Wolfgang Reinhard, Storia del potere politico in Europa

Capitolo undicesimo
Wolfgang Reinhard,
Storia del potere politico in Europa,
Bologna, Il Mulino, 2001,
pp. 309 - 334
Chiesa e chiese
1. Non-identità cristiana e fondamenti di chiese e stati
Conflitto o alleanza di chiesa e stato: questa è già una prospettiva anacronistica, in primo luogo perché per lungo tempo queste grandi organizzazioni non sono esistite e al loro posto
vi era solo il dominio spirituale e temporale di corrispondenti
istituzioni poco sviluppate che veniva esercitato sulle persone,
spesso persino sulle medesime persone. In secondo luogo la
cultura politica europea nel bene e nel male sul lungo periodo
è stata sempre influenzata dal cristianesimo e dalla chiesa anche là dove non lo vuole ammettere (Benedetto Croce), con la
conseguenza che lo stato europeo, a differenza di altre forme
di comunità, anche nelle sue varianti secolari ha un carattere
religioso. E infatti non pretende spesso dai suoi servitori oltre
a un comportamento fedele anche giusti principi? Lo stato
vuole e deve essere creduto, cosicché le sue crisi momentanee
possono essere viste come crisi politiche di fede. Se la chiesa
latina è stata il primo stato, allora forse lo stato europeo è (stato)
l'ultima chiesa. Finché il cristianesimo ebbe un significato
politico, offrì anche delle alternative allo stato, e comunque
nella sua variante latina dalle origini in poi, nonostante le alleanze, non si identificò mai totalmente con la collettività
politica - neppure nello stato pontificio della chiesa, che conobbe anche i suoi conflitti tra «chiesa» e «stato»'.
Fondamento di questa non-identità era paradossalmente
la desacralizzazione ebraico-cristiana del mondo, che non era
più abitato dagli dei né, tanto meno, era esso stesso un Dio,
ma dal nulla era stato creato da un Dio trascendente. Questa
radicale trascendenza permise la radicale secolarizzazione di
Cfr. Prodi. Soufùiìo pontefice, pp. 249-293.
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una libera struttura politica del mondo. Anche il desiderio di
cristianizzazione del mondo non era più un'ovvietà. Inoltre
con l'ebreo Gesù entrò nel mondo la soggettività (Friedrich
Hegel): dalla dottrina dell'immagine divina di ogni uomo
dotato di un'anima immortale individuale deriva infatti
l'indisponibilità della persona umana, in una forma sconosciuta a ogni altra cultura, benché la dignità umana e l'autodeterminazione dell'individuo anche in Europa spesso dovettero essere imposte in un primo tempo proprio contro la chiesa
e lo stato. Inoltre la concezione ebraico-cristiana di una storia
di salvezza con un inizio e una fine, che si differenzia fondamentalmente dall'immagine ciclica della storia di tutte le altre
culture a eccezione della Cina, rese possibile per la prima
volta la fede nel progresso, l'ottimismo politico e l'utopia. II
Dio cristiano non era più il Dio di una stirpe come il Dio di
Israele, ma collegava la sua gelosia monoteistica a una pretesa
di riconoscimento universale, con l'ordine di battezzare tutti
i popoli. Pertanto i missionari divennero fondatori dell'Europa e pionieri dell'espansione europea.
Simile successo ebbe il legame con l'impero romano, nonostante o forse proprio per la sua contraddittorietà. L'originaria negazione dello stato nelle persecuzioni cristiane pose le
basi per una resistenza passiva contro il potere statale dovuta
a motivi di coscienza, una possibilità latente anche in seguito,
quando con Costantino il dovere di ubbidienza nella sfera
mondana venne trasformato in un patto con l'impero. Fin
nell'età moderna l'impero «battezzato» fece dell'impero universale cristiano con il suo centro a Roma l'idea politica dominante con cui anche re indipendenti dovevano fare i conti. La
chiesa stessa divenne «romana» e in questo modo, grazie all'uso della lingua latina, divenne per l'Europa la mediatrice
della cultura latina, che nell'età moderna dovette emanciparsi
dalla chiesa, ma che fino al XVIII secolo mantenne una validità autorevole. Per la chiesa e la politica fu centrale l'assunzione e la trasmissione del diritto romano. Poiché la chiesa
latina in primo luogo divenne chiesa di diritto e non chiesa
dello spirito e del corpo, e poiché essa si sviluppò concretamente anzitutto come formazione di dominio organizzata gerarchicamente, si differenziò da tutte le altre religioni, compreso il cristianesimo greco-ortodosso. Il suo diritto si fondò
su base romana, si sviluppò contemporaneamente alla rivita-
lizzazione del diritto romano e contribuì in modo decisivo
alla trasformazione del diritto in scienza del diritto. Poiché il
diritto canonico valeva dappertutto in Europa, mentre quello
romano solo in modo sussidiario, il processo canonico divenne il modello del processo civile del diritto comune. I giuristi
europei sono passati per la scuola della chiesa che, a causa del
suo monopolio della formazione fino al Medioevo inoltrato,
restò anche regina del discorso politico.
