in his rebus antecessisse; venisse ad Persas, apud quos summa laus esset
fortiter venari, luxuriose vivere: horum sic imitatum consuetudinem, ut illi ipsi eum in his maxime
admirarentur. Quibus rebus effecisse, ut, apud quoscumque esset, princeps poneretur habereturque
carissimus. Sed satis de hoc; reliquos ordiamur.
Italiano
Denigrato da molti, tre autorevolissimi storici lo esaltarono in sommo grado: Tucidide che fu suo
contemporaneo; Teopompo, che visse qualche tempo dopo, e Timeo: questi due benché molto
maldicenti, non so come mai, si trovano d\'accordo nell\'esaltare lui soltanto. Infatti hanno celebrato
le virtù di cui prima abbiamo parlato ed hanno aggiunto questo: benché nato nella splendidissima
città di Atene, superò in splendore e prestigio tutti. Quando, bandito dalla patria, andò a Tebe, si
adattò tanto alle loro abitudini, che nessuno poteva uguagliarlo nella capacità di resistenza fisica
(tutti i Beoti infatti tengono più alla robustezza dei corpo che all\'acume dell\'intelletto); parimenti a
Sparta dove la più alta virtù era riposta nella capacità di sopportazione, si dedicò ad una vita austera
tanto da superare gli Spartani nella frugalità del mangiare e del vestire; visse in mezzo ai Traci,
ubriaconi e lussuriosi: superò anche loro in queste abitudini; si recò tra i Persiani, per i quali era
somma gloria essere abili cacciatori e vivere sontuosamente: imitò così bene i loro costumi, da
suscitare in questo la loro ammirazione. Insomma con queste sue doti ottenne che, dovunque si
trovasse, fosse considerato il primo e fosse molto amato. Ma basta di lui: passiamo ad altri.
Aristides, 1
Latino
[1] Aristides, Lysimachi filius, Atheniensis, aequalis fere fuit Themistocli. Itaque cum eo de
principatu contendit; namque obtrectarunt inter se. [2] In his autem cognitum est, quanto antestaret
eloquentia innocentiae. Quamquam enim adeo excellebat Aristides abstinentia, ut unus post
hominum memoriam, quem quidem nos audierimus, cognomine Iustus sit appellatus, tamen a
Themistocle collabefactus, testula illa exsilio decem annorum multatus est. [3] Qui quidem cum
intellegeret reprimi concitatam multitudinem non posse cedensque animadvertisset quendam
scribentem, ut patria pelleretur, quaesisse ab eo dicitur, quare id faceret aut quid Aristides
commisisset, cur tanta poena dignus duceretur. [4] Cui ille respondit se ignorare Aristiden, sed sibi
non placere, quod tam cupide elaborasset, ut praeter ceteros Iustus appellaretur. [5] Hic X annorum
legitimam poenam non pertulit. Nam postquam Xerxes in Graeciam descendit, sexto fere anno,
quam erat expulsus, populi scito in patriam restitutus est.
Italiano
[1] Aristide ,figlio di Lisimaco, fu quasi coetaneo di Temistocle, così lottò con lui per il primato:
infatti furono fra loro rivali. [2] In questi si poté constatare anche quanto più l’eloquenza fosse
superiore alla rettitudine. Infatti per quanto Aristide fosse superiore per il disinteressamento così
che unico a memoria, , per quanto abbiamo udito, fu soprannominato il Giusto, tuttavia, screditato
nella reputazione da Temistocle fu multato con l’esilio per dieci anni, con il ben noto sistema dell’
ostracismo. [3] E poiché comprendeva che non era possibile calmare la folla , e andandosene ,
avendo visto un tizio che scriveva , affinché (Aristide) fosse cacciato dalla patria, cercò di sapere da
lui perché facesse ciò , o che cosa Aristide avesse commesso, perché ritenuto degno di una pena
così grave. [4] E questo gli rispose che non conosceva affatto Aristide , ma che non gli piaceva ,
perché si era adoperato tanto con tanto zelo da essere soprannominato il Giusto , più di ogni altro.
[5] Questo tuttavia non scontò la legittima pena per dieci anni. Infatti dopo che Serse scese in
Grecia , quasi sei anni dopo che era stato cacciato, fu richiamato in patria per deliberazione del
popolo.
Cabria 2
Latino
Chabrias autem multa in Europa bella administravit, cum dux Atheniensium esset; in Aegypto sua
sponte gessit. Nam Nectenebin adiutum profectus regnum ei constituit. Fecit idem Cypri, sed
publice ab Atheniensibus Euagorae adiutor datus, neque prius inde discessit, quam totam insulam
bello devinceret; qua ex re Athenienses magnam gloriam sunt adepti. Interim bellum inter
Aegyptios et Persas conflatum est. Athenienses cum Artaxerxe societatem habebant, Lacedaemonii
cum Aegyptiis; a quibus magnas praedas Agesilaus, rex eorum, faciebat. Id intuens Chabrias, cum
in re nulla Agesilao cederet, sua sponte eos adiutum profectus Aegyptiae classi praefuit, pedestribus
copiis Agesilaus.
Italiano
Cabria, condusse molte guerre in Europa, quando era comandante degli ateniesi, quando era
comandante degli Ateniesi; in Egitto condusse (una guerra)di sua spontanea volontà. Infatti inviato
per aiutare Nectenebo gli consolidò il suo regno. Fece la stessa cosa a Cipro ma con incarico
ufficiale, dato dagli Ateniesi come aiutante di Evogora, e non andò via prima di aver sottomesso
con la guerra tutta l’isola; per questa impresa gli Ateniesi furono ricoperti di grande gloria . Intanto
scoppiò una guerra tra gli Egiziani e i Persiani. Gli Ateniesi avevano un accordo con Artaserse, gli
Spartani (avevano un accordo) con gli Egiziani; dal quale Agesilao, re di questi, otteneva grandi
guadagni. Intuendo ciò Cabria, non avendo ceduto in nessuno cosa ad Agesilao, mandato di sua
volontà per aiutare gli egiziani , stette a capo della flotta egiziana mentre Agesilao della fanteria.
Cabria, 4
Latino
Chabrias autem periit bello sociali tali modo. Oppugnabant Athenienses Chium. Erat in classe
Chabrias privatus, sed omnes, qui in magistratu erant, auctoritate anteibat, eumque magis milites
quam, qui praeerant, aspiciebant. 2 Quae res ei maturavit mortem. Nam dum primus studet portum
intrare gubernatoremque iubet eo dirigere navem, ipse sibi perniciei fuit. Cum enim eo penetrasset,
ceterae non sunt secutae. Quo facto circumfusus hostium concursu cum fortissime pugnaret, navis
rostro percussa coepit sidere. 3 Hinc refugere cum posset, si se in mare deiecisset, quod suberat
classis Atheniensium, quae exciperet natantis, perire maluit quam armis abiectis navem relinquere,
in qua fuerat vectus. Id ceteri facere noluerunt; qui nando in tutum pervenerunt. At ille praestare
honestam mortem existimans turpi vitae, comminus pugnans telis hostium interfectus est.
Italiano
In questo modo morì Cabria durante la guerra sociale. Gi ateniesi combattevano a Chio. Nella flotta,
Cabria si trovava come privato cittadino, ma per autorità superava tutti gli altri magistrati e i soldati
lo consideravano più dei loro condottieri. Questo gli causò la morte. Infatti mentre si impegnava ad
entrare per primo nel porto e comandava al timoniere di dirigere la nave, egli stesso fu la causa
della sua sfortuna: infatti dopo che la sua nave entrò nel porto, le altre non lo seguirono .Nel porto
la nave circondata dai nemici fu colpita da uno sperone e cominciò ad affondare. A quel punto, pur
potendo raggiungere, buttandosi in mare, la flotta ateniese e quindi salvarsi, preferì sacrifare la vita
piuttosto che abbandonare la nave sulla quale aveva navigato. Gli altri non lo vollero imitare e a
nuoto si misero al sicuro. Ma cabria preferendo una morte onesta a una vita vergognosa mentre
combatteva corpo a corpo fu ucciso dai dardi dei nemici.
Cato 1
Latino
[1] M. Cato, ortus municipio Tusculo adulescentulus, priusquam honoribus operam daret, versatus
est in Sabinis, quod ibi heredium a patre relictum habebat. Inde hortatu L. Valerii Flacci, quem in
consulatu censuraque habuit collegam, ut M. Perpenna censorius narrare solitus est, Romam
demigravit in foroque esse coepit. [2] Primum stipendium meruit annorum decem septemque. Q.
Fabio M. Claudio consulibus tribunus militum in Sicilia fuit. Inde ut rediit, castra secutus est C.
Claudii Neronis, magnique opera eius existimata est in proelio apud Senam, quo cecidit Hasdrubal,
frater Hannibalis. [3] Quaestor obtigit P. Africano consuli; cum quo non pro sortis necessitudine
vixit: namque ab eo perpetua dissensit vita. [4] Aedilis plebi factus est cum C. Helvio. Praetor
provinciam obtinuit Sardiniam, ex qua, quaestor superiore tempore ex Africa decedens, Q. Ennium
poetam deduxerat; quos non minoris aestimamus quam quemlibet amplissimum Sardiniensem
triumphum.
Italiano
[1] M. Catone, nato nel municipio di Tuscolo, (l’odierna Frascati) da adolescente, prima che
dedicasse la sua attività politica, si trattenne in Sabina, perché là aveva una podere ereditato dal
padre. Da là, per esortazione di L. Valerio Flacco, che poi ebbe collega nel consolato e nella
censura, come è solito narrare l\'ex censore Marco Perpenna, si trasferì a Roma e cominciò a
frequentare il Foro. [2] Meritò la sua prima paga a diciassette anni. Fu tribuno dei soldati in Sicilia
sotto il consolato di Q. Fabio e M. Claudio. Quando tornò da là, fece parte dell\'esercito di C.
Claudio Nerone e fu assai apprezzato il suo contributo nella battaglia di Senigallia, dove morì
Asdrubale, fratello di Annibale. [3] In qualità di questore, toccò (in sorte) al console P. Africano,
col quale però non visse come imponevano i vincoli dell\'ufficio: infatti fu in contrasto con lui per
tutta la vita. [4] Divenne edile della plebe insieme con C. Elvio. Come pretore ebbe la provincia di
Sardegna, dalla quale precedentemente, di ritorno dall\'Africa in qualità di questore, aveva portato
con sé il poeta Q. Ennio e questo stimiamo di merito non inferiore a qualsiasi grandissimo trionfo
sardo.
Cato 2
Latino
Consulatum gessit cum L. Valerio Flacco, sorte provinciam nactus Hispaniam citeriorem, exque ea
triumphum deportavit. Ibi cum diutius moraretur, P. Scipio Africanus, consul iterum, cuius in priore
consulatu quaestor fuerat, voluit eum de provincia depellere, et ipse ei succedere, neque hoc per
senatum efficere potuitm cum quidem Scipio principatum in civitate obtineret, quod tum non
potentia, sed iure res publica administrabatur. Qua ex re iratus senatu, consulatu peracto, privatus in
urbe mansit. At Cato, censor cum eodem Flacco factus, severe praefuit ei potestati. Nam et in
complures nobiles animadvertit et multas res novas in edictum addidit, quibus rebus luxuria
reprimeretur, quae iam tum incipiebat pullulare. Circiter annos octoginta, usque ad extremam
aetatem ab adulescentia, rei publicae causa suscipere inimicitias non destitit. A multis temptatus,
non modo nullum detrimentum existimationis fecit, sed, quoad vixit, virtutum laude crevit.
Italiano
(Catone) tenne il consolato con L. Valerio Flacco, avendo avuto in sorte la provincia della Spagna
citeriore, e da questa aveva riportato il successo. Qui essendosi trattenuto più a lungo, P. Scipione
l\'Africano, console per la seconda volta, del quale durante il precedente consolato era stato
questore, lo volle mandar lontano dalla provincia, e succedergli egli stesso, e non poté ottenere ciò
attraverso il senato, avendo Scipione stesso avuto il primato della città, poiché lo stato non era
amministrato per l’influenza ma per la giustizia. Terminato il mandato di console, irato con il senato
per questa cosa, si trattenne in città come semplice cittadino. Ma Catone, eletto censore con lo
stesso Flacco, esercitò rigorosamente quella carica. Infatti punì molti nobili e mise in editto molte
innovazioni (nuove cose), per reprimere il lusso che già cominciava a diffondersi. Intorno agli
ottant\'anni, sin dalla giovinezza fino all\'estrema età, non smise di attirarsi ostilità per il bene dello
stato (per causa dello stato). Accusato da molti, non soffrì alcun danno nella sua reputazione, ma,
finché visse, il suo valore andò crescendo con lode.
Cato 3
Latino
[1]In omnibus rebus singulari fuit industria: nam et agricola sollers et peritus iuris consultus et
magnus imperator et probabilis orator et cupidissimus litterarum fuit. [2] Quarum studium etsi
senior arripuerat, tamen tantum progressum fecit, ut non facile a reperiri possit neque de Graecis
neque de Italicis rebus, quod ei fuerit incognitum. [3] Ab adulescentia confecit orationes. Senex
historias scribere instituit. Earum sunt libri VII. Primus continet res gestas regum populi Romani:
secundus et tertius, unde quaeque civitas orta sit Italica; ob quam rem omnes Origines videtur
appellasse. In quarto autem bellum Poenicum est primum, in quinto secundum: atque haec omnia
capitulatim sunt dicta. [4] Reliquaque bella pari modo persecutus est usque ad praeturam Servii
Galbae, qui diripuit Lusitanos; atque horum bellorum duces non nominavit, sed sine nominibus res
notavit. In eisdem exposuit, quae in Italia Hispaniisque aut fierent aut viderentur admiranda. In
quibus multa industria et diligentia comparet, nulla doctrina. [5] Huius de vita et moribus plura in
eo libro persecuti sumus, quem separatim de eo fecimus rogatu T. Pomponii Attici. Quare studiosos
Catonis ad illud volumen delegamus.
