prof. Polverelli Emanuele
"da
Tommaso d’Aquino, a Giordano Bruno”
1
Quadro di riferimento
storico-teoretico
cenni storico-teoretici sul periodo che va
da Tommaso d’Aquino a Giordano Bruno
Le novità del pensiero tomista non saranno acquisite dal pensiero filosofico in maniera stabile
e feconda. Infatti si riscontra un allontanamento dalle prospettive più originali di Tommaso
fin dai primi anni successivi alla sua morte. Si può dire che la scoperta originale tomista
dell’esse ut actus, nello spazio di cinquant’anni, fu totalmente dimenticata. Va anche preso in
considerazione che il pensiero tomista è una delle poche linee di pensiero che la filosofia
moderna non prosegue e che rimarrà emarginata in ristretti ambiti (ecclesiastici), senza più
riuscire ad incidere in maniera significativa sul progresso del pensiero stesso. 1 La rottura
della prospettiva tomista procede su due linee che fanno da fondamento al mondo moderno.
La prima segue il filone che passa per Duns Scoto e Guglielmo d'Ockham, mentre la seconda
passa invece per Eckart verso Lutero, e di qui in direzione dei grandi pensatori moderni.2
I due filoni, poi, si implicano e si convertono uno nell'altro con capovolgimenti speculativi.
Per uno sguardo complessivo del periodo che va dal Medio Evo all’età moderna propongo
uno schema che prescinde dagli aspetti cronologici, per evidenziare i nessi teoretici e culturali
tra varie realtà che incontreremo.
1
l’influenza del pensiero tomista la si avverte, semmai, per la sua presenza all’interno della Chiesa come
teologia “ufficiale” del cattolicesimo. Ma dal punto di vista del pensiero il tomismo è nel percorso moderno,
decisamente fuori gioco. Questo non deve stupire basti pensare a come può venir definito il pensiero moderno.
Del Noce, per esempio così intende il pensiero moderno: “ogni filosofia che, anziché sviluppare le virtualità e le
potenzialità del pensiero classico-medievale, operi una riflessione che porta ad una cesura con esso. Tale
cesura consiste poi nella affermazione dell'autonomia della ragione”. Questa definizione, che ritengo corretta,
anzi di notevole valore sintetico, rende chiaro il motivo dell’esclusione tomista. Essendo il pensiero tomista la
sintesi suprema della prospettiva classica, essa nel pensiero moderno si troverà del tutto priva di cittadinanza in
quanto questo è totalmente preoccupato a superare i fondamenti stessi del pensiero classico. Potrà invece essere
valorizzato ora Platone, ora Aristotele (assai meno del precedente), in quanto resi parziali nelle loro prospettive,
tutte volte in verità a confluire nella sintesi tomista. Ma di questo tratteremo a fondo in seguito.
2
Hans Urs von Balthasar, Gloria, Jaka Book, Milano 1978, Vol. 5°, pp. 21-23.
1
prof. Polverelli Emanuele
"da
Tommaso d’Aquino, a Giordano Bruno”
2
Tommaso d'Aqui no
nessuna prosecuzione teoretica di rilievo
Duns Scot o
misticismo
speculativo
(Eckart)
Lut er o
Gugl i el mo d' Ockham
matematismo
umanistico-rinascimentale
magia-teurgia rinascimentale
empirismo radicale
moderna indagine scientifica
et à moder na (pensi er o moder no)
2
prof. Polverelli Emanuele
"da
Tommaso d’Aquino, a Giordano Bruno”
3
A noi, ora, interessa particolarmente il primo filone. Passiamo dunque senza indugio a
conoscere meglio il pensiero dei primi due autori citati.
Breve sintesi di alcuni elementi del pensiero di
Duns Scoto e Guglielmo d'Ockham
(e sviluppi successivi della scolastica)
Duns Scoto (1226-1308) pone una netta distinzione tra teologia e filosofia, distinzione che si
allontana tuttavia dalla linea di pensiero tomista. Infatti, mentre in Tommaso tale distinzione
si compone in una superiore armonia (due strade per un unica verità), ora questo equilibrio si
rompe. Si afferma infatti che l'oggetto formale3 dell'una disciplina non ha alcun rapporto con
l'oggetto formale dell'altra4. Infatti, a parere di Scoto, la teologia si occupa degli "articula
fidei" (gli articoli di fede, ovvero il dato rivelato), mentre la filosofia si occupa dell'ente in
quanto ente (ciò che da esso consegue e ciò che ad esso é riconducibile) e da ciò consegue
che la teologia ha una logica soprannaturale mentre la filosofia ha una logica naturale. Sono
dunque due ambiti totalmente incomunicabili, avendo due strutture logiche completamente
differenti. Ma la conseguenza più importante che se ne trae é che la teologia assume il valore
di una scienza puramente pratica 5, mentre la filosofia é una scienza puramente speculativa.