La chiesa di diritto romana però non solo nella teoria, ma
anche nella prassi istituzionale si formò prima che lo stato si
formasse. L'aspirazione papale al dominio autocratico (plenitudo potestatis), il centralismo, l'apparato amministrativo e l'apparato finanziario divennero nel Medioevo il modello dello
stato moderno. Anche le potenze terrene dovettero reclutare
il loro personale dirigente in un primo momento tra i membri
della chiesa. Ricco di conseguenze fu soprattutto il fatto che
il concetto ecclesiastico di ufficio, che fece dei preti i primi
funzionari, fu recepito in tutt'Europa. Quando, a eccezione
dell'Inghilterra, la maggior parte delle monarchie era ancora
uno «stato per associazioni personali», la chiesa, con le sue
province ecclesiastiche, le diocesi, le arcidiocesi e le parrocchie, era già avviata a diventare stato territoriale, anche se
l'apparato premoderno di privilegi indeboliva il principio territoriale in favore dei ceti, finché il Concilio di Trento non
corresse questa tendenza. Inoltre non bisogna sopravvalutare
il modello ecclesiastico per i corpi di rappresentanza dei ceti
e per il loro modo di procedere. Infine, è da ricordare l'influenza dei monasteri sulla cultura politica. Il disciplinamento
sociale della prima età moderna non risaliva esclusivamente al
neostoicismo: anche la disciplina monastica poteva servire come
modello per comunità ben ordinate e fu trasmessa dai chiostri
quali prime scuole d'Europa2.
Contro il dominio di fatto sulla chiesa esercitato dall'imperatore d'Oriente, la cui teologia politica unitaria corrispondeva al monofisismo della chiesa d'Oriente, Roma, con la sua
dottrina dei due poteri, impose un modello che corrispondeva
alla sua teologia delle due nature di Cristo: «La santa autorità
dei vescovi e il potere imperiale», che Cristo ha previdentemente separato, devono regnare sul mondo (papa Gelasio, 494).
2
Knox in Prodi, Disciplina, pp. 63-99
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Merovingi, carolingi, sassoni e sali esercitarono certamente un dominio sulla chiesa non meno unitario, che non fu messo
in discussione neppure dall'incoronazione dell'imperatore da
parte del papa. Ma con il tempo questo regime non riuscì a
crescere insieme alle crescenti pretese spirituali. La riforma
ecclesiastica dell'XI secolo aspirò alla libertà della chiesa dal
potere laico. Vietando l'occupazione delle cariche spirituali,
prime fra tutte le diocesi, da parte di laici come imperatori o
re, papa Gregorio VII diede origine alla violenta lotta per le
investiture che tra il 1097 e il 1122 fu risolta con compromessi. In seguito il vescovo dovette essere eletto dal capitolo, investito dai metropoliti delle sue facoltà spirituali, dal re di
quelle mondane, in particolare del dominio principesco nell'ambito della chiesa imperiale tedesca. Ma in fasi successive
si aggiunsero la disputa sulle immunità, la giurisdizione dei
tribunali secolari nelle questioni ecclesiastiche e sul personale
ecclesiastico oltre alla tassazione statale del clero: queste due
ultime disposizioni furono criticate dalla chiesa. Essa non ha
mai abbandonato queste pretese, anche se fino alla fine dell'Antico Regime poté realizzarle sempre meno, e men che meno
al livello delle parrocchie, dove i poteri locali nelle questioni
ecclesiastiche non erano meno potenti che in quelle mondane.
In teoria le due nature di Cristo, quella umana e quella
divina, corrispondevano ai due lati dell'uomo, quello spirimale e quello mondano, dove tuttavia il mondo era sospettato
di venir governato dal male e per questo necessitava dell'aiuto del domino della chiesa.
Seguendo un tipico procedimento del diritto romano fu
introdotta nella prassi una doppia distinzione giuridica: tra
spiritualia e temporalia nel diritto sulle cose, e tra clero e laici
nel diritto sulle persone, con la struttura dualistica della cristianità come conseguenza unica nella storia mondiale. Entrambi i campi appartenevano a un'unica giurisdizione, allo
stesso tempo ecclesiastica e mondana, dove però non si potevano evitare intersezioni conflittuali. Il matrimonio era un
sacramento della chiesa, come la proprietà della chiesa e il
clero, che per questo era esente da tasse, mentre la proprietà
laica era sottoposta alla tassazione ecclesiastica tramite le
decime. Il clero in generale pretendeva come privilegio di
cero, accanto all'esenzione dalle tasse (privilegium immunitatis),
soprattutto il diritto di essere portato davanti ai tribunali ec-
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clesiastici (privilegium fori). Poiché molte persone entravano
a far parte del clero solo per poter godere di questi privilegi,
aumentarono i conflitti con il nascente potere statale che, in
vista del suo allargamento, dovette mirare al controllo sul
diritto matrimoniale e di famiglia.
