Note del testo - Figlie della Chiesa

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VI Domenica del Tempo Ordinario
Anno C
COLLETTA
O Dio, che respingi i superbi
e doni la tua grazia agli umili,
ascolta il grido dei poveri e degli oppressi
che si leva a te da ogni parte della terra:
spezza il giogo della violenza e dell’egoismo
che ci rende estranei gli uni agli altri,
e fa’ che accogliendoci a vicenda come fratelli
diventiamo segno dell’umanità rinnovata nel tuo amore.
La Parola
Prima lettura – Ger 17,5-8
Maledetto chi confida nell’uomo; benedetto chi confida nel Signore.
Geremia ci aiuta a considerare le conseguenze della fedeltà al patto con Dio che si manifestano nella
vita degli uomini. L’uomo non è sufficiente a se stesso. Il giusto lo sa, perciò è fedele al Signore ed
erediterà le benedizioni e la salvezza riponendo la sua fiducia in lui.
Dal libro del profeta Geremìa
Così dice il Signore:
5
«Maledetto l’uomo che confida nell’uomo,
e pone nella carne il suo sostegno,
allontanando il suo cuore dal Signore.
6
Sarà come un tamarisco nella steppa;
non vedrà venire il bene,
dimorerà in luoghi aridi nel deserto,
in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere.
7
Benedetto l’uomo che confida nel Signore
e il Signore è la sua fiducia.
8
È come un albero piantato lungo un corso d’acqua,
verso la corrente stende le radici;
non teme quando viene il caldo,
le sue foglie rimangono verdi,
nell’anno della siccità non si dà pena,
non smette di produrre frutti».
Dal Salmo 1
Anche il salmista, come Geremia, paragona il giusto ad un albero piantato lungo l’acqua. Albero
rigoglioso e fecondo, che non solo confida nel Signore ma che si compiace della sua Legge, della sua
volontà.
1
RIT. Beato l’uomo che confida nel Signore.
Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi,
non resta nella via dei peccatori
e non siede in compagnia degli arroganti,
ma nella legge del Signore trova la sua gioia,
la sua legge medita giorno e notte. Rit.
È come albero piantato lungo corsi d’acqua,
che dà frutto a suo tempo:
le sue foglie non appassiscono
e tutto quello che fa, riesce bene. Rit.
Non così, non così i malvagi,
ma come pula che il vento disperde;
poiché il Signore veglia sul cammino dei giusti,
mentre la via dei malvagi va in rovina. Rit.
Seconda lettura – 1 Cor 15,12.16-20
Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede.
Anche ai tempi di Paolo alcuni avevano difficoltà ad accettare la risurrezione dei morti. L’Apostolo
illumina questo mistero con la risurrezione stessa di Cristo, di cui con «i dodici» ne è testimone.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
Fratelli, 12se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è
risurrezione dei morti?
16
Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; 17ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra
fede e voi siete ancora nei vostri peccati. 18Perciò anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti.
19
Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli
uomini.
20
Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti.
Canto al Vangelo – Lc 6,23ab
Alleluia, alleluia.
Rallegratevi ed esultate, dice il Signore,
perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo.
Alleluia, alleluia.
Vangelo – Lc 6,17.20-26
Beati i poveri. Guai a voi, ricchi.
Luca ci dona, nelle beatitudini, le coordinate sulla nuova via di salvezza annunciata da Cristo. Gesù
ha chiamato i dodici, con loro scende dal monte ed annuncia la Parola di Dio ai discepoli e a tutto il
popolo. A tutti è aperta la via della gioia mentre veniamo avvisati delle mete a cui portano i sentieri
che non seguono la strada proposta dal Signore.
2
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, 17Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi
discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di
Sidòne.
20
Ed egli, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
21
Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
22
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e
disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. 23Rallegratevi in quel giorno
ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro
padri con i profeti.
24
Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
25
Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
26
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i
falsi profeti».