A noi interessa riflettere particolarmente sull'oggetto della filosofia. Come per Tommaso,
Duns Scoto pone come oggetto proprio della filosofia l'ente. L'ente, però, per Duns Scoto é il
concetto univoco di essere.6 Esso possiede, come unico significato, la massima generalità7.
Tale concetto, infatti, prescinde da qualsiasi distinzione di modo (esempio: ente di modo
finito: l'uomo; ente di modo infinito: Dio). L'essere, se é concetto generalissimo, é anche
universalissimo. Quindi la filosofia avendo come oggetto suo proprio l'essere, può conoscere
tutto, ma, si noti, é una conoscenza che prescinde dalla concretezza reale (deriva da un
concetto che prescinde da ogni determinazione reale). La metafisica non parte, dunque, dagli
enti (concreti e sensibili) come in Tommaso 8 ma dall'ente astrattissimo e generalissimo;
quindi essa non potrà giungere all'ipsum esse (lo stesso essere, lo stesso esistere) ma potrà
cogliere solo il concetto di essere (la generalità) e i suoi derivati logici.
Credo che si comprenda come questa posizione porti ad una distacco tra l'ottica del filosofo
ed il reale, e dunque anche tra la ragione e la fede (la quale vuol dire parole reali all'uomo;
esempio: salvezza, male, dolore, peccato, virtù, ecc.). Il distacco tra teologia e filosofia
diviene il distacco tra una ragione onnipotente nel campo formale (che non é quello reale) ed
una fede che ci guida nel campo reale, ma senza avere una prospettiva conoscitiva (non ci
illumina con una maggiore verità sul senso delle cose) e ci richiede un puro atto di volontà
per condurre la nostra vita verso Dio.
3
ovvero l’oggetto proprio, specifico.
si nega l’esistenza di verità comuni tra le due discipline (i “preambula fidei”) o comunque si intendono
due discipline totalmente distanti e ininfluenti l’una sull’altra.
5
non dà alcuna conoscenza , ma dice solo cosa si debba fare, come si debba agire per seguire la verità di
fede.
6
si ricorderà che per Tommaso l’ente era il “concreto esistente”, (la quidditas materiale, unico oggetto
conosciuto dall’uomo direttamente), il quale possiede l’atto di essere.
7
anche se non corrisponde con l'universale logico. Difatti esso non é né l'universale logico, né la realtà
fisica. Esso é la nozione che precede sia l'aspetto logico che reale. Di questo concetto si occupa la metafisica.
8
per il quale il termine ente significa nel senso più proprio l’ “esistente”, ovvero ciò che possiede l’actus
essendi.
4
3
prof. Polverelli Emanuele
"da
Tommaso d’Aquino, a Giordano Bruno”
4
Il Gilson 9 mette in luce magistralmente le differenze speculative tra Duns Scoto e San
Tommaso. Esse sono essenzialmente due. La prima consta nel fatto che Tommaso difende la
validità della dimostrazione a posteriori (sebbene quella a priori sia più forte), e dunque su
questa base la sua prospettiva si eleva dalla esperienza a Dio. Duns Scoto invece afferma che
solo la dimostrazione a priori é valida; dunque si preclude un'ascesa a Dio dal basso e si
preclude uno sguardo filosofico sulla realtà che sia innervato sull'esperienza10. Difatti in Duns
Scoto l'esperienza, quando é trattata, é sempre ricondotta alla sua dimensione logica, dove
emerge la caratteristica della necessità (ovvero essa è ridotta alla sua dimensione essenziale,
dove l'elemento emergente rispetto all’esistenza è la pura possibilità, il concettuale). La
seconda differenza é il fatto che mentre San Tommaso supera con una elaborazione
filosofica gli autori arabi 11 (dialogando con Averroé in particolare), e quindi difende la
teologia da filosofo, ovvero dimostrando, riflettendo sull'esistenza, che l'actus essendi della
creatura é dovuto ad un libero atto creativo (dell'Ipsum esse subsistens: Dio), Duns Scoto
supera gli autori suddetti (in particolare Avicenna) uscendo dal campo della filosofia, la
quale, si ritiene che dica poco di interessante per la fede, e si affida unicamente alla teologia;
così si fa dipendere tutto l'essere creato da un libero comando divino che non presenta alcun
elemento (neppure analogico) "comprensibile" per l'uomo. Il rischio del volontarismo12 é qui
già presente.