Ma questo dualismo di dominio spirituale e temporale,
fondamentale per l'Europa, non consisteva in una netta opposizione ma in un rafforzamento dialettico che arrivò fino al
paradosso. Da un lato la chiesa con il regno di Cristo cercò di
trascendere il mondo ma a questo scopo volle il dominio sul
mondo. Dall'altro i sovrani mondani tendevano all'indipendenza dalla tutela ecclesiastica, ma per raggiungere questo
fine dovevano dare un carattere sacrale alla loro posizione e
assicurarsi il controllo sulla chiesa del loro territorio.
Da Gregorio VII (1073-85) passando per Innocenzo III
(1198-1216) e Innocenzo IV (1243-54) fino a Bonifacio VIII
(1294-1303) i papi costruirono una pretesa di dominio mondano teologicamente fondata. Al dominio illimitato sulla chiesa
(plenitudo potestatis) si aggiunse il diritto di intromissione nel
dominio terreno legittimato dalla tendenza umana al peccato,
per la quale la chiesa si sapeva competente, per esempio anche
nel caso in cui un sovrano peccasse prelevando arbitrariamente nuove tasse. La fondazione allegorica delle due potenze con
la teoria delle due spade, presente in Luca (22, 35-38), venne
interpretata nel senso che il papa ricevesse entrambe le spade,
quella spirituale e quella temporale, e semplicemente trasmettesse la seconda all'imperatore. L'impero era ora considerato
grazia papale, di modo che il papa era legittimato al controllo
dello scrutinio e alla conferma. In quanto vicario di Cristo e non
di Pietro, il papa pretese infine il potere su tutto l'universo,
compresi i pagani, dando così avvio alla strumentale legittimazione dell'espansione coloniale europea. «Tutti i poteri derivano dal papa», si poteva sentir dire nel XIV secolo3.
2. Dominio dei principi sulla chiesa
Le pretese di supremazia del papa ebbero talvolta successo solo tra l'XI e il XIII secolo, benché siano state mantenute
3
Citato da Vauchez, in Gescbicbte des Cbrìstenturns, vol. VI. p. 273.
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ancora nell'età moderna, come dimostra nel 1570 il tentativo
di Pio V di spodestare Elisabetta di Inghilterra. L'illimitata
sovranità ecclesiastica del papa invece raggiunse il suo culmine più spettacolare sotto i pontificati di Avignone del XIV
secolo, soprattutto nel sistema beneficiario e nell'apparato
finanziario. La svolta definitiva a favore del potere statale
ebbe inizio con il Grande Scisma tra il 1378 e il 1417, quando
per un periodo si contrapposero contemporaneamente tre papi,
e con il crescere dei concili di riforma (Costanza 1414-18;
Basilea 1431-37/49), che con la sovranità del concilio opposero un'alternativa «corporativa» alla dominante ecclesiologia
monocratica. Particolarmente significativo è il fatto che i concili si dividessero già per nazioni e che essi o i papi stringessero adesso patti (i concordati) con i regnanti di queste nazioni e con altri principi. Così questi ultimi potevano assicurarsi
considerevoli diritti sulle chiese dei loro territori, che tuttavia
spesso non erano che una tardiva legittimazione di interventi
già precedentemente giustificati con varie forme di patronato
ecclesiastico e di sovranità feudale, o semplicemente con il
diritto di necessità a servizio del bene comune. Il processo
policentrico di formazione dello stato europeo aveva raggiunto la chiesa universale. Da socio in posizione dominante tra il
XIV e il XVI secolo essa divenne un sostegno secondario del
potere statale. Da modello per la formazione dello stato, sovrana del discorso politico e avversaria importante, essa divenne un'istituzione, che agiva ancora in modo autonomo ma
sempre di più nel contesto del nascente potere statale, non
senza che lo stato talvolta la piegasse ai propri interessi. Questo sviluppo dovette trovare la sua conclusione nella Riforma,
determinando i rapporti tra chiesa e stato nell'epoca delle
guerre religiose.