Note del testo
La redazione lucana delle beatitudini ha alcuni tratti caratteristici che la distinguono da quella, più nota,
di Matteo. Anzitutto Luca conosce solo quattro beatitudini e le accompagna con altrettanti guai. Il
significato di questa struttura è evidente: vengono capovolte le situazioni del mondo; quello che nel
mondo è cercato, onorato, considerato prezioso viene privato di ogni valore; mentre quello che nel
mondo è povero o disprezzato o rifiutato viene riscattato e messo in una posizione di eminenza. Forse
non ci sarebbe da stupirsi troppo per questa proclamazione: già l’A.T. conosceva qualcosa di simile; si
pensi al cantico di Anna ripreso poi dal Magnificat. La Bibbia sa bene che Dio è colui che fa vivere e fa
morire, che rende povero e arricchisce. Il capovolgimento delle sorti mondane è piuttosto la
manifestazione potente del regno di Dio che viene. La serie oppressiva dei guai vuole rendere gli
ascoltatori del Vangelo consapevoli della vanità di ciò in cui mettono la propria fiducia. Alle
beatitudini e ai guai di Luca fa eco il testo di Geremia. Egli condanna ogni forma di idolatria nella
quale l’uomo diventa il dio dell’uomo e le realizzazioni umane diventano il rifugio in cui l’uomo cerca
sicurezza. Dio solo è invece una roccia salda alla quale l’uomo possa aggrapparsi e dalla quale ricevere
forza e vita.
v. 20:
I due versetti saltati sono decisivi per la comprensione della novità che Cristo manifesta. “ (c’era gran
folla) che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano
tormentati da spiriti immondi, venivano guariti”. Da questi poveri Gesù distoglie lo sguardo.
Identificare i poveri come facciamo noi vuol dire avere bisogno di loro per fare opere buone. Gesù
distoglie lo sguardo da loro e alzatolo verso i discepoli, dice loro: “beati voi poveri”. La presenza delle
moltitudini, di quelli chinati per la propria povertà, riguarda essenzialmente la chiesa. Questo alzare lo
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sguardo indica il vero modo di intendere le folle: la povertà di quelli che voi chiamate poveri va risolta.
Quello che Dio vuole è che “voi” diventiate poveri, che “noi” diventiamo poveri. Gesù non fa la scelta
dei poveri come noi la intendiamo: è la prospettiva per cui non sarà più la chiesa che si occupa dei
poveri, ma che condivide con i poveri, che si identificherà con la povera gente a cui appartiene il regno
di Dio.
La versione più ampia che dà Matteo (poveri in spirito) si riferisce a chi sopporta consapevolmente la
povertà riconoscendola conforme al volere di Dio e aspira a essere riempito dello Spirito Santo come
vero e decisivo aiuto di Dio promesso da Gesù. In Luca le beatitudini sono più circoscritte al fatto della
povertà. Per Luca si tratta soprattutto di coloro che sono poveri di beni terreni. Gesù ha spesso
manifestato la sua predilezione per loro e Luca rivolge loro un interesse particolare. Con la forma
diretta in seconda persona (beati voi poveri) Luca fa intendere che la beatitudine riguarda la povertà del
discepolo.
Il termine greco “ptochòi” indica gli indigenti, quei poveri che mancano del necessario, i mendicanti,
coloro che si rimettono al soccorso altrui. Mentre i poveri, anche se poco, hanno qualcosa, questi
“poveri” non hanno niente e non possono che vivere di dipendenza e di sottomissione. La parola greca
deriva da un verbo che significa “nascondersi”, “rannicchiarsi su se stessi per timore”. Sono poveri
reali che hanno fame e piangono. La loro beatitudine consiste nel fatto che Dio interviene in loro
favore.
Quello che Luca vuole annunciare, che il Signore vuole annunciare, proclamare è l’irruzione del regno
di Dio nella storia degli uomini. Secondo il vangelo la povertà diventa un vantaggio. E non un
vantaggio perché la povertà di cui parla il vangelo sarebbe una virtù; almeno il vangelo di Luca non
parla della virtù della povertà, cioè di una povertà scelta, liberamente per amore di Dio o per servizio
agli altri. No, parla della povertà, semplicemente come una condizione di privazione. Perché allora
sono beati i poveri? Semplicemente perché Dio è il difensore dei poveri e dove trova una condizione di
miseria, di bisogno, Dio non rimane indifferente. Dove c’è un uomo che ha bisogno di vita e di gioia e
di perdono, Dio non rimane indifferente, ma risponde. Quindi beati voi che sperimentate la debolezza,
il bisogno, perché Dio che viene a regnare vi risponderà.