Ben più radicali le riflessioni di Guglielmo d'Ockham (1280-1349), il quale elabora una
riflessione che pone una radicale opposizione tra filosofia e teologia. La filosofia si oppone
alla fede: le metafisiche (tomiste o agostiniste) sono residuo pagano. Infatti Dio crea in
assoluta libertà; ora, se tutto dipende da un libero comando divino, non c’è un ordine,
principi, cause deducibili di tipo metafisico (forme, idee, essenze, ecc.), ai quali Dio dovrebbe
sottostare. Tutto ciò che esiste, esiste per un libero ed arbitrario atto divino, di cui non
sappiamo assolutamente il senso13. Dio crea solo gli individui, non inseriti in un contesto
razionale di significato, quale era indicato dalle forme aristoteliche o dalle idee platoniche.
Dunque solo gli individui sono conoscibili. I concetti universali, sono semplici costruzioni
logiche, non fondate sulla realtà; essi non significano altro che un insieme di individui simili.
Queste costruzioni logiche, in quanto universali, non ci dicono nulla del reale 14 . Queste
affermazioni conseguono ad un principio che Ockham segue nelle sue riflessioni, il cosiddetto
"rasoio di Ockham": non moltiplicare gli enti se non é necessario (entia non sunt
moltiplicanda praeter necessitatem) 15 . Questo principio é usato contro le idee platoniche,
9
E. Gilson, La filosofia nel Medioevo, La Nuova Italia, Firenze 1978 (rist.), pp. 720-731.
la questione é essenziale. San Tommaso basandosi sull'esperienza può sviluppare un discorso filosofico
che considera l' "esistente" (colto, appunto, nell'esperienza), ovvero l'ente reale, quell'ente che oltre l'essenza
possiede l'esse ut actus. Invece proporre un discorso incentrato non sull'esperienza ma sulla riflessione
puramente concettuale, avendo l'uomo nei concetti il dominio solo sull'essenza (e non sull' esse ut actus),
condanna il filosofo alla chiusura nei concetti astratti, con conseguenze assai gravi per la dottrina filosofica.
L'uomo, visti, i limiti del suo intelletto (che non coglie direttamente l'esse ut actus), può "scorgere" l'esse ut
actus solo nella percezione sensibile la quale assume, quindi, una notevole importanza.
11
i quali sostenevano che la realtà era frutto delle necessarie emanazioni da parte di Dio e dunque
negavano o tendevano a negare la libera creazione da parte di Dio di tutte le cose.
12
esso diverrà una dottrina vera e propria dal punto di vista filosofico, quando si affermerà che tutto il
reale soggiace ad un comando divino che ha carattere arbitrario e del tutto incomprensibile. Dunque nella
prospettiva che abbiamo illustrato si può vedere il rischio del volontarismo, in quanto la verità di fede non ha
alcun corrispettivo con il reale razionale, del tutto distinto da esso.
13
vedi: volontarismo.
14
non stanno ad indicare cioé alcuna realtà universale: né l'idea platonica, né le forme aristoteliche.
Ockham quindi si riavvicina alla soluzione nominalistica degli universali, elaborando una originale dottrina con
la quale si tenta di spiegare in qual modo i termini del discorso intenzionino le realtà.
15
questa è la formulazione più conosciuta; in realtà non è quella presente negli scritti di Ockham, che
invece recita così: Frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora (si fa inutilmente con molte cose ciò
10
4
prof. Polverelli Emanuele
"da
Tommaso d’Aquino, a Giordano Bruno”
5
contro l'esse tomista e tutte le verità metafisiche. Rimangono solo gli individui, la cui
spiegazione consiste unicamente nel libero volere divino. Per spiegare il significato dei
termini del linguaggio, Ockham seguirà una strada diversa da quella tomista, come é ovvio,
viste le premesse. In tale direzione opererà cercando di mostrare il valore simbolico dei
termini nella loro capacità connotativa e denotativa, anticipando certi aspetti della moderna
logica simbolica; tuttavia tale aspetto, pur interessante, non potrà essere da noi trattato per
ragioni di mancanza di tempo.