Molti elementi di questo governo dei principi sulla chiesa
dovettero ancora contrassegnare il completo sviluppo del dominio dello stato sulla chiesa del XVIII-XIX secolo. Tra il XIV
e il XVI secolo in molti luoghi fu introdotto il placet
principesco, il dovere di autorizzazione per gli atti ecclesiastici provenienti dall'estero, particolarmente di origine papale,
grazie al quale si potevano respingere l'occupazione delle cariche, le richieste di denaro e gli interventi nella giustizia che
non erano graditi. Il recursus ab abusu era la richiesta di un
supremo tribunale mondano contro veri o presunti abusi dei
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tribunali ecclesiastici senza rispetto per le istanze interne alla
chiesa. Di importanza fondamentale per la disponibilità delle
risorse del territorio e per la politica personale del principe
era il diritto al possesso delle prebende ecclesiastiche, nella
maggior parte dei casi sotto forma di «nomina», un vincolante diritto di proposta che faceva parte del patronato sulla chiesa,
che continuava il precedente diritto relativo alle chiese possedute dai signori. L'arbitraria tassazione del clero e dei benefici divenne usuale, ma spesso si accoglieva volentieri al loro
posto il conferimento di privilegi. D'altro canto si doveva
impedire il deflusso di denaro dal territorio, soprattutto verso
Roma, e prevenire, tramite leggi di ammortizzazione, l'ulteriore
espansione del possesso terriero ecclesiastico, la cosiddetta
«mano morta». Infine le autorità mondane si arrogarono o si
fecero dare diritti di visita delle chiese e di riforma dei monasteri, che poi vennero esercitati tramite commissioni miste di
funzionari ecclesiastici e civili. Una riforma da parte di un principe poteva anche condurre all'abolizione dei monasteri.
L'accumulo di tali competenze sfociava spesso in tentativi di adeguare l'organizzazione ecclesiastica ai bisogni del
controllo statale, anzitutto dell'antica geografia ecclesiastica a
quella del giovane stato, poiché spesso i confini delle province ecclesiastiche e delle diocesi non corrispondevano ai confini politici. Che un principe (ecclesiastico) «straniero» avesse
qualcosa da dire nel suo territorio era considerato intollerabile perché contraddiceva il principio dell'unità monarchica del
potere statale. La fondazione di diocesi territoriali o perlomeno
l'adeguamento dei confini ecclesiastici da allora fino a oggi
restò un punto fermo del programma politico degli stati. Nel
Medioevo legati permanenti potevano ricevere i diritti papali
su un territorio. In Sicilia il sovrano era anche legatus natus
del papa, in Ungheria il sovrano avanzò una richiesta analoga.
In Inghilterra nel 1523 il cardinale Wolsey, come uomo di
fiducia del re e capo della politica, ottenne a vita la dignità di
legatus a latere. A ciò però non si sentirono più disposti i papi
della età moderna.
In Italia principi e repubbliche cittadine, in base al diritto
consuetudinario o in forza di privilegi papali, controllavano le
loro chiese e disponevano delle loro importanti prebende. Accanto allo Stato della chiesa, soltanto il Regno di Napoli era
ancora fino a un certo grado a disposizione del papa. In Spa-
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gna la Reconquisto e la Conquista in America favorirono il dominio del re sulla chiesa. Placet e recursus ab abusu erano consueti già nel Medioevo, i papi autorizzarono più volte diverse
forme di tassazione statale della chiesa, permisero l'appropriazione dei ricchi ordini cavallereschi da parte della corona e l'edificazione di un'inquisizione «della chiesa di stato». I re ottennero il patronato universale per il nuovo regno di Granada
e per le loro colonie americane, dove l'autorità papale difficilmente avrebbe potuto farsi valere contro il dominio regio sulla
chiesa. Anche la corona portoghese possedeva nel suo ambito
di influenza pieni poteri. Ovviamente la missione oltremare fu
condotta dagli ordini ecclesiastici, dipendenti però dalla corona di Castiglia e del Portogallo che li finanziarono e li controllarono. Un ufficio romano centrale delle missioni (Congregatio
de propaganda fide), creato nel 1622, doveva servirsi di missionari protetti dalla corona francese contro quelli portoghesi. Per
questo l'inquisizione portoghese perseguì questi missionari
talvolta come eretici, perché i diritti della corona sulla chiesa
valevano come articoli di fede.
I re francesi usarono lo scisma e il periodo dei concili per
sottoporre la chiesa al loro controllo e si impegnarono contro
le pretese papali sulle libertà della chiesa gallicana, che mirava a una quasi totale indipendenza dei vescovi e del re. Nel
1448 venne introdotto l’appel comme d'abus, nel 1475 il placet.
Nel 1514 il concordato di Bologna concesse al re la nomina
alle 93 diocesi francesi e ai 527 monasteri assegnati in
concistoro. In questo modo il dominio del re sulla chiesa era
assicurato, anche se il papa manteneva una parte dei suoi
tributi. In Inghilterra i primi conflitti per i privilegi ecclesiastici terminarono con la vittoria della chiesa (assassinio di
Thomas Becket nel 1170); ma nel quadro della guerra dei
cent'anni con l'aiuto del parlamento la corona si emancipò
energicamente dal papato di Avignone (nel 1351 e nel 1391
Statutes of Provisors contro la nomina ai benefici da parte del
papa, nel 1353 e nel 1393 Statutes of Praemunire contro la
giustizia ecclesiastica). II clero venne tassato, ma poté in questo modo fare dei suoi «parlamenti ecclesiastici» (Convocations) istituzioni stabili. Per influenza della corona, i vescovi,
che godevano della sua fiducia politica, divennero funzionari,
membri della Camera alta e finanziatori.