v. 21:
L’ascolto delle beatitudini implica una convocazione dei discepoli. Coloro che sono chiamati poveri
sono chiamati poveri perché discepoli. Da qui a dire che i poveri sono chiamati al discepolato il passo è
brevissimo. L’investitura con cui Gesù si rivolge ai suoi discepoli è “beati voi poveri”. Poi la povertà la
si esplicita nella fame, nel pianto, nel rifiuto, nell’essere messi al bando. Ma sostanzialmente il
discepolo è colui che riconosce che al di fuori del Cristo non è nulla, e che senza Cristo tutto ciò che ha
e che è non conta niente. Questo dice anche un modo di accostare i miseri, i poveri che dovrebbe
cambiare. Sicuramente il privare i poveri dell’annuncio del vangelo, il privare le situazioni di maggiore
disagio, miseria, povertà delle nostre comunità cristiane dell’evangelo non è perfettamente calzante con
il brano che abbiamo ascoltato. Sembra strano, ma possiamo chiederci se non abbiamo mai pensato ad
annunciare il vangelo veramente a tutte le persone delle nostre comunità. Forse non abbiamo il
coraggio, in quanto chiesa, di dichiarare la beatitudine dei poveri. Dichiarare la beatitudine dei poveri è
dirci beati per una condizione di povertà che viviamo.
v. 24:
C’è una contrapposizione esplicita. Le beatitudini sono seguite da quattro antitesi che proclamano
sistematicamente la sventura dei beati di questo mondo. Matteo non le riporta e molti hanno pensato
che Luca le abbia composte egli stesso per rafforzare la lezione delle beatitudini. Questa ipotesi non è
certa poiché nell’A.T. si trovano coppie di beatitudini e di maledizioni.
Le quattro dichiarazioni seguenti non sono da comprendersi come maledizioni, né condanne
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irrevocabili, ma piuttosto come lamento di compianto, appelli vigorosi alla conversione. Si può tradurre
anche: “ahimè per voi” o ancora “infelici voi”.
Padri della Chiesa
Luca con le sue quattro beatitudini tratta delle virtù cardinali. Beati i poveri infatti, perché si
sottraggono alle lusinghe del mondo con la temperanza. Beati gli affamati, perché ammoniti dalla
propria fame sul dovere di compatire chi ha fame, sono anch’essi compatiti e soccorsi per opera della
giustizia. Infatti l’elemosina, con cui non doniamo a Cristo i nostri beni, ma gli restituiamo i suoi, è a
ragione definita giustizia dal salmista che dice: Egli dona largamente ai poveri, la sua giustizia rimane
per sempre (Sl 112.9). In effetti la giustizia è ciò per cui riconosciamo a ciascuno il suo, anche se non
dobbiamo niente a nessuno, tranne il vicendevole amore. Beati quanti sanno compiangere ciò che è
effimero e anelare ai beni eterni, discernendo fra il bene e il male mediante la prudenza. Beati quelli
che riescono a sopportare qualsiasi avversità con la fortezza data loro dalla fede (Beda, Comm. a Luca
2.23).
Il cristiano non deve temere e stare in ansia in mezzo alle difficoltà, lasciandosi distrarre dalla fiducia
in Dio: deve anzi confidare, sentendo il Signore presente; sentendo che egli governa tutto ciò che lo
riguarda e gli dà forza contro tutti, e che lo Spirito Santo gli insegna anche ciò che deve rispondere agli
avversari (Basilio di Cesarea, Regole Morali 63).
La ricchezza, a mio avviso, è simile a un serpente; se uno non sa prenderlo a distanza, senza farsi del
male, senza pericolo, sospendendo la bestia per l’estremità della coda, questa si avvicinerà alla mano e
la morderà… Non chi ha e chi conserva, ma chi dà agli altri è ricco; condividere con gli altri, non
possedere fa felice l’uomo… Ricchezza vera è la giustizia (Clemente Alessandrino, Pedagogo, 7,3536).