Per Ockham, come in logica non c’è legge universale fondata sull’ontologia, così non c’è
legge naturale, non c’è legge etica, non c’è principio di ragione che determini la realtà se non
il libero comando di Dio. La realtà non é più specchio della bellezza di Dio, non é più,
analogicamente, riflesso della saggezza divina, poiché non esiste alcuno strumento razionale
per intuire questa caratteristica; tutto dipende da un Dio oscuro e lontano, il cui volere é
somigliante al volere di un despota incomprensibile e non al volere di un Padre di cui, pur
non comprendendo a fondo le sue "ragioni", tuttavia si può intuire e percepire indizi di
razionalità, saggezza e bontà.
Appare evidente come la realtà individuale si elevi al di sopra dell'universale, e come in
questo senso il pensiero di Ockham prefiguri una cultura in cui viene a cadere qualsiasi
motivazione universalistica, sia in campo filosofico (la metafisica), sia in campo culturale (la
cultura delle università medievali), sia in campo politico (Impero e Chiesa), sia in campo
religioso (si pensi alla Riforma Protestante e all'attribuire al singolo credente il potere di
interpretare le S.Scritture). Si può affermare che la prospettiva ockhamista é una prospettiva
già moderna, che uccide l'ideale universalistico medievale e che pone l'individuo al centro
dell'interesse dell'umanità.
La ricerca di una prospettiva capace di valorizzare l’individuo esistente, già presente in
Tommaso, (vedi la questione dell'esse come esistenza reale), diviene qui assoluta e radicale.
L'individuo rischia di ritrovarsi chiuso in se stesso senza alcuna apertura all'essere supremo.
Una nota va aggiunta rispetto ai collegamenti tra il pensiero ockhamista e la riforma
protestante, che si svilupperà un secolo e mezzo dopo. Lutero definisce Ockham come l'unico
filosofo degno di ascolto, mentre detesta qualsiasi altro autore. Occorre riflettere su questa
sintonia che ritroviamo tra i due personaggi. Sappiamo che Lutero concepisce la vita terrena
dell'uomo come una vita di peccato, schiava delle passioni e destinata alla morte. Solo la fede
in Dio, può accendere speranza di salvezza. Tale salvezza tuttavia é ultra-terrena e non
cambia la natura umana, ma semplicemente la copre di un manto di salvezza. Ovvero la
natura umana é intrisa di una dimensione irrazionale e negativa. Ebbene Ockham é il filosofo
che conferma Lutero in questo suo sentimento relativo alla realtà terrena. Ockham, infatti,
considera la realtà come priva di qualsiasi legge universale afferrabile dalla ragione umana; il
mondo é un insieme caotico di individui; la ratio non indica alcuna prospettiva che si elevi al
di sopra di essi. Solo il comando divino dà a questa realtà, al fondo irrazionale, spiegazione.
Esso tuttavia non si appella all'intelletto umano, ma alla sola fede, intesa come accettazione
cieca e priva di "ragioni" del comando divino. Tutto ciò trova straordinaria consonanza con la
convinzione luterana che la ratio umana sia totalmente impregnata di peccato e dunque per
l’uomo solo strumento di orgoglio e di presunzione.
Riassumendo possiamo, in sintesi, dire quanto segue. Al contrario della prospettiva tomista,
in Duns Scoto l'essere é un concetto razionale (univoco: l'essere generalissimo). Tale concetto
é posseduto adeguatamente dalla ragione, ma la realtà esistente (l'esistenza individuale) é
estrinseca ad esso. La ragione, in questa situazione, può troppo e troppo poco. Infatti, in una
che si può fare con poche cose).
