Virgilio Ilari CLAUSEWITZ (1780 - 1832) "Avverto in me la salda tensione verso un nobile scopo, e tutte le mie forze, come in uno Stato ben ordinato, debbono prestarle obbedienza" A Marie von Bruehl, 29 marzo 1807 "Come un obelisco al quale convergono le strade principali di un paese, sta imperiosamente dominante nel mezzo della Scienza militare la salda volontà di uno spirito fiero" Vom Kriege, I, 7 Prologo in cielo Ferrovia tra Magdeburgo e Berlino, 11 aprile 1917 "Vladimir Ilic, caro, fammi raccogliere i giornali". Si spostò di malagrazia dall'altro lato dello scompartimento, barcollando per il movimento del treno. Trenta ore di adorante abnegazione femminile in sei metri quadrati ammorbati di carbone! Accidenti alla Krupskaia coi suoi inutili giornali vecchi! Ormai non parlavano più dell'avvenimento della settimana, la dichiarazione di guerra degli Stati Uniti agli Imperi Centrali. Ma non era solo per propaganda, forse i Crucchi avevano ragione a non preoccuparsi più di tanto. La rivoluzione avrebbe preceduto lo sbarco degli Yankees. Lenin pensò ai due tangheri gallonati che l'avevano scortato impettiti dalla frontiera svizzera a Francoforte. Nei loro modi esageratamente cortesi aveva colto il disprezzo per l'uomo che stava andando a tradire la sua patria. Se lo godessero il loro ultimo trionfo, la defezione della Russia dall'Intesa capitalista che lui avrebbe provocato appena giunto a Pietroburgo, soltanto gridando le due parole che tutti attendevano: "pace e terra!". La casta degli Junker non poteva neanche immaginarsela, la vera ragione per la quale lui li stesse aiutando a chiudere il secondo fronte, spazzando via la cosiddetta "rivoluzione" di febbraio che aveva deposto lo Zar solo per continuare la guerra al fianco dell'Intesa. Forse pensavano addirittura che lui lo facesse per i dannati soldi tedeschi. Lo ripetevano a pappagallo, senza capirlo, quel che aveva scritto il loro Clausewitz: "la guerra è una prosecuzione della politica con altri mezzi". Non potevano rendersi conto che il loro imperialismo era solo la fase suprema del capitalismo agonizzante. Che ne capivano, loro, del rapporto dialettico tra guerra e rivoluzione? E quegli insulsi pacifisti col loro umanitarismo disarmista? I rivoluzionari debbono gioire che la più reazionaria di tutte le guerre stia preparando una fine piena di orrori ad una società che è sempre stata ed è un orrore senza fine. L'aveva capito leggendo Clausewitz, il passo II 23 del Vom Kriege, che questa grande guerra con milioni di morti non era ancora la guerra. Che era Igra, torneo cavalleresco, al cospetto della guerra vera, Vojnà, con cui il proletariato estirperà la causa prima della guerra, lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Un'angoscia improvvisa lo afferrò. Prese il vecchio quaderno sul quale due anni prima, nella biblioteca pubblica di Berna, si era dovuto copiare i passi dei libri che i magri fondi del partito non gli consentivano di acquistare. Rilesse la frase del Vom Kriege cui stava pensando: "si deve considerare la guerra di popolo come lo sfondamento che il fattore bellico, nei nostri tempi, ha effettuato attraverso la sua muraglia artificiosa, e cioè come una estensione e un rinvigorimento del processo di fermentazione che chiamiamo 'guerra' (6, 26)". Doveva lottare contro il tempo, se voleva salvare davvero il popolo russo dal vero pericolo: quello di un nuovo 1793, quando la ragione della storia stava con i nemici della Russia. Bisognava impedire che la rivoluzione scoppiasse in Germania, che fosse una Wehrmacht proletaria ad abbattere la borghesia russa e i suoi servi menscevichi. Non doveva permettere a quel crucco razzista di Marx di gioire nella tomba. Quasi due giorni in quel treno tedesco. Era stanco. Distrattamente, portò la mano al panciotto per guardare l'ora: già, quella peste del figlio di Zinoviev che gli aveva gettato l'orologio dal finestrino! Il rallentamento e la fioca luce della stazione che stavano attraversando gli calamitò lo sguardo: la tabella in caratteri gotici diceva "Burg". S'erano sprecati a chiamarlo cosi! Lo irritava quell'insulso nome tedesco, incapace di dirgli quanto ancora mancasse a Berlino. Primavera Burg, 1780-92 La storia di famiglia era che i Clausewitz provenissero dall'Alta Slesia, e che, per oscure ragioni, fossero stati declassati dalla nobiltà alla condizione borghese. Fatto sta che il nonno era solo un modesto teologo protestante dell'Università di Halle (in Sassonia), e che solo la mobilitazione per la guerra dei Sette Anni (1756-63) aveva dato a Federico Gabriele l'opportunità di diventare ufficiale dell'esercito prussiano. Lui raccontava di aver ottenuto il grado per speciale grazia sovrana, e di essere stato congedato per una grave ferita alla mano destra che l'aveva reso inabile al servizio: ma la verità era che, finita la guerra, Federico II (1740-86) aveva brutalmente mandato a casa tutti gli ufficiali di complemento. Cosi Federico Gabriele si era dovuto accontentare di un modesto posto di esattore dell'accisa (imposta di fabbricazione) a Burg, una cittadina a Nord-Est di Magdeburgo. Ma non aveva smesso di sperare che un giorno la sua numerosa progenie (quattro maschi e due femmine) potesse recuperare gli "antichi diritti". Il primogenito lo deluse: volle studiare teologia, come il nonno, e finì funzionario civile. Invece gli altri tre si identificarono facilmente con le frustrate ambizioni paterne. Nella "grande caserma" prussiana di fine secolo, la razza umana cominciava da sottotenente, e i professori universitari di estrazione borghese sognavano di poter scambiare la loro cattedra con le spalline. Pervaso dal culto del Grande Federico e dall'orgoglio autoreferenziale della propria eccellenza tecnica, l'esercito era l'unico filtro della cooptazione nell'aristocrazia. Ma il solo merito non bastava per accedervi, neppure nelle armi tecniche, l'artiglieria e i pionieri, dove i requisiti di idoneità prevalevano sul rango sociale. Non dotati per la matematica e l'architettura, probabilmente i giovani Clausewitz non sarebbero mai diventati ufficiali, e poi addirittura generali e aristocratici, se nonna Giuliana Federica, giovane vedova del vecchio teologo, non si fosse rimaritata con il vicecomandante del reggimento di fanteria N. 34 di stanza a Neuruppin. Il 34 era uno dei reggimenti più prestigiosi, governato dal principe Ferdinando (1772-1806), il più giovane fratello del nuovo re Federico Guglielmo II (1744-97). Lì la regola era che dovessero essere titolati pure i militari di truppa: ma a forza di suppliche e raccomandazioni, alla fine uno dopo l'altro tutti e tre i fratelli Clausewitz ottennero di esservi arruolati quali caporali-appuntati, e con un indebito ma prezioso von davanti al cognome. Carl Philipp Gottlieb era il più giovane. Nato il 1 luglio (ma lui si imbrogliava invecchiandosi di un mese) 1780, non aveva ancora compiuto dodici anni quando il padre lo consegnò al Reggimento, che si stava allora apprestando a schiacciare l'empia Francia rivoluzionaria. Magonza e Kaiserslauten, 1793 Tuttavia inizialmente il 34 restò in riserva, risparmiandosi lo scontro di Valmy (20 settembre 1792) passato alla storia come una delle epocali vittorie francesi e l'inizio della nuova era della guerra di popolo. Il reggimento dei fratelli Clausewitz marciò al Reno solo nel gennaio 1793, mentre i francesi ghigliottinavano il loro re, e alla fine di marzo prese parte al blocco di Magonza, la città imperiale che aveva proclamato la Repubblica e chiesto l'annessione alla Francia. L'assedio cominciò solo due mesi dopo, quando finalmente giunse l'artiglieria pesante. La piazza capitolò il 23 luglio, dopo cinque settimane di bombardamenti. Sotto quelle mura Carl ebbe la promozione ad alfiere - il grado inferiore della carriera da ufficiale e alcune esperienze. Vide impantanarsi miseramente gli infallibili criteri della "tattica lineare" e del "metodo geometrico". Toccò con mano che il lavoro vero lo faceva l'artiglieria. Conobbe il nuovo volto della guerra di popolo: la politica, l'ideologia, la donna emancipata, il soldato-cittadino, la guerriglia nelle retrovie. Il 29 e 30 novembre, a Kaiserslauten, l'Armata prussiano-sassone del duca Federico Guglielmo Ferdinando di Brunswick Wolfenbuettel Oels (17351806), pur inferiore di numero, respinse e contrattaccò l'Armata francese della Mosella comandata dal giovane generale Hoche, costringendola a ripiegare. I generali vi trovarono conferma della superiorità dell'esercito regolare e dei vecchi sistemi tattico-ordinativi sulle improvvisate innovazioni rivoluzionarie. Non si resero conto che quell'episodio era invece un'ulteriore smentita di uno dei dogmi in cui credevano e cioè la superiorità dell'attacco in forze sulla difesa. Già nel dicembre 1793 le sorti della guerra si invertirono. I rivoluzionari devastarono la Vandea e, grazie al maggiore d'artiglieria Bonaparte, scacciarono inglesi e monarchici da Tolone. In gennaio, per le pessime condizioni dell'esercito e i dissensi col collega austriaco Wurmser, il duca di Brunswick lasciò il comando. I disordini in Polonia costrinsero la Russia a ritirarsi dalla Coalizione e la Prussia potè restarvi solo grazie al cospicuo finanziamento inglese. Ma dopo la pace imposta alla Repubblica Batava, nell'aprile 1795 anch'essa fu costretta a sganciarsi. Osnabrueck, 1795 Prima di rientrare a Neuruppin, il 34 rimase alcuni mesi acquartierato a Tecklemburg, tra Westfalia e Bassa Sassonia. La città più vicina era Osnabrueck e il piccolo alfiere ebbe tutto il tempo di frequentarla. Anni dopo raccontò alla fidanzata che lì "lo sguardo dello spirito" l'aveva "penetrato". Capitarono infatti nelle sue ancor vergini mani, strani libri "illuminati" che insegnavano la "perfettibilità" degli esseri umani e fu scosso da una breve fiammata di "vanitoso ardore filosofico". Infatti quei libri scottavano. A Osnabrueck c'era una colonia dell'Ordine degli Illuminati (o Perfettibilisti) una società segreta fondata nel 1776 a Ingolstadt (in Baviera) da Adam Weishaupt (1748-1830) e sciolta dalle autorità nel 1784 su pressione della Prussia e della massoneria ufficiale. Weishaupt era un docente di diritto canonico che aveva cercato di combattere l'influenza gesuitica e l'oscurantismo delle stesse logge massoniche diffondendo un materialismo ateo e un razionalismo progressista. In politica recepiva l'egualitarismo di Mably e il comunismo anarchico di Rousseau e ne aveva una concezione militante, tanto da imporre "nomi di guerra" ai suoi discepoli, scegliendo per sé quello significativo di Spartacus. Ma il radicalismo iniziale dell'Ordine si era poi gradualmente attenuato con l'ammissione di numerosi aristocratici e statisti e la crescente penetrazione nella massoneria tedesca e gli aspetti iniziatici e pedagogici avevano decisamente preso il sopravvento. Del resto per un ufficiale prussiano non era poi troppo pericoloso manifestare inclinazioni per la letteratura iniziatica: il Gran maestro della massoneria tedesca, il duca di Brunswick e Lueneburg (1721-92) era cognato e commilitone di Federico II. Dalle scarne allusioni di Carl, al massimo si può ipotizzare una sua ammissione al grado inferiore della "classe preparatoria" ("novizio"). Ma se pure vi fu, in ogni caso dovette essere un'esperienza breve, probabilmente interrotta dal rientro alla guarnigione. In seguito, infatti, Carl manifestò decisa "ostilità" e perfino disprezzo