Altri autori cristiani
È dovere della Chiesa - di tutta la Chiesa e anzitutto di coloro a cui spetta in primo luogo l’ufficio
profetico come maestri autentici della fede, i vescovi e i presbiteri, loro immediati collaboratoridenunciare l’abuso del denaro o del potere, così come si denunciano, o si dovrebbero denunciare , tutti i
peccati: la bestemmia, l’adulterio, il furto… Non dico, anzi non lo credo, che la denuncia basterà a
eliminare quest’abuso, questo peccato che lede la giustizia e la carità fraterna. Ma Dio non ci chiede di
eliminare dal mondo il peccato. Ci chiede di denunciarlo, come l’ha denunciato Cristo, come l’ha
denunciato Giovanni Battista, e prima i profeti dell’Antico Testamento, e poi, nella storia della Chiesa,
i santi e i profeti che non sono mai mancati. D’altra parte, sono le stesse voci del magistero che ci
invitano a questo. Io temo che le voci profetiche del magistero in questo campo non abbiano nella
predicazione e nella pastorale quotidiana la risonanza che dovrebbero avere. Cito solo alcuni documenti
più recenti: la Mater et Magistra e la Pacem in terris di Giovanni XXIII, la Populorum progressio e
l’Octogesima Adveniens di Paolo VI. Ma bisognerà tenere presente anche l’insegnamento dei vescovi,
come pure alcuni documenti importanti dell’episcopato dei vari paesi. Accanto alla denuncia dell’abuso
del denaro e del potere, dobbiamo pure denunciare quel consumismo nel quale si esplica un’altra forma
immorale di potere, mascherato ma non meno deleterio, che invece di cercare il vantaggio dell’uomo,
proponendogli quello che veramente giova per le sue necessità e per il suo sviluppo, cerca unicamente
di sfruttarlo a beneficio della produzione e del capitale, attentando alla sua libertà e minando le sue
strutture propriamente umane. Come per tutte quelle forme del male che alligna nell’uomo e nella
società, non basterà fermarsi alle manifestazioni esterne vistose. «L’egoismo e il dominio sono, fra gli
uomini, tentazioni permanenti. È pertanto necessario un discernimento sempre più avvertito per togliere
alla radice le situazioni che sono frutto d’ingiustizia e per instaurare progressivamente una giustizia
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sempre meno imperfetta» (Octogesima adveniens, n. 15). La denuncia del peccato e delle situazioni di
palese ingiustizia dovrà essere confermata dalla testimonianza personale di giustizia e di solidarietà (M.
Pellegrino, Camminare insieme, pp. 16-18.20).
Non c’è bisogno di riflettere a lungo per rendersi conto che l’assenza di povertà, l’attaccamento al
denaro, la sete di potenza e di affermazione di sé sono una delle cause più immediate e più costanti
delle ingiustizie, delle mancanze di amore e di rispetto nei riguardi degli uomini. Non si possono amare
i fratelli senza imparare a mettersi al loro posto e quando si stima se stessi migliori e più degni di loro
(R. Voillaume, Dov’è la vostra fede, p. 219).
La nostra crescita è socialmente strutturata per confidare in noi stessi e nell’uomo, sia nell’istruzione
che nella cultura, perfino nella religione. Tutto il contesto in cui si nasce, si vive, si cresce, si sta, si
soffre, si gioisce, si muore porta l’accento sulle risorse del singolo. Poi gli ostacoli, le ferite, la
disperazione, il fallimento; si arriva ad un punto in cui diventa possibile credere l’incredibile. Cioè che
Cristo nel dolore e nella morte ha indicato una porta, un passaggio e non il termine tragico, il capolinea.
Si percepisce un poco più nitidamente come solo la risurrezione dai morti di Gesù, e quindi la nostra,
possa giustificare e avvalorare la speranza che la comunione con Cristo che soffre e muore sia una via
che salva. L’evangelista Luca insiste sul dualismo fra ricchezza e povertà, ma è il caso di notare che
non vengono indicati criteri per distinguere in modo univoco tra beati o inguiaiati, ribaltando alla
coscienza di ciascuno la responsabilità di valutare per se stessi il peso di povertà e ricchezza, fame e
sazietà, pianto e riso, persecuzione e gloria. In questo modo le parole di Cristo si allontanano da facili
quanto sciocche generalizzazioni, raggiungendo al cuore la difficoltà dell’uomo nel discernere e nel
disporre dei propri beni, perché non siano essi a scandire l’esistenza, ma perché piuttosto si arrivi a
determinare senza ambiguità l’uso di ciò che si ha (Gruppo OPG).
Passi biblici paralleli
v. 17:
Mt 4,25: E grandi folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decàpoli, da Gerusalemme, dalla
Giudea e da oltre il Giordano.