5
prof. Polverelli Emanuele
"da
Tommaso d’Aquino, a Giordano Bruno”
6
netta distinzione tra reale e concettuale, tutto é visto e analizzato con assoluta precisione; tale
analisi, tuttavia, é incapace di cogliere il fondo del reale. La distinzione tra la formalità
filosofica e la realtà è incolmabile. D’altra parte, nella prospettiva di Ockham, la ragione
supera la dimensione singolare-individuale solo attraverso una capacità simbolica che tuttavia
non trova effettivo riscontro nella realtà. In entrambe le prospettive, di conseguenza, si
distingue nettamente tra il Dio dei filosofi e il Dio biblico, il quale rimane chiuso in un
arbitrarismo irrazionale, che apre le porte al fideismo luterano. Proprio quando la "gloria
cristiana" poteva emergere nella sua luminosità e semplicità, si spezzano le premesse che le
avrebbero potuto permettere uno sviluppo fecondo di implicazioni culturali, e così la filosofia
si chiude nel campo delle essenze, mentre la teologia é reclusa nella sfera pratica. La gloria16
scompare da entrambi gli ambiti. Conseguenza coerente di questa impostazione é il pensiero
di Ockham, riassumibile17 in cinque punti: l'essere é sempre individuo, i generi e le specie
non denotano nulla, rifiuto della teologia naturale, fideismo in teologia, Dio é sovrano
assoluto e non segue alcun criterio logico (volontarismo esasperato). Come si vede, il mondo
é atomizzato; oltre all'individuo, come sua spiegazione, c’è solo la volontà imperscrutabile di
Dio.
Gli sviluppi di questo pensiero porteranno al formalismo matematizzante, che in Galileo darà
vita alla nuova scienza. Ma su questo daremo migliori esplicazioni in futuro.
Ora soffermiamoci su quella che è chiamata la scolastica decadente. Accade infatti che dopo
Tommaso nessun pensatore di levatura porterà innanzi la sua scoperta originale. Nessuno
peraltro saprà ricostruire una prospettiva così armonica e solida nei rapporti ragione-fede. La
scolastica proseguirà, eccetto i due “grandi” (Scoto e Ockham), in una blanda e noiosa
ripetizione delle tesi già elaborate da Tommaso, senza che peraltro esse siano comprese a
fondo. Si perde così in un cinquantennio la prospettiva tomista. Anche quando nel seicento
verrà ad esserci una rinascita della scolastica, dopo la crisi che abbiamo accennato, ciò
accadrà senza che il genuino pensiero tomista venga messo a fuoco. Un grande pensatore
come il gesuita Suarez (1548-1617) è testimonianza di quanto detto.
Egli, infatti, tramanderà ai pensatori moderni, (grazie all'influenza sulla cultura europea
seicentesca dei Gesuiti e delle loro scuole), 18 le nozioni essenzialistiche di Duns Scoto.
Rifiutando l'analogia, perché considerata oscura (a favore della praecisio), Suarez ripropone
l'essere concettuale scotista, aprendo le porte al razionalismo (che si libererà ben presto del
rivestimento cristiano, per mantenere unicamente la pretesa, da parte della ragione, di
possedere una adeguata chiarezza di indagine sull’intero ambito della realtà).
Come si può ben vedere, la scolastica post-tomista (ma anche quella moderna della
controriforma) cade in una vera e propria crisi, che Fabro 19 ritiene causata dalla flessione
formalista del suo speculare, e sostiene che questo è successo poiché il pensiero tomista non è
stato compreso a fondo (tuttora rimane vivo questo grave equivoco). Esso è stato considerato
una semplice cristianizzazione del pensiero aristotelico, senza progressi speculativi reali.
Invece, il pensiero di Tommaso esprime l’emergenza dialettica di Platone e Aristotele, e dà
una risposta del tutto originale alla problematica dell’essere. Tommaso, sviluppando
speculativamente il pensiero aristotelico, riscopre i principi perennemente validi del
platonismo, valorizzandoli e superandoli ad un tempo. Gli autori che abbandoneranno
16
si intende con “Gloria”: la manifestazione dell’assoluto, (di Dio). Dal tedesco Herrlickheit = luminosità
del Signore.
17
questa partizione la desumiamo da Balthasar.
18
basti fare due nomi come Cartesio (educato alle scuole dei Gesuiti) e Kant (influenzato dal Wolff, che
riprende l’opera metafisica del Suarez),
19
C.Fabro, La nozione metafisica di partecipazione secondo San Tommaso d'Aquino, Vita e Pensiero,
Milano, 1939.
6
prof. Polverelli Emanuele
"da
Tommaso d’Aquino, a Giordano Bruno”
7
definitivamente la scolastica, ad esempio Cartesio, ma anche i successivi, non avranno
occasione di conoscere il pensiero genuino e completo di Tommaso, ma avranno a che fare
con quella scolastica decadente, che nello spirito e nelle soluzioni filosofiche è lontanissima
dal pensiero tomista stesso.
Questi elementi ci sono necessari per comprendere come mai il pensiero tomista non trovi
prosecuzione nell’epoca moderna e rimanga sempre ai margini dei nuovi sviluppi di pensiero.