I prelati tedeschi erano principi della chiesa imperiale, che
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però proprio per questo e per la corrispondente debolezza
del potere imperiale non divenne una chiesa territoriale chiusa. Dall'altro lato molti principi erano ancora troppo deboli
per realizzare completamente, in conflitto con Roma e con i
vescovi della chiesa imperiale, il programma esemplare: «il
duca (di Cleve) è papa nei suoi territori»4. Nei concordati
conclusi tra il 1446 e il 1448, gli Asburgo e altri principi
poterono assicurarsi la «nomina» per alcuni benefici, ma i
diritti papali continuarono ad essere validi, cosicché le Gravamina Nationis Germanicae poterono alimentare ulteriore risentimento contro Roma. In Ungheria dalla pretesa della corona derivò un diritto di occupazione esercitato con energia
sulle diocesi, mentre nel resto dell'Europa settentrionale e orientale la chiesa era diventata una ricca e potente alleata della
corona, ma solo perché i consueti conflitti non avevano ancora raggiunto la stessa intensità dell'Europa occidentale. Qui
le condizoni furono poste solo con la Riforma, che altrove
completò solo ciò che da tempo era già presente.
Infatti Martin Lutero legittimò la preannunciata sottomissione della chiesa al nascente potere statale con maggiore
successo e in modo più definitivo di quanto non avessero
fatto Marsilio, Occam o Wycliff nel XIV secolo, nonostante
questa non fosse stata sua intenzione. Ma la giustificazione
per sola fede, che ciascuno poteva comprovare tramite il testo
sacro a disposizione di tutti, anziché con sacramenti e opere
buone, rese di colpo superfluo l'intero apparato ecclesiastico
di mediazione professionale della salvezza. Clero e beni della
chiesa persero la legittimazione della loro esistenza. Tutto
sembrava condurre alla radicale divisione dei «due regni»,
chiesa e mondo, perché la chiesa doveva agire ora soltanto
tramite la parola di Dio, mentre rutto il resto cadeva nelle
mani del potere terreno.
Poiché in Germania l'estesa riduzione della chiesa a comunità guidate dalla Bibbia o dallo spirito aveva condotto alla
guerra dei contadini, a partire all'incirca dal 1525, con l'approvazione dei riformatori privi di mezzi politici, il potere
statale territoriale in formazione prese la situazione nelle sue
mani creando le sue chiese evangeliche, appropriandosi dei
4
«Dux Cliviae est papa in territoriis suis», citato da Feine. Kircbliche
Rechtsgescbicbt,. p. 499.
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beni ecclesiastici e dei compiti ecclesiastici anche nell'ambito
dell'istruzione e dell'assistenza. Danimarca, Inghilterra e Svezia seguirono l'esempio per altri motivi, non ultimi quelli politici e finanziari. La chiesa come istituzione indipendente cessò
così di esistere. Vescovi evangelici non vennero più tollerati
dai principi tedeschi, mentre in Inghilterra e in Svezia persero
ciò che rimaneva della loro indipendenza. Spesso la chiesa agì
come ramo supplementare dell'apparato di dominio principesco, e il suo personale sempre più professionalizzato nell'università era spesso strettamente collegato ai giuristi della nascente burocrazia statale. Certamente vi erano varianti del protestantesimo indipendenti o addirittura nemiche dello stato. Ma
esse o vennero represse, come gli anabattisti, o rimasero minoranze politiche, come gli ugonotti. La teologia di Lutero
portò al culmine il dualismo tra potere spirituale e terreno,
che può essere considerato il fondamento della libertà moderna. D'altro canto però con il depotenziamento reale del potere spirituale condusse questo dualismo ad absurdum. Nella
prassi esso fu sospeso a favore di una monarchia unitaria più
perfetta, da un punto di vista burocratico, di tutti i sogni medievali di ierocrazia, ma che si trovava ora nelle mani del potere terreno. In Germania si giunse addirittura a una nuova
sacralizzazione del principato protestante, alla trasformazione
del signore territoriale in un signore al servizio del padre divino e i nf i n e nel «padre territoriale» (Landesvater), che da allora
si è tramutato in un discutibile «stato padre» (Valer Staat).
La posizione della chiesa era a tal punto indebolita, che
successivamente vi furono numerose chiese in conflitto tra
loro, le quali già solo per questo dipendevano dalla protezione mondana. Anche l'antica chiesa divenne in seguito solo
una chiesa tra le tante e si sfaldò, a causa della sua dipendenza dalle potenze statali rafforzatesi, in sempre più numerose
chiese statali e territoriali autonome. L'illimitato potere ecclesiastico del papa veniva esercitato soltanto nello Stato della
chiesa, altrove invece il papa poté salvare le apparenze quasi
solo tramite compromessi. Con l'aiuto di chiese territoriali gli
stati nascenti integrarono religione e politica in un modo non
meno totale della cristianità medievale. Rispetto a quella essi
pretesero perfino una maggiore sottomissione dai loro sudditi. La religione divenne quindi non solo la meta, ma anche lo
strumento del disciplinamento sociale.
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Benché la spinta a questo sviluppo provenisse dal movimento evangelico, presto si mostrò un parallelismo tra l'ambito evangelico e cattolico che la storiografia più antica non
seppe spiegare con il suo schema dialettico: Riforma innovativa
- Controriforma reazionaria e gravida di conflitti - pacificazione per mezzo dello stato assolutistico.
La monarchia assoluta era infatti tutt'altro che neutrale
dal punto di vista confessionale, anzi era dichiaratamente intollerante, poiché questa intolleranza, fondata di volta in volta su una determinata chiesa di stato, rappresentava una fonte
del suo potere. Un fondamentale consenso religioso serviva
alla formazione della sua identità politica. Il cattolicesimo costituì l'identità nazionale del Portogallo, della Spagna, più
tardi della Francia e della Polonia, come il protestantesimo
quella dell'Inghilterra o della Svezia, dove la minaccia di nemici stranieri di altra fede rafforzò enormemente questo effetto. Per i territori tedeschi questa identità confessionale era
addirittura ancora più importante, perché qui l'identità non
poteva essere fondata su nessun'altra alternativa se non quella
dinastica o confessionale. Così la Bavaria sancta di Massimiliano I poté ancora improntare la Baviera del XX secolo. Perciò
un sovrano cattolico non aveva bisogno di promuovere una
politica favorevole di Roma. Filippo II di Spagna e Massimiliano I di Baviera praticarono una politica fortemente cattolica,
ma seppero meglio del papa che cosa era bene per la chiesa,
che corrispondeva a ciò che serviva l'interesse della Spagna e
della Baviera.
Ma le chiese persero in gran parte non solo la loro indipendenza, ma anche i loro beni a vantaggio del loro antico
alleato politico. Riforma significò appropriazione dei beni
ecclesiastici da parte del nascente potere statale, anche se il
concetto di «secolarizzazione» potrebbe sembrare contestabile,
poiché a volte una parte di questi beni fu utilizzata per scopi
ecclesiastici o sociali. Questa però non era per nulla una peculiarità del protestantesimo: anche la corona francese ha finanziato le guerre di religione del XVI secolo, tra l'altro con
la vendita del patrimonio ecclesiastico. Inoltre, nonostante la
sua teorica esenzione fiscale, il clero cattolico fu duramente
tassato in Baviera e nello Stato della chiesa non meno di quanto
lo fosse in Francia o in Spagna, anche se si cercò di avere
l'autorizzazione del papa e si adottò la finzione che si trattas-
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se di contributi volontari (don gratuit in Francia), che non
erano proibiti al clero. Tuttavia il clero poté perlomeno mantenere il suo carattere corporativo in modo da presentarsi
come allento del potere statale. Ne sono un esempio le convocations in Inghilterra, la congregación del clero de Castilla y
León in Spagna e l’assemblée du clergé in Francia. Il clero
francese però si creò un apparato corporativo non solo per la
raccolta del denaro, ma anche per rappresentare gli interessi.
Infine la sottomissione della chiesa al dominio del principe portò il suo contributo a plasmare i sudditi. La repressione
dei privilegi del clero era un passo verso il superamento della
società di ceti tramite l'uguaglianza giuridica, anche se a volte
poteva piuttosto consistere in una uguale mancanza di diritto.
Soprattutto però i comuni sforzi della chiesa e dello stato
erano volti ad abituare i sudditi a condurre una vita disciplinata, anzitutto nel senso della cristianità confessionale. Poiché a questo scopo furono introdotti in tutte le confessioni
procedimenti e istituzioni molto simili o, se differenti strutturalmente, almeno funzionalmente equivalenti, al posto della
nominata tripartizione dialettica delle epoche in RiformaComroriforma-Assolutismo, possiamo far seguire al movimento
evangelico già attorno al 1530 un'epoca di confessionalizzazione, che si concluse del tutto solo con le ultime disposizioni politiche per la formazione di un'unità confessionale
dopo il 1730 (espulsione dei protestanti da Salisburgo).
Con una standardizzata professione di fede la religione
dei sudditi fu messa «a norma», ivi compreso il giuramento.
A una massiccia propaganda corrispondeva una massiccia
censura: un apparato di istruzione confessionale doveva produrre funzionari o anche sudditi ortodossi. I fedeli di altre
religioni vennero tenuti a distanza e il contatto con loro venne impedito quanto più possibile anche oltre confine. Si registrò scrupolosamente la partecipazione ai riti ecclesiastici, ai
sacramenti e al servizio divino. Vennero particolarmente accentuate le differenze rituali come la venerazione cattolica
dei santi, la cena comune protestante con pane e vino e il
r i f i ut o dei riformati per le immagini religiose. Vennero utilizzate istituzioni di controllo nuove e antiche, in particolare la
visita delle chiese, che nelle comunità riformate autonome
corrispondeva al controllo della fede e dei costumi da parte
del concistoro (o presbiterio). Questa confessionalizzazione
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nel senso di una «chiesa di stato» può essere considerata la
prima fase del successivo «disciplinamento sociale» da parte
del potere statale in via di formazione. Da un lato infatti
nell'ambito della fede era molto utile la disponibilità dei credenti a sottomettersi e a interiorizzare le nuove regole nell'interesse della propria salvezza, in secondo luogo i parroci furono per luogo tempo gli unici funzionari che fossero in grado di raggiungere fino l'ultimo suddito. Ancora nel XVIII
secolo in molti territori servirono come agenti del potere statale.
Certamente sul lungo periodo la secolarizzazione culturale può essere stata più importante per il costituirsi dello stato
moderno; tuttavia la confessionalizzazione della prima età moderna fu un'ineliminabile fase di passaggio, se non addirittura
una condizione perché si realizzasse la secolarizzazione culturale, dal momento che nessuna collettività non confessionale
si è poi sviluppata sino a diventare uno stato moderno. La più
recente ricerca microstorica contesta che le autorità abbiano
avuto successo nel disciplinamento sociale, perlomeno prima
del XVIII secolo. Ma vi sono molti argomenti a sostegno del
fatto che perlomeno la confessionalizzazione abbia avuto successo, non da ultimo perché le autorità riuscirono a indurre i
sudditi a prendere in mano la questione e a coadiuvarli nella
costruzione di unità confessionalizzate.
I conflitti tra chiesa e stato non hanno evidentemente danneggiato questo processo. Nell'Europa meridionale il potere
statale si espanse ulteriormente a spese del papato. A Venezia
il controllo della chiesa da parte dello stato portò infine nel
1606 all'interdetto e quasi allo scoppio di una guerra con il
papato. Il compromesso mediato con la Francia era in realtà
una vittoria della repubblica. La corona spagnola ottenne nel
1523 il diritto di nomina per le diocesi spagnole e importanti
benefici, insistette però a tal punto sulla sua supremazia ecclesiastica da arrivare a violenti conflitti con il riformatore
della chiesa Carlo Borromeo a Milano. Filippo II accettò le
decisioni del Concilio di Trento solo fin là dove non recavano
alcun danno ai diritti regali.
In Francia nel 1614 la corona e gli stati avevano rifiutato
assolutamente di assumere le disposizioni conciliari; soltanto
l'assemblea del clero si trovò pronta a questo nel 1615. Infatti
il XVII secolo sperimentò l'imponente rinnovamento del cat-
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tolicesimo francese, dopo che, tra il 1562 e il 1598, nell'epoca
delle guerre di religione, la Francia sembrò divenire la più
grande potenza calvinista contro la cattolica Spagna. Al posto
di una chiara soluzione confessionale alla fine era stato possibile solo un compromesso, che manteneva il carattere cattolico della monarchia ma che, con l'editto di Nantes del 1598,
garantiva ai protestanti lo status di minoranza riconosciuta
con uguali diritti in ambito privato e politico. Le tendenze
verso l'edificazione di una chiesa nazionale si rivitalizzarono
con il rafforzarsi della monarchia e produssero nel 1682 in un
conflitto con Roma la Declaratio Cleri Gallicani, che mise in
discussione il potere del papa sopra i principi, lo sottopose
all'autorità del concilio generale e volle legare la sua gestione
ordinaria al diritto consuetudinario della chiesa francese anziché al Concilio di Trento. La corona e il papato trovarono un
reciproco modus vivendi a partire dal 1693, non da ultimo
grazie al comune nemico: l'opposizione interna alla chiesa del
giansenismo agostiniano-rigoristico. Ma il pensiero gallicano
continuò a mantenere un clima di opposizione nei confronti
del papato appoggiandosi al giansenismo, soprattutto nell'ambiente parlamentare. Probabilmente Luigi XIV volle unificare il territorio da un punto di vista confessionale non solo per
influenza dei rigidi circoli ecclesiastici, ma anche perché voleva trarne vantaggio nel conflitto con Roma, presentandosi
come il migliore cattolico. Così, dopo prepotenze durate anni,
nel 1685 abrogò l'editto di Nantes, provocando la fuga di
circa 200.000 ugonotti e insurrezioni nelle Cevenne.