Italiano
[1] In tutte le cose mostrò un’ eccezionale laboriosità: fu infatti sia un attivo agricoltore sia un
esperto giureconsulto sia un grande generale sia un lodevole oratore sia un appassionatissimo
cultore delle lettere. [2] Anche se aveva intrapreso alquanto vecchio lo studio di queste (delle
lettere), tuttavia fece un tale progresso che non facilmente si può trovare né sulle storie Greci né su
quelle Italiche (trad. libera: si possono trovare fatti sia sulla storia greca che sulla storia italica),che
fossero a lui sconosciuti. [3] Fin dalla giovinezza compose orazioni; (da) vecchio cominciò a
scrivere storie. Se ne hanno sette libri. Il primo contiene le imprese dei re del popolo romano; il
secondo e il terzo l\'origine di ogni città italica; sembra che per questa ragione le abbia chiamate
tutte Origini. Nel quarto invece è trattata la prima guerra Punica, nel quinto la seconda. E tutti gli
avvenimenti sono esposti per sommi capi. [4] Trattò anche le altre guerre allo stesso modo, fino alla
pretura di Servio Galba che depredò la Lusitania: e di queste guerre non nominò i capitani, ma
registrò i fatti senza i nomi. Negli stessi (sott. libri) espose gli avvenimenti o le cose comunque
degni di ammirazione nell\'Italia e nella Spagna. In tutti questi vi appare molto impegno e
accuratezza, ma nessuna profondità culturale. [5] Sulla sua vita e dei suoi costumi, abbiamo parlato
maggiormente nel libro che su di lui abbiamo scritto a parte, su richiesta di T. Pomponio Attico.
Rimandiamo perciò a quel volume quelli che sono interessati alla figura di Catone.
Cimon 4
Latino
Hunc Athenienses non solum in bello, sed etiam in pace diu desideraverunt. Fuit enim tanta
liberalitate, cum compluribus locis praedia hortosque haberet, ut numquam in eis custodem
imposuerit fructus servandi gratia, ne quis impediretur, quominus eius rebus, quibus quisque vellet,
frueretur. Semper eum pedissequi cum nummis sunt secuti ut, si quis opis eius indigeret, haberet,
quod statim daret, ne differendo videretur negare. Saepe, cum aliquem offensum fortuna videret
minus bene vestitum, suum amiculum dedit. Cotidie sic cena ei coquebatur, ut, quos invocatos
vidisset in foro, omnis devocaret; quod facere nullo die praetermittebat. Nulli fides eius, nulli opera,
nulli res familiaris defuit; multos locupletavit; complures pauperes mortuos, qui unde efferrentur,
non reliquissent, suo sumptu extulit. Sic se gerendo, minime est mirandum, si et vita eius fuit secura
et mors acerba.
Italiano
Gli Ateniesi non solo desideravano questo in guerra, ma anche largamente in pace. Fu infatti di
tanta generosità che, avendo avuto in parecchi luoghi proprietà e orti, non mise mai in essi un
guardiano per custodire i frutti, affinché a nessuno fosse impedito di godere dei suoi beni che
ciascuno desiderasse. Gli accompagnatori lo seguirono sempre con monete, affinché, se qualcuno
mancasse del suo aiuto, avrebbe avuto qualcosa da dargli subito, per non sembrare che, rimandando,
negasse. Spesso vedendo qualcuno vestito meno bene, diede il suo mantello. Ogni giorno la cena
veniva preparata così che invitasse tutti quelli che avesse visto in piazza non invitati, cosa che non
tralasciava di fare mai. A nessuno mancò la sua stima, a nessuno l’ aiuto, a nessuno il patrimonio.
Arricchì molti, parecchi, morti poveri, tanto da non aver lasciato di che essere seppelliti, li fece
seppellire a sue spese. Comportandosi) così, non ci si deve affatto meravigliare se la sua vita fu
serena e la sua morte dolorosa.
Epaminondas 2 (1-3)
Latino
[1] Natus est igitur patre, quo diximus, genere honesto, pauper iam a maioribus relictus, eruditus
autem sic ut nemo Thebanus magis. Nam et citharizare et cantare ad chordarum sonum doctus est a
Dionysio, qui non minore fuit in musicis gloria quam Damon aut Lamprus, quorum pervulgata sunt
nomina; cantare tibiis ab Olympiodoro, saltare a Calliphrone. [2] At philosophiae praeceptorem
habuit Lysim Tarentinum, Pythagoreum; cui quidem sic fuit deditus, ut adulescens tristem ac
severum senem omnibus aequalibus suis in familiaritate anteposuerit, neque prius eum a se dimisit,
quam in doctrinis tanto antecessit condiscipulos, ut facile intellegi posset pari modo superaturum
omnes in ceteris artibus. [3] Atque haec ad nostram consuetudinem sunt levia et potius
contemnenda; at in Graecia utique olim magnae laudi erant.
Italiano
[1] Allora nacque dal padre, dal quale diciamo, di classe onesta, fu lasciato dagli antenati già povero
ma fu istruito cos’ che nessun tebano (fu istruito) di più. E infatti imparò a suonare la cetra e a
cantare al suono delle corde da Dioniso il quale non fu meno importante per gloria in musica di
Damone o di Lambro, dei quali i nomi sono divulgati, a cantare con i flauti da Olimpiodoro, a
danzare da Callipone. [2] Ma ebbe come maestro di filosofia Liside di Taranto, Pitagorico, al quale
fu veramente così dedito, che il giovane preferì l’accigliato e severo vecchio a tutti i suoi coetanei e
non lo allontanò da sé prima di superare i condiscepoli nelle scienze filosofiche tanto che si poteva
capire che Epaminonda avrebbe superato tutti nelle altre arti allo stesso modo. [3] E queste cose per
nostra abitudine sono di poca importanza e preferibilmente trascurabili ma anticamente in Grecia
erano senz’altro di grande lode.
Paragrafo 1
Latino
Hannibal , Hamilcaris filius, Carthaginiensis. Si verum est, quod nemo dubitat, ut populus Romanus
omnes gentes virtute superarit, non est infitiandum Hannibalem tanto praestitisse ceteros
imperatores prudentia, quanto populus Romanus antecedat fortitudine cunctas nationes. Nam
quotienscumque cum eo congressus est in Italia, semper discessit superior. Quod nisi domi civium
suorum invidia debilitatus esset, Romanos videtur superare potuisse. Sed multorum obtrectatio
devicit unius virtutem. Hic autem velut hereditate relictum odium paternum erga Romanos sic
conservavit, ut prius animam quam id deposuerit, qui quidem, cum patria pulsus esset et alienarum
opum indigeret, numquam destiterit animo bellare cum Romanis.
Italiano
Annibale, figlio di Amilcare, era Cartaginese. Se è vero, cosa di cui nessuno dubita, che il popolo
Romano ha superato in valore tutti i popoli, non bisogna negare che Annibale fu così tanto
superiore agli altri generali in astuzia quanto il popolo Romano superò in forza tutti gli altri popoli.
Infatti ogni volta che Annibale si scontrò con quello (il popolo romano) in Italia, sempre ne riuscì
vincitore. E se non fosse stato indebolito dall\'ostilità dei suoi concittadini in patria, sembra che
avrebbe potuto sconfiggere i Romani. Ma l\'ostilità di molti vinse il valore di uno solo. In lui l\'odio
per i Romani lasciatogli dal padre come un\'eredità era così radicato, in modo tale che lasciò la vita
prima di (lasciare) quell’(odio), tanto che non cessò mai di combattere con l\'animo contro i
Romani, sebbene fosse stato cacciato dalla sua patria e avesse bisogno dei soccorsi altrui.
Paragrafo 2
Latino
Nam ut omittam Philippum, quem absens hostem reddidit Romanis, omnium his temporibus
potentissimus rex Antiochus fuit. Hunc tanta cupiditate incendit bellandi, ut usque a rubro mari
arma conatus sit inferre Italiae. Ad quem cum legati venissent Romani, qui de eius voluntate
explorarent darentque operam, consiliis clandestinis ut Hannibalem in suspicionem regi adducerent,
tamquam ab ipsis corruptus alia atque antea sentiret, neque id frustra fecissent idque Hannibal
comperisset seque ab interioribus consiliis segregari vidisset, tempore dato adiit ad regem, eique
cum multa de fide sua et odio in Romanos commemorasset, hoc adiunxit: `Pater meus\' inquit
`Hamilcar puerulo me, utpote non amplius VIIII annos nato, in Hispaniam imperator proficiscens
Carthagine, Iovi optimo maximo hostias immolavit. Quae divina res dum conficiebatur, quaesivit a
me, vellemne secum in castra proficisci. Id cum libenter accepissem atque ab eo petere coepissem,
ne dubitaret ducere, tum ille “Faciam”, inquit “si mihi fidem, quam postulo, dederis.\' Simul me ad
aram adduxit, apud quam sacrificare instituerat, eamque ceteris remotis tenentem iurare iussit
numquam me in amicitia cum Romanis fore. Id ego ius iurandum patri datum usque ad hanc
aetatem ita conservavi, ut nemini dubium esse debeat, quin reliquo tempore eadem mente sim
futurus. Quare, si quid amice de Romanis cogitabis, non imprudenter feceris, si me celaris; cum
quidem bellum parabis, te ipsum frustraberis, si non me in eo principem posueris".
Italiano
Difatti, per non parlare di Filippo, che pur distante fu reso nemico ai Romani, a quei tempi di tutti il
re più potente fu Antioco il. Accese questo un desiderio tanto grande di combattere che tentò di
guerreggiare con l\'Italia fin dal Mar Rosso. Essendo degli ambasciatori romani andati da lui, i quali
volevano indagare sui suoi incarichi, riguardo la sua volontà e darsi da fare con intrighi occulti, per
rendere Annibale sospetto al re come se Annibale la pensasse diversamente da prima, non fecero
invano ciò e Annibale capì questo e si vide allontanato dalle sedute più segrete. Al momento più
opportuno si presentò davanti al re e dopo avergli ricordato molti fatti relativi alla sua fedeltà e
all\'odio verso i romani, questo aggiunse: "Mio padre Amilcare, quando ero un bambino, quando
avevo non più di nove anni, partendo per la Spagna da Cartagine come comandante supremo
sacrificò delle vittime a Giove Ottimo Massimo. Mentre era portato a termine questo sacrificio mi
domandò se volessi partire alla volta dell\'accampamento con lui. Avendo volentieri accettato
questa proposta e avendo cominciato a chiederli di non esitare a portarmi, quello disse: lo farò se mi
avrai dato quella fiducia che chiedo. Frattanto mi portò presso l\'altare dove aveva deciso di fare il
sacrificio e allontanati gli altri mi comandò di promettere che non sarei mai stato amico dei Romani.
Io ho mantenuto quel giuramento fatto al padre fino a questa età in maniera che a nessuno debba
esserci il dubbio che io non sarò dello stesso parere nel tempo restante. Perciò se penserai qualcosa
di amichevole riguardo i Romani non agirai sconsideratamente se me lo terrai nascosto. Quando in
verità ordinerai la guerra, ingannerai te stesso se non mi metterai in quella come condottiero”.
Paragrafo 4
Latino
Conflixerat apud Rhodanum cum P. Cornelio Scipione consule eumque pepulerat. Cum hoc eodem
Clastidi apud Padum decernit sauciumque inde ac fugatum dimittit. Tertio idem Scipio cum collega
Tiberio Longo apud Trebiam adversus eum venit. Cum his manum conseruit, utrosque profligavit.
Inde per Ligures Appenninum transiit, petens Etruriam. Hoc itinere adeo gravi morbo afficitur
oculorum, ut postea numquam dextro aeque bene usus sit. Qua valetudine cum etiam tum
premeretur lecticaque ferretur C. Flaminium consulem apud Trasumenum cum exercitu insidiis
circumventum occidit neque multo post C. Centenium praetorem cum delecta manu saltus
occupantem. Hinc in Apuliam pervenit. Ibi obviam ei venerunt duo consules, C. Terentius et L.
Aemilius. Utriusque exercitus uno proelio fugavit, Paulum consulem occidit et aliquot praeterea
consulares, in his Cn. Servilium Geminum, qui superiore anno fuerat consul.
Italiano
Si era scontrato presso il Rodano con il console Publio Cornelo Scipione e lo aveva messo in fuga.
Si misura sempre con questo a Casteggio presso il Po e da lì lo lasciò ferito e in fuga; per la terza
volta lo stesso Scipione con il collega Tiberio Longo presso il Trebbia venne contro di lui. Quando
venne a battaglia, sconfisse entrambi da lì attraverso i Liguri, attraversò l\'Appennino, dirigendosi
verso l\'Etruria. Durante questo viaggio viene colpito da una grave malattia agli occhi a tal punto
che in seguito non utilizzò mai ugualmente bene al destro. Benché fosse ancora afflitto da questa
infermità benché fosse trasportato con una lettiga, uccise presso il Trasimeno il console Caio
Flaminio, tratto in un\'imboscata con l\'esercito, e non molto dopo il pretore Caio Centenio con le
truppe scelte mentre occupava i valichi. Da qui giunse in Puglia: lì gli vennero incontro due consoli,
Caio Terentio e Lucio Emilio. Mise in fuga gli eserciti di entrambi con una sola battaglia, uccise il
console Paolo e alcuni consoli precedenti, tra questo Gneo Servilio Gemino, che era stato console
l\'anno precedente.
Paragrafo 5
Latino
Hac pugna pugnata Romam profectus est nullo resistente. In propinquis urbi montibus moratus est.
Cum aliquot ibi dies castra habuisset et Capuam reverteretur, Q. Fabius Maximus, dictator
Romanus, in agro Falerno ei se obiecit. Hic clausus locorum angustiis noctu sine ullo detrimento
exercitus se expedivit; Fabioque, callidissimo imperatori, dedit verba. Namque obducta nocte
sarmenta in cornibus iuvencorum deligata incendit eiusque generis multitudinem magnam
dispalatam immisit. Quo repentino obiecto visu tantum terrorem iniecit exercitui Romanorum, ut
egredi extra vallum nemo sit ausus. Hanc post rem gestam non ita multis diebus M. Minucium
Rufum, magistrum equitum pari ac dictatorem imperio, dolo productum in proelium fugavit.
Tiberium Sempronium Gracchum, iterum consulem, in Lucanis absens in insidias inductum sustulit.
M. Claudium Marcellum, quinquies consulem, apud Venusiam pari modo interfecit. Longum est
omnia enumerare proelia. Quare hoc unum satis erit dictum, ex quo intellegi possit, quantus ille
fuerit: quamdiu in Italia fuit, nemo ei in acie restitit, nemo adversus eum post Cannensem pugnam
in campo castra posuit.
Italiano
Combattuta questa battaglia (Annibale) si mosse verso Roma senza che nessuna resistenza. Sostò
sulle montagne vicine alla città. Avendo lì avuto per alcuni giorni l\'accampamento e tornando a
Capua, Q. F. Massimo, dittatore Romano, gli si oppose nel territorio (di) Falerno. Qui benché
chiuso l’angustia (le angustie) dei luoghi di notte sfuggì senza alcun danno dell\'esercito; e si beffò
di Fabio astutissimo comandante. Infatti arrivata la notte diede fuoco a dei cespi legati sulle corna di
giovenchi e lanciò una così grande moltitudine disordinata. Con questa veduta che era intervenuta
diede così tanto spavento all\'esercito romano, che nessuno ebbe il coraggio di uscire fuori dalla
fortificazione. Non così tanti giorni dopo questa impresa costrinse alla fuga Marco Minucio Rufo,
capo della cavalleria e con un potere pari al dittatore, attiratolo alla battaglia con l\'inganno. T. S.
Gracco, due volte console, lontano in Lucania uccise attirato in un’insidia. M. C. Marcello, cinque
volte console, uccise presso Venusia. È lungo numerare tutte le battaglie. Per questo asrà sufficiente
dire uno solo, dal quale si possa capire, quanto (grande) quello sarà stato: per quanto tempo egli fu
in Italia, nessuno gli resistette in battaglia, nessuno contro di lui dopo la battaglia di Canne
collocòl\'accampamento in campo aperto
Paragrafo 6
Latino
Hinc invictus patriam defensum revocatus bellum gessit adversus P. Scipionem, filium eius, quem
ipse primo apud Rhodanum, iterum apud Padum, tertio apud Trebiam fugarat. Cum hoc exhaustis
iam patriae facultatibus cupivit impraesentiarum bellum componere, quo valentior postea
congrederetur. In colloquium convenit; condiciones non convenerunt. Post id factum paucis diebus
apud Zamam cum eodem conflixit: pulsus (incredibile dictu) biduo et duabus noctibus Hadrumetum
pervenit, quod abest ab Zama circiter milia passuum trecenta. In hac fuga Numidae, qui simul cum
eo ex acie excesserant, insidiati sunt ei; quos non solum effugit, sed etiam ipsos oppressit.
Hadrumeti reliquos e fuga collegit; novis dilectibus paucis diebus multos contraxit.
Italiano
Da qui Annibale senza essere mai vinto (lett. mai vinto), richiamato a difendere la patria fece guerre
contro P. Scipione, figlio di quello Scipione, che egli stesso per la prima volta presso il Rodano
aveva messo in fuga, per la seconda volta presso il Po, per la terza volta presso il Trebbia. Con
questo (Scipione) essendo ormai esaurite le risorse della patria desiderò per il momento cessare la
guerra con lui affinché tornasse più forte. Ebbe un colloquio, non sia ccordarono sulle condizioni.
Pochi giorni dopo questo fatto, combatté con lo stesso (Scipione) presso Zama. Costretto alla fuga –
(incredibile a dirsi) giunse in due giorni e due notti ad Agrigento che dista da Zama circa
trecentomila passi. In questa fuga i Numidi, che assieme con lui si erano scampati alla battaglia , gli
tesero insidie, e non solo li evitò, ma anche sterminò gli stessi. Raccolse gli altri dalla fuga ad
Adrumento i rimanenti, e con nuove leve in pochi giorni riuscì a mettere insieme molti (soldati)
Paragrafo 7
Latino
[1] Cum in apparando acerrime esset occupatus, Carthaginienses bellum cum Romanis
composuerunt. Ille nihilo setius exercitui postea praefuit resque in Africa gessit [itemque Mago
frater eius] usque ad P. Sulpicium C. Aurelium consules. [2] His enim magistratibus legati
Carthaginienses Romam venerunt, qui senatui populoque Romano gratias agerent, quod cum iis
pacem fecissent, ob eamque rem corona aurea eos donarent simulque peterent, ut obsides eorum
Fregellis essent captivique redderentur. [3] His ex senatus consulto responsum est: munus eorum
gratum acceptumque esse; obsides, quo loco rogarent, futuros; captivos non remissuros, quod
Hannibalem, cuius opera susceptum bellum foret, inimicissimum nomini Romano, etiamnum cum
imperio apud exercitum haberent itemque fratrem eius Magonem. [4] Hoc responso Carthaginienses
cognito Hannibalem domum et Magonem revocarunt. Huc ut rediit, rex factus est, postquam praetor
fuerat, anno secundo et vicesimo. Ut enim Romae consules, sic Carthagine quotannis annui bini
reges creabantur. [5] In eo magistratu pari diligentia se Hannibal praebuit, ac fuerat in bello.
Namque effecit, ex novis vectigalibus non solum ut esset pecunia, quae Romanis ex foedere
penderetur, sed etiam superesset, quae in aerario reponeretur. [6] Deinde [anno post praeturam] M.
Claudio L. Furio consulibus Roma legati Carthaginem venerunt. Hos Hannibal ratus sui exposcendi
gratia missos, priusquam iis senatus daretur, navem ascendit clam atque in Syriam ad Antiochum
profugit. [7] Hac re palam facta Poeni naves duas, quae eum comprehenderent, si possent consequi,
miserunt, bona eius publicarunt, domum a fundamentis disiecerunt, ipsum exulem iudicarunt.
Italiano
[1] Essendo impegnato nel modo più accanito nei preparativi, i Cartaginesi misero fine alla guerra
con i romani. Annibale , nondimeno mantenne il comando dell’ esercito e compì imprese militari in
Africa fino al consolato di Aurelio e Sulpicio . [2] Durante il loro consolato , vennero a Roma degli
ambasciatori Cartaginesi , per ringraziare il senato e il popolo romano , che avevano stipulato la
pace con loro , per regalargli una corona d’ oro e per chiedere che i loro ostaggi stessero a Fregelle
e che venissero restituiti tutti i prigionieri . [3] Fu risposto a loro , per deliberazione del senato , che
il tributo era ben accetto e gradito, che gli ostaggi sarebbero restati in quel luogo, ma che essi non
avrebbero rilasciato i prigionieri, dal momento che Annibale, per opera del quale era stata provocata
la guerra, massimo nemico del popolo romano, era ancora al comando dell’ esercito e allo stesso
modo suo fratello Magone. [4] Conosciuto questo responso, i Cartaginesi richiamarono in patria
Annibale e Magone. Quando egli tornò fu fatto re , ventidue anni dopo essere stato pretore . Infatti
così come i consoli a Roma , anche a Cartagine , annualmente erano eletti due re. [5] Annibale
mostrò durante quella carica, pari diligenza di quanta ne aveva mostrata in guerra: infatti fece in
modo che da nuove tasse, non solo ci fosse denaro che si doveva ai Romani in base al trattato, ma
anche che ve ne fosse in più, per riporlo nelle casse dell’ erario . [5] Quindi dopo un anno, durante il
consolato di marco Claudio e Lucio Furio, vennero da Roma a Cartagine, degli ambasciatori.
Annibale , ritenendo che fossero venuti per reclamarlo, prima che fosse data loro udienza in senato,
si imbarcò di nascosto su una nave e fuggì presso Antioco, in Siria. [7] Conosciuta questa cosa, i
Cartaginesi mandarono a due navi, perché lo fermassero, se fossero riuscite a raggiungerlo,
confiscarono i suoi beni, distrussero dalle fondamenta la sua casa , lo dichiararono esule.
Paragrafo 8
Latino
[1] At Hannibal anno tertio, postquam domo profugerat, L. Cornelio Q. Minucio consulibus, cum V
navibus Africam accessit in finibus Cyrenaeorum si forte Carthaginienses ad bellum Antiochi spe
fiduciaque inducere posset, cui iam persuaserat, ut eum exercitibus in Italiam proficisceretur. Huc
Magonem fratrem excivit. [2] Id ubi Poeni resciverunt, Magonem eadem, qua fratrem, absentem
affecerunt poena. Illi desperatis rebus cum solvissent naves ac vela ventis dedissent, Hannibal ad
Antiochum pervenit. De Magonis interitu duplex memoria prodita est. Namque alii naufragio, alii a
servolis ipsius interfectum eum scriptum reliquerunt. [3] Antiochus autem, si tam in agendo bello
consiliis eius parere voluisset, quam in suscipiendo instituerat, propius Tiberi quam Thermopylis de
summa imperii dimicasset. Quem etsi multa stulte conari videbat, tamen nulla deseruit in re. [4]
Praefuit paucis navibus, quas ex Syria iussus erat in Asiam ducere, hisque adversus Rhodiorum
classem in Pamphylio mari conflixit. Quo cum multitudine adversariorum sui superarentur, ipse,
quo cornu rem gessit, fuit superior.
Italiano
[1] Ma Annibale tre anni dopo che era fuggito dalla patria, sotto il consolato (lett. con i consoli) di
L. Cornelio e Q. Minucio, con cinque navi si avvicinò all’Africa nel territorio dei Cirenei, se per
caso riusciva a persuadere i Cartaginesi alla guerra con la speranza e la fiducia di Antioco, che
aveva già persuaso a partire verso l’Italia con gli eserciti. Qui fece venire il fratello Magone. [2]
Quando i Cartaginesi vennero a sapere questa cosa colpirono Magone lontano con la stessa pena del
fratello [lett. con il quale (avevano colpito) il fratello]. Essendo la situazione senza speranza, dopo
che essi furono partiti ed ebbero dato le vele ai venti, Annibale si recò da Antioco. Sulla fine di
Magone è stata trasmessa una duplice versione. Infatti alcuni lasciarono scritto che egli morì in un
naufragio, altri che fu ucciso dai suoi stessi schiavi. [3] Antioco, invece se nel portare avanti la
guerra avesse voluto assecondare i suoi piani, così come aveva deciso nell’intraprenderla, avrebbe
combattuto per l’ egemonia, più vicino al Tevere che alle Termopili. Eppure, per quanto vedesse
che egli intraprendeva in modo stupido molte azioni, tuttavia non lo abbandonò in nessuna
circostanza. [4] Fu al comando con poche navi che gli era stato comandato di condurre dalla Siria in
Asia e con quelle combatté nel mare di Panfilia contro la flotta dei Rodiesi. Benché in esso i suoi
fossero superati dal numero degli avversari, egli, nell’ala in cui condusse l’azione, riuscì vincitore.
Paragrafo 9
Latino
[1] Antiocho fugato verens, ne dederetur, quod sine dubio accidisset, si sui fecisset potestatem,
Cretam ad Gortynios venit, ut ibi, quo se conferret, consideraret. [2] Vidit autem vir omnium
callidissimus in magno se fore periculo, nisi quid providisset, propter avaritiam Cretensium.
Magnam enim secum pecuniam portabat, de qua sciebat exisse famam. [3] Itaque capit tale
consilium. Amphoras complures complet plumbo, summas operit auro et argento. Eas praesentibus
principibus deponit in templo Dianae, simulans se suas fortunas illorum fidei credere. His in
errorem inductis statuas aeneas, quas secum portabat, omni sua pecunia complet easque in
propatulo domi abicit. [4] Gortynii templum magna cura custodiunt non tam a ceteris quam ab
Hannibale, ne ille inscientibus iis tolleret secumque duceret.
Italiano
[1] Messo in fuga Antioco, (Annibale) temendo di essere consegnato, e questa cosa sarebbe senza
dubbio accaduta, se avesse messo nelle mani altri il suo potere, venne a Creta presso i Gortini dove
potesse rifugiarsi per riflettere. [2] Del resto l\'uomo più astuto tra tutti vide che sarebbe stato in
grave pericolo se non avesse preso qualche provvedimento per la cupidigia dei Cretesi: portava
infatti con sé una grande quantità di denaro, del quale sapeva che si era sparsa la voce. [3] Pertanto
prende questa decisione. Riempie parecchie anfore col piombo, copre la sommità di oro e argento.
Alla presenza dei cittadini più illustri depone queste nel tempio di Diana, fingendo di affidare i suoi
beni alla loro lealtà. Con questo tranello, ingannati questi riempie la statua in bronzo, che portava
con sé, con tutti i suoi averi e la abbandona nel cortile anteriore della casa. [4]Custodiscono il
tempio non tanto dagli altri quanto contro Annibale, affinché egli a loro insaputa non le sottraesse e
portasse con sé.
Paragrafo 10
Latino
[1] Sic conservatis suis rebus Poenus illusis Cretensibus omnibus ad Prusiam in Pontum pervenit.
Apud quem eodem animo fuit erga Italiam neque aliud quicquam egit quam regem armavit et
exercuit adversus Romanos. [2] Quem cum videret domesticis opibus minus esse robustum,
conciliabat ceteros reges, adiungebat bellicosas nationes.Dissidebat ab eo Pergamenus rex
Eumenes, Romanis amicissimus, bellumque inter eos gerebatur et mari et terra; [3] sed utrobique
Eumenes plus valebat propter Romanorum societatem. Quo magis cupiebat eum Hannibal opprimi;
quem si removisset, faciliora sibi cetera fore arbitrabatur. Ad hunc interficiundum talem iniit
rationem. [4] Classe paucis diebus erant decreturi. Superabatur navium multitudine; dolo erat
pugnandum, cum par non esset armis. Imperavit quam plurimas venenatas serpentes vivas colligi
easque in vasa fictilia conici. [5] Harum cum effecisset magnam multitudinem, die ipso, quo
facturus erat navale proelium, classiarios convocat hisque praecipit, omnes ut in unam Eumenis
regis concurrant navem, a ceteris tantum satis habeant se defendere. Id illos facile serpentium
multitudine consecuturos.