nei confronti dell'affiliazione massonica, benché alla massoneria fossero affiliati i tre riformatori dell’esercito e dello stato prussiani con i quali collaborò attivamente fin dal 1803. Soprattutto quando si avvide che a lui gli astri avevano concesso mezzi meno innovativi e rischiosi per farsi largo nel mondo. Neuruppin, 1795-1801 Per quanto adeguata agli standard richiesti agli ufficiali, l'istruzione di base del sedicenne veterano era modesta: prima di arruolarsi aveva potuto frequentare solo la scuola comunale di Burg, il cui programma, modellato su quello dell'istituto tecnico Hecker di Berlino, mirava ad un semplice avviamento al commercio e al pubblico impiego, con rudimenti di grammatica, aritmetica, latino e francese. Più tardi descrisse i sei anni trascorsi in guarnigione come uno dei periodi più tristi e aridi della sua vita, circondato da "nature prosaiche" e "uomini ordinari". Eppure a Neuruppin completò la sua istruzione, non solo tecnicomilitare, ma anche umanistica, frequentando lo speciale istituto per gli ufficiali del 34 creato dal colonnello von Tschammer. Per quei tempi era una innovazione assoluta, poi apprezzata dal grande Gneisenau: infatti allora per gli ufficiali inferiori delle armi combattenti, fanteria e cavalleria, non era prevista alcuna formazione superiore dopo l'infarinatura di base che i cadetti ricevevano nelle scuole reggimentali. Invece a Neuruppin, grazie ad un accordo con il prestigioso Ginnasio cittadino, studiavano anche le scienze "ausiliarie" di quella militare: geografia politica, storia, composizione letteraria, statistica. Il ginnasio aveva poi un'ottima biblioteca, la cittadina vantava quattro librerie e a due passi da lì, a Rheinsburg, ce n'era perfino una specializzata in scienze militari. Berlino, 1801-06 Non tutta la letteratura militare tedesca era conformista. Già prima del 1789 le idee innovative degli scrittori militari francesi avevano messo radici anche in Germania, soprattutto nell'originale adattamento fattone da Gerhard Johann David von Scharnhorst (1755-1813) maggiore dell'artiglieria annoverese. Nella primavera 1801 la sua fama, e le pressioni dei suoi amici prussiani, convinsero il nuovo re Federico Guglielmo III (1797-1840) a chiamarlo a Berlino. I conservatori ottennero però che il suo incarico fosse limitato alla sola riforma degli studi militari superiori, per di più in posizione formalmente subordinata, quale semplice vicedirettore della Scuola di guerra. Nella loro prospettiva, che svalutava l'importanza della cultura e del pensiero, credettero di parcheggiarlo su un binario morto, badando solo a impedirgli ogni ingerenza diretta sull'intoccabile ordinamento tardo-federiciano. In effetti poterono conservarlo quasi intatto fino alla catastrofe del 1806, ma i nuovi ufficiali formati a Berlino erano allora già pronti a ricostruire un esercito di tipo del tutto nuovo. Clausewitz fu uno di costoro. Promosso tenente, nell'ottobre 1801 fece domanda di ammissione al primo corso triennale della nuova Scuola di Guerra per quaranta posti di "uditore". Scharnhorst lo scelse sulla base del profilo riservato (Konduite) tracciato nel 1799 dal suo comandante di reggimento. Diceva: "giovanotto eccezionale, esperto e zelante in servizio. Ha testa, e cerca di procurarsi ogni genere di cognizioni". La Scuola mirava a formare un nuovo tipo di ufficiale di stato maggiore: non più un semplice aiutante di campo del comandante, bensi uno specialista della pianificazione, in grado non solo di diramarne gli ordini, ma soprattutto di consigliarlo e di dare dettagliata e intelligente esecuzione al suo concetto operativo tenendo conto di tutti i fattori di calcolo, inclusi quelli a carattere sociale e politico. Teneva i corsi di geografia militare e arte fortificatoria il maggiore Mueller, veterano della guerra dei Sette anni. Insegnava logica e matematica superiore il filosofo Johann Gottfried Kiesewetter, famoso discepolo e divulgatore del pensiero di Kant. Carl ne fu profondamente influenzato: l'impronta filosofica che si riscontra nel suo modo di pensare è indubbiamente kantiana, non hegeliana, come pure si è creduto di sostenere. Naturalmente il discepolo aveva una devozione filiale per Scharnhorst. Costui gli manifestò la sua preferenza scegliendolo per capocorso e ammettendolo nella prestigiosa Società Militare fondata nel 1802 al preciso scopo di dare la più ampia risonanza sociale alle idee di riforma della politica estera e militare e di lanciare in società gli allievi più promettenti. L'associazione ammetteva anche non titolati, previa valutazione di un saggio scientifico, da cui erano naturalmente esonerati principi, generali, comandanti di reggimento e aiutanti di campo. Fu attraverso quella lobby che il tenente Carl potè fare conoscenze decisive per la sua carriera: i futuri generali Karl Wilhelm Georg von Grolman (1777-1843) e Leopold Hermann Ludwig von Boyen (1771-1848), il fratello della regina Luisa. E soprattutto il coetaneo principe Augusto (1779-1843), il più giovane fratello del principe Luigi Ferdinando, che lo introdusse a corte e nel giugno 1804, mentre ancora frequentava la Scuola di guerra, lo scelse per Aiutante di campo. Monbijou, 1803 Scriveva "spirito" ogni due righe. Sotto il pedante sentimentalismo di maniera, le sue lettere-soliloqui d'amore rivelano lo zelante conformismo, l'arido dramma dell'arrampicatore sociale, la segreta coscienza che quell'ansia ereditata dal padre carnale era proprio il segno indelebile della sua definitiva inferiorità. Sapeva che gli altri dissimulavano di averlo compreso. A lei raccontava vaghe storie sulle nobili origini familiari e le petizioni al Grande Federico, sorvolando le seconde nozze della nonna. Si autocompativa di poter essere creduto un usurpatore di titolo per quel von appiccicatogli nei ruoli del Reggimento. Giunse a scriverle che lei era stata il "secondo evento" del suo soggiorno berlinese, dopo l'adozione da parte di Scharnhorst: ma un evento "che ha affrettato il passo nella mia nobile carriera". Eppure lei lo amò. Aveva un anno più di lui, ed era una bruttina simpatica, Maria von Bruehl: un cicciottello incrocio anglotedesco e cattoprotestante, che a diciassette anni temeva di restare zitella e pensava di consacrarsi a Dio. Nipote di un raffinato conte sassone che era stato ministro all'epoca della guerra dei Sette anni, era nata a Varsavia dal precettore del futuro re di Prussia Federico Guglielmo III e dalla figlia non titolata del console inglese a San Pietroburgo. Suo padre morì nel 1802, ma, scontato il lutto, lei rimase nel giro di corte grazie all'amica del cuore, figlia della più stretta dama della regina, che amava ricevere al castello di Monbijou. Fu lì che lo conobbe, nel dicembre 1803. Non fu un colpo di fulmine: lui si limitò all'inchino regolamentare senza interrompere la conversazione col cugino di lei, e solo al terzo approccio, ad un pranzo del principe Ferdinando, degnò risponderle gentilmente. Lo rivide spesso per tutto l'inverno, sempre in occasioni mondane. Finché in marzo la bellissima sorella minore che la cancellava col solo comparire, non le giocò l'ultimo tiro di morirle di febbre puerperale. Cosi la madre "bigotta ed egoista" troncò brutalmente l'idillio trascinandola con sé a Dresda. Si rividero però al ballo di capodanno 1805. In febbraio, al funerale della regina Federica, bastò che lui la salutasse perché lei si sentisse tornata a vivere. Ci volle però la guerra della Terza Coalizione per disincagliare il loro rapporto. La Prussia rimase neutrale e nel dicembre 1805, dopo la vittoria napoleonica ad Austerlitz, firmò con la Francia un patto di non aggressione. Tuttavia per precauzione mobilitò l'esercito e Maria, quando seppe che anche Carl, appena promosso capitano onorario, sarebbe partito per la frontiera, corse alla caserma per salutarlo. Giunse però quando il battaglione era già partito e per scacciare la tristezza passò dal pellicciaio sotto il Castello. Fu lì che lo trovò, mentre faceva acquisti per conto del principe Augusto. Si commossero: e finalmente lui si decise a baciarle le mani e a giurarle che non l'avrebbe mai dimenticata. Si rese conto solo dopo d'essersi ficcata in un pasticcio, innamorandosi d'uno spiantato di dubbia origine. Volle mettersi alla prova, rifugiandosi a Dresda per un po'. Tornò a Berlino solo nell'aprile 1806 e, quando lo rivide, fu certa di se stessa. Estate La "Strategia del 1804" e l'"anti-Bülow" del 1805 Le letture non militari del giovane Clausewitz non denotano particolare originalità: come tutti i suoi coetanei, divorò le tragedie di Schiller e la filosofia della storia di Herder e nel 1808, come tutti, scoperse Fichte. Solo più tardi si interessò a Goethe e Hoelderlin. Ma studiò oltre 130 campagne dalla guerra dei Trent'anni a Napoleone e soprattutto analizzò a fondo, sotto la guida e l'incoraggiamento di Scharnhorst, le teorie dei più rinomati scrittori militari dell'epoca, in particolare lo svizzero Antoine Henri de Jomini (1779-1869) e i tedeschi Heinrich Dietrich von Buelow (1750-1807) e Georg von Berenhorst (17331814). I suoi primi scritti militari riguardarono le campagne di Gustavo Adolfo di Svezia (1630-32), la guerra russo-turca del 1736-39 e i principi strategici da applicare in caso di guerra con la Francia. In un altro saggio, la cosiddetta Strategia del 1804, compaiono già molti concetti e temi sviluppati poi nella sua opera principale, in particolare la distinzione tra "scopo" (Zweck) e "obiettivo" (Ziel) e il rapporto tra guerra e politica. Scharnhorst seguiva però la politica del basso profilo e della lenta penetrazione e preferì non pubblicare questi primi scritti del suo allievo più promettente e originale. Solo nel 1805 la crescente tensione internazionale lo indusse a permettergli di pubblicare sulla rivista Nuova Bellona, ma senza firma, un aperto attacco contro gli Ammaestramenti della guerra moderna di Buelow, in cui contestava il fondamento teorico del "metodo geometrico" e criticava radicalmente il concetto bulowiano di "base di operazioni". Jena e Auerstedt, 14 ottobre 1806 Lo scandalo suscitato dall'articolo fu presto sommerso dalla crisi internazionale. In luglio Napoleone assunse il protettorato sulla nuova Confederazione tedesca del Reno e la Prussia strinse alleanza con la Russia. Il 6 agosto il sovrano austriaco rinunciò al titolo di Imperatore di Germania e Napoleone dissolse il Sacro Romano Impero della Nazione tedesca. Era la guerra. Fiduciosa nel suo esercito, la Prussia accettò di condurre da sola, col solo rinforzo sassone e il finanziamento inglese, senza neppure attendere le truppe alleate, l'offensiva contro le forze francesi in Baviera. In settembre due Armate con 120.000 uomini, agli ordini del vecchio duca di Brunswick e del principe Hohenlohe-Ingelfingen, mossero da Magdeburgo e Dresda sui Ducati Sassoni, con l'obiettivo di varcare a Ovest la Selva Turingia e tagliare i francesi dal Reno. Ma Napoleone, intuito genialmente il piano nemico, lo prevenne concentrando la Grande Armée a Bamberga e Bayreuth, nella Baviera nordorientale. L'8 ottobre le tre colonne francesi varcarono la frontiera coi Ducati puntando a Nord-Est su Gera e Lipsia per incunearsi tra l'Ala sinistra nemica e le sue basi. Mentre tentavano di risalire la Saale per sfuggire alla tenaglia francese, il 14 ottobre le due Armate prussiane, indebolite da distaccamenti e diserzioni, affamate e