Estratto da: Insorgenze della comunicazione, Il - Po-Net

Estratto da: Insorgenze della comunicazione, Il Manifestolibri, 2005
(pubblicato nella scheda di presentazione del libro sul sito dell’editore:
http://www.manifestolibri.it/)
Il secolo che ci siamo da poco lasciati alle spalle ha segnato, tra le altre cose, come le grandi guerre
e le grandi narrazioni, un’accelerazione clamorosa nello sviluppo delle possibilità di comunicazione
tra gli uomini: telegrafo, telefono, radio, cinema, tv, computer, home computer e Internet hanno
modificato in maniera impressionante i rapporti sociali e l’esperienza del mondo per buona parte
degli abitanti del pianeta.
Il sistema integrato della comunicazione offre agli individui l’esperienza della deriva
nell’ipermercato del senso, stravolgendo le forme e i paesaggi estetici tradizionali, così come le
modalità dello scambio comunicativo e la sostanza stessa dei rapporti sociali. Georg Simmel vedeva
in questo processo un cambiamento delle forme di vita metropolitane, che facevano così esperienza
di un passaggio dalla Geistleben, la vita dello spirito, ossia da una forma meditata e profonda di
elaborazione dell’esperienza sensibile, alla Nervenleben, vita nervosa, in cui l’elaborazione dei
mille stimoli comunicativi dell’esperienza urbana lambiva la superficie della sensibilità, lasciando
del senso il carattere della perdita. Così è possibile riassumere il rifiuto da parte di una tradizione
filosofico-intellettuale di fronte all’esperienza del dispiegarsi sul mondo di apparati tecnologici che
mediano il ricambio organico con la natura, l’esperienza sensibile e la comunicazione fra gli
uomini, nei termini di un atteggiamento di critica radicale della tecnica come esperienza
dell’inautentico, colonizzazione del mondo della vita da parte della razionalità strumentale. È a
partire dal secondo dopoguerra che tale atteggiamento viene a smussarsi, come se i cambiamenti
fossero stati troppo veloci e bisognasse in qualche modo scovare gli usi possibili della tecnica, allo
stesso tempo abituarsi e riconfigurare la mediazione tecnico-comunicativa con un approccio
pratico-critico. Mano a mano si vengono a delineare linee di fuga e strategie di riappropriazione del
senso da parte di una configurazione soggettiva che in seguito prenderà le forme dell’intellettualità
di massa. Il passaggio dal rifiuto alla riappropriazione parte delle comunità scientifiche, sul terreno
della fase pionieristica dell’Information Technology, via via si allarga a comunità di senso quali
movimenti politici, sull’onda lunga del ’68 mondiale, letterari (fantascienza e cyberpunk) e artistici.
Il lavorio di scavo nelle pieghe della tecnostruttura ha prodotto risultati inaspettati e formidabili, che
oggi ci appaiono quasi banali. Ma l’home computer, Internet, free software e i creative commons
sono il risultato di una lotta di riappropriazione che è più una riconquista del senso che della
tecnica. Qui, c’è il segno tangibile della potenza di cooperazione del General Intellect, l’eccedenza
dell’agire comunicativo rispetto alla ratio strumentale, l’incompatibilità di fondo tra economia
capitalista ed economia della conoscenza. Ma al fondo, ancora non ci siamo: la curva della
contraddizione tende a zero, al punto decisivo, all’infinito. Lo sviluppo capitalista ha saputo
incorporare, sussumere e valorizzare, muovendosi sul terreno che gli è proprio, quello della
contraddizione in processo, le stesse spinte e sedimentazioni della riappropriazione che il lavoro
vivo ha saputo compiere erodendo pezzi sempre più importanti di quella strana macchina che è oggi
il capitale fisso.
Su questo sfondo si è data la svolta linguistica, in economia, in filosofia e nella scienza politica.