Italiano
[1]Così, salvati i suoi beni, il Cartaginese, ingannati tutti i Cretesi, giunse da Prusia nel Ponto. E
presso questo si mantenne dello stesso stato d’animo verso l’Italia e non fece nessuna cosa che
armare il re e spingerlo contro i Romani. [2] Vedendo che egli non era abbastanza forte per le
proprie risorse, cercava di portare dalla sua parte gli altri re e cercava di aggiungere (alleanze)
popoli bellicosi.Il re Di Pergamo era in contrasto con quello, molto amico dei Romani e faceva
guerra in mezzo a loro sia in mare sia sulla terra. [3] Ma da entrambe le parti, Eumene era più forte,
accanto all’alleanza dei Romani, perciò Annibale desiderava maggiormente che quello fosse vinto,
che se lo avesse allontanato, credeva che tutte le altre cose sarebbero state più facili. Secondo
questo, trovò questi mezzo per ucciderlo. [4] Avevano intenzione di diminuire l’esercito in pochi
giorni. Era superato con un gran numero di navi, doveva combattere con l’inganno, non essendo
uguale con le armi. [5] Ordinò che fossero raccolti serpenti vivi velenosi quanto più era possibile e
che questi fossero gettati dentro vasi di terracotta. Avendo raccolto un gran numero di questi, nello
stesso giorno in cui ci sarebbe stata (era destinata ad esserci) la battaglia navale, chiama i marinai e
comanda a questi che tutti combattano in una nave di Eumene e che siano in grado di difendersi
tanto a sufficienza dagli altri. Dice che quelli avrebbero raggiunto ciò facilmente con un gran
numero di serpenti.
Paragrafo 11
Latino
Tali cohortatione militum facta classis ab utrisque in proelium deducitur. Quarum acie constituta,
priusquam signum pugnae daretur, Hannibal, ut palam faceret suis, quo loco Eumenes esset,
tabellarium in scapha cum caduceo mittit. Qui ubi ad naves adversariorum pervenit epistulamque
ostendens se regem professus est quaerere, statim ad Eumenem deductus est, quod nemo dubitabat,
quin aliquid de pace esset scriptum. Tabellarius ducis nave declarata suis eodem, unde erat
egressus, se recepit. At Eumenes soluta epistula nihil in ea repperit, nisi quae ad irridendum eum
pertinerent. Cuius etsi causam mirabatur neque reperiebat, tamen proelium statim committere non
dubitavit. Horum in concursu Bithynii Hannibalis praecepto universi navem Eumenis adoriuntur.
Quorum vim rex cum sustinere non posset, fuga salutem petit; quam consecutus non esset, nisi intra
sua praesidia se recepisset, quae in proximo litore erant collocata. Reliquae Pergamenae naves cum
adversarios premerent acrius, repente in eas vasa fictilia, de quibus supra mentionem fecimus,
conici coepta sunt. Quae iacta initio risum pugnantibus concitarunt, neque, quare id fieret, poterat
intellegi. Postquam autem naves suas oppletas conspexerunt serpentibus, nova re perterriti, cum,
quid potissimum vitarent, non viderent, puppes verterunt seque ad sua castra nautica rettulerunt. Sic
Hannibal consilio arma Pergamenorum superavit neque tum solum, sed saepe alias pedestribus
copiis pari prudentia pepulit adversarios.
Italiano
Date ai marinai della flotta queste istruzioni dai due avversari viene guidata in battaglia. Quando le
navi di questa flotta si furono schierate, prima che fosse dato il segnale di battaglia, Annibale, per
far capire ai suoi dove si trovasse Eumene, manda un corriere in una scialuppa con un caduco.
Questo quando arriva alle navi dei nemici e facendo con discrezione la lettera dichiarò di voler
parlare con il re, subito fu condotto da Eumene perché nessuno dubitava che la lettera contenesse
un\'offerta di pace. Il corriere, indicata ai suoi la nave del condottiero, se ne ritornò dallo stesso
luogo da dove era venuto. Ma Eumene, aperta le lettera, non trovò nulla, se non parole che
mirassero a prenderlo in giro. E per questo fatto, sebbene fosse curioso di sapere la causa di questa
cosa e non la scoprisse, tuttavia non esitò a incominciare la battaglia. Al primo scontro tra questi
tutti insieme secondo il comando di Annibale, in massa, attaccano la nave di Eumene. Poiché non
poté sostenere l\'attacco di quelli, il re cercò la salvezza con la fuga: e non l\'avrebbe trovata se non
si fosse rifugiato tra le sue truppe, che erano collocate sulla spiaggia più vicina. Le navi rimanenti di
Pergamo poiché incalzavano con forza gli avversari all\'improvviso cominciarono a essere lanciate
in quelle i vasi di terracotta, dei quali parlammo sopra. Il lancio di questi vasi all’inizio suscitò
grandi risate tra i combattenti, né si poteva capire perché accadesse ciò. Dopo che videro le loro
navi piene di serpenti impauriti per la novità della cosa poiché non vedevano che cosa soprattutto
evitare diressero indietro le poppe e si allontanarono nelle fortificazioni del porto. Così Annibale
con l\'accortezza vinse l\'armata di Pergamo ma non solo in quel momento, ma spesso altre volte in
combattimenti terrestri, con la stessa accortezza mise in fuga i nemici.
Paragrafo 12
Latino
Quae dum in Asia geruntur, accidit casu, ut legati Prusiae Romae apud T. Quintium Flamininum
consularem cenarent atque ibi de Hannibale mentione facta ex his unus diceret eum in Prusiae regno
esse. Id postero die Flamininus senatui detulit. Patres conscripti, qui Hannibale vivo numquam se
sine insidiis futuros existimarent, legatos in Bithyniam miserunt, in his Flamininum, qui ab rege
peterent, ne inimicissimum suum secum haberet sibique dederet. His Prusia negare ausus non est:
illud recusavit, ne id a se fieri postularent, quod adversus ius hospitii esset: ipsi, si possent,
comprehenderent; locum ubi esset, facile inventuros. Hannibal enim uno loco se tenebat, in castello,
quod ei a rege datum erat muneri, idque sic aedificarat, ut in omnibus partibus aedificii exitus
haberet, scilicet verens, ne usu veniret, quod accidit. Huc cum legati Romanorum venissent ac
multitudine domum eius circumdedissent, puer ab ianua prospiciens Hannibali dixit plures praeter
consuetudinem armatos apparere. Qui imperavit ei, ut omnes fores aedificii circumiret ac propere
sibi nuntiaret, num eodem modo undique obsideretur. Puer cum celeriter, quid esset, renuntiasset
omnisque exitus occupatos ostendisset, sensit id non fortuito factum, sed se peti neque sibi diutius
vitam esse retinendam. Quam ne alieno arbitrio dimitteret, memor pristinarum virtutum venenum,
quod semper secum habere consuerat, sumpsit.
Italiano
Mentre in Asia avvenivano queste cose, accadde per caso che i legati di Prusia cenassero a Roma
presso Tito Quinzio Flaminino ex-console; e che là, fatta menzione di Annibale, uno di quelli
dicesse che era nel regno di Prusia. Il giorno dopo Flaminino riferì (ciò) al senato. Convocati i
senatori, i quali, finché Annibale era vivo, ritenevano che sarebbero mai stati senza insidie,
mandarono gli ambasciatori in Bitinia, fra i quali Flaminino, che chiedeva al re al re di non tenere
con sé il loro più grande nemico e di consegnarlo a loro. Ad essi la Prusia non osò dire di no; ma
rifiutò questo, cioè che pretendessero che da lui fosse fatto ciò che era contro il diritto di ospitalità;
lo prendessero loro stessi, se ci riuscivano; essi avrebbero facilmente trovato il luogo in cui era.
Annibale, infatti, si tratteneva in una solo luogo, in una fortezza che gli era stata donata dal re, e
l\'aveva costruita in modo tale che avesse in in tutte le quattro parti dell’edifico le uscite,
evidentemente temendo che avvenisse di fatto ciò che accadde. Essendo arrivati in quel luogo gli
ambasciatori dei romani , e avendo già circondato la sua casa con una moltitudine, uno schiavo
guardando dalla porta disse ad Annibale che apparivano più uomini armati del solito. Questi gli
ordinò di fare il giro di tutte le porte della fortezza e di riferirgli rapidamente se fosse circondato
allo stesso modo da tutte le parti. Poiché lo schiavo (gli) aveva riferito rapidamente la situazione e
annunciò che tutte le uscite erano state occupate, capì che ciò non era avvenuto per caso, ma che era
proprio lui ad essere ricercato e che non doveva conservare la vita più a lungo. Per non
abbandonarla all\'arbitrio altrui, memore delle passate virtù, trangugiò il veleno, che sempre era
solito avere con sé
Paragrafo 13
Latino
Sic vir fortissimus, multis variisque perfunctus laboribus, anno acquievit septuagesimo. Quibus
consulibus interierit, non convenit. Namque Atticus M. Claudio Marcello Q. Fabio Labeone
consulibus mortuum in annali suo scriptum reliquit, at Polybius L. Aemilio Paulo Cn. Baebio
Tamphilo, Sulpicius autem Blitho P. Cornelio Cethego M. Baebio Tamphilo. Atque hic tantus vir
tantisque bellis districtus nonnihil temporis tribuit litteris. Namque aliquot eius libri sunt, Graeco
sermone confecti, in eis ad Rhodios de Cn. Maulii Volsonis in Asia rebus gestis. Huius belli gesta
multi memoriae prodiderunt, sed ex his duo, qui cum eo in castris fuerunt simulque vixerunt
quamdiu fortuna passa est, Silenus et Sosilus Lacedaemonius. Atque hoc Sosilo Hannibal litterarum
Graecorum usus est doctore.
Italiano
Così l’uomo fortissimo, sopportate molte e varie vicissitudini, trovò quiete nel settantesimo anno.
Non si è d\'accordo sotto quali consoli morì. Infatti, Attico, nel suo Annale, lasciò scritto che
(Annibale) morì sotto il consolato di M. Claudio Marcello e Q. Fabio Labeone, al contrario Polibio
sotto il consolato di L. Emilio Paolo e Cn. Bebio Tanfilo, mentre Sulpicio Blito sotto il consolato di
P. Cornelio Cetego e M. Bebio Tanfilo. E questo uomo tanto grande, nonostante fosse preso da
guerre così importanti, dedicò un po’ del tempo alle lettere. Infatti, ci sono alcuni suoi libri, scritti in
lingua greca, e tra essi (sott. il libro dedicato ai Rodii) sulle gesta di Cn. Manlio Volsone in Asia.
Molte relazioni di costui raccontarono le gesta di guerra, ma, di questi due, coloro i quali furono
nell’accampamento con questo e vissero nello stesso tempo finché la sorte lo permise, furono Sileno
e lo spartano Sosilo. E Annibale ebbe come maestro questo Sosilo di lingua greca.
Rassegna di re famosi, Par. 1
Latino
Hi fere fuerunt Graecae gentis duces, qui memoria digni videantur, praeter reges. Namque eos
attingere noluimus, quod omnium res gestae separatim sunt relatae. Neque tamen hi admodum sunt
multi. Lacedaemonius autem Agesilaus nomine, non potestate fuit rex, sicut ceteri Spartani. Ex iis
vero, qui dominatum imperio tenuerunt, excellentissimi fuerunt, ut nos iudicamus, Persarum Cyrus
et Darius, Hystaspi filius; quorum uterque privatus virtute regnum est adeptus. Prior horum apud
Massagetas in proelio cecidit; Darius senectute diem obiit supremum. Tres sunt praeterea eiusdem
generis: Xerxes et duo Artaxerxae, Macrochir cognomine et Mnemon. Xerxi maxime est illustre,
quod maximis post hominum memoriam exercitibus terra marique bellum intulit Graeciae. At
Macrochir praecipuam habet laudem amplissimae pulcherrimaeque corporis formae, quam
incredibili ornavit virtute belli: namque illo Perses nemo manu fuit fortior. Mnemon autem iustitiae
fama floruit. Nam cum matris suae scelere amisisset uxorem, tantum indulsit dolori, ut eum pietas
vinceret. Ex his duo eodem nomine morbo naturae debitum reddiderunt; tertius ab Artabano
praefecto ferro interemptus est.
Italiano
Questi furono quasi tutti i capi militari di nazionalità greca che possono apparire degni di essere
ricordati, se ne eccettuiamo i re, dei quali non ho voluto fare specifica menzione perchè le loro gesta
sono già state narrate a parte. E non sono poi molto numerosi. Agesilao, Spartano, fu re di nome e
non di fatto, come tutti gli altri a Sparta. Di quelli che esercitarono il potere realmente, a mio parere,
i piu\' illustri tra i Persiani furono Ciro e Dario, figlio di Istaspe, i quali da privati cittadini
conseguirono la dignità regale per proprio merito. Il primo cadde combattendo contro i Massageti,
Dario visse fino a tarda età. Della stessa nazione altri tre sono da ricordare: Serse e i due Artaserse,
soprannominati l\'uno il Longìmano, l\'altro Mnèmone. Di Serse è particolarmente famosa la
spedizione contro la Grecia, condotta per terra e per mare con i piu\' grandi eserciti che la storia
ricordi. Il Longìmano, invece, è soprattutto lodato per l\'imponenza e la bellezza fisica, che adornò
con uno straordinario valore militare; nessun Persiano infatti lo superò in ardimento. Mnèmone,
invece, è famoso per la sua giustizia: persa la moglie per l\'opera delittuosa della madre, concesse al
dolore solo quel tanto che non prendesse il sopravvento sulla pietà filiale.I due Artaserse morirono
di morte per malattia; Serse di morte violenta, per mano del governatore Artabano.
Rassegna di re famosi, Par. 2
Latino
Ex Macedonum autem gente duo multo ceteros antecesserunt rerum gestarum gloria: Philippus,
Amyntae filius, et Alexander Magnus. Horum alter Babylone morbo consumptus est: Philippus
Aegiis a Pausania, cum spectatum ludos iret, iuxta theatrum occisus est. Unus Epirotes, Pyrrhus, qui
cum populo Romano bellavit. Is cum Argos oppidum oppugnaret in Peloponneso, lapide ictus
interiit. Unus item Siculus, Dionysius prior. Nam et manu fortis et belli peritus fuit et, id quod in
tyranno non facile reperitur, minime libidinosus, non luxuriosus, non avarus, nullius denique rei
cupidus nisi singularis perpetuique imperii ob eamque rem crudelis. Nam dum id studuit munire,
nullius pepercit vitae, quem eius insidiatorem putaret. Hic cum virtute tyrannidem sibi peperisset,
magna retinuit felicitate. Maior enim annos LX natus decessit florente regno neque in tam multis
annis cuiusquam ex sua stirpe funus vidit, cum ex tribus uxoribus liberos procreasset multique ei
nati essent nepotes.
Italiano
Del popolo macedone due re superarono di molto gli altri nella gloria delle imprese: Filippo figlio
di Aminta e Alessandro Magno. Il secondo di questi fu divorato dalla malattia a Babilonia; Filippo
fu ucciso da Pausania ad Egia, nei pressi del teatro, mentre si recava a vedere gli spettacoli. Degli
Epiroti uno solo, Pirro, che guerreggiò col popolo Romano. Costui mentre dava l\'assalto alla città
di Argo nel Peloponneso, fu colpito da una pietra e mori. Parimenti uno solo fra i Siculi, Dionigi il
Vecchio. Infatti fu valoroso ed esperto di arte militare e, dote che è difficile trovare in un tiranno,
per nulla affatto libidinoso, non amante del lusso, non avido, di nessuna cosa smanioso se non di un
potere personale e perpetuo e perciò crudele: infatti mentre cercò di consolidare questo potere, non
risparmiò la vita di nessuno che a suo parere glielo insidiasse. Si era procacciato la tirannide col
valore e seppe conservarla con grande fortuna: mori infatti oltre i sessant\'anni di età lasciando il
regno in uno stato florido, ed in tanti anni non vide il funerale di alcuno della sua stirpe, pur avendo
generato figli da tre mogli e gli fossero nati molti nipoti.
Rassegna di re famosi, Par. 3
Latino
Fuerunt praeterea magni reges ex amicis Alexandri Magni, qui post obitum eius imperia ceperunt,
in his Antigonus et huius filius Demetrius, Lysimachus, Seleucus, Ptolemaeus. Ex his Antigonus in
proelio, cum adversus Seleucum et Lysimachum dimicaret, occisus est. Pari leto affectus est
Lysimachus ab Seleuco; namque societate dissoluta bellum inter se gesserunt. At Demetrius, cum
filiam suam Seleuco in matrimonium dedisset neque eo magis fida inter eos amicitia manere
potuisset, captus bello in custodia socer generi periit a morbo. Neque ita multo post Seleucus a
Ptolemaeo Cerauno dolo interfectus est, quem ille a patre expulsum Alexandrea, alienarum opum
indigentem receperat. Ipse autem Ptolemaeus, cum vivus filio regnum tradidisset, ab illo eodem vita
privatus dicitur. De quibus quoniam satis dictum putamus, non incommodum videtur non praeterire
Hamilcarem et Hannibalem, quos et animi magnitudine et calliditate omnes in Africa natos
praestitisse constat.
Italiano
E grandi re si incontrano tra gli amici di Alessandro che, dopo la sua morte, si impadronirono del
potere: Antigono e suo figlio Demetrio, Lisimaco, Seleuco, Tolomeo. Di essi, Antigono fu ucciso in
combattimento, mentre guerreggiava contro Seleuco e Lisimaco. Simile morte ebbe Lisimaco da
Seleuco: rotta l\'alleanza, si fecero guerra tra loro. Demetrio, che pur avendo dato sua figlia in
moglie a Seleuco non aveva potuto restare suo amico, morì di malattia, il suocero nel carcere del
genero. E poco dopo Seleuco fu ucciso a tradimento da Tolomeo detto il Cerauno, che era stato
accolto da lui quando era stato cacciato da Alessandria dal padre ed era bisognoso dell\'aiuto altrui.
E infine lo stesso Tolomeo che, vivo, aveva ceduto il regno al figlio, pare sia stato fatto uccidere da
lui. E poichè mi pare che quanto si è detto possa bastare per costoro credo sia opportuno parlare di
Amilcare e di Annibale, che tutti concordano nel ritenere superiori a tutti gli Africani per forza di
carattere e astuzia
Iphicrates 1
Latino
Iphicrates Atheniensis non tam magnitudine rerum gestarum quam disciplina militari nobilitatus est.
Fuit enim talis dux, ut non solum aetatis suae cum primis compararetur, sed ne de maioribus nata
quidem quisquam anteponeretur. Multum vero in bello est versatus, saepe exercitibus praefuit;
nusquam culpa male rem gessit, semper consilio vicit tantumque eo valuit, ut multa in re militari
partim nova attulerit, partim meliora fecerit. Namque ille pedestria arma mutavit. Cum ante illum
imperatorem maximis clipeis, brevibus hastis, minutis gladiis uterentur, ille e contrario peltam pro
parma fecit - a quo postea peltastae pedites appellantur -, ut ad motus concursusque essent leviores;
hastae modum duplicavit, gladios longiores fecit. Idem genus loricarum et pro sertis atque aenis
linteas dedit. Quo facto expeditiores milites reddidit: nam pondere detracto, quod aeque corpus
tegeret et leve esset, curavit.
Italiano
L’ateniese Ificrate fu ricordato non tanto per la grandezza delle imprese quanto per la disciplina
militare. Infatti fu un tale comandante che non lo si può paragonare con i primi della sua epoca, ma
neppure nessuno dei più anziani gli era anteposto. Certamente partecipò molto in guerra, spesso
comandò gli eserciti, mai per colpa sua condusse male la guerra, vinse sempre con giudizio e tanto
valse in quella, che molte cose nell’arte militare, in parte aggiunse nuove cose, in parte fece migliori
cose. Infatti sostituì le armi della fanteria. Avendo i fanti usato, prima che lui fosse comandante,
scudi molto grandi, brevi lance e piccoli gladi, egli al contrario sostituì la pelta alla parma - per la
quale in seguito sono chiamati peltasti - affinché fossero più agili nel movimento e nello scontro,
raddoppiò la misura della lancia, diede gladi più lunghi. Inoltre sostituì il tipo delle corazze e diede
corazze di lino al posto che a maglie di bronzo. E fatto ciò rese i soldati più agili; infatti, tolto il
peso, escogitò ciò che contemporaneamente proteggesse il corpo e fosse leggero.
Miltiades, 2, 1-4
Latino
Ibi brevi tempore barbarum copiis disiectis tota regione, quam petierat, potitus, loca castellis idonea
communiit, multitudinem, quam secum duxerat, in agris collocavit crebrisque excursionibus
locupletavit. 2 Neque minus in ea re prudentia quam felicitate adiutus est. Nam cum virtute militum
devicisset hostium exercitus, summa aequitate res constituit atque ipse ibidem manere decrevit. 3
Erat enim inter eos dignitate regia, quamvis carebat nomine, neque id magis imperio quam iustitia
consecutus. Neque eo setius Atheniensibus, a quibus erat profectus, officia praestabat. Quibus rebus
fiebat, ut non minus eorum voluntate perpetuo imperium obtineret, qui miserant, quam illorum, cum
quibus erat profectus.
Italiano
Lì in breve tempo fortificò i luoghi idonei con difese, collocò nei campi la moltitudine che aveva
portato con se e rinforzò le difese e con frequenti scorrerie disperse le truppe dei barbari dopo
essersi impossesato di tutta la regione che aveva occupato. E non meno fu aiutato in questa cosa
dalla prudenza che dalla felicità. Infatti sottomesso con la virtù dei soldati l\'esercito dei nemici,
stabilizzò con somma equità la cosa e stabilì che lo stesso restasse in quello stesso luogo. Era infatti
fra quella dignità regia, benchè mancava nel nome, e ciò non fu conseguito più con il potere che con
la giustizia. E ciò nonostante prestava servizi agli ateniesi, dai quali era disceso. A queste cose
conseguiva perchè ottenesse non meno il comando della loro volontà per sempre, ugualmente di
coloro che lo avevano mandato che di quelli con i quali era partito.
Miltiades 4
Latino
Darius autem, cum ex Europa in Asiam redisset, hortantibus amicis, ut Graeciam redigeret in suam
potestatem, classem quingentarum navium comparavit eique Datim praefecit et Artaphernem,
hisque ducenta peditum, decem milia equitum dedit, causam intersens, se hostem esse
Atheniensibus, quod eorum auxilio Iones Sardis expugnassent suaque praesidia interfecissent. Illi
praefecti regii, classe ad Euboeam appulsa, celeriter Eretriam ceperunt omnesque eius gentis cives
abreptos in Asiam ad regem miserunt. Inde ad Atticam accesserunt ac suas copias in campum
Marathona deduxerunt. Id est ab oppido circiter milia passuum decem. Hoc tumultu Athenienses
tam propinquo tam que magno permoti, auxilium nusquam nisi a Lacedaemoniis petiverunt,
Phidippumque, cursorem eius generis, qui hemerodromoe vocantur, Lacedaemonem miserunt, ut
nuntiaret, quamcelerrimo opus esset auxilio. Domi autem creant decem praetores, qui exercitui
praeessent, in eis Miltiadem. Inter quos magno fuit contentio, utrum moenibus se defenderent, an
obviam irent hostibus acieque decernerent. Unus Miltiades maxime nitebatur, ut primo quoque
tempore castra fierent: id factum esset, et civibus omnium accessurum, cum viderent de eorum
virtute non desperari, et hostes eadem se fore tardiores, si animadverterent auderi adversus se tam
exiguis copiis dimicari.
Italiano
Dario invece, essendo tornato in Asia dall’Europa, esortando gli alleati, a ridurre la Grecia in suo
domino, preparò una flotta di cinquecento navi e a capo di essa mise Dati e Artaferne, e a questi
consegnò duecentomila fanti e diecimila cavalieri, citando la causa, che fosse nemico agli Ateniesi,
perché gli Ioni con il loro aiuto avevano espugnato Sardi e avevano massacrato i suoi presidii.
Questi comandanti del re, fatta accostare la flotta all’ Eubea, conquistarono velocemente Eretria e
catturati tutti i cittadini di quel popolo li spedirono in Asia dal re. Dopo si avvicinarono all’Attica e
condussero le proprie truppe nella pianura di Maratona. Questa è all’incirca a diecimila passi dalla
città. Gli Ateniesi turbati per questo improvviso attacco tanto vicino e tanto grande, non chiesero
aiuto a nessuno se non da parte degli Spartani, e mandarono Filippide, un corriere di questo genere,
che chiamano emerodrome (questo termine che deriva dal greco, indica un corriere capace di
percorrere in un giorno una lunghissima corsa), a Sparta, per riferire che c’era bisogno di aiuto il
più presto possibile. Intanto in patria nominano dieci strateghi, affinché comandassero l’esercito, e
tra loro c’era Milziade. E fra questi fu grande la disputa per decidere se dovessero difendersi entro
le mura o se sarebbero dovuti andare incontro ai nemici e dar battaglia sul campo. Il solo Milziade
insisteva maggiormente perché al più presto si costruisse l’accampamento, (dicendo) che se ciò
fosse accaduto, sarebbe cresciuto il coraggio ai cittadini, vedendo che si aveva fiducia nel loro
valore, e per lo stesso motivo i nemici sarebbero stati più lenti, vedendo che si osava combattere
contro di loro con truppe così esigue.
Miltiades 5
Latino
Hoc in tempore nulla civitas Atheniensibus auxilio fuit praeter Plataeenses. Ea mille misit militum.
Itaque horum adventu decem milia armatorum completa sunt; quae manus mirabili flagrabat
pugnandi cupiditate. Quo factum est, ut plus quam collegae Miltiades valeret. Eius ergo auctoritate
impulsi Athenienses copias ex urbe eduxerunt locoque idoneo castra fecerunt. Dein postero die sub
montis radicibus acie [e] regione instructa non apertissuma - namque arbores multis locis erant rarae
- proelium commiserunt hoc consilio, ut et montium altitudine tegerentur et arborum tractu
equitatus hostium impediretur, ne multitudine clauderentur. Datis etsi non aequum locum videbat
suis, tamen fretus numero copiarum suarum confligere cupiebat eoque magis, quod, priusquam
Lacedaemonii subsidio venirent, dimicare utile arbitrabatur. Itaque in aciem peditum centum,
equitum decem milia produxit proeliumque commisit. In quo tanto plus virtute valuerunt
Athenienses, ut decemplicem numerum hostium profligarint adeoque perterruerint, ut Persae non
castra, sed naves petierint. Qua pugna nihil adhuc exstitit nobilius. Nulla enim umquam tam exigua
manus tantas opes prostravit.
Italiano
In questo tempo nessuna città fu di aiuto agli Ateniesi, tranne Platea. Questa inviò mille soldati.
Pertanto, con l’arrivo di questi, si raggiunse il numero complessivo di diecimila armati; e questo
manipolo ardeva dallo straordinario desiderio di combattere. Per cui successe che Milziade avesse
maggiore potere tra i suoi colleghi. Mossi gli Ateniesi, dunque, dalla sua autorevolezza portarono le
truppe fuori dalla città e, in un luogo opportuno, allestirono l’accampamento. Quindi, il giorno
seguente, ai piedi di un monte, schierato l’esercito in un luogo non molto scoperto, - infatti, gli
alberi in molte zone erano rari - attaccarono battaglia con questo scopo: per essere protetti
dall’altezza dei monti e perché la cavalleria nemica fosse ostacolata dai filari di alberi, affinché gli
Ateniesi non fossero circondati dalla moltitudine. Dati (generale persiano sconfitto in questa
battaglia), anche se vedeva per i suoi una sfavorevole situazione, tuttavia, avendo fiducia nel
numero delle sue truppe, desiderava combattere, tanto più che riteneva utile combattere prima che
gli Spartani arrivassero col rinforzo. Perciò schierò in campo cento fanti e diecimila cavalieri e
attaccò battaglia. E in questa (battaglia) gli Ateniesi furono così tanto superiori in valore che
sconfissero un numero dieci volte maggiore di nemici; e spaventarono a tal punto che i Persiani si
rifugiarono non nell’accampamento ma nelle navi. Non c’è stata sinora alcuna battaglia più celebre
di questa: mai in nessuna battaglia, infatti, un così piccolo manipolo distrusse forze così ingenti.
Miltiades 8
Latino
Hic etsi crimine Pario est accusatus, tamen alia causa fuit damnationis. Namque Athenienses
propter Pisistrati tyrannidem, quae paucis annis ante fuerat, omnium civium suorum potentiam
extimescebant. Miltiades, multum in imperiis magnisque versatus, non videbatur posse esse
privatus, praesertim cum consuetudine ad imperii cupiditatem trahi videretur. Nam Chersonesi
omnes illos, quos habitarat, annos perpetuam obtinuerat dominationem tyrannusque fuerat
appellatus, sed iustus. Non erat enim vi consecutus, sed suorum voluntate, eamque potestatem
bonitate retinebat. Omnes autem et dicuntur et habentur tyranni, qui potestate sunt perpetua in ea
civitate, quae libertate usa est. Sed in Miltiade erat cum summa humanitas tum mira communitas, ut
nemo tam humilis esset, cui non ad eum aditus pateret, magna auctoritas apud omnes civitates,
nobile nomen, laus rei militaris maxima. Haec populus respiciens maluit illum innoxium plecti
quam se diutius esse in timore.
Italiano
Sebbene egli fosse stato accusato della colpa di Paro, tuttavia la causa della condanna fu un\'altra.
Gli Ateniesi per la tirannide di Pisistrato, che c\'era stata pochissimo prima, temevano il potere di
tutti i loro concittadini. 2 Milziade era sempre vissuto tra comandi militari e magistrature, e non
pareva che potesse fare il semplice cittadino, tanto più che sembrava essere spinto a desiderare il
potere dalla lunga consuetudine con esso. 3 Infatti per tutti quegli anni che aveva abitato nel
Chersoneso aveva tenuto ininterrottamente il dominio ed era stato chiamato tiranno, anche se
legittimo: non l\'aveva infatti ottenuto con la forza ma per libero volere dei suoi e tale potere aveva
mantenuto con la sua onestà. Ma sono detti e ritenuti tiranni tutti quelli che hanno un potere
continuato, in una città avvezza a vivere libera. 4 Ma Milziade era uomo di una straordinaria
gentilezza e di mirabile affabilità, sì che non c\'era nessuno di tanto bassa condizione che non
avesse accesso alla sua persona; presso tutte le città godeva di grande autorità, di un nome famoso e
di una grandissima gloria militare. Il popolo, considerando tutto questo preferii che fosse punito lui
innocente, piuttosto che continuare esso a vivere nel timore.
Pausania, 1
Latino
Pausanias Lacedaemonius magnus homo, sed varius in omni genere vitae fuit: nam ut virtutibus
eluxit, sic vitiis est obrutus. Huius illustrissimum est proelium apud Plataeas. 2 Namque illo duce
Mardonius, satrapes regius, natione Medus, regis gener, in primis omnium Persarum et manu fortis
et consilii plenus, cum CC milibus peditum, quos viritim legerat, et XX equitum haud ita magna
manu Graeciae fugatus est, eoque ipse dux cecidit proelio. Qua victoria elatus plurima miscere
coepit et maiora concupiscere. 3 Sed primum in eo est reprehensus, quod [cum] ex praeda tripodem
aureum Delphis posuisset epigrammate scripto, in quo haec erat sententia: suo ductu barbaros apud
Plataeas esse deletos, eiusque victoriae ergo Apollini id donum dedisse. 4 Hos versus Lacedaemonii
exsculpserunt neque aliud scripserunt quam nomina earum civitatum, quarum auxilio Persae erant
victi.
Italiano
PAUSANIA, Spartano, fu un uomo grande, ma volubile in ogni circostanza della vita: infatti,come
brillò per virtu\', così fu travolto dai vizi. La sua impresa piu\' famosa è la battaglia di Platea. 2.
Sotto la sua guida, Mardonio, satrapo del re, di nazionalità Meda, genero del re, valoroso in guerra e
molto prudente, piu\' di tutti i Persiani, da un piccolo esercito della Grecia fu messo in fuga con
duecentomila fanti, che Pausania aveva scelto uno ad uno, e ventimila cavalieri; in tale battaglia
cadde lo stesso comandante. Insuperbito da questa vittoria cominciò a sconvolgere ogni cosa e a
desiderare ardentemente successi piu\' grandi. 3. Ma anzitutto fu rimproverato per il fatto che aveva
posto a Delfi un tripode d\'oro del bottino di guerra con un\'iscrizione nella quale c\'erano queste
parole: "Sotto la sua guida i barbari erano stati sconfitti a Platea e per tale vittoria aveva fatto il
dono ad Apollo". 4. Gli Spartani cancellarono con lo scalpello queste parole e non scrissero altro
che i nomi di quelle città con l\'aiuto delle quali i Persiani erano stati sconfitti.
Pausania, 2
Latino
Post id proelium eundem Pausaniam cum classe communi Cyprum atque Hellespontum miserunt, ut
ex his regionibus barbarorum praesidia depelleret. 2 Pari felicitate in ea re usus elatius se gerere
coepit maioresque appetere res. Nam cum Byzantio expugnato cepisset complures Persarum nobiles
atque in his nonnullos regis propinquos, hos clam Xerxi remisit, simulans ex vinclis publicis
effugisse, et cum his Gongylum Eretriensem, qui litteras regi redderet, in quibus haec fuisse scripta
Thucydides memoriae prodidit: 3 `Pausanias, dux Spartae, quos Byzantii ceperat, postquam
propinquos tuos cognovit, tibi muneri misit seque tecum affinitate coniungi cupit. Quare, si tibi
videtur, des ei filiam tuam nuptum. 4 Id si feceris, et Spartam et ceteram Graeciam sub tuam
potestatem se adiuvante te redacturum pollicetur. His de rebus si quid geri volueris, certum
hominem ad eum mittas face, cum quo colloquatur.\' 5 Rex tot hominum salute tam sibi
necessariorum magnopere gavisus confestim cum epistula Artabazum ad Pausaniam mittit, in qua
eum collaudat petit, ne cui rei pareat ad ea efficienda, quae pollicetur: si perfecerit, nullius rei a se
repulsam laturum. 6 Huius Pausanias voluntate cognita alacrior ad rem gerendam factus, in
suspicionem cecidit Lacedaemoniorum. Quo facto domum revocatus, accusatus capitis absolvitur,
multatur tamen pecunia; quam ob causam ad classem remissus non est.
Italiano
Dopo questa battaglia inviano lo stesso Pausania con la flotta degli alleati a Cipro e nell\'Ellesponto,
con l\'incarico di cacciare da quelle regioni le guarnigioni dei barbari. 2 Avuto un esito ugualmente
felice dell\'impresa cominciò a comportarsi con molto orgoglio ed a prefiggersi mete più ambiziose.
Ed infatti quando, espugnata Bisanzio, catturò molti nobili Persiani e tra loro alcuni parenti del re,
rispedì questi ultimi di nascosto a Serse, fingendo che fossero fuggiti dalle pubbliche prigioni e
insieme con questi Gangilo di Eretria con l\'incarico di consegnare al re una lettera, in cui Tucidide
testimonia che erano scritte queste cose: 3 "Pausania, duce di Sparta, quelli che ha catturato a
Bisanzio, dopoché ha appreso che sono tuoi parenti, te li ha mandati in dono e desidera imparentarsi
con te; perciò, se ti sta bene, dàgli in sposa la tua figliuola. 4 Se farai così, egli ti promette di ridurre
in tuo potere, col tuo aiuto, e Sparta e tutto il resto della Grecia. Se vorrai avviare trattative su
questa proposta, mandagli un uomo fidato col quale possa avere un abboccamento". 5 Il re si
rallegrò moltissimo della salvezza di tanti uomini a lui tanto vicini per parentela e mandò
immediatamente da Pausania Artabazo con una lettera, nella quale lo colmava di lodi; chiede che
nulla tralasci per realizzare quelle cose che prometteva; se le avesse portate a termine, nulla gli
verrà da lui rifiutato. 6 Pausania conosciute le intenzioni del re, fattosi più zelante nella esecuzione
del piano, cadde in sospetto degli Spartani. Per la qual cosa richiamato in Patria viene accusato di
delitto capitale ed assolto, ma è condannato ad una pena pecuniaria; e per questo non fu rimandato
alla flotta.
Pausania, 3
Latino
At ille post non multo sua sponte ad exercitum rediit et ibi non callida, sed dementi ratione cogitata
patefecit. Non enim mores patrios solum, sed etiam cultum vestitumque mutavit. 2 Apparatu regio
utebatur, veste Medica; satellites Medi et Aegyptii sequebantur, epulabatur more Persarum
luxuriosius, quam, qui aderant, perpeti possent. 3 Aditum petentibus conveniundi non dabat,
superbe respondebat, crudeliter imperabat. Spartam redire nolebat: Colonas, qui locus in agro
Troade est se contulerat: ibi consilia cum patriae tum sibi inimica capiebat. 4 Id postquam
Lacedaemonii rescierunt, legatos cum clava ad eum miserunt, in qua more illorum erat scriptum:
nisi domum reverteretur, se capitis eum damnaturos. 5 Hoc nuntio commotus, sperans se etiam tum
pecunia et potentia instans periculum posse depellere, domum rediit. Huc ut venit, ab ephoris in
vincla publica est coniectus; licet enim legibus eorum cuivis ephoro hoc facere regi. Hinc tamen se
expedivit; neque eo magis carebat suspicione. Nam opinio manebat eum cum rege habere
societatem. 6 Est genus quoddam hominum, quod Hilotae vocatur, quorum magna multitudo agros
Lacedaemoniorum colit servorumque munere fungitur. Hos quoque sollicitare spe libertatis
existimabatur. 7 Sed quod harum rerum nullum erat apertum crimen, quo argui posset, non putabant
de tali tamque claro viro suspicionibus oportere iudicari et exspectandum, dum se ipsa res aperiret.
Italiano
Ma lui, non molto dopo, di sua iniziativa, ritornò all\'esercito e quivi, senza nessuna avvedutezza ma
in modo addirittura folle, rivelò le sue intenzioni: cambiò infatti non solo le abitudini patrie, ma
anche il modo di vivere e di vestire. 2 Sfoggiava una magnificenza regale, aveva vesti mediche; lo
accompagnavano satelliti medi ed egiziani; banchettava alla maniera dei Persiani, con più lusso di
quanto potessero tollerare quelli che erano con lui; 3 rifiutava l\'udienza a chi gliela chiedeva;
rispondeva in modo altezzoso; dava ordini crudeli. Non voleva tornare a Sparta; si era recato a
Colone, una località della Troade; là prendeva decisioni ostili sia alla patria che a se stesso. 4
Quando gli Spartani vennero a conoscenza di ciò, gli inviarono dei messi con la scítala, in cui
secondo il loro costume era scritto che se non fosse tornato in patria, lo avrebbero condannato a
morte. 5 Sconvolto da questo messaggio, sperando ancora di essere in grado, con il denaro ed il
potere, di scongiurare il pericolo incombente, tornò in patria. Appena arrivato, fu dagli èfori messo
nelle pubbliche prigioni: secondo le loro leggi infatti qualsivoglia èforo può fare questo ad un re. Da
qui tuttavia uscì, ma non per questo venne meno il sospetto: rimaneva infatti la convinzione che se
la intendesse col re. 6 Vi è una categoria di gente chiamata Iloti, una grande moltitudine dei quali
coltiva i campi degli Spartani e adempie la funzione degli schiavi. Si riteneva che egli sobillasse
anche questi con la speranza della libertà. 7 Ma poiché di queste trame non esisteva alcuna prova
manifesta per la quale potesse essere accusato, non ritenevano che si dovesse giudicare di un uomo
tale e tanto illustre sulla base di sospetti, ma che si dovesse aspettare finché la cosa si svelasse da sé.
Pausania, 4
Latino
Interim Argilius quidam adulescentulus, quem puerum Pausanias amore venerio dilexerat, cum
epistulam ab eo ad Artabazum accepisset, eique in suspicionem venisset aliquid in ea de se esse
scriptum, quod nemo eorum redisset, qui super tali causa eodem missi erant, vincla epistulae laxavit
signoque detracto cognovit, si pertulisset, sibi esse pereundum. 2 Erant in eadem epistula, quae ad
ea pertinebant, quae inter regem Pausaniamque convenerant. Has ille litteras ephoris tradidit. 3 Non
est praetereunda gravitas Lacedaemoniorum hoc loco. Nam ne huius quidem indicio impulsi sunt, ut
Pausaniam comprehenderent, neque prius vim adhibendam putaverunt, quam se ipse indicasset. 4
Itaque huic indici, quid fieri vellent, praeceperunt. Fanum Neptuni est Taenari, quod violari nefas
putant Graeci. Eo ille [index] confugit in araque consedit. Hanc iuxta locum fecerunt sub terra, ex
quo posset audiri, si quis quid loqueretur cum Argilio. Huc ex ephoris quidam descenderunt. 5
Pausanias ut audivit Argilium confugisse in aram, perturbatus venit eo. Quem cum supplicem dei
videret in ara sedentem, quaerit, causae quid sit tam repentini consilii. 6 Huc ille, quid ex litteris
comperisset, aperit. Modo magis Pausanias perturbatus orare coepit, ne enuntiaret nec se meritum
de illo optime proderet: quod si eam veniam sibi dedisset tantisque implicatum rebus sublevasset,
magno ei praemio futurum.
Italiano
Frattanto un giovane di Argilo, che Pausania aveva amato di un amore sensuale fin da fanciullo,
avendo avuto da lui una lettera per Artabazo, ed avendo sospettato che in essa fosse stato scritto
qualcosa su di lui, poichè nessuno di quelli che in precedenza erano stati inviati per tale motivo
nello stesso luogo era tornato, sciolse i lacci della lettera e, tolto il sigillo, venne a sapere che lui
sarebbe dovuto morire se l\'avesse portata a destinazione. 2. Nella medesima lettera c\'erano cose
che si riferivano a ciò che si era pattuito tra il re e Pausania. Il giovane consegnò questa lettera agli
efori. 3. Non bisogna passare sotto silenzio la prudenza degli Spartani in tale occasione. Infatti,
nemmeno dalla denuncia di questo giovane furono spinti ad accusare Pausania e non ritennero di
dover usare la forza prima che egli stesso si fosse scoperto. 4. Pertanto ordinarono a questa spia che
cosa volevano che si facesse. A Tenaro si trova un tempio di Nettuno che i Greci ritengono
sacrilegio violare. Quella spia si rifugiò là e sedette sull\'altare. Vicino all\'altare costruirono sotto
terra una cavità da cui si poteva sentire se qualcuno diceva qualcosa all\'Argilese. Qui scesero
alcuni degli efori. 5. Pausania, quando seppe che l\'Arigilese si era rifugiato sull\'altare, tutto turbato
si recò là. Vedendolo seduto supplice sull\'altare del dio, chiede qual è il motivo di una decisione
così repentina. 6. Quello gli svela quanto aveva saputo dalla lettera. Allora Pausania, ancora piu\'
turbato, cominciò a pregarlo che non denunciasse nè tradisse lui che tanto generosamente lo aveva
beneficiato: se gli avesse concesso tale favore e avesse aiutato lui, implicato in questioni tanto
gravi, l\'avrebbe largamente ricompensato.
Pausania, 5
Latino
His rebus ephori cognitis satius putarunt in urbe eum comprehendi. Quo cum essent profecti et
Pausanias placato Argilio, ut putabat, Lacedaemonem reverteretur, in itinere, cum iam in eo esset,
ut comprehenderetur, ex vultu cuiusdam ephori, qui eum admoneri cupiebat, insidias sibi fieri
intellexit. 2 Itaque paucis ante gradibus, quam qui eum sequebantur, in aedem Minervae, quae
Chalcioicos vocatur, confugit. Hinc ne exire posset, statim ephori valvas eius aedis obstruxerunt
tectumque sunt demoliti, quo celerius sub divo interiret. 3 Dicitur eo tempore matrem Pausaniae
vixisse eamque iam magno natu, postquam de scelere filii comperit, in primis ad filium claudendum
lapidem ad introitum aedis attulisse. 4 Hic cum semianimis de templo elatus esset confestim
animam efflavit. Sic Pausanias magnam belli gloriam turpi morte maculavit. 5 Cuius mortui corpus
cum eodem nonnulli dicerent inferri oportere, quo ii, qui ad supplicium essent dati, displicuit
pluribus, et procul ab eo loco infoderunt, quo erat mortuus. Inde posterius dei Delphici responso
erutus atque eodem loco sepultus est, ubi vitam posuerat.
Italiano
Conosciute queste cose, gli èfori credettero più opportuno che quello venisse arrestato nella città.
Partirono alla volta di quella e anche Pausania se ne tornava a Sparta, dopo aver rassicurato, come
credeva, l\'Argilese: durante il viaggio mentre stava sul punto di essere preso dall\'espressione del
viso di uno degli èfori che desiderava avvertirlo, capì che gli si tendeva un agguato. 2 Allora,
precedendo di alcuni passi quelli che lo accompagnavano, si rifugiò nel tempio di Minerva detta
Calcieca. Perché da qui non potesse uscire, immediatamente gli èfori chiusero con un muro le porte
del tempio ed abbatterono il tetto, perché più presto morisse sotto il cielo aperto. 3 Si dice che in
quel tempo fosse ancora in vita la madre di Pausania e che essa già avanzata in età, quando venne a
sapere del misfatto del figlio, fu tra i primi a recare la pietra all\'ingresso del tempio per chiudervi il
figlio. Così Pausania macchiò la grande gloria militare con una morte ignominiosa; 5 portato fuori
del tempio più morto che vivo, esalò quasi subito l\'ultimo respiro. Il suo cadavere alcuni dicevano
che bisognava portarlo nello stesso luogo riservato a quelli che venivano giustiziati, la maggioranza
però fu di parere contrario e lo seppellirono lontano dal luogo dove era morto; successivamente, in
seguito al responso del dio di Delfi, fu da li dissotterrato e sepolto nello stesso luogo dove aveva
lasciato la vita.
Phocion 1
Latino
Phocion Atheniensis, etsi exercitibus saepe praefuit et summos honores adeptus est, vitae tamen
integritate quam rei militaris labore multo clarior fuit. Nam perpetuo pauper fuit, quamvis
ditissimus esse posset ob frequentes honores delatos potestatesque summas, quae ei a populo
commissae erant. Hic, cum Philippus rex magnam pecuniam ei misit muneri, prorsus repudiavit.
Legati tamen eum hortabantur ut donum regium acciperet atque, si non sibi, saltem filiis
prospiceret. Tunc Phocion ita respondisse dicitur: «Si patri similes esse volent, idem hic agellus, qui
me ad hanc dignitatem perduxit, et illos alet; sin dissimiles erunt, meis impensis illorum luxuriam
ali et augeri nolo». Cum idem ad mortem duceretur, Euphiletus\' quidam ei obvius fuit qui: «O
quam indignà - inquit - perpeteris, Phocion». Cui Phocion: «At non inopinatà; hunc enim exitum
iam clari Athenienses habuerunt».
Italiano
L\'ateniese Focione, benché spesso sia stato a capo degli eserciti e abbia raggiunto le più alte
cariche ,fu molto più famoso per l\'integrità della (sua) vita piuttosto che per l\'imprese militari (lett.
per l\'impresa nell\'arte militare). Infatti fu sempre povero sebbene potesse essere ricchissimo per i
frequenti onori conferiti e le più alte cariche che gli venivano affidate dal popolo. Questo, quando il
re Filippo gli mandò in dono una grande ricchezza,la respinse completamente. I legati tuttavia lo
esortavano affinché accettasse il dono regale e provvedesse, se non per se stesso, almeno per i figli.
Allora Focione si dice abbia risposto così: «Se vogliono essere simili al padre, questo stesso
poderetto che mi ha condotto a questa dignità, nutrirà anche loro; se invece saranno diversi, non
voglio che la loro lussuria venga nutrita ed aumentata a mie spese». Quando venne condotto alla
morte, un certo Eufileto che gli era venuto incontro disse: «O Focione, come sopporti un
trattamento indegno (lett.cose indegne)». E Focione a questo: «Ma non imprevisto; infatti del resto
illustri ateniesi ebbero questa fine».
Phocion, 1
Latino
Phocion Atheniensis etsi saepe exercitibus praefuit summosque magistratus cepit, tamen multo eius
notior integritas vitae quam rei militaris labor. Itaque huius memoria est nulla, illius autem magna
fama, ex quo cognomine Bonus est appellatus. Fuit enim perpetuo pauper, cum divitissimus esse
posset propter frequentis delatos honores potestatesque summas, quae ei a populo dabantur. Hic
cum a rege Philippo munera magnae pecuniae repudiaret legatique hortarentur accipere simulque
admonerent, si ipse his facile careret, liberis tamen suis prospiceret, quibus difficile esset in summa
paupertate tantam paternam tueri gloriam, his ille `Si mei similes erunt, idem hic\' inquit `agellus
illos alet, qui me ad hanc dignitatem perduxit; sin dissimiles sunt futuri, nolo meis impensis illorum
ali augerique luxuriam.\'
Italiano
Benché l’Ateniese Focione fosse stato spesso a capo di eserciti e abbia ricoperto le più alte cariche,
tuttavia [è] molto più nota la sua l\'integrità di vita che l\'attività militare. Così di quest\'ultima il
ricordo è nullo, grande invece è la fama di quella, per cui fu soprannominato il Buono. Fu infatti
vero per tutta la vita, sebbene potesse essere ricchissimo per le cariche spesso rivestite e per i più
alti poteri che gli venivano affidati dal popolo. Costui, poiché rifiutò dal re Filippo doni di grande
valore e esortandolo gli ambasciatori ad accettarli e insieme ricordandogli che, se lui poteva
facilmente farne a meno, pensasse tuttavia ai suoi figli, ai quali sarebbe stato difficile conservare
nella più grande povertà la tanto grande gloria paterna, rispose loro: "Se saranno simili a me, li
nutrirà questo stesso campicello che ha portato me a questa carica; se dovranno essere diversi, non
voglio che il loro lusso sia alimentato ed accresciuto a mie spese".
Temistocles 1
Latino
1] Themistocles, Neocli filius, Atheniensis. Huius vitia ineuntis adulescentiae magnis sunt
emendata virtutibus, adeo ut anteferatur huic nemo, pauci pares putentur. [2] Sed ab initio est
ordiendus. Pater eius Neocles generosus fuit. Is uxorem Acarnanam civem duxit, ex qua natus est
Themistocles. Qui cum minus esset probatus parentibus, quod et liberius vivebat et rem familiarem
neglegebat, a patre exheredatus est. [3] Quae contumelia non fregit eum, sed erexit. Nam cum
iudicasset sine summa industria non posse eam exstingui, totum se dedidit rei publicae. Diligentius
amicis famaeque serviens multum in iudiciis privatis versabatur, saepe in contionem populi
prodibat; nulla res maior sine eo gerebatur; celeriter, quae opus erant, reperiebat, facile eadem
oratione explicabat. [4] Neque minus in rebus gerendis promptus quam excogitandis erat, quod et de
instantibus, ut ait Thucydides, verissime indicabat et de futuris callidissime coniciebat. Quo factum
est, ut brevi tempore illustraretur.
Italiano
[1] Temistocle, figlio di Neocle, era Ateniese. I traviamenti della giovinezza, furono compensati in
Temistocle da grandi meriti, sicchè non si può anteporre nessun cittadino e pochi possono essere
ritenuti pari a lui. [2] Ma bisogna cominciare dall’inizio. Suo padre Neocle fu un uomo nobile.
Questo sposò una donna dell’Arcania, da questa nacque Temistocle. E questo, essendo poco ben
stimato dai genitori, poiché viveva troppo licenziosamente e non aveva cura del patrimonio della
famiglia, fu diseredato dal padre. [3] Ma tanto affronto, non abbatté il suo animo, ma gli fu di
incitamento. Infatti poiché riteneva che tale ingiuria non poteva essere cancellata senza la più
somma attività, si dedicò interamente con molto impegno allo stato, servendo più diligentemente gli
amici e l’ opinione pubblica. Si occupava molto di cause di privati cittadini e si faceva innanzi
nell’assemblea popolare; nessun affare di maggiore importanza era trattato senza il suo parere.
Facilmente trovava le cose che erano necessarie e pronunciava le orazioni. [4] E non era meno
pronto nel realizzare le cose che nel concepirle, perché, come afferma Tucidide, giudicava nella
maniera più opportuna e prevedeva con grande esperienza le cose future. Così accadde che in breve
tempo divenne famoso.
Temistocles 2
Latino
[1] Primus autem gradus fuit capessendae rei publicae bello Corcyraeo; ad quod gerendum praetor a
populo factus non solum praesenti bello, sed etiam reliquo tempore ferociorem reddidit civitatem.
[2] Nam cum pecunia publica, quae ex metallis redibat, largitione magistratuum quotannis interiret,
ille persuasit populo, ut ea pecunia classis centum navium aedificaretur. [3] Qua celeriter effecta
primum Corcyraeos fregit, deinde maritimos praedones consectando mare tutum reddidit. In quo
cum divitiis ornavit, tum etiam peritissimos belli navalis fecit Athenienses. [4] Id quantae saluti
fuerit universae Graeciae, bello cognitum est Persico. Nam cum Xerxes et mari et terra bellum
universae inferret Europae cum tantis copiis, quantas neque ante nec postea habuit quisquam: [5]
huius enim classis mille et ducentarum navium longarum fuit, quam duo milia onerariarum
sequebantur; terrestres autem exercitus septingenta peditum, equitum quadringenta milia fuerunt.
[6] Cuius de adventu cum fama in Graeciam esset perlata et maxime Athenienses peti dicerentur
propter pugnam Marathoniam, miserunt Delphos consultum, quidnam facerent de rebus suis.
Deliberantibus Pythia respondit, ut moenibus ligneis se munirent. [7] Id responsum quo valeret,
cum intellegeret nemo, Themistocles persuasit consilium esse Apollinis, ut in naves se suaque
conferrent: eum enim a deo significari murum ligneum.[8] Tali consilio probato addunt ad
superiores totidem naves triremes suaque omnia, quae moveri poterant, partim Salamina, partim
Troezena deportant; arcem sacerdotibus paucisque maioribus natu ac sacra procuranda tradunt,
reliquum oppidum relinqunt.
Italiano
[1] Invece il primo passo per darsi alla vita politica fu al tempo della guerra contro (lett di) Corcira
(l’odierna Corfù): nominato stratega dal popolo per condurre la quale (guerra), rese la città più
pronta non solo nella guerra di allora ma anche per il futuro. [2] Poiché il denaro pubblico che
proveniva dalle miniere veniva consumato ogni anno per le elargizioni (fatte dai) dei magistrati,
convinse il popolo a utilizzare quel denaro per costruire una flotta di cento navi. [3] E allestita
questa (flotta) velocemente, dapprima vinse i Corciresi, dando la caccia ai pirati marittimi finché
rese il mare sicuro. In questa (impresa) sia ornò di ricchezze, sia nel frattempo rese gli Ateniesi
espertissimi della guerra navale. [4] Di quanta utilità sia stato alla salvezza di tutta la Grecia, lo si
capì nella guerra persiana. Quando infatti Serse portava guerra per terra e per mare a tutta l\'Europa,
la invase con un esercito così grande quale nessuno né prima né dopo ebbe mai: [5] la flotta di
costui si componeva di milleduecento navi da guerra, al quale seguivano duemila navi da carico; le
truppe terrestri ammontavano a settecentomila fanti e quattrocentomila cavalieri. [6] Ed essendo
arrivata in Grecia la notizia sull’arrivo di questo (di Serse) e (poiché) si diceva che soprattutto gli
Ateniesi erano presi di mira per la battaglia di Maratona, mandarono a consultare l’oracolo di Delfi,
su che cosa dovessero fare riguardo alla loro situazione (lett. che facessero qualche cosa riguardo le
loro cose). A coloro che la consultavano la Pizia rispose che si fortificassero con mura di legno. [7]
Poiché nessuno capiva a che cosa mirasse questo responso, Temistocle li convinse che era il
consiglio di Apollo che recassero loro stessi e le proprie cose sulle navi: questo era infatti il muro di
legno che era indicato dal dio. [8] Tale parere viene considerato giusto e così gli Ateniesi
aggiungono alle (navi) precedenti altrettante navi triremi che potevano essere trasportate, parte a
Salamina, parte a Trezene: affidano l\'Acropoli e l\'espletamento del culto ai sacerdoti e a pochi
anziani (lett. maggiori per nascita) e abbandonano il resto della città.
Paragrafo 4
Latino
Huic pro tantis meritis honoris corona a populo data est, facta duabus virgulis oleaginis: quam quod
amor civium et non vis expresserat, nullam habuit invidiam magnaque fuit gloria. Bene ergo
Pittacus ille, qui in VII sapientum numero est habitus, cum Mytilenaei multa milia iugerum agri ei
muneri darent, `Nolite, oro vos, inquit id mihi dare, quod multi invideant, plures etiam
concupiscant. Quare ex istis nolo amplius quam centum iugera, quae et meam animi aequitatem et
vestram voluntatem indicent. Nam parva munera diutina, locupletia non propria esse consuerunt\'.
Illa igitur corona contentus Thrasybulus neque amplius requisivit neque quemquam honore se
antecessisse existimavit. Hic sequenti tempore cum praetor classem ad Ciliciam appulisset neque
satis diligenter in castris eius agerentur vigiliae, a barbaris ex oppido noctu eruptione facta in
tabernaculo interfectus est.
Italiano
Per così grandi meriti gli fu conferita dal popolo una corona a titolo di onore, fatta con due rametti
di olivo. E poichè l\'amore dei concittadini, e non la violenza, l\'aveva procurata, non suscitò alcun
odio, ma fu di grande gloria. Quel famoso Pittaco, che fu annoverato tra i sette saggi, poichè gli
abitanti di Mitilene gli offrivano in dono molte migliaia di iugeri di terreno, giustamente disse:
"Non datemi, vi prego, ciò che molti potrebbero invidiare e moltissimi anche bramare. Di questi
non voglio piu\' di cento iugeri che mostrino la mia moderazione e la vostra benevolenza". 3. Infatti
i piccoli doni sono soliti essere duraturi, quelli ricchi instabili. Pertanto Trasibulo, contento di quella
corona, non chiese di piu\' e giudicò che nessuno lo avesse superato in onore. 4. Egli in seguito,
quando come comandante aveva fatto approdare la flotta in Cilicia, giacchè non si era fatta la
guardia nel suo accampamento con sufficiente diligenza, fu ucciso dai barbari nella tenda durante
un\'uscita improvvisa dalla città compiuta di notte.
Paragrafo 3
Latino
Hic cum esset magno natu et magistratus gerere desisset, bello Athenienses undique premi sunt
coepti. Defecerat Samus, descierat Hellespontus, Philippus iam tum valens, Macedo, multa
moliebatur; cui oppositus Chares cum esset, non satis in eo praesidii putabatur. Fit Menestheus
praetor, filius Iphicratis, gener Timothei, et ut ad bellum proficiscatur, decernitur. Huic in consilium
dantur viri duo usu sapientiaque praestantes, [quorum consilio uteretur] pater et socer, quod in his
tanta erat auctoritas, ut magna spes esset per eos amissa posse recuperari. Hi cum Samum profecti
essent et eodem Chares illorum adventu cognito cum suis copiis proficisceretur, ne quid absente se
gestum videretur, accidit, cum ad insulam appropinquarent, ut magna tempestas oriretur; quam
evitare duo veteres imperatores utile arbitrati suam classem suppresserunt. At ille temeraria usus
ratione non cessit maiorum natu auctoritati, velut in sua manu esset fortuna. Quo contenderat,
pervenit, eodemque ut sequerentur, ad Timotheum et Iphicratem nuntium misit. Hinc male re gesta,
compluribus amissis navibus eo, unde erat profectus, se recipit litterasque Athenas publice misit,
sibi proclive fuisse Samum capere, nisi a Timotheo et Iphicrate desertus esset. Populus ater,
suspicax ob eamque rem mobilis, adversarius, invidus - etiam potentiae in crimen vocabantur domum revocat: accusantur proditionis. Hoc iudicio damnatur Timotheus, lisque eius aestimatur
centum talentis. Ille odio ingratae civitatis coactus Chalcidem se contulit.
Italiano
Questo essendo in età tarda ed avendo finito di esercitare cariche pubbliche, gli Ateniesi iniziarono
ad essere incalzati da ogni parte a causa della guerra. Samo aveva disertato, l\'Ellesponto si era
ribellato, Filippo già allora valoroso macedone, tramava molte cose, al quale essendosi opposto
Careste, si stimava non ci fosse abbastanza difesa. Diviene stratega Menestole, figlio di Ficerate,
genero di Timoteo e scelto affinché parta per la guerra. A questo sono affidati due parenti per
pratica e per esperienza, il padre e il suocero. Essendo questi partiti per Samo Careste nel
medesimo, conoscendo il loro arrivo, partendo con le sue truppe, accadde che avvicinandosi
all\'isola, scoppiasse una grande tempesta e i due vecchi comandanti ritenevano utile evitarla, fecero
fermare la loro flotta. Ma quello secondo un piano temerario non cedette all\'autorità dei più anziani
come se avesse lui in mano la fortuna. Arrivò là dove si era diretto e mandò a Timoteo e ad Ificrate
una intimazione perché lo seguissero nel medesimo luogo. In seguito, avuta l\'impresa un cattivo
esito, e perdute numerose navi, si rifugiò al luogo di partenza e mandò ad Atene un rapporto
ufficiale: gli sarebbe stato facile prendere Samo, se non esse stato abbandonato da Timoteo ed
Ificrate. Il popolo eccitabile, sospettoso e perciò incostante, avverso e ostile (anche la potenza era
considerata una colpa) li richiama in patria: sono accusati di tradimento. Al processo Timoteo viene
condannato e gli viene comminata una ammenda di cento talenti). Egli, costretto dalla malevolenza
della città ingrata, si ritirò a Calcide
Bontà di Timoleonte
Latino
Timoleonti quidam Laphystius, homo petulans et ingratus, vadimonium cum vellet imponere, quod
cum illo se lege agere diceret, et complures concurrissent, qui procacitatern hominis manibus
coercere conarentur, Timoleon oravit omnes ne id facerent: hanc enim speciem libertatis esse, si
omnibus, quod quisque vellet, legibus experiri liceret. Idem, cum quidam, nomine Demaenetus, in
contione populi de rebus gestis eius detrahere coepisset, dixit nunc demum se voti esse damnatum,
namque hoc a diis immortalibus semper precatum, ut talem libertatem restituerent Syracusanis, in
qua cuivis liceret de quo vellet impune dicere.
Italiano
Un certo Lafistio, uomo petulante e antipatico, voleva fare imporre a Timoleonte un mandato di
comparizione in tribunale, dicendo che gli intentava processo. Allora molti accorsero, tentando con
le mani di frenare l\'impudenza di quell\'uomo. Ma Timoleonte scongiurò tutti di non farlo: questo
era infatti il concetto di libertà: che a tutti fosse lecito di sostenere ciò che voleva in nome della
legge. Egli stesso, poichè un tale, di nome Demeneto, aveva cominciato in un\'assemblea popolare a
denigrarlo per le sue azioni, disse che ora finalmente era soddisfatto nel suo desiderio. Infatti egli
aveva sempre implorato dagli dei immortali che concedessero ai Siracusani tale libertà, per cui a
ciascuno fosse permesso di dire impunemente ciò che voleva.
Dione si impadronisce di Siracusa
Latino
Postquam Corinthum pervenit Dion et eodem perfugit Heraclides ab eodem expulsus Dionysio, qui
praefectus fuerat equitum, omni ratione bellum comparare coeperunt. Sed non multum proficiebant,
quod tyranno magnarum opum copia esse putabatur. Sed Dion, fretus non tam suis copiis quam
odio tyranni, maximo animo duabus onerariis navibus, quingentis longis navibus, decem equitum
centumque peditum milibus profectus oppugnatum, quod oninibus gentibus admirabile est visum,
post diem tertium quam Siciliam attigerat, Syracusas introivit.
Italiano
Appena Dione giunse a Corinto, e li si rifugio anche Eraclide, egli pure espulso da Dionigi, di cui
era stato prefetto della cavalleria, con tutto l\'impegno si accinsero a preparare la guerra. Ma non
facevano grandi progressi, perché si pensava che il tiranno possedesse una grande quantità di mezzi.
Ma Dione, fiducioso non tanto sulle sue soldatesche, quanto sull\'odio verso il tiranno, con
grandissimo ardimento parti per l\'assedio con due navi da carico, cinquecento navi da guerra,
diecimila cavalieri e centomila fanti. E, cosa che a tutti sembrò straordinaria, dopo tre giorni che era
sbarcato in Sicilia, entrò in Siracusa.
La beffa di Farnabazo
Latino
Hoc loco non est praetereundum factum Pharnabazi, satrapis regii. Nam cum Lysander praefectus
classis in bello multa crudeliter avareque fecisset deque eis rebus suspicaretur perlatum esse ad suos
cives, petiit a Pharnabazo ut ad ephoros sibi testimonium daret, quanta sanctitate bellum gessisset et
socios tractavisse, et ut de ea re accurate scriberet. Huic ille liberaliter pollicetur; librum grandem
verbis multis conscripsit, in quibus eum effert summis laudibus. Quem cum hic legisset
proba(vi)ssetque, dum signatur, alterum pari magnitudine, tanta similitudine ut discerni non posset,
signatum subiecit, in quo accuratissime eius avaritiam perfidiamque accusaverat. Hinc Lysander
domum cum redisset, postquam de suis rebus gestis apud maximum magistratum quae voluerat
dixerat, testimonii loco librum a Pharnabazo datum tradidit. Cum ephori cognovissent hunc,
Lysandro ipso legendum dederunt. Ita ille imprudens ipse suus fuit accusator.
Italiano
A questo punto non si deve tralasciare l\'azione di Farnabazo, satrapo del re. Infatti poiché il
comandante della flotta Lisandro aveva agito molto (fatto molte cose)* crudelmente e avidamente
in guerra e sospettava che queste cose fossero state annunciate ai suoi concittadini, chiese a
Farnabazo di dargli un attestato per gli efori e di scrivere accuratamente di questa cosa, con quanto
disinteresse avesse condotto la guerra e trattato i compagni. Quello promise a questo volentieri;
compose un grande libro con molte parole, nelle quali lo esaltava (esalta)* con somme lodi. E dopo
che questo lo aveva letto e approvato, mentre veniva (è)* sigillato, lo sostituì con un altro già
sigillato di pari grandezza, di una così grande somiglianza da non poter essere distinto, nel quale
aveva denunziato con molta cura la sua avarizia e perfidia. Quando Lisandro era ritornato in patria
da quel luogo, dopo che aveva detto presso il magistrato supremo ciò che aveva voluto circa le sue
azioni, consegnò come testimonianza il libro datogli da Farnabazo. Dopo che gli efori erano venuti
a conoscenza di ciò, lo diedero da leggere allo stesso Lisandro. Così quell\'imprudente fu
l\'accusatore di se stesso.
Lealtà di Agesilao
Latino
Simul atque imperium habuit, Agesilaus persuasit Lacedaemoniis ut exercitum et se mitterent in
Asiam bellumque regi facerent, ostendens quanto melius esset in Asia quam in Europa dimicare.
Namque Artaxerxes classes pedestresque exercitus comparabat quos in Graeciam mitteret. Itaque
tanta celeritate se movit, ut prius in Asiam cum copiis pervenerit quam regii satrapae eius
profectionem scirent. Quare omnes imparatos imprudentesque offendit. Cum autem Tissaphernes,
qui summum imperium tum inter praefectos habebat regios, cognovit qualis esset dux
Lacedaemoniorum, quam celerrime in Asiam venisset quotque milites duxisset, indutias a Lacone
petivit, simulans se dare operam ut Lacedaemoniis cum rege conveniret, re autem vera copias
comparandi causa. Iuravit autem uterque se sine dolo indutias conservaturum. In qua pactione
summa fide remansit Agesilaus; contra Tissaphemes nihil aliud quam bellum comparavit. Id etsi
sentiebat Laco, tamen iusiurandum servabat, multumque sibi id prodesse dicebat: Tissaphernes enin
periurio suo homines a se abalienabat et deos sibi iratos reddebat; Agesilaus autem, ut religionem
conservabat, tum exercitum confirmabat.
Italiano
Non appena ebbe il comando, Agesilao persuase gli Spartani che inviassero in Asia lui ed un
esercito e che facessero guerra al re, dimostrando quanto fosse meglio combattere in Asia che in
Europa. Infatti Artaserse costruiva le flotte e preparava le truppe di fanteria da inviare in Grecia. Per
questo si mosse con tanta velocità, che giunse in Asia con le truppe prima che i satrapi del re
venissero a sapere della sua partenza. Per cui prese tutti alla sprovvista e all’impensata. Ma quando
Tissaferne, che allora aveva il sommo potere tra i prefetti reali, apprese chi fosse il comandante
degli Spartani, quanto velocemente fosse venuto in Asia e quanti soldati vi avesse portato, chiese
allo spartano una tregua, simulando di fare in modo che gli Spartani fossero d’accordo con il re, ma
in realtà come opportunità di preparare le truppe. Ognuno dei due promise di osservare lealmente la
tregua. Agesilao mantenne questi patti con la massima lealtà. Tissaferne invece non preparava altro
che al guerra. Benché lo spartano prevedesse questo, tuttavia rispettava il giuramento, e spesso
diceva che quella cosa era vantaggiosa a (per) lui: infatti Tissaferne con il suo falso giuramento
allontanava gli uomini dalla sua parte e faceva divenire gli dei adirati con lui; Agesilao invece come
rispettava la religione, così rassicurava l’esercito.
Un uomo di valore
Latino
T. Pomponius Atticus cum Athenas se contulisset, eum Athenienses in omni procuratione rei
puclicae actorem auctoremque habuerunt potissimum civimque suum facere studuerunt. Sulla,
quamdiu Athenis fuit, secum Pomponium amicum, quamvis antea is Marium iuniorem, quem
senatus inimicum patriae iudicaverat, opibus suis iuvisset. Tranquillatis rebus Romanis, Atticus
remigravit Romam, ubi amicos coniunctissimos semper habuit M. Cicerone et Q. Hortensium, quos
omnes maximos oratores eius aetatis existimant. Habebat avunculum Q. Caecilium equitem
Romanum divitem, difficillima natura, quem nemo ferre poterat. Huius ad summam senectutem
Atticus retinuit benevolentiam. Caecilius enim moriens testamento adoptavit eum heredem.
Italiano
Pomponio Attico essendosi dedicato ad Atene, gli ateniesi lo considararono un operatore e un
promotore in tutte le amministrazioni della repubblica, soprattutto studiarono un modo per farlo
(divenire) loro cittadino. Silla, finchè si trovava ad Atene, ebbe (a sè) Pomponio come amico,
sebbene prima avesse favorito per la sua facoltà il giovane Mario, che il senato aveva giudicato
come nemico della patria. Ristabilita la tranquillità a Roma, Attico ritornò a Roma, dove ebbe
sempre amici molto cari (letteralmente = molto stretti) come Cicerone e Ortensio, che tutti stimano
come i maggiori oratori di quel tempo. Aveva come zio materno Cecilio, ricco cavaliere tomano, di
difficilissimo carattere, con cui nessuno aveva instaurare un rapporto. Attico conservò l\'amicizia di
questo durante la vecchiaia, Cecilio infatti mentre moriva lo scelse nel testamento come erede.
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