La sua portata risulterà del tutto incompresa ed ignorata. 20
Ma per completare il quadro di tale prospettiva, occorre considerare anche i movimenti
culturali in senso più ampio che si susseguono nel corso del Trecento e del Quattrocento.
Difatti, quanto abbiamo detto fino ad ora, riguarda le difficoltà incontrate dalla nozione di
esse ut actus, (non accettata e compresa dagli stessi scolastici), in un contesto puramente
filosofico e speculativo della storia del pensiero. Va ora messo in luce meglio quali
prospettive di sensibilità e di cultura generale si muovevano e mutavano il volto dell’ Europa
in tal periodo.
Umanesimo e Rinascimento
Passiamo dunque ad una descrizione, estremamente rapida e per schemi, di quell’intricato
nodo della storia della cultura chiamato “Umanesimo”.
Va innanzi tutto chiarito il termine, che a nostro avviso, non può essere spiegato se non in
correlazione con il vocabolo “rinascimento”, spesso pretestuosamente diviso da esso.
(su questo punto vedi necessariamente il manuale Reale Antiseri, da pp. 5 a pp. 16.)
Dopo aver chiarito i termini in questione vediamo quali sono le principali correnti filosofiche
che occupano il Quattrocento ed i Cinquecento, tra le quali spiccano le prime due da
intendersi sicuramente come “umanistiche”.
Il pensiero magico-teurgico del rinascimento.
E’ il primo riferimento che dobbiamo mettere in luce. Spesso lasciato ai margini delle normali
esposizioni scolastiche di questo periodo, una sua ignoranza mette, per la verità, in difficoltà
la comprensione di molteplici elementi dello stesso umanesimo (quale ad esempio il suo
essere ad un tempo, riscoperta della fede cristiana contro il naturalismo aristotelico, e periodo
di laicizzazione della cultura).
Vi è tutta una letteratura eclettica tardo antica (di età imperiale) che, intrisa di elementi
cristiani, egiziani-orientali, ebraici e greci, viene ad assumere uno straordinario valore di
autorevolezza nel periodo umanista. Questi testi infatti venivano considerati originali ad
epoche precedenti il cristianesimo e alla stessa nascita della filosofia. Di qui lo stupore degli
umanisti (che non sempre dimostrarono la disincantata capacità critico-filologica di cui sono
famosi) nel riscontrare, in questa letteratura, profetiche anticipazioni del cristianesimo e di
20
per una chiave di lettura generale, vedi nota 1.
7
prof. Polverelli Emanuele
"da
Tommaso d’Aquino, a Giordano Bruno”
8
tematiche filosofiche più tarde. In realtà tutto ciò era frutto del grossolano errore di datazione,
ma non consci di questo, può ben spiegarsi l’importanza che in breve tempo ottennero testi
come quelli attribuiti a Ermete Trismegisto21, a Orfeo22, a Zoroastro23. Questi personaggi,
semi-divini o comunque mitici, venivano considerati dagli umanisti come fossero profeti del
Cristianesimo stesso, in quanto nei testi ritenuti per errore propri di questi autori, erano
innumerevoli i riferimenti alle dottrine cristiane (in genere sincreticamente unite a quelle
pagane, o filosofiche). La nozione di Rivelazione si amplia. Non solo la Bibbia ma anche il
pensiero orientale, egiziano e greco è una vera e propria rivelazione di Cristo. Cristo stesso è
equiparato agli altri personaggi, (filosofi, profeti ebraici, maghi, ecc.).
Ma cosa sosteneva questa dottrina che abbiamo chiamato magico-teurgica? Tentiamo una
sintesi globale (e quindi per necessità precaria)24.
L’uomo è valorizzato prevalentemente per la vita spirituale, mentre il corpo è svalorizzato in
chiave orfico-pitagorica. La spiritualità dell’uomo è un principio divino che abita in lui. Così
l’uomo che esalta tale principio divino-spirituale scopre la presenza di Dio in Lui, anzi la
coincidenza tra l’uomo e Dio stesso. Dunque attraverso la conoscenza e lo sviluppo della
spiritualità, l’uomo può liberarsi dai lacci della materia e riscoprirsi divino. Come si vede tale
prospettiva è di tipo gnostico25. Il tutto è presentato con un linguaggio cristiano che rendeva
tali tesi accettabili agli umanisti stessi, anzi tali da essere più efficaci della stessa Rivelazione
cristiana. Ma oltre a tale impianto teorico (l’uomo si distacca dal corpo mediante il sapere per
scoprirsi Dio), vi è la valorizzazione della magia. Essa altro non è che la pratica di attività che
permettono all’uomo di superare i limiti dell’intelletto e, acquisendo un potere superiore,
porsi in una prospettiva di dominio sulla natura stessa. Così si riteneva che alcune frasi,
alcune immagini simboliche o la memorizzazione di certe nozioni, (di qui l’importanza
estrema e il nuovo significato che assunse la mnemotecnica) 26, permettessero all’uomo di
espandere il suo potere conoscitivo e pratico. Il tutto visto in naturale sintonia con il
cristianesimo. La convinzione era che esistessero forze occulte nella natura che colui che ne
avesse scoperto il segreto (mediante le pratiche magico-mnemotecniche), avrebbe potuto
dominare e modificandole. Di qui nasce, peraltro, la pratica magica nel rinascimento che
tanto clamore e conseguenze poi ebbe in più di un ambito. Nasce la figura del teurgo, che si
distingue dal teologo, poiché il secondo semplicemente tenta di conoscere Dio, mentre il
primo lo conosce ed opera sulla sua stessa volontà, condizionandola. Quindi il teurgo ha
potere nei confronti dello stesso Dio.
Gran parte della filosofia rinascimentale, ma anche dell’arte e della letteratura, subirono
influenze determinanti da queste linee di pensiero (oggi per noi piuttosto bizzarre e
stravaganti).
21
Ermete, figura mitica, (mai esistita), corrisponde al dio Toth degli Egiziani e al dio Ermete dei Greci.
Era il dio della rivelazione della sapienza degli dei, interprete del loro volere.
22
mitico poeta tracio posto a capo della tradizione orfica, da noi studiata in quanto forti influenze ebbe
sulla filosofia dai primi tempi del suo apparire. Tuttavia i testi a cui fanno riferimento i rinascimentali (Inni
Orfici ) non sono realmente riferibili alla originale letteratura orfica, ma risalgono all’età imperiale.
23
saggio e religioso orientale, fu ritenuto autore degli Oracoli Caldaici per un errore del dotto bizantino
Gemisto Pletone (lo scritto in realtà pare risalire a Giuliano il teurgo - II sec. d.C.), divenne famosissimo nel
Rinascimento e con lui tutta l’opera, intrisa di elementi magico-teurgici.
24
si veda sul manuale a pp. 16-25.
25
intendiamo con gnosi un sapere che si propone di elevare l’uomo oltre se stesso, fino a divenire
divino. La realtà umana dunque può acquisire, grazie al suo potere conoscitivo, (gnosi), caratteristiche superiori
ai limiti umani, considerati propri di un aspetto esteriore dell’uomo e non intrinseci allo stesso. La gnosi è,
quindi, un sapere che promette la salvezza all’uomo.
26
la mnemotecnica, famosa già ai tempi classici, e poi coltivata nel corso del Medio Evo, non era una
semplice arte del ricordare. In particolare nel Rinascimento, essa divenne una vera e propria arte magica, ovvero
una pratica destinata a conferire all’uomo poteri superiori a quelli (limitati) del proprio intelletto.
8
prof. Polverelli Emanuele
"da
Tommaso d’Aquino, a Giordano Bruno”
9
Il platonismo rinascimentale.
E’ solo all’interno di questa prospettiva che si può comprendere il platonismo rinascimentale
e che si può cogliere a fondo le sua differenza con quello medievale. Il platonismo del
rinascimento infatti, malgrado le migliori armi filologiche e la traduzione dal greco originale
di molti dialoghi platonici, non è il platonismo di Platone, ma, semmai, il platonismo di
Plotino arricchito degli elementi magico-teurgici di cui già abbiamo parlato.
Questo è evidente in Marsilio Ficino, fondatore dell’Accademia fiorentina, importante centro
di studio sul platonismo. Egli riteneva infatti che il sapere fosse una Rivelazione di Dio
all’Anima . Ora tale rivelazione era iniziata con Ermete, Orfeo e Zoroastro, proseguita con
Mosé e i profeti biblici, per poi perfezionarsi con Pitagora e Platone ed, infine, aver
compimento in Gesù Cristo. Ecco dunque il significato della “docta religio”, ipotizzata dal
Ficino. Occorreva infatti epurare gli elementi inessenziali (e popolari) del Cristianesimo ed
arricchirlo della cultura platonica, così da ottenere il quadro completo della Rivelazione come
era prospettata in questa linea di pensiero. Il sacerdote era anche filosofo e viceversa. Per
Ficino, poi, la realtà era pensata in senso Plotiniano. All’apice Dio, poi l’Angelo, al centro
dell’universo l’uomo (Anima), poi la forma ed infine la materia..