Mc 3,7-8: Gesù intanto si ritirò presso il mare con i suoi discepoli e lo seguì molta folla dalla Galilea.
Dalla Giudea e da Gerusalemme e dall’Idumea e dalla Transgiordania e dalle parti di Tiro e Sidone una
gran folla, sentendo ciò che faceva, si recò da lui.
Gv 1,38-39a: Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: “Che cercate? ”. Gli risposero:
“Rabbì (che significa maestro), dove abiti? ”. Disse loro: “Venite e vedrete”.
Gv 6,67-69: Disse allora Gesù ai Dodici: “Forse anche voi volete andarvene? ”. Gli rispose Simon
Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu
sei il Santo di Dio”.
Gv 17,8-9a: perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro; essi le hanno accolte e sanno
veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato. Io prego per loro; non prego
per il mondo,
v. 20:
Sal 72,12-13: Egli libererà il povero che grida il misero che non trova aiuto, avrà pietà del debole e del
povero e salverà la vita dei suoi miseri.
Sal 147,2-3: Il Signore ricostruisce Gerusalemme, raduna i dispersi d’Israele. Risana i cuori affranti e
fascia le loro ferite;
6
Is 50,4: Il Signore Dio mi ha dato una lingua da iniziati, perché io sappia indirizzare allo sfiduciato una
parola. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come gli iniziati.
Is 61,1a-2a: Lo spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi
ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri, a promulgare l’anno di misericordia del Signore,
Ger 31,25: Poiché ristorerò copiosamente l’anima stanca e sazierò ogni anima che languisce”.
Mt 5,3: Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Mt 9,36: Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza
pastore.
Mt 11,28: Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò.
v. 21:
Dt 8,3: Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non
conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto
di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore.
Is 55,2: Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro patrimonio per ciò che non sazia? Su,
ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti.
Mt 5,6: Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Mt 6,9b.11: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; Dacci oggi il nostro pane
quotidiano.
Mt 6,31-33: Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa
indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne
avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in
aggiunta.
Gv 4,13-14: Rispose Gesù: “Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua
che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua
che zampilla per la vita eterna”.
Gv 7,37b-38: “Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua
viva sgorgheranno dal suo seno”.
Gv 16,20: In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi
sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia.
Gv 20,15a: Le disse Gesù: “Donna, perché piangi? Chi cerchi? ”.
Lc 15,17: Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in
abbondanza e io qui muoio di fame!
v. 22:
Sap 7,7.28: Per questo pregai e mi fu elargita la prudenza; implorai e venne in me lo spirito della
sapienza. Nulla infatti Dio ama se non chi vive con la sapienza.
Sir 4,11.14: La sapienza esalta i suoi figli e si prende cura di quanti la cercano. Coloro che la
venerano rendono culto al Santo, e il Signore ama coloro che la amano.
Sal 33,18: Ecco, l’occhio del Signore veglia su chi lo teme, su chi spera nella sua grazia,
v. 23:
Sal 31,8: Esulterò di gioia per la tua grazia, perché hai guardato alla mia miseria, hai conosciuto le mie
angosce;
Sal 126,5: Chi semina nelle lacrime mieterà con giubilo.
Is 66,13: Come una madre consola un figlio così io vi consolerò; in Gerusalemme sarete consolati.
Tb 13,16: Beati coloro che avranno pianto per le tue sventure: gioiranno per te e vedranno tutta la tua
gioia per sempre. Anima mia, benedici il Signore, il gran re.
7
Mt 5,12: Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno
perseguitato i profeti prima di voi.
Mt 10,22: E sarete odiati da tutti a causa del mio nome; ma chi persevererà sino alla fine sarà salvato.
Gv 1,16: Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia.
Gv 6,35: Gesù rispose: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me
non avrà più sete.
Rm 5,5b: perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è
stato dato.
2Cor 4,17-18: Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità
smisurata ed eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle
invisibili. Le cose visibili sono d’un momento, quelle invisibili sono eterne.
1Pt 1,6-7; 1Pt 4,14; Ap 7,16-17; Ap 21,3-4a.
v. 24:
Sal 6,9-10; Sal 73,12.16-18; Is 55,13-14.
v. 25:
Sap 5,7-9a; Gv 5,44; Gc 4,4; 1Gv 2,15.
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