Sullo sfondo, cioè, di un’incessante innovazione della macchina produttiva, dettata dalla
conflittualità operaia: le macchine corrono laddove sono le lotte. Ma andiamo con ordine: in
economia conosciamo in maniera sufficientemente approfondita il passaggio al postfordismo, inteso
qui come svolta linguistica in economia, come messa al lavoro del linguaggio. In filosofia, si tratta
dell’affermazione che i problemi filosofici nascano per un cattivo uso del linguaggio e che la loro
risoluzione passi per una traduzione linguistica, vuoi in un linguaggio ideale, vuoi secondo i dettami
del linguaggio comune. Qui il linguaggio diviene allo stesso momento fonte, terreno e strumento di
risoluzione dei problemi filosofici, risolvendo in maniera radicale il rapporto tra linguaggio e
mondo, tra l’insieme delle proposizioni e l’insieme dei fatti, degli stati di cose. L’idea è che il
linguaggio quotidiano stia a posto così com’è, perché si forma nell’uso e che i problemi sorgano
quando, per qualche motivo, ci si dimentica di questo “fatto” apparentemente banale e si inizia a
parlare allontanandosi dall’uso stesso: la terapia al linguaggio che manca la presa col mondo sarà
allora quella di riportare indietro le parole da questo senso metafisico al proprio senso comune
determinato dal particolare gioco linguistico cui appartengono.
In politica, svolta linguistica significa l’insistenza sui processi di formazione del consenso, sulle
dinamiche di accordo intersoggettivo, analisi portate avanti, tra gli altri, da Habermas e Rawls:
l’insistenza del primo sul primato politico dell’agire comunicativo come sfera intersoggettiva di
formazione del consenso, dove il superamento dei blocchi alla comunicazione possano tendere a un
linguaggio libero dal dominio, e le procedure del secondo, quali il velo d’ignoranza, ossia l’oblio
delle condizioni di partenza e degli interessi specifici degli attori di un processo di formazione del
consenso, e l’overlapping consensus, il consenso per sovrapposizione ottenuto nelle zone dove le
differenti istanze vanno a combaciare, sono esempi di un’impostazione del ragionamento politico
che muove a partire dalla svolta linguistica, e cioè dal fatto che il linguaggio è il luogo, ben
perimetrato, di risoluzione dei problemi economici, politici, e filosofici. Manipolando segni si
lavora, si supera la metafisica, e si ottiene il consenso tra uomini e donne di buona volontà ed
adeguata disposizione etica.
Ma il punto è questo: in che misura su questo terreno perimetrato del linguaggio si dà conflitto
capace di mettere in questione degli “stati di cose” quali i rapporti sociali dominanti?
Forse con questa domanda si capisce il senso di questa introduzione: quello di cercare alcuni nodi
per sciogliere meglio il concetto di svolta linguistica, quello di evidenziare il fatto che da una parte
riassume un processo reale e che quindi non si tratta di vuota affermazione a mò di slogan, da
un’altra che è un terreno su cui i movimenti (in senso largo e sociale) hanno scelto di stare, e anche
con buon successo, e da un’altra ancora che c’è qualcosa che non ci soddisfa, perché la svolta
linguistica, in qualche modo, alla fine “lascia tutto così com’è”.
Sbattere contro i limiti del linguaggio, o della comunicazione che dir si voglia, significa sbattere
contro i suoi limiti politici. Il linguaggio che si concentra su se stesso, la comunicazione per la
comunicazione, non riesce ad afferrare il senso di un’attività pratico-critica di trasformazione,
magari ne dispone i nessi, ma poi si perde nei labirinti metalinguistici che ha costruito. L’attività
linguistico-comunicativa di tanti compagni e compagne avverte oggi di trovarsi proprio in questo
punto e inizia a elaborare strategie per uscire dall’impasse e dare incisività alle proprie pratiche,
rovesciando quel rapporto linguaggio-mondo, mappa-territorio che non riusciva più a determinare
nessi di vita conflittuali.
La comunicazione è un concetto difficilmente afferrabile cosi com’è: possiede una polisemicità
intrinseca, e una pluralità di usi da risultare quasi un universale nelle descrizioni della nostra epoca.
Nel corso della rivista cerchiamo di sporcare questo concetto, il che significa cercare di piegare
l’universale ad un punto di vista, quello del conflitto e dell’autonomia, quello del dispiegamento
dell’essere in comune come dimensione costituente dell’agire politico. Lo facciamo attraverso un
ragionamento di taglio più teorico e filosofico nella prima parte, con un orientamento alle pratiche
comunicative e alla riappropriazione creativa della tecnologia, vista come protesi di un corpo
politico che si forma nell’agire, nella seconda parte, e nella terza con un’analisi sulle trasformazioni
del lavoro nei settori dove più alta è l’incidenza delle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione.