LA DISTRUZIONE DELLA COSMOLOGIA ARISTOTELICA
La nuova concezione del movimento che abbiamo cominciato a conoscere ci condurrà a
enunciare il Principio di Relatività; per questo si è passati alla lettura di brani dal
Dialogo sopra i massimi sistemi; sono stati presentati i personaggi e si sono fornite
notizie circa la sua pubblicazione e il conseguente processo davanti al Tribunale
dell’Inquisizione.
I brani dal Dialogo sono stati tratti dal sito www.liberliber.it, in cui si trova l’edizione
a cura di Libero Sosio, Nuova universale Einaudi 110, Einaudi Editore, Torino, 1970.
Nel Dialogo la nuova concezione del movimento, in essa presentata con numerosissimi
esempi, rende plausibile il moto della Terra e dunque il sistema copernicano.
La lettura di questi testi Galileo è stata certamente impegnativa; ma Galileo ci ha
anche divertiti con la sua ironia e ha destato grande ammirazione la sottigliezza delle
sue argomentazioni. Certo non si è potuto sempre eseguire un’analisi testuale,
accontentandosi spesso di cogliere il senso generale di quanto l’autore andava
affermando; ma l’esperienza è stata certamente positiva.
Nel primo brano che è stato proposto, dalla Giornata prima, Galileo, come egli stesso
fa affermare a Simplicio, tende alla sovversion di tutta la filosofia naturale, ed al
disordinare e mettere in conquasso il cielo e la Terra e tutto l’universo. E’ la
distruzione della cosmologia aristotelica, il superamento della distinzione tra mondo
celeste e mondo terrestre che si accompagna a quello della distinzione tra moti
naturali e moti violenti:
SALV. […] Noi veggiamo la Terra essere sferica, e però siamo sicuri che ella ha il suo centro; a
quello veggiamo che si muovono tutte le sue parti, ché cosí è necessario dire mentre i movimenti
loro son tutti perpendicolari alla superficie terrestre; intendiamo come, movendosi al centro della
Terra, si muovono al suo tutto ed alla sua madre universale; e siamo poi tanto buoni, che ci vogliam
lasciar persuadere che l'instinto loro naturale non è di andar verso il centro della Terra, ma verso
quel dell'universo, il quale non sappiamo dove sia, né se sia, e che quando pur sia, non è altro ch'un
punto imaginario ed un niente senza veruna facultà. All'ultimo detto poi del signor Simplicio, che il
contendere se le parti del Sole o della Luna o di altro corpo celeste, separate dal suo tutto,
ritornassero naturalmente a quello, sia una vanità, per essere il caso impossibile, essendo manifesto,
per dimostrazioni di Aristotile, che i corpi celesti sono impassibili, impenetrabili, impartibili, etc.,
rispondo, niuna delle condizioni per le quali Aristotile fa differire i corpi celesti da gli elementari
avere altra sussistenza che quella ch'ei deduce dalla diversità de i moti naturali di quelli e di questi;
in modo che, negato che il moto circolare sia solo de i corpi celesti, ed affermato ch'ei convenga a
tutti i corpi naturali mobili, bisogna per necessaria conseguenza dire che gli attributi di generabile o
ingenerabile, alterabile o inalterabile, partibile o impartibile, etc., egualmente e comunemente
convengano a tutti i corpi mondani, cioè tanto a i celesti quanto a gli elementari, o che malamente e
con errore abbia Aristotile dedotti dal moto circolare quelli che ha assegnati a i corpi celesti.
SIMP. Questo modo di filosofare tende alla sovversion di tutta la filosofia naturale, ed al
disordinare e mettere in conquasso il cielo e la Terra e tutto l'universo. Ma io credo che i
fondamenti de i Peripatetici sien tali, che non ci sia da temere che con la rovina loro si possano
construire nuove scienze.
SALV. Non vi pigliate già pensiero del cielo né della Terra, né temiate la lor sovversione, come
né anco della filosofia; perché, quanto al cielo, in vano è che voi temiate di quello che voi
medesimo reputate inalterabile e impassibile; quanto alla Terra, noi cerchiamo di nobilitarla e
perfezionarla, mentre proccuriamo di farla simile a i corpi celesti e in certo modo metterla quasi in
cielo, di dove i vostri filosofi l'hanno bandita. La filosofia medesima non può se non ricever
benefizio dalle nostre dispute, perché se i nostri pensieri saranno veri, nuovi acquisti si saranno
fatti, se falsi, col ributtargli, maggiormente verranno confermate le prime dottrine. Pigliatevi piú
tosto pensiero di alcuni filosofi, e vedete di aiutargli e sostenergli, ché quanto alla scienza stessa,
ella non può se non avanzarsi.
SAGR. Io non posso senza grande ammirazione, e dirò gran repugnanza al mio intelletto, sentir
attribuir per gran nobiltà e perfezione a i corpi naturali ed integranti dell'universo questo esser
impassibile, immutabile, inalterabile etc., ed all'incontro stimar grande imperfezione l'esser
alterabile, generabile, mutabile, etc.: io per me reputo la Terra nobilissima ed ammirabile per le
tante e sí diverse alterazioni, mutazioni, generazioni, etc., che in lei incessabilmente si fanno; e
quando, senza esser suggetta ad alcuna mutazione, ella fusse tutta una vasta solitudine d'arena o una
massa di diaspro, o che al tempo del diluvio diacciandosi l'acque che la coprivano fusse restata un
globo immenso di cristallo, dove mai non nascesse né si alterasse o si mutasse cosa veruna, io la
stimerei un corpaccio inutile al mondo, pieno di ozio e, per dirla in breve, superfluo e come se non
fusse in natura, e quella stessa differenza ci farei che è tra l'animal vivo e il morto; ed il medesimo
dico della Luna, di Giove e di tutti gli altri globi mondani. Ma quanto piú m'interno in considerar la
vanità de i discorsi popolari, tanto piú gli trovo leggieri e stolti. E qual maggior sciocchezza si può
immaginar di quella che chiama cose preziose le gemme, l'argento e l'oro, e vilissime la terra e il
fango? e come non sovviene a questi tali, che quando fusse tanta scarsità della terra quanta è delle
gioie o de i metalli piú pregiati, non sarebbe principe alcuno che volentieri non ispendesse una soma
di diamanti e di rubini e quattro carrate di oro per aver solamente tanta terra quanta bastasse per
piantare in un picciol vaso un gelsomino o seminarvi un arancino della Cina, per vederlo nascere,
crescere e produrre sí belle frondi, fiori cosí odorosi e sí gentil frutti? È, dunque, la penuria e
l'abbondanza quella che mette in prezzo ed avvilisce le cose appresso il volgo, il quale dirà poi
quello essere un bellissimo diamante, perché assimiglia l'acqua pura, e poi non lo cambierebbe con
dieci botti d'acqua. Questi che esaltano tanto l'incorruttibilità, l'inalterabilità, etc., credo che si
riduchino a dir queste cose per il desiderio grande di campare assai e per il terrore che hanno della
morte; e non considerano che quando gli uomini fussero immortali, a loro non toccava a venire al
mondo. Questi meriterebbero d'incontrarsi in un capo di Medusa, che gli trasmutasse in istatue di
diaspro o di diamante, per diventar piú perfetti che non sono.
SALV. E forse anco una tal metamorfosi non sarebbe se non con qualche lor vantaggio; ché
meglio credo io che sia il non discorrere, che discorrere a rovescio.
Si è osservato che i brani letti in precedenza erano tradotti dal latino e che invece
qui Galileo fa uso della lingua italiana.
Alla lettura e al commento di brani dal Dialogo abbiamo dedicato diverse ore;
talvolta si chiedeva a uno studente di leggere ad alta voce, più spesso gli studenti
leggevano a coppie il brano concordato e ne discutevano per poi riportare alla
discussione collettiva difficoltà o conclusioni (non si sono mai lette più di sei o sette
righe di seguito). Gli studenti avevano sempre come compito a casa la rilettura
personale; e, considerando che si tratta di studenti di seconda, l’insegnante ha
talvolta ritenuto necessario esplicitare in una sintesi scritta alla lavagna le conclusioni
emerse dalla discussione collettiva.