demoralizzate, furono costrette a battersi divise e a fronte rovesciato a Jena e Auerstedt, a Sud-Est e a Nord-Est di Weimar. Dopo una dura battaglia nella nebbia, a sera i prussiani cedettero ovunque alla superiorità tattica francese. Persero 40.000 uomini e 300 cannoni, Brunswick fu ucciso, Hohenlohe gettò le armi, le fortezze si arresero senza resistere tranne Kolberg eroicamente difesa da Gneisenau. Solo Scharnhorst e il feldmaresciallo Gebhard-Leberecht Bluecher von Wahlstadt (17421819) continuarono a combattere assieme ai russi nella Prussia Orientale. Clausewitz e il principe Augusto guidarono i resti del valoroso battaglione granatieri di Neuruppin fino alle paludi di Ucker, dove furono catturati. La sera stessa Napoleone in persona li accolse al Castello di Berlino. Consentì al principe di restare nella capitale, mentre Clausewitz dovette rientrare a Neuruppin. Ma alla fine di dicembre entrambi furono internati in Francia, a Nancy, che raggiunsero attraverso Francoforte. Le "lettere storiche" sul Quattordici Ottobre Secondo le parole di Clausewitz, il trauma dell'immane catastrofe spinse la sua volontà "all'estremo". La sua prima risposta fu un'impietosa analisi del Quattordici Ottobre, in due Lettere storiche redatte a Neuruppin, cui in febbraio, a Nancy, aggiunse una terza. Sostenne che Hohenlohe aveva condotto le operazioni senza un piano complessivo, applicando rigidamente regole osbolete e disperdendo le forze, costrette cosi a subire l'iniziativa nemica e a battersi in condizioni di inferiorità numerica. E dopo la sconfitta non si era fatto nulla per cercare di resistere, sull'assunto "idiota" che le probabilità di successo erano minime: ignorando che in guerra tutte le probabilità lo sono e che il "coraggio della disperazione" può sempre sconvolgere il "calcolo militare". Senza contare che un'estrema resistenza avrebbe se non altro salvato l'onore dell'esercito e del suo comandante. La pubblicazione delle Lettere sulla Minerva, la più autorevole rivista scientifica tedesca, dette loro ampia risonanza. Edita ad Amburgo, dove la censura era più tollerante, da Johann Wilhelm Archenholz, la Minerva aveva ospitato saggi di Edmund Burke, Lazare Carnot, Mirabeau, Lafayette e dei più eminenti autori tedeschi. Imparziale e tollerante, col tempo l'iniziale tendenza rivoluzionaria era sfociata su posizioni nazionalpatriottiche. Soissons, Parigi, Coppet, 1807 Per isolarli dagli altri numerosi ufficiali prussiani internati a Nancy, il principe Augusto e Clausewitz furono trasferiti a Soissons, dove poterono concedersi anche una visita di due settimane a Parigi, frequentando intensamente salotti, teatri e gallerie. A Maria scrisse di Rubens e Raffaello. Ma soprattutto sfogò con lei la nostalgia della patria, l'avversione alla mentalità e alla cultura francese, lo sconforto per la definitiva sconfitta di Friedland (14 giugno 1807) e per la pace disonorevole che fu infine firmata il 9 luglio a Tilsit, al confine russoprussiano. Era appena uscito Corinne, l'ultimo romanzo di madame de Stael (17661817), la celebre figlia del banchiere ginevrino Necker (1723-1804), lo sciagurato ministro delle finanze del re ghigliottinato. Carl lo lesse a Soissons, ma solo per compiacere il principe Augusto. La sua confessata pedanteria non gli permise di riconoscersi nel personaggio di Lord Osvaldo Nelvil, troppo meschino per l'amore sublime di una donna superiore. Augusto aveva conosciuto l'autrice a Berlino nel 1804, quando, esiliati da Bonaparte, lei e il suo compagno Benjamin Constant (1767-1830) avevano cercato alternative in Germania. Liberato dall'internamento, lo spensierato principe decise di tornare a Berlino attraverso la Svizzera, allo scopo di farle visita nel castello paterno di Coppet, sul lago di Ginevra, dove viveva con August Wilhelm von Schlegel (1767-1845), capofila del romanticismo tedesco. Rimasero a Coppet dall'11 agosto a novembre, e mentre il principe amoreggiava con la celeberrima madame Récamier, Carl ne approfittò per visitare l'Istituto pedagogico di Yverdon. Era molto interessato alla pedagogia di Johann Heinrich Pestalozzi (1746-1827): voleva sapere se il suo metodo potesse sviluppare la "forza di meditazione", e mise per iscritto alcune riflessioni. Parigi e Coppet lasciarono comunque il segno, se più tardi (1809-1812?) Carl si cimentò perfino in un abbozzo di teoria dell'arte, in cui applicava all'architettura la sua celebre antitesi "scopo-obiettivo". Ma restò relativamente immune dall'infatuazione di Germaine de Stael per la cultura tedesca (cui nel 1810 lei dedicò un famoso saggio, subito sequestrato dalla polizia napoleonica). Infatti Clausewitz non stimava i Tedeschi: scrisse che rispetto ai Francesi erano imbelli, come i colti Greci rispetto ai rozzi Romani. Era convinto che il loro "spirito critico" li avesse svirilizzati, rendendoli "cosmopoliti" e privandoli del "sentimento nazionale" e dei "sani pregiudizi". Carl aveva nel cuore la Prussia e Federico II, non la Germania francesizzante, borghese e romantica inventata da Germaine. Königsberg, 1808-09 E ora la Prussia gli spezzava il cuore. Tilsit le era costata metà del territorio con 5 milioni di abitanti, un tributo di 600 milioni, l'occupazione e il protettorato francese, e la riduzione dell'esercito a 42.000 uomini, una mera forza di sicurezza interna. Il 27 ottobre 1806 Napoleone aveva trionfato a cavallo sotto la porta di Brandeburgo, e ora le sue truppe presidiavano Berlino. Ma, dimezzando l'esercito e delegittimando la vecchia classe dirigente prussiana, fu proprio Napoleone ad assicurare involontariamente il trionfo del riformismo patriottico. Già nel luglio 1807 Scharnhorst e il nuovo primo ministro barone Heinrich Friedrich Karl von und zum Stein (1757-1831) cominciarono a lavorare per la rinascita nazionale. Benché sorvegliati dalla polizia francese e dalle spie tedesche, e osteggiati dal partito conservatore (cui apparteneva anche il cognato di Maria), imposero l'epurazione dell'esercito, l'esemplare fucilazione di un vile generale e l'editto di liberazione dei contadini. Una "rivoluzione dall'alto", con misure sociali dirette a rifondare la potenza militare prussiana sostituendo il vecchio esercito di caserma tardofedericiano con il modello dell'esercito nazionale "a larga intelaiatura". Questo si fondava sull'adozione occulta della ferma breve, con lo scopo di addestrare gradualmente una riserva di mobilitazione in vista della guerra. Grazie alla prudenza e al basso profilo adottato da Scharnhorst l'opera dei riformatori non fu bloccata neppure dalla liquidazione del troppo irruento barone Stein, imposta da Napoleone dopo l'intercettazione di una lettera compromettente. Durante l'internamento in Francia, Clausewitz aveva tentato di mantenere contatti epistolari con Scharnhorst. Quando tornò il suo protettore lo utilizzò per propagandare la riforma dell'esercito presso l'opinione pubblica, altro aspetto davvero innovativo della sua politica. Gli dette il "curioso incarico" di scrivere commenti (Recensionen) per la sezione di scienze militari della Gazzetta letteraria di Halle, e un libro sull'ultima guerra in grado di "svegliare la gente comune". Carl aveva dovuto seguire il principe Augusto a Königsberg, dove si era trasferita la corte e dove, sul primo numero della rivista Vesta, era comparso un saggio su Machiavelli del filosofo Johann Gottlieb Fichte (1762-1814) reso famoso dai Discorsi alla Nazione tedesca del 1807-8. Un anno e mezzo più tardi, nel gennaio 1809, Carl vi trovò lo spunto per un nuovo intervento di propaganda, firmato "un militare sconosciuto". Scrisse che ad "ogni cittadino" spettava possedere "una grande e sana visione della guerra, superiore alle anguste prescrizioni di tipo artigianale" e che le nuove armi e le masse esaltavano l'importanza decisiva del coraggio individuale, "particolarmente nella più nobile di tutte le guerre, quella che un popolo combatte sul proprio suolo per la libertà e l'indipendenza". La risonanza dell'articolo e la nomina del principe Augusto a brigadiere comandante dell'artiglieria assicurarono a Clausewitz la nomina a "capitano effettivo" e consentirono a Scharnhorst di chiamarlo al neocostituito Dipartimento Generale di guerra, per curare la sua corrispondenza e redigere i nuovi Regolamenti di esercizio per la fanteria e la cavalleria. Per Carl significò passare dalla "fredda tomba" ad un "bel mattino di primavera". La riduzione dell'esercito aveva bloccato le sue possibilità di carriera ed era pertanto sfumata anche l'idea di sposare Maria, socialmente troppo distante da un semplice capitano. Ma il nuovo incarico riapriva entrambe le prospettive. E in aprile l'Austria invase la Baviera, facendo appello a tutti i tedeschi per ricacciare i francesi oltre il Reno. La Prussia, infiammata da Fichte, fu scossa da un'ondata di patriottismo, ma il re non cedette alle pressioni dei generali e mantenne la neutralità, congratulandosi della sua scelta dopo la disfatta subita dall'Austria a Wagram (5-6 luglio). Il morale dell'esercito fu nuovamente abbattuto. Bluecher si ritirò amareggiato a Breslavia, Gneisenau dette le dimissioni, Grolman, dopo aver combattuto nell'esercito austriaco, passò al servizio inglese alla testa della Legione tedesca di Spagna, poi (1812) spedita a Stralsunda in rinforzo alla Svezia. Si è ipotizzato che Clausewitz abbia segretamente partecipato alla spedizione suicida del maggiore Ferdinand von Schill (1776-1809), che con un centinaio di ussari aveva tentato da solo di invadere la Westfalia. L'unica cosa certa è che Carl lo ammirava, e che il cugino di Maria apparteneva alla cerchia di Schill. Inoltre Clausewitz intrattenne una fitta corrispondenza, in parte cifrata, con August Neidhardt von Gneisenau (1760-1831), l'eroe di Kolberg, che, lasciato il servizio attivo, svolse varie missioni segrete in Inghilterra, Svezia e Russia per coordinare la resistenza contro la Francia. Berlino, 1810-11 Nel settembre 1809 Clausewitz prese parte alle prime grandi manovre del nuovo esercito. Il 31 dicembre tornò con la corte a Berlino e Scharnhorst lo nominò suo capo ufficio. Nel gennaio 1810 Napoleone impose di scegliere tra la cessione della Slesia e lo scioglimento dell'esercito per garantire il pagamento dell'indennità di occupazione. Naturalmente Scharnhorst consigliò di sacrificare la Slesia, criterio che si ritrova anche in Clausewitz. Tuttavia in giugno il nuovo cancelliere Karl August Hardenberg (17501822) riuscì a salvare entrambi, convincendo Napoleone che un programma di rigore finanziario avrebbe reso solvibile la Prussia. Ma fu costretto ad allontanare Scharnhorst dal Dipartimento generale di guerra, pur conservandogli l'incarico di capo dello Stato maggiore generale. Sempre nel 1810 Clausewitz fu promosso maggiore e incaricato dei corsi di "servizio di stato maggiore" e "guerriglia" presso la nuova Scuola Comune di guerra. Nelle sue lezioni del 1810 e 1811 sulla guerra di partigiani (Parteigaenger), ispirate dalle recentissime esperienze del Tirolo e della Spagna, la analizzò in termini sociali e politici come una forma autonoma di guerra, la "guerra di popolo" (Volksbewaffnung), superando il concetto riduttivo e meramente tecnico di "piccola guerra" (Kleinkrieg, small war, guerrilla). In quell'anno fortunato ebbe inoltre l'incarico di istruire nelle scienze militari il principe ereditario Federico Guglielmo, il fratello (futuro Imperatore Guglielmo I) e il principe Federico d'Olanda, per i quali scrisse un'apposita Sinossi (Uebersicht), decisivo avvio alla stesura del suo futuro capolavoro. Così, grazie alla nuova posizione sociale, potè finalmente ottenere la mano di Maria. Si fidanzarono a fine agosto e si sposarono a Berlino il 17 dicembre 1810. Non ebbero figli. Nell'estate 1811 cominciò a profilarsi la rottura finale tra Francia e Russia e Napoleone impose alla Prussia di scegliere tra l'ingresso nella Confederazione del Reno e un'alleanza bilaterale antirussa. Nuovamente il partito patriottico si mobilitò propugnando la resistenza e l'alleanza con la Russia. Gneisenau indirizzò al sovrano una memoria sulla mobilitazione nazionale (Volksbewaffnung), proponendo di creare una milizia provinciale come quella tirolese (Landwehr) e forze di autodifesa territoriale basate sulla leva in massa (Landsturm). Il re, sempre più fatalista, la chiosò di suo pugno: "nessuno accorrerebbe". Tuttavia in settembre autorizzò Hardenberg a spedire Scharnhorst in missione segreta a Zarskoie Selo per concordare con lo Zar Alessandro I (1777-1825) l'eventuale sostegno russo contro la Francia. Sia pur riluttante, temendo di assoggettare la patria ad un giogo peggiore di quello napoleonico, anche Hardenberg aderì alla fine al parere maggioritario di allearsi con lo Zar. Ma il re scelse invece l'alleanza francese, accettando la cessione di due piazzeforti e il ripristino del regime di occupazione militare. Col senno di poi, fu una fortuna per la Prussia non aver seguito il parere dei patrioti. Infatti la spedizione napoleonica in Russia fiaccò entrambi i nemici potenziali della Prussia, lasciandole il peso determinante del suo esercito intatto. Tuttavia nel marzo 1812, appena firmata la "codarda capitolazione", 300 ufficiali, un quarto dell'esercito, chiesero il congedo. Scharnhorst si dimise da capo dello Stato maggiore, ritirandosi in Slesia, a Breslavia, dove, assieme a Bluecher, chiamò a raccolta i quadri del movimento patriottico. Altri ufficiali, come Clausewitz e Boyen, passarono invece al servizio russo. L'ancien régime contava innumerevoli precedenti analoghi, ma la motivazione del gesto lo rendeva inaudito. Anche se non apertamente, gli ufficiali dimissionari e transfughi sconfessavano il re di fronte alla nazione e rivendicavano la sovranità all'esercito costituito in partito politico. I 'Bekenntnisse' del febbraio 1812 Sull'ideologia del partito patriottico influì anche la campagna nazionale antinapoleonica orchestrata dal governo austriaco con l'aiuto di scrittori come Friedrich Gentz e Friedrich Schlegel. Dopo la pace di Schoenbrunn (1809) Heinrich von Kleist (1777-1811) continuò la propaganda antifrancese a Berlino, tra l'altro con un'ode a Palafox (1780-1847), l'eroico difensore di Saragozza, paragonato a Leonida, Arminio e Guglielmo Tell. Tuttavia solo nel 1821 furono pubblicati, postumi, i due drammi politici La battaglia di Arminio e Il Principe di Homburg. L'uno celebrava la resistenza popolare degli antichi Germani contro gli invasori romani. L'altro, con una velata allusione al maggiore Schill, esaltava la figura del valoroso, che disobbedendo agli ordini del re per malattia d'amore, salva l'esercito dalla sconfitta, accettando poi la condanna a morte, sospesa in extremis dalla grazia sovrana impetrata dai commilitoni. Nel febbraio 1812 Clausewitz spedì a Gneisenau tre promemoria (Bekenntnisse). Il primo era un vero manifesto del partito patriottico, gli altri due approfondivano gli argomenti del promemoria Gneisenau, sostenendo che si poteva resistere contro gli occupanti sfruttando l'intrinseca superiorità della difesa sull'attacco mediante il famoso Volksbewaffnung. Gneisenau però ritenne imprudente diffondere i promemoria prima del momento convenuto per le dimissioni in massa. Di fatto rimasero ignoti fino all'imminenza della guerra franco-prussiana dal 1870-71, quando furono scoperti nell'archivio privato del destinatario. Ma fu pubblicato solo il primo, quello di maggior valore propagandistico. Fu proprio questo testo (sfruttato poi anche dalla propaganda nazista) a determinare la fortuna postuma del suo autore, riverberandola sull'opera principale. Il Vom Kriege fu infatti riscoperto in Germania e tradotto in inglese e francese solo dopo la sconfitta del Secondo Impero francese. Autunno Vilna, Borodino, Mosca, San Pietroburgo, 1812 Accreditato da Gneisenau, nel maggio 1812 Clausewitz raggiunse a Vilna, in Lituania, il Quartier Generale russo, dove, col grado di tenente colonnello, fu addetto al generale Karl Ludwig August Phull (1757-1826), un wuerttemburghese seguace del "metodo geometrico" che aveva fatto parte dello stato maggiore prussiano del 1806 e che lo Zar aveva nominato proprio "consulente strategico". Sembra che il piano originario proposto dai comandanti delle due Armate russe, Barclay e Bagration, fosse di concentrare la resistenza sulla linea arretrata Riga-Dunauburg-Drissa-Borisov-Bobrujsk-Kiev, dietro i fiumi Dvina, Beresina e Dnieper. Phull l'aveva integrato proponendo di concentrare l'esercito a Drissa, che sbarrava entrambe le strade per Mosca e San Pietroburgo. Clausewitz calcolò che per attuare quel piano sarebbe stato necessario il triplo dei 170.000 uomini disponibili. Con una relazione tecnica in cui dimostrava l'assoluta inutilità del campo trincerato di Drissa, riuscì tuttavia a demolirlo, dando argomenti allo Zar per liquidare Phull. Inoltre contribuì a fargli pervenire un contropiano elaborato da Scharnhorst e inoltrato tramite l'ambasciatore russo a Berlino. Il piano "prussiano", fortemente avversato dai russi e vituperato da Tolstoj in Guerra e pace, prevedeva invece di ritirarsi in profondità di fronte alla Grande Armée, e di dare battaglia a Smolensk. Si trattava di sfruttare il vantaggio della difesa, cedendo spazio per guadagnare tempo, in modo da allungare le linee di rifornimento nemiche e accorciare le proprie, logorando l'avversario fino ad invertire i rapporti di forza. Nelle sue memorie della Campagna di Russia, Clausewitz minimizza il proprio ruolo e riconosce che la ritirata russa non derivò dal piano prussiano, ma da una serie di errori e circostanze fortuite che finirono paradossalmente per salvare la Russia. Diversamente da Tolstoi, Carl giudicò il nuovo comandante supremo russo Mihail Ilarionovic Golenischev-Kutusov (17451813) più astuto e prudente che geniale ed eroico. Ma anch'egli riconobbe al rustico principe di aver saputo comprendere che la sola forza in grado di battere Napoleone era l'infinita tenacia del contadino russo. Non conoscendo il russo, Clausewitz dovette accontentarsi dell'incarico di "quartiermastro" nel Corpo di cavalleria del generale Uvarov. Di conseguenza fu solo parzialmente coinvolto nei sanguinosi combattimenti attorno a Smolensk (15 agosto). Fu allora che Napoleone raggiunse quel che Clausewitz definì poi il "punto culminante della vittoria". Percependolo, l'Imperatore esitò a procedere su Mosca. I violenti temporali di fine agosto lo convinsero che doveva tornare nella città santa per svernarvi. Ma il mattino del 31 agosto uno splendido sole ingannatore lo attirò di nuovo verso la catastrofe, secondando perfidamente il suo disperato bisogno di sommergere nell'azione l'angoscia segreta del suo corpo precocemente declinante. Cedendo alle pressioni dell'esercito e della corte, il 7 settembre Kutusov consentì ai suoi generali di battersi inutilmente a Borodino, alle porte di Mosca. La cavalleria russa vi ebbe un ruolo secondario, impiegata per attacchi diversivi e di alleggerimento. La notte del 14 settembre, durante la ritirata russa su Riazan, Clausewitz attraversò Mosca, commosso dal suo aspetto desolato e dalla moltitudine dei feriti assiepati al passaggio delle truppe. Lo Zar lo destinò poi alla guarnigione di Riga, assediata dai francesi: ma, arrivato a metà ottobre a San Pietroburgo, dove si stava allestendo una Legione russo-tedesca, ottenne di restarvi, aggregato allo stato maggiore del conte Peter zu Sayn-Wittgenstein, interamente composto di suoi compatrioti. Napoleone abbandonò Mosca il 18 ottobre. Il 26-28 novembre, durante il passaggio della Beresina, l'Armata di Wittgenstein non riuscì a travolgere l'eroica resistenza della piccola retroguardia francese che custodiva il ponte di Studenka. Operò poi nel settore settentrionale, contro l'Armata del maresciallo Jacques Alexandre Macdonald (1765-1840). Ne faceva parte metà dell'esercito prussiano e vi prestavano servizio anche i fratelli maggiori di Clausewitz, Federico e Guglielmo. Durante la ritirata da Riga a Tilsit i partigiani russi lo isolarono e il 30 dicembre, dopo cinque giorni di negoziati, i generali Hans von Diebitsch da parte russa e Johann von Yorck (1759-1830) da parte francese firmarono a Tauroggen un accordo che riconosceva la neutralità del contingente prussiano. Tauroggen, 30 dicembre 1812 Yorck si giustificò con l'argomento che il re, di fatto prigioniero della guarnigione francese, non aveva libertà d'azione. Il 3 gennaio gli scrisse, imitando inconsapevolmente il principe di Homburg, che attendeva con estremo rispetto l'ordine di "avanzare contro il vero nemico" oppure di "aspettare la pallottola mortale contro i sacchetti di sabbia". Ma intanto convocò un Consiglio della Prussia Orientale, costituì la milizia provinciale (Landwehr) e prese accordi con il barone Stein, subito inviato dallo Zar. Messo di fronte al fatto compiuto, al re non rimase che lasciare Berlino per Breslavia, dando pieni poteri a Scharnhorst. Il 25 febbraio 1813 strinse alleanza con lo Zar e il 16 marzo dichiarò guerra alla Francia entrando nella Sesta Coalizione. Nei ricordi del 1812, Clausewitz minimizzò anche il proprio ruolo nel negoziato di Tauroggen. Senza citarlo come esempio, scrisse poi nel Vom Kriege che il comandante militare non poteva spingersi oltre una "semplice modificazione" dei disegni politici, perché questi erano lo scopo e la guerra era solo lo strumento della politica. Tuttavia lo stato maggiore tedesco rivendicò sempre il diritto estremo di imporsi al sovrano per ragioni supreme. Nel 1914 meditò di deporre il Kaiser che esitava alla guerra e nel 1916 assunse di fatto la dittatura militare. Analogo diritto invocò von Stauffenberg per l'attentato del 1944 contro Hitler. La doppia valenza costituzionale e geopolitica di Tauroggen segnò vari episodi della storia tedesca. Il 30 ottobre 1919, di fronte all’obelisco commemorativo di Tauroggen, un battaglione ribelle della Reichswehr "provvisoria" giurò di combattere assieme ai russi "bianchi" e ai corpi franchi tedeschi del Baltico sia contro i bolscevichi sia contro le forze anglofrancesi che sostenevano il governo democratico lituano. Più tardi sia le destre che i comunisti tedeschi usarono l'esempio di Tauroggen per sostenere il revanscismo antioccidentale e la cooperazione con l'Unione sovietica, dal trattato di Rapallo (1922) al patto Ribbentrop-Molotov (1939) fino alla Repubblica democratica tedesca (1946-89). Inoltre la destra antiweimariana esaltò la figura di Yorck per invalidare l'obbedienza dei militari alla Repubblica di Weimar sorta dall'ingiusta pace di Versailles. Anche il regime nazista gli dedicò un film e gli intitolò uno dei nuovi incrociatori. In uno dei suoi ultimi scritti (Teoria del partigiano, 1963) Carl Schmitt fece di Tauroggen il prototipo dell'iniziativa militare estesa sino alla suprema decisione, la "scelta del nemico", che nella sua visione costituisce l'essenza stessa del politico, paragonando Yorck al de Gaulle del 1940 e ai generali francesi che nel 1960 si ribellarono contro la decisione di lasciare l'Algeria. Lützen e Lipsia, 1813 Con gli editti del 3 e 9 febbraio, 17 marzo e 21 aprile 1813, suggeriti da Scharnhorst, il re autorizzò la creazione di unità di fanteria leggera (Jaeger) composte di volontari di guerra appartenenti ai ceti elevati esenti dalla coscrizione, nonché di milizia provinciale (Landwehr) e territoriale (Landsturm) formate di coscritti. Storici e politologi hanno sottolineato le enormi difficoltà e resistenze e il parziale insuccesso della mobilitazione nazionale del 1813, del resto attenuata da un successivo decreto del 17 luglio ispirato dai circoli conservatori. Ciò non toglie però l'eccezionale significato politico della mobilitazione nazionale, sostenuta attivamente non solo dagli intellettuali romantici, ma anche da quegli insigni storici del diritto come Savigny (1779-1861) ed Heichorn (1781-1854) che respingevano radicalmente il legalismo illuminista e la codificazione napoleonica. Anche grazie a loro, in luglio la Prussia aveva alle armi una forza senza precedenti, pari al 6 per cento della popolazione: 280 mila uomini, di cui 68 mila regolari e 120 mila provinciali e il resto Jäger e Corpi franchi (Freikorps) stranieri, con 376 cannoni. Mortalmente ferito a Gross-Görschen, durante la prima grande battaglia (Lützen, 2 maggio), Scharnhorst lasciò a Gneisenau il posto di capo di stato maggiore dell'Armata. Il vecchio Blücher gli lasciò tutta l'iniziativa, affidandosi al suo giudizio: commentando il conferimento di una laurea honoris causa, disse argutamente che se facevano dottore lui, dovevano fare Gneisenau farmacista. Rifiutando il vecchio sistema della guerra di manovra volta a logorare (ermatten) l'avversario evitando la battaglia decisiva, Gneisenau segui l'opposta strategia, poi ampiamente teorizzata da Clausewitz, di costringere il nemico ad una decisiva battaglia di annientamento (Vernichtung, Niederwerfung). Fu lui, inoltre, ad introdurre il criterio di comando e addestramento, poi divenuto il blasone dell'esercito tedesco, della "tattica del compito" (Auftragstaktik), basato su una chiara formulazione dell'obiettivo, su un forte unità di intenti e sulla fiducia reciproca che rendevano possibile lasciare la massima libertà di iniziativa ai comandanti subordinati. Inoltre la coesione era assicurata, per la prima volta, dall'affiancamento di un ufficiale di stato maggiore a ciascun comandante di Grande Unità. Rimasto al servizio russo, Clausewitz fu aggregato allo stato maggiore di Blücher, inquadrato nell'Armata di Wittgenstein. A Gross-Görschen una baionettata lo ferì leggermente dietro l'orecchio destro e sfuggì di poco alla cattura. Subito dopo lasciò l'Armata di Wittgenstein passando al Corpo misto del generale Wallmoden, di cui facevano parte la Legione russotedesca e il Corpo franco di Lützow. Il Corpo formava l'Ala destra dell'Armata del Nord e non partecipò alle grandi battaglie del 1813: l'unico scontro di una certa entità lo sostenne il 16 settembre a Lüchow, nell’Hannover orientale. Tuttavia contribuì indirettamente alla vittoria alleata nella decisiva “battaglia delle nazioni” (Lipsia, 16-19 ottobre) isolando in Olanda il Corpo francese di Davout. Promosso colonnello dallo Zar nel settembre 1813, Clausewitz fece la campagna del 1814 aggregato alla Legione russo-tedesca. Conclusa la pace, fu riammesso al servizio prussiano, col grado di colonnello di fanteria, ed ebbe il tempo di scrivere una eccellente biografia del suo maestro Scharnhorst. E' da ricordare che nel 1813 passò al servizio russo, per dissensi con Napoleone, anche il generale Jomini, futuro creatore dell'Accademia militare di San Pietroburgo e longevo restauratore della concezione classica della scienza militare, del tutto antitetica a quella clausewitziana. Ligny, Wawre e Waterloo, 16-18 giugno 1815 Durante la breve guerra della Settima e ultima Coalizione antinapoleonica, Clausewitz fu assegnato al generale von Thielmann quale capo di stato maggiore del III Corpo prussiano. All'inizio del giugno 1815 il III Corpo era dislocato a Ciney, a protezione del fianco meridionale dello schieramento alleato. Il 15 giugno, profilatosi l'attacco francese, Blücher ordinò il temerario concentramento dell'Armata prussiana sulle posizioni avanzate di Ligny, 20 km a Sud-Est dell'Armata inglese, che però Wellington, fraintendendo la manovra nemica, spostò ancora più a Nord-Ovest. Il giorno seguente Napoleone si incuneò tra le due Armate alleate, per batterle separatamente. Tuttavia l'Ala sinistra di Ney non riuscì a conquistare l'avamposto inglese di Quatre Bras nè l'Ala destra di Grouchy ad annientare l'Armata prussiana, pur costringendola a ripiegare con enormi perdite oltre la strada NivellesNamur. Nella notte sul 17, avendo perso i contatti con Blücher, disperso a Ligny dopo un'ultima eroica carica di cavalleria, ed essendo convinto che Wellington avesse abbandonato gli alleati, Gneisenau ordinò di ripiegare verso Liegi via Wawre e Lovanio, senza curarsi degli inglesi, verso i quali nutriva una pregiudiziale avversione. Ma poche ore dopo Blücher poté raggiungere il quartier generale a Melléry e, sostenuto dal capo dei servizi logistici Grolmann, respinse il piano di Gneisenau, facendo del soccorso a Wellington una questione d'onore. Di conseguenza ordinò il concentramento a Wawre, 15 km ad Ovest da Waterloo e Mont Saint-Jean, dove Wellington ripiegò al mattino del 17, favorito dalla prostrazione psico-fisica di Napoleone e da una pioggia torrenziale che rallentò l'inseguimento francese. Alle 11 del 18 giugno Blücher, che i suoi soldati chiamavano Alte Vorwärts ("il Vecchio 'avanti!'") marciò fiero e malconcio verso Waterloo alla testa del II e IV Corpo prussiani, lasciando gli altri due in retroguardia a Wawre con Gneisenau. Un'ora prima Napoleone aveva ordinato a Grouchy di attaccare Wawre. Poco dopo le 13, mentre da un'ora e mezzo si combatteva all'avamposto inglese di Houguemont, l'Imperatore seppe che Blücher stava arrivando e ordinò a Grouchy di interrompere l'azione su Wawre e raggiungere subito il campo di battaglia. Ma quell'ordine Grouchy lo ricevette solo alle 17, quando i prussiani, sbucati dal Bosco di Parigi, avevano già travolto il primo contrattacco dell'Ala destra francese. Alle 19 giunse sul campo di battaglia anche Gneisenau con il I Corpo prussiano. Alle 19.30 i francesi cedettero e si sbandarono. Frattanto i 17.000 prussiani di Thielmann continuavano a impegnare Grouchy in scontri confusi e inconcludenti intorno a Wawre. Il maresciallo seppe della catastrofe solo alle 10.30 del 19 giugno. Solo allora ripiegò su Namur, dove il 20 inflisse due severe sconfitte al II e al III Corpo prussiani, di modo che il 21 poté raggiungere Philippeville con 25.000 uomini ancora in grado di combattere. Lo sganciamento di Grouchy, unico successo francese nel disastro di Waterloo, inferse un colpo mortale al prestigio professionale di Clausewitz, accusato di aver consigliato eccessiva prudenza. Sul momento, nella generale euforia della vittoria, sembrò cosa lieve. Ma poi, nelle sedi riservate, quell'episodio tornò a galla ogni volta che lo si ritenne opportuno. Doveva pur scontare di essere stato il "primo della classe". Inverno Fontainebleau e Coblenza, 1815-18 Il III Corpo rimase per qualche tempo a Fontainebleau, nelle forze di occupazione, ma in autunno Carl poté finalmente permettersi un viaggio di svago con Maria. Al rientro prese servizio a Coblenza, quale capo di stato maggiore di Gneisenau, nominato Comandante generale dei territori renani annessi alla Prussia. Nei primi mesi, prima che lo raggiungesse la sua famiglia, Gneisenau utilizzò il salotto di Maria von Clausewitz per riunire un circolo di amici, frequentato anche da eminenti personalità renane e dal poeta romantico prussiano Max von Schenkendorf (1783-1817), già direttore a Koenigsberg della rivista Vesta che nel 1809 aveva ospitato il commento di Clausewitz al Machiavelli di Fichte. Queste riunioni insospettirono gli ambienti reazionari di Berlino: cominciarono a dire che quello di Gneisenau a Coblenza sembrava "il campo di Wallenstein sul Reno", con chiara allusione alla celebre ribellione militare del duca di Friedland (1583-1634) contro l'Imperatore, che nel 1794-99 aveva ispirato il famoso dramma di Friedrich Schiller (1759-1803). Ma presto al sarcasmo si aggiunse l'allarmismo, perché le spie del governo riferivano che nel circolo di Gneisenau si tenevano discorsi progressisti, influenzati dalle tendenze "neogiacobine" delle Associazioni studentesche, a favore di una monarchia costituzionale. Cosi, quando il re respinse il suo progetto di costituzione per le province renane, Gneisenau preferì dare le dimissioni. Il suo successore, Georg von Hake, apparteneva al gruppo conservatore dell'esercito ed era stato personalmente emarginato da Scharnhorst, che gli rimproverava la sua ristrettezza di idee e la sua ostilità alle innovazioni. Non risulta però che il nuovo comandante abbia perseguitato il suo capo di stato maggiore. Del resto Clausewitz si astenne dal prendere posizione nel veemente e prolungato dibattito sul modello di esercito riaperto nel 1816 dal saggio del professor Karl Wenzeslaus Rodecker von Rotteck (1775-1840) Sugli eserciti permanenti e le milizie nazionali, in cui il polemista liberale sosteneva che la coscrizione obbligatoria, ereditata dalla dittatura napoleonica, era un attentato alle basi sociali e familiari della nazione e un permanente pericolo per la libertà costituzionale, contrapponendole invece una milizia civica autenticamente popolare, erede dell'antica tradizione guerriera germanica rinnovata dalla mobilitazione nazionale del 1813. Berlino, 1818-30 Il ministro della guerra, generale Leopold Hermann Ludwig von Boyen (1771-1848) era però un convinto fautore delle riforme e della Landwehr, e, sostenuto dalla sua amicizia, nel 1817 Clausewitz poté tornare a criticare le teorie di von Bülow e attaccare apertamente anche l’astro nascente di Jomini. Nel maggio 1818 ottenne il trasferimento a Berlino quale direttore della Scuola generale di guerra. Poco dopo fu promosso maggior generale e per due mesi (settembre-novembre 1818) tenne anche il comando militare di Aquisgrana, con il compito di garantire la sicurezza del vertice della Santa Alleanza che decise la cessazione anticipata dell'occupazione militare in Francia. Tuttavia, sopraffatto dalle critiche dei conservatori, nel 1819 von Boyen si dimise (tornò ministro nel 1841-47). Clausewitz conservò la direzione alla Scuola di guerra, ma le sue funzioni furono limitate agli aspetti amministrativi, senz’alcuna ingerenza nella selezione degli aspiranti e nella conduzione dei corsi. Clausewitz rimase direttore per dodici anni senza poter mai svolgere una sola lezione e fu anzi costretto a ritirare un proprio progetto di riforma degli studi. Neanche gli concessero di ricoprire alcun incarico di comando. Nel 1821 fu invece aggregato allo Stato Maggiore, quale membro di varie commissioni ministeriali di studio sull'addestramento e il reclutamento. Ma con la sostituzione di von Boyen al ministero della guerra le residue aspirazioni di carriera di Clausewitz furono azzerate. Pensò allora di lasciare l'esercito: ma il barone Stein e l'insigne glottologo strutturalista Wilhelm von Humboldt (1767-1835), suo intimo amico, si adoperarono invano per fargli ottenere un incarico diplomatico a Londra o almeno a Monaco. Nel 1823-25 Carl scrisse una rielaborazione delle sue analisi sul periodo storico vissuto dalla sua patria, le Notizie sulla Prussia durante la sua maggiore catastrofe. Nel 1827 lui e il fratello superstite ottennero finalmente la conferma ufficiale del loro titolo nobiliare. Breslavia e Posen, 1830-31 Nel gennaio 1830 Clausewitz ottenne finalmente un incarico operativo, il Secondo Ispettorato d'artiglieria a Breslavia. I fermenti nazional-liberali suscitati in Italia e in Polonia dalla Rivoluzione parigina del luglio 1830, indussero la Prussia a spedire un'Armata di Osservazione in Prussia Orientale. Il comando fu dato a Gneisenau, che volle Clausewitz per capo di stato maggiore. Varsavia insorse in novembre e l'intervento russo schiacciò la rivoluzione nella tarda primavera del 1831. Ma i soldati dello Zar diffusero il colera. Gneisenau ne morì in agosto e Maria ne fu atterrita. Clausewitz dovette vietarle di raggiungerlo a Posen, dov'era il quartier generale dell'Armata. Questa fu sciolta ai primi di novembre. Il 7 Carl riabbracciò Maria a Breslavia. La sera del 16 si spense anche lui, vittima del morbo. L'immortalità Durante i dodici anni in cui diresse la Scuola di Guerra, Clausewitz consegnò ad un enorme manoscritto privato tutto quel che gli impedirono di insegnare. Non tentò mai di pubblicarlo, ma continuò incessantemente a correggerlo e riscriverlo, lasciando sedimentare il suo pensiero. Tuttavia lo suddivise con criterio sistematico in otto "libri": I «essenza della guerra»; II «teoria della guerra»; III «strategia»; IV «il combattimento»; V «le forze combattenti»; VI «la difensiva»; VII «l'offensiva»; VIII «il piano di guerra». E gli dette un titolo semplice ed essenziale: Vom Kriege («Della guerra»). Morì considerandolo incompiuto, soddisfatto solo del primo capitolo del I libro, in cui sono riassunti i principi commentati nel resto dell'opera, e che scrisse per ultimo. L'opera fu pubblicata subito dopo la morte, assieme ad una selezione di altri scritti, a cura e spese di Maria e dei suoi amici ed estimatori. I militari di ogni paese e di ogni epoca, a cominciare da quelli tedeschi, lo citarono di tanto in tanto, ore rotundo, soprattutto per infiorarsi di eroici furori o rovesciarne gli assiomi sul rapporto tra guerra e politica e tra attacco e difesa. I pochissimi che provarono a leggerlo non vi trovarono quel che si aspettavano: del resto Jomini avvertì subito che non ne sarebbe valsa la pena. Solo per sentito dire, Liddell Hart (1895-1970) ne fece il Ghost-writer dell'odiato Napoleone e il Mefistofele del malefico Grande stato maggiore tedesco. Scomparso Hans Delbrück (1848-1929) la maggior parte degli storici militari preferì al Vom Kriege la riposante polvere degli archivi. La ragione ultima dell’istintiva repulsione dei militari per il Vom Kriege è che, ancorando l'epistemologia della scienza militare allo schema binario "scopo politico / obiettivo militare", Clausewitz aveva sgretolato alla radice lo schema ternario "politica - strategia - tattica" costruito da Bülow e Jomini. Ma riducendo la strategia ad una mera matrice logica comune della politica e della tattica, aveva tolto fondamento logico - scientifico all'autonomia del militare rispetto al politico, proprio mentre gli stati maggiori dell'epoca sua cercavano di affermarla in nome del sapere strategico. Il Vom Kriege urtava le corporazioni militari, ritornate, a forza di strategia, pacifiste e "cosmopolite" già all'epoca della Santa Alleanza. Il Vom Kriege mostra invece l'intrinseca dimensione bellica della politica come ininterrotta competizione per il dominio, come conflitto e rivoluzione. Solo col tempo, grazie agli studi di Franz Mehring (1846-1919), alle note di Lenin in margine al Vom Kriege, all'interesse di Stalin e Mao Zedong, al predominio culturale esercitato per gran parte del XX secolo dalla tradizione marxista-leninista, alla crisi delle dottrine militari determinata dalle guerre mondiali, dalla guerra rivoluzionaria, dalle armi nucleari, dal terrorismo e dalla militarizzazione della politica, si riconobbe finalmente la vera natura di quello strano libro: non solo la più penetrante e insuperata analisi storico militare dell'età napoleonica e l'unica vera epistemologia delle scienze militari, ma anche e soprattutto un immortale capolavoro di teoria politica, fonte limpida e inesauribile di pensiero storico e di intelligenza del presente. PICCOLA ANTOLOGIA DI TESTI Desiderio di pace «Non c'è nulla che io tema più della pace; più forte sarà il desiderio di concluderla e più essa sarà pericolosa. E' il dormiveglia di un uomo che è in pericolo di perdere la vita, in un freddo che lo paralizza; se cede al bisogno della natura sarà per non svegliarsi mai più.» A Marie von Brühl, 28 giugno 1807 «Dobbiamo forse sottrarci al disonore di oggi rifugiandosi nel glorioso passato? Non può bastarmi che i nostri antenati furono uomini d'onore e perciò stimati; (...) ogni lode che si tributa a loro, è uno scherno in più che colpisce noi.» A Marie von Brühl, 5 ottobre 1807 Stato ed esercito «E' mia convinzione che convenga sacrificare totalmente uno Stato che non si riesce più a difendere, pur di salvare l'esercito (...) se manterrà un certo organico sino alla fine della guerra, costituirà sempre una lettera di credito ben garantita, da presentare contro la restituzione del regno.» Memoria, tra novembre 1807 e marzo 1808 Resa e rinascita «io credo e professo che un popolo non abbia nulla di più alto a cui tenere che la propria libertà e dignità (...) che il marchio d'infamia di una molle sottomissione è per sempre indelebile. Che questa goccia di veleno inoculata nel sangue di un popolo si trasmette alla sua discendenza paralizzando e minando l'energia delle generazioni future. Che l'onore del re e del governo fa tutt'uno con quello del popolo ed è la sua unica garanzia di salvezza (...). Che il naufragio stesso di questa libertà, ma al termine di una lotta sanguinosa e onorevole, permette ancora la rinascita di un popolo.» Bekenntnisse, febbraio 1812 Principi e regole di condotta della guerra «in origine per arte della guerra non si intendeva che la creazione di forze militari. (...) Tutto ciò stava all'arte della guerra propriamente detta come l'arte dello spadaio sta a quella del maestro d'armi. (...) E' nell'arte degli assedi che l'intelligenza della guerra ha cominciato a venire in luce (...): più tardi, la tattica si avventurò nelle stesse regioni (...), ma la vera condotta della guerra non si presentò (inizialmente) che in modo occasionale e in incognito. (...) La considerazione degli avvenimenti militari produsse il bisogno di una teoria (...): da ciò derivarono gli sforzi per costruire massime, regole ed anche sistemi per la condotta della guerra (...). Tutti questi tentativi debbono essere respinti (...): essi tendono infatti verso grandezze determinate, mentre in guerra tutto è indeterminato (...) e non tengono conto del genio che è al di fuori d'ogni regola.» Vom Kriege, II, 2, 1-13 Storia militare «Gli Svizzeri, ai quali erano sconosciuti gli antichi esempi di tattica dei Greci e dei Romani, ripristinarono la migliore condotta bellica solo perché la situazione del loro Paese e la loro povertà li costringevano a fare la guerra a piedi e con le sole armi difensive dello spirito eroico, e perché gli abitanti dei Quattro Cantoni, fortunatamente ignoranti di molte abitudini assurde, erano meglio istruiti dal loro buonsenso.» Lettera sul Machiavelli di Fichte, 11 gennaio 1809 Teoria, talento. Sapere e potere «la teoria è un'indagine analitica dell'oggetto, che lo fa conoscere con esattezza, e, applicata all'esperienza, ossia, in questo caso, alla storia della guerra, conduce alla familiarità con l'oggetto stesso; e quanto più consegue questo fine, tanto più trapassa dalla forma oggettiva di un sapere (Wissen) a quella soggettiva di un potere (Koennen), e tanto più si proverà efficace anche dove la natura delle cose non permette altra risoluzione che quella del talento. (...) la teoria deve sradicare l'erbaccia, che l'errore ha fatto nascere ovunque; deve chiarire e rendere evidenti i rapporti che gli oggetti hanno fra loro, e sceverare l'essenziale dal secondario.» Vom Kriege, I, 7; VIII, 1 Definizioni della guerra «La guerra non è che un duello su vasta scala. (...) è un atto di forza che ha per scopo di costringere l'avversario a sottomettersi alla nostra volontà. (...) rassomiglia al camaleonte, perché cambia natura in ogni caso concreto.» Vom Kriege, I, 1, 2; 20; 28 Teoria politica della guerra «La guerra non è dunque solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi (Fortsetzung mit anderen Mitteln) (...) L'arte della guerra può esigere, in linea di massima, che le tendenze e i disegni della politica non vengano a trovarsi in contraddizione con tali mezzi, e il comandante in capo può esigerlo in ogni caso: ma qualunque sia, anche in casi particolari, la sua reazione sui disegni politici, esso non può andare al di là di una semplice modificazione dei medesimi, perché il disegno politico è lo scopo, la guerra è il mezzo. (...) la politica è da considerarsi come l'intelligenza dello Stato personificato. (...) La guerra è forse altra cosa che una specie di scrittura o di linguaggio nuovo per esprimere il pensiero politico? Questa lingua ha senza dubbio la propria grammatica, ma non una logica propria.» Vom Kriege, I, 1, 24; 26; VIII, 6 b) Guerra e diritto (la guerra) «è accompagnata da restrizioni insignificanti, che meritano appena di essere menzionate, alle quali si dà il nome di diritto internazionale, ma che non hanno capacità di affievolirne essenzialmente l'energia.» Vom Kriege, I, 1, 2 Guerra e commercio «La guerra non appartiene né al dominio dell'arte né a quello della scienza, ma al dominio della vita sociale. E' un conflitto di grandi interessi, che ha una soluzione sanguinosa, e solamente in questo differisce dagli altri. Si potrebbe piuttosto paragonarla al commercio che a qualsiasi altra arte, poiché il commercio è anch'esso un conflitto di interessi e attività.» Vom Kriege, II, 3, 3 Bontà d'animo «Gli spiriti umanitari potrebbero immaginare che esistano metodi tecnici per disarmare o abbattere l'avversario senza infliggergli troppe ferite e che sia questa la finalità autentica dell'arte militare. Per quanto seducente ne sia l'apparenza, occorre distruggere tale errore, perché, in questioni cosi pericolose come la guerra, sono appunto gli errori risultanti da bontà d'animo quelli maggiormente perniciosi.» Vom Kriege, I, 1, 3 Scopo politico e obiettivo militare «Lo scopo (Zweck) politico, motivo primo della guerra, darà dunque la misura, tanto dell'obiettivo (Ziel) che l'azione bellica deve raggiungere, quanto degli sforzi che a ciò sono necessari. Ma poiché si tratta di fatti reali e non di semplici concezioni astratte, la questione va considerata in rapporto ad entrambi gli Stati. Lo stesso scopo politico può provocare effetti completamente diversi presso nazioni differenti, od anche nella stessa nazione ad epoche differenti.» Vom Kriege, I, 1, 11 Obiettivo dell'arte militare «obiettivo dell'azione bellica è mettere l'avversario nell'impossibilità di difendersi. Perché l'avversario sia costretto ad accedere alla nostra volontà, dobbiamo costringerlo in una situazione il cui svantaggio sia superiore al sacrificio che da lui esigiamo. (...) La guerra deve dunque mirare sempre a disarmare, o meglio ad abbattere, l'avversario.» Vom Kriege, I, 1, 4. Tattica e strategia «L'arte della guerra (...) si suddivide in tattica e strategia. La prima si occupa della forma del combattimento, l'altra dell'impiego (...) dei singoli combattimenti in funzione dello scopo della campagna e della guerra. (...) la strategia ha tre scopi principali: a) vincere la forza armata nemica: b) impadronirsi delle infrastrutture e delle altre fonti di alimentazione dell'armata nemica: c) conquistare l'opinione pubblica. (...) In fondo la strategia non impiega che un mezzo: la vittoria e cioè il risultato tattico, In ultima analisi, suo scopo è tutto quanto deve condurre direttamente alla pace.» Vom Kriege, II, 1; 2, 34 Polarità «In una battaglia ognuna delle due parti vuol vincere: vi è in questo caso una vera polarità, perché la vittoria dell'uno esclude quella dell'altro. (...) Ma l'attività bellica comprende due forme, l'attacco e la difesa, che sono molto diverse e di forza differente. La polarità sta dunque in ciò cui tendono entrambe, e cioè la decisione; ma non nell'attacco e nella difesa in sé stessi. (...) L'effetto della polarità è spesso distrutto dalla superiorità della difesa relativamente all'attacco, e ciò spiega la sosta nell'azione bellica.» Vom Kriege, I, 1, 15-17 Gioco di carte «l'assoluto, il cosiddetto elemento matematico, non trova alcun saldo punto d'appoggio nei calcoli dell'arte di guerra; fin da principio la guerra si estrinseca in un gioco di possibilità, probabilità, fortuna e sfortuna, il quale (...) fa si che, di tutti i rami dell'attività umana, la guerra sia quello che più rassomiglia a una partita con le carte da gioco. (...) Un gioco che presenta in generale la massima attrattiva per lo spirito umano.» Vom Kriege, I, 1, 21; 22 Incertezza «La guerra è il campo dell'incerto. I tre quarti delle cose sulle quali ci si basa per agire sono immerse nella nebbia, più o meno densa, dell'incertezza. Perciò è necessaria un'intelligenza molto penetrante, per giungere all'intuizione della verità mediante il frutto del proprio raziocinio. (...) Accade, molto spesso, che la rettifica delle nostre previsioni e la conoscenza di avvenimenti intervenuti non basti per distruggere le risoluzioni prese, pur essendo sufficiente a renderci esitanti. La conoscenza dei fatti è aumentata, ma l'incertezza sulla condotta da tenere è cresciuta invece di diminuire.» Vom Kriege, I, 3 Attrito «Tutto è molto semplice, in guerra: ma ciò che è semplicissimo non è facile. Le difficoltà si accumulano e producono, nel loro complesso, un attrito, che non ci si può raffigurare esattamente senza aver veduto la guerra. (...) Occorre una volontà di ferro per vincere questi attriti; volontà che infrange gli ostacoli, ma nel tempo stesso distrugge la macchina.» Vom Kriege, 1, 7 Punto culminante della vittoria «Tutti i piani di campagna debbono naturalmente mirare a questo punto culminante (della vittoria), in cui l'attacco si cambia in difesa. Quando tale limite è oltrepassato, non solo vi è lavoro perduto senza possibilità di ulteriori risultati, ma vi è altresì sforzo nocivo, causa di reazioni.» Vom Kriege, VII, 22 Attacco e difesa «Qual è lo scopo della difensiva? Conservare. Ora, poiché è più facile conservare che guadagnare, ne consegue cha a parità di mezzi la difensiva è più facile dell'attacco. Ma su cosa si basa la maggior facilità della conservazione? Sul fatto che tutto il tempo non utilizzato dall'attaccante va a profitto del difensore: questi raccoglie senza aver seminato. (...) Se è vero che la difensiva è la più forte delle due forme di guerra, ma che il suo scopo è negativo, ne consegue che si deve impiegarla solo fin quando se ne ha bisogno perché si è troppo deboli, e che occorre al contrario abbandonarla appena si divenga cosi forti da potersi proporre lo scopo positivo. (...) Ci si metterebbe in contraddizione con l'idea fondamentale della guerra, sia se si considerasse la difesa come fine a se stessa, sia se ritenessimo che la forma difensiva adottata per l'insieme dovesse estendersi a tutte le singole aliquote.» Vom Kriege, VI, 1. PICCOLA ANTOLOGIA DI GIUDIZI Antoine Henri Jomini «sono incontestabili la grande cultura, e la facile penna, del generale Clausewitz: ma questa penna, talora un po' vagabonda, è soprattutto troppo pretenziosa per una discussione didattica, il cui primo requisito debbono essere semplicità e chiarezza. Inoltre l'autore si mostra troppo scettico in materia di scienza militare: il suo primo libro non è che una declamazione contro qualsiasi teoria di guerra, benché i due successivi, pieni di massime teoriche, provino che l'autore, se non crede alle altrui dottrine, crede all'efficacia delle proprie. Quanto a me, confesso di non aver saputo trovare in questo dotto labirinto che un piccolo numero di idee illuminanti e di soggetti degni di nota.» Précis de l'art de la guerre, 1837 Friedrich Engels «Ho appena letto il Vom Kriege di Clausewitz. Singolare modo di filosofare, però conclusione molto buona. Sulla questione se si debba parlare di arte o di scienza della guerra, la risposta è che il più delle volte la guerra assomiglia al commercio.» A Karl Marx, 1858 Karl Marx «Su Clausewitz io ho rovistato un po' in generale a proposito di Blücher. Il tipo ha alcune ovvietà al limite del comico.» A Friedrich Engels, 1858 Lev Nikolajevic Tolstoj «...si udì non lontano lo scalpitio di tre cavalli. Erano Wolzogen e Clausewitz, seguiti da un cosacco. Passarono discorrendo, e i due amici udirono involontariamente le parole scambiate. ‘La guerra va estesa nello spazio. E' la più preziosa delle massime’, diceva il primo in tedesco. ‘Sì rispondeva l'altro - lo scopo (Zweck) si raggiunge solo indebolendo il nemico, la perdita di vite individuali non conta nulla’. ‘Va estesa nello spazio!’ ripeté indignato il principe Andrea. ‘...questi signori Tedeschi non saranno loro, domani, a vincere la battaglia, ma andranno arzigogolando sul numero dei battaglioni, dei pezzi...perché, vedi, questi cervelli tedeschi si nutrono di soli sillogismi che non valgono un fico, ma il loro cuore non ha nemmeno una scintilla di quel che domani ci occorre!’» Guerra e pace, 1878 Vladimir I. Lenin «Clausewitz...combatte da quasi ottant'anni contro il pregiudizio filisteo e stolto che la guerra possa venir separata dalla politica dei vari governi, delle varie classi». Guerra e rivoluzione, 1917 Antonio Gramsci «Non esiste in Italia una traduzione dell'opera di Clausewitz sulla guerra. Né pare che Clausewitz fosse conosciuto dalla vecchia generazione ... quale potesse essere il livello di cultura degli ufficiali della passata generazione è facile immaginare: un ufficiale che si disinteressa della vita politica del suo paese rassomiglia troppo ad un soldato di ventura di tipo medievale. Pare che il primo libro che riassume il pensiero militare (politico) di Clausewitz sia quello di Emilio Canevari, Clausewitz e la guerra odierna, Roma, 1934.» Quaderni dal carcere, 1934 Benedetto Croce «Il Clausewitz, vissuto nell'età romantica e spirito romantico nel miglior senso della parola, volle, senza dubbio, farla finita in Germania coi vecchi trattati dell'arte della guerra, che erano dettati a un dipresso nello stile in cui quel militare austriaco (Kalkreuth), messo in romanzo dal Tolstoi, aveva steso il programma della battaglia di Austerlitz, tutto energico e sicuro nei suoi marschiren, attackiren e desbordiren, e alla cui lettura l'eroe Kutusov si addormentava, ben certo per suo conto che quella volta la battaglia era perduta.» Azione, successo e giudizio. Note in margine al Vom Kriege, 1934 Sir Basil H. Liddell Hart «I ponderosi tomi di Clausewitz sono così impegnativi da provocare un’indigestione mentale a qualunque studioso che cerchi di assimilarli senza un lungo corso di preparazione. Solo una mente sviluppata da anni di studio e di riflessione è in grado di sciogliere la solida massa in bocconi digeribili.» Foch: The Man of Orléans, 1931 «Clausewitz era il Mahdi del reciproco massacro di massa. Le sue teorie hanno finito per ridurre la sua patria in uno stato di impotenza e povertà peggiore di quand'era sotto il tallone di ferro di Napoleone". "I tedeschi mancarono la vittoria ad Ovest seguendo la regola strategica di Clausewitz di tenere le forze concentrate. Guardando il sistema napoleonico attraverso la lente deformante di Clausewitz, non avevano colto l'obiettivo reale e il valore della formazione napoleonica su una linea largamente estesa, che era di per sé un modo di distrarre il nemico. (...) La Marna fu la tomba delle opportunità tedesche di vincere la guerra. Si potrebbe a buon diritto incidere sulla pietra tombale la legge di Clausewitz.» Paris, 1925. The Ghost of Napoleon, 1934 Erich Ludendorff «L'essenza della politica, della guerra, è talmente mutata, che si deve mutare anche il rapporto tra politica e condotta della guerra. Tutte le teorie di Clausewitz vanno rovesciate. Tanto la guerra che la politica debbono servire a difendere il popolo, ma la prima è la più alta espressione della volontà di esistere della nazione e pertanto la politica va subordinata alla condotta della guerra». Der totale Krieg, 1936 Henry Kissinger «Clausewitz fu il primo teorico militare veramente ‘moderno’...Il nocciolo del suo insegnamento è che i rapporti tra gli Stati si sviluppano in modo dinamico, dove la guerra è solo una forma esteriore, e che gli stessi intervalli di pace possono diventare lo strumento con cui le nazioni cercano di imporsi l'un l'altra il proprio volere.» Armi strategiche e politica estera, 1974 Raymond Aron «Per la maggior parte dei commentatori d'oggi, Clausewitz è soprattutto l'autore del Vom Kriege, lo stratega contemporaneo delle guerre della Rivoluzione e dell'Impero che elaborò, alla luce della sua esperienza, una teoria che, sopravvissuta agli anni, fu letta con la medesima passione da ufficiali di stato maggiore e da Lenin. Oggi io tratterò del patriota prussiano, dell'uomo che fu, soprattutto, un pensatore, che stese piani di guerra, che ispirò l'editto di Königsberg del 1813 sull'esercito territoriale e sulla leva in massa, colui che arricchì il patriottismo dei prussiani, traumatizzati dalla catastrofe, con l'accento più eloquente, romantico e razionale allo stesso tempo.» Clausewitz stratega e patriota, 1980 Michael Howard «Bernard Brodie ha dato il giudizio più acuto sul Vom Kriege: ‘non è semplicemente il più grande, è il solo grande libro sulla guerra’. E' difficile dissentire. (...) Possiamo trovare molti autori i cui scritti spiegano quel che le varie generazioni hanno pensato sulla guerra, ma ce ne sono davvero pochi che possono aiutare noi a pensare la guerra.» Clausewitz, 1983 Colin Powell «La più grande lezione di Clausewitz per la mia professione fu che il soldato, nonostante tutto il suo patriottismo, valore e abilità, è solo un elemento di una triade. Senza il coinvolgimento di tutti e tre gli elementi – l’esercito, il popolo e il governo – l’impresa non può reggere». My American Journey, 1995 AIDE-MEMOIRE SULLA “CLAUSEWITZ RENAISSANCE” Furono la vedova, il fratello e un gruppo di amici e discepoli a curare, a proprie spese, la prima edizione delle opere di Clausewitz (Hinterlassene Werke des Generals Carl von Clausewitz über Krieg und Kriegsführung, pubblicate per i tipi di Ferdinand Dümmler a Berlino nel 1832-34). Si trattava di 10 volumi, i cui primi tre contengono il Vom Kriege, mentre il IV e V sono dedicati allo studio delle campagne del 1796 e 1799 in Italia e Svizzera, il VI-VII alle campagne napoleoniche del 1805-09 e del 1812-14, l’VIII alla campagna di Waterloo e gli ultimi due alle campagne di Gustavo Adolfo, Turenne, Luxemburg, Sobieski, Münich, Federico il Grande e il duca di Brunswick, «con altri materiali storici per la strategia». Questa prima edizione, con una tiratura di 1.500 copie, non era ancora esaurita, quando Dümmler ne pubblicò una seconda con varie modifiche: i primi tre volumi nel 1853-57, il IV e V nel 1858 e i restanti nel 1863-64. Pur meno fedele della prima al testo originale, fu questa l’edizione del Vom Kriege più diffusa, sulla quale vennero fatte quasi tutte le successive riedizioni (altre quattro tedesche sino alla prima guerra mondiale), come pure i compendi e le traduzioni pubblicati all’estero. Bisognò attendere quasi un secolo per una ristampa commentata della prima edizione, curata dallo storico militare Werner Hahlweg (Bonn 1952). La prima edizione può essere scaricata dal sito Gallica (Bibliothèque numérique) della Bibliothèque Nationale de France, mentre i volumi IV-X della seconda sono disponibili in Google libri. Una prima traduzione inglese del saggio sulla campagna di Russia risale al 1843. Le prime traduzioni inglese, francese e russa del Vom Kriege risalgono al 1873, 1887 e 1902, l’ultima inglese al 1976 (Michael Howard e Peter Paret, Princeton U. P.), sul testo curato da Werner Hahlweg. La corrispondenza con la moglie fu pubblicata in Germania nel 1916, con ristampe nel 1917 e nel 1934 (Linnebach, Karl und Marie von Clausewitz. Ein Lebensbild in Briefen und Tagesbuchblättern, Volksverband d. Bücherfreude, Wegweiser Verlag). La Strategia del 1804 fu pubblicata nel 1937 a cura di Erhard Kessel (Strategie aus dem Jahre 1804 und Zusätzen von 1808 und 1809, Hamburg, Hanseatische Verlagsanstalt). Altre raccolte di lettere e scritti inediti sono state pubblicate nel 1976 (M.-L. Steinhauser, Gallimard), 1979 (Hahlweg, Osnabrück), 1981 (Ausgewählte militärische Schrifte, a cura di Gerhard Förster e Dorothea Schmidt, Berlin, Militärverlag der Deutschen Demokratischen Republik) e 1992 (Peter Paret e Daniel Moran, Historical and Political Writings, Princeton U. P.). La traduzione inglese della campagna di Russia fu ripubblicata nel 1995 (The Campaign of 1812 in Russia, Da Capo Press) e 2006 (The Russian Campaign of 1812, Transactions Publishers). L'unica traduzione italiana integrale del Vom Kriege é quella pubblicata nel 1942 dall’Ufficio Storico del corpo di stato maggiore del Regio Esercito, con la firma del generale e senatore Ambrogio Bollati, traduttore di Hindenburg, von Bernardi e Falkenhayn, come pure di vari documenti dell’Archivio di stato germanico e dell’Archivio di guerra di Vienna. Sembra però che la traduzione di Clausewitz sia stata affidata ad un professore universitario, e rivista per la correttezza della terminologia militare non solo da Bollati ma forse anche dal colonnello viterbese Emilio Canevari (1892-1966), primo esegeta italiano di Clausewitz e ammiratore del modello militare tedesco. Quale sia stata la sua possibile collaborazione, il suo nome era però imbarazzante, non tanto per una vecchia inchiesta amministrativa che gli aveva stroncato una brillante carriera, ma per gli articoli critici che pubblicava (con lo pseudonimo di “Maurizio Claremoris”) sul Regime Fascista, il giornale di Farinacci, e come supposto suggeritore della clamorosa requisitoria pronunciata dal gerarca cremonese contro il maresciallo Badoglio nel dicembre 1940. Non ho potuto verificare la voce (de relato, benché autorevole) che alla traduzione abbia collaborato anche l’ingegnere napoletano Luigi Cosenza (1905-1984), allora ufficiale di complemento e già abbastanza affermato come architetto, futuro esponente di spicco del Partito Comunista. In ogni modo questa traduzione ebbe una scarsissima circolazione fino al 1970, quando fu ripubblicata da Mondadori (con ristampe 1990-97). Nel 1989 fu pubblicata anche dalla Rivista Militare con prefazione del generale Carlo Jean, ed è questo il testo in seguito pubblicato da Laterza. La lettera del 1809 su Machiavelli compare in appendice alla traduzione dello scritto di Fichte curata da Gian Franco Frigo (Gallo, Ferrara 1990: 121-8). Nonostante la nutrita bibliografia (v. Katalog der Deutschen Nationalbibliothek), resta forse ancor oggi attuale l’annotazione fatta già nel 1857 dal suo estimatore Wilhelm Rüstow, che Clausewitz, nonostante la sua fama, non era letto. Hitler valorizzò soltanto la sua figura storica di soldato ribelle per il bene supremo della patria: citò il manifesto politico del 1812 nel Mein Kampf, fece fare un film sul generale York e gli intitolò uno degli incrociatori della nuova Kriegsmarine, e, sotto l’offensiva finale degli Alleati, fece fare un film a colori sulla resistenza di Kolberg; infine battezzò “piano Clausewitz” l’estremo tentativo di difendere Berlino. In compenso nell’ultimo trentennio ha cominciato se non altro ad essere studiato con criteri storici e filologici rigorosi. Anche se il pioniere di questa svolta è senz’altro Hahlweg, con la sua edizione critica del 1952 e con la sua biografia del 1969 (Clausewitz, Soldat – Politiker – Denker, Göttingen, Münsterschmidt Verlag), fuori dalla Germania la ripresa di interesse per Clausewitz fu determinata dalla sconfitta americana in Vietnam, come dimostra il fatto che proprio nel 1976 comparvero, insieme alla citata edizione inglese di Paret e Howard, anche tre studi fondamentali, dello stesso Paret (Clausewitz and the State, Princeton U. P.), di Raymond Aron (Penser la guerre. Clausewitz, 2 voll., Gallimard) e di Wilhelm von Schramm (Clausewitz. Leben und Werk, Esslingen, Bechtle). Seguirono nel 1981 una traduzione tedesca di Aron (Propyläen, Frankfurt a. M.), nel 1982 un nuovo saggio di Schramm (Clausewitz. General und Philosoph, Heyne, Monaco), nel 1983 uno di Howard (Clausewitz, Oxford U. P.), nel 1986 uno di Paret (nella riedizione, da lui curata, di Makers of Modern Strategy, Princeton U. P., pp. 186-213) e un lavoro collettivo curato da Michael I. Handel (Clausewitz and Modern Strategy, Frank Cass, London) e nel 1987 una raccolta di scritti di Aron (Sur Clausewitz, Ed. Complexe, Bruxelles: ed. it. a cura del compianto amico Carlo Maria Santoro, Il Mulino, Bologna 1991). E poi altri ancora di Kurt Guss (Krieg als Gestalt. Psychologie und Pädagogik bei Carl von Clausewitz, 1990), Dietmar Schössler (Carl von Clausewitz, Rowohlt, Reinbeck bei Homburg, 1991), Handel (Sun Tzu and Clausewitz: The Art of War and On War Compared, Strategic Studies Institute, U. S. Army War College, 1991). Nell’ultima stagione della Prima Repubblica furono possibili perfino tre buoni contributi italiani, di Pier Franco Taboni (Clausewitz. La filosofia tra guerra e rivoluzione. Quattroventi, Urbino, 1990), Loris Rizzi (Clausewitz. L'arte militare, l'età nucleare, Rizzoli, Milano 1987) e Gian Enrico Rusconi (Rischio 1914, Il Mulino, Bologna 1987, pp. 147-164 «Clausewitz è caduto sulla Marna?»). Al decennio Novanta risalgono anche due importantissimi studi sulla recezione di Clausewitz in Inghilterra e negli Stati Uniti (Christopher Bassford, Clausewitz in English. The Reception of Clausewitz in Britain and America 1815-1945, Oxford U. P. 1994) e in Russia e Unione Sovietica (Olaf Rose, Carl von Clausewitz. Zur Wirkungsgeschichte seines Werkes in Russland und den Sowjetunion 1836 bis 1994, Monaco, Oldenbourg Verlag, 1995). Un progetto di ricerca sulla recezione di Clausewitz in Italia, presentato nel 1997 da Andrea Molinari, fu bocciato dal consiglio di dottorato in storia militare delle università di Torino e Padova come non attinente alla materia. Nel 1991 lo storico militare israeliano Martin van Creveld mise in luce il limite storico della concezione clausewitziana della guerra, espressione di un’epoca incentrata sulla sovranità dei “Regni Combattenti” e non più in grado di spiegare la nuova era della “Pace Celeste” inaugurata dalla fine dell’ultimo antagonista globale dell’Occidente. K. M. French, un maggiore dei marines che aveva ascoltato le lezioni di van Creveld a Quantico e studiato il suo volume The Transformation of War (New York, Free Press, 1991) ne fece oggetto di una interessante tesi di dottorato (Clausewitz vs the Scholar: Martin van Creveld’s Expanded Theory of War). Nondimeno nell’ottobre 1996 l’autorevole Institute for National Strategic Studies americano pubblicò uno studio fondamentale di Barry D. Watts sul concetto clausewiziano di “frizione in guerra” (Clausewitzian Friction and Future War, McNair Paper No. 52) e nel 1998 lo storico militare israeliano Martin van Creveld a. Ma all’inizio del XXI secolo lo storico militare più in voga al Pentagono era fortunatamente il californiano Victor Davis Hanson, che, illuminato dalla sua personale esperienza di oplita ateniese, sgonfiò la mongolfiera da cui l’azzimato odioso crucco aveva creduto di spiegarci la guerra. Anche il suo insigne maestro, sir John Keegan, impartì una spazientita lezione, spiegando ai più ottusi che il Blitzkrieg americano in Iraq aveva definitivamente sotterrato le confuse sciocchezze di Clausewitz (The Iraq War, 2004). Nel 2004 la Società Italiana di Storia Militare propose al Centro Alti Studi Difesa di Roma una giornata di studio sul rapporto tra storia militare e strategia, invitando van Creveld e Keegan: la proposta, in un primo momento accettata, fu in seguito annullata per la scarsa notorietà dei due conferenzieri e perché sostituita da una prioritaria commemorazione della fine della seconda guerra mondiale presieduta dal Capo dello Stato. Purtroppo gli smaglianti successi della Rivoluzione negli Affari Militari e della jihad democratica contro l’islamofascismo non sono stati sufficienti a scongiurare un impressionante rigurgito di studi sul Vom Kriege. Citiamo tra gli altri quelli di Andreas Herberg-Rothe (Das Rätsel Clausewitz. Politiche Theorie des Krieges im Widerstreit, Fink Verlag, 2001), dell’Istituto di strategia del Boston Consulting Group (Clausewitz – Strategie denken, Monaco, 2003), di Herfried Münkler, teorizzatore del sistema imperiale e membro dell’Accademia federale tedesca per la politica di sicurezza (Clausewitz’ Theorie des Krieges, Nomos Verlagsges. 2003), di Ralf Kulla (Politische Macht und politische Gewalt. Krieg, Gewaltfreiheit und Demokratie in Anschluss an Hannah Arendt und Carl von Clausewitz, Homburg, Verlag Dr. Kovač 2005), di Beatrice Heuser (Clausewitz lesen! Eine Einführung, Oldembourg Verlag 2005) e di Hew Strachan, curatore assieme ad Andreas Herberg-Rothe di Clausewitz in the Twenty-First Century (Oxford U. P. 2007) e autore di Carl von Clausewitz’s On War. A Biography (Atlantic Books 2007, trad. it. Newton Compton, Roma, 2007). Molto attiva è l’“Associazione Clausewitz” (www.clausewitzgesellschaft.de), fondata nel 1961 dal generale Ulrich de Maizière, ispettore generale della Bundeswehr, e oggi presieduta dal tenente generale Klaus Olshausen, che annovera mille soci di alta qualificazione professionale e scientifica. Tra lavori più interessanti, segnalo quello di Ulrike Kleemeier (Clausewitz: Soldat und Denken. Überlegungen zur Aktualität des Clausewitschen Werkes).