DIO
mondo intelligibile
ANGELI
ANIM A
UOM O
FORM A
M ATERIA
mondo sensibile
L’anima aveva funzione centrale poiché permetteva di collegare il cosmo con il mondo
divino; assumeva dunque un valore fondamentale, e questo esprimeva bene la tipica
sensibilità umanistica rispetto alla centralità dell’uomo. Marsilio Ficino, infatti, conferisce
fondamento filosofico alla già presente convinzione che l’uomo fosse il fulcro dell’universo,
perno centrale della stessa realtà. In stretta attinenza con questo concetto sta la sua pratica
della magia, parte assai rilevante del suo pensiero e della sua opera. Egli si disse mago
(seguace della magia naturale) e riteneva che talismani, frasi, contenuti mnemotecnici,
simboli, ecc. potessero conferire poteri divini, allo scopo di elevare l’uomo dalla sua
condizione terrena. In lui veniva costruita una sintesi tra platonismo, magia naturale e
cristianesimo.
9
prof. Polverelli Emanuele
"da
Tommaso d’Aquino, a Giordano Bruno”
10
L’aristotelismo rinascimentale
Malgrado l’umanesimo si veda espresso sicuramente nella filosofia platonica, nel
Quattrocento l’aristotelismo non venne a meno. Anzi, occorre specificare che la corrente di
pensiero seguita nelle Università era unicamente l’aristotelismo (studi sulla natura). Era
proprio contro questa cultura accademica che reagirono i circoli umanistici con l’intenzione
di affermare e diffondere nuove aspirazioni e sensibilità culturali.
L’aristotelismo nelle università del Quattrocento, era una realtà per il vero piuttosto varia e
difficile da considerare in maniera unitaria (molte le influenze, da quelle tomiste a quella
alessandriste, a quelle averroiste). Parlando in chiave sintetica si può dire che l’evoluzione
dell’aristotelismo presenta una maggiore valorizzazione dell’esperienza nell’indagine della
natura e una preoccupazione quasi esclusiva per gli studi naturali, decadendo in maniera
evidente le tematiche metafisiche e teologiche. Interessante la figura di Pomponazzi. Egli
arriverà a sostenere che l’anima dell’uomo è mortale, considerandola legata in maniera
intrinseca al corpo. Infatti essa è predisposta alla conoscenza delle cose sensibili ed è
incapace di una conoscenza diretta delle cose metafisiche. Pomponazzi sarà una figura di
rilievo, ed al suo seguito, (o comunque) ispirandosi a lui, si sviluppò un aristotelismo
eterodosso, tutto proiettato sull’indagine naturalistica che porterà nel seicento alla nascita di
una sensibilità antiteologica ed antireligiosa.
Da ultimo va ricordato che esistono rinascenze del pensiero scettico o epicureo, e riscoperte
stoiche. Queste furono tuttavia inizialmente surclassate dal “divino Platone”. Noi le
incontreremo quando si dovrà parlare del Libertinismo.
E’ in grado tuttavia di fornirci una esemplificazione efficace dello spirito rinascimentale e
delle sue potenzialità filosofiche il pensiero di Giordano Bruno. Egli può ben essere
considerato una sintesi conclusiva del Rinascimento, questa età che non va confusa in nessun
modo con l’età moderna, - determinata dal sapere scientifico (matematico-meccanicistico), il
quale è assai distante da quello rinascimentale (qualitativo-occultistico) -, ma che si pone in
estrema originalità anche rispetto al Medio Evo.27
Giordano Bruno
vedi manuale pp. 114-124.
27
è aperto il dibattito se il rinascimento sia già all’interno del pensiero moderno oppure se sia distante da
esso; riteniamo, seguendo il Reale, che debba essere considerata come un’età a sé (ovviamente in rapporto con
l’una e con l’altra età), e ci permettiamo di sottolineare che le differenze, dal punto di vista del pensiero, tra
rinascimentali e moderni sono forse ancora più abissali di quelle che passano tra rinascimentali e medioevali. Si
veda comunque il manuale a p. 15-16.
10