L'imperatore Carlo V aveva sì impedito la nascita di una
Germania evangelica ma, ritardando l'intervento contro i protestanti per il sopraggiungere di altre priorità politiche, aveva
permesso la formazione di un impero biconfessionale. Dopo
conflitti armati i signori territoriali ottennero nella pace religiosa di Augusta del 1555 il diritto di determinare la religione
del territorio (cuius regio eius religio). La libertà di fede per i
ceti imperiali implicava l'imposizione della fede ai sudditi,
leggermente attenuata dal diritto di emigrare. Tuttavia a causa della fede cattolica dell'imperatore e della chiesa imperiale
il sistema restò squilibrato e conflittuale, cosicché nel 1648
per motivi di sicurezza nel Reichstag furono escluse decisioni
a maggioranza su questioni religiose e si impose l'obbligo di
trovare un accordo amichevole.
CHIESA E CHIESE
323
I giuristi protestanti hanno elaborato tre sistemi per la
fondazione della chiesa territoriale tedesca, che nel 1783 vennero presentati con i concetti di episcopalismo - territorialismo
- collegialismo (Daniel Nettelbladt). L’Episcopalismo consisteva
semplicemente nel passaggio dei diritti vescovili al signore
territoriale quale summus episcopus. Il territorialismo invece
faceva derivare la sovranità illimitata del principe sulla chiesa
dalla sua illimitata sovranità sul suo territorio, certamente solo
in senso terreno, di modo che un principe non doveva avere
la stessa fede dei sudditi. In forza della ragion di stato poteva
senza dubbio decidere sulla dottrina e le prediche, ma la fede
e la coscienza restavano libere, perché si riteneva appartenessero esclusivamente alla sfera interiore, e quindi erano sottratte
a ogni intervento esterno: era questo uno sviluppo significativo del pensiero di Martin Lutero. Il collegialismo prese le mosse
dalla sovranità dello stato sulla chiesa, da un diritto di controllo dall'esterno nell'interesse della collettività, mentre la
chiesa regolava i suoi affari interni come ogni «collegio» (corporazione, associazione) nello stato stesso, anche se aveva irrevocabilmente delegato questo potere ecclesiastico al sovrano territoriale, che era un suo membro.
La chiesa di stato danese somigliava quasi completamente
a una chiesa territoriale luterana tedesca, mentre la corona
svedese dopo il soddisfacimento dei suoi bisogni finanziari si
dimostrò oscillante rispetto al problema confessionale. Soltanto nel quadro della minaccia polacco-cattolica il territorio
divenne dal 1593 definitivamente luterano, ma la chiesa grazie alla costituzione dei vescovi e al sistema cetuale imperiale
poté affermare un certo grado di autonomia amministrativa e
di influenza politica.
Il controllo tradizionale della Ecclesia Anglicana da parte
della corona rese interessante per Enrico VIII una separazione dell'Inghilterra da Roma solo quando divenne indispensabile per il suo divorzio. Nel 1534 egli si fece dichiarare «the
only supreme head in [!] earth of the Church of England»,
senza potere di consacrazione (potestas ordinis) ma con una
sovranità illimitata (potestas jurisdictionis), che comprendeva
anche il diritto di decidere sulla fede. I vescovi furono duramente sottoposti al prelievo fiscale, il clero pesantemente tassato e la soppressione dei monasteri portò alla corona, tra il 1535 e
il 1540,1,3 milioni di sterline, poi con l'espropriazione
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COLLABORAZIONE E RESISTENZA
forzata di questi beni si ottenne da parte dei compratori provenienti dai ceti alti una duratura adesione alla separazione
ecclesiastica. Dopo i tentennamenti teologici di Enrico VIII il
paese divenne infatti protestante con qualche esitazione; soltanto la reazione cattolica di Maria I e la minaccia cattolica al
potere di Elisabetta I realizzarono un consenso protestante.
Da un punto di vista teologico la chiesa anglicana si trovava
ora più vicina ai riformati della Germania meridionale (Bucer)
che non ai luterani, anche se aveva mantenuto l'organizzazione della chiesa cattolica con i vescovi, l'apparato delle rendite
e un proprio diritto ecclesiastico leggermente modificato.
I calvinisti radicali, i puritani, volevano purificare la chiesa da questi residui di papismo e introdurre una costituzione
ecclesiastica sinodale, come quella realizzata in Scozia, mentre la corona aveva in programma un anglicanesimo moderato
e la costituzione episcopale. Questo contrasto tra il 1638 e il
1640 causò la rivoluzione. I vincitori abolirono i vescovi e
«depurarono» l'apparato dei parroci, ma non erano pronti a
seguire i progetti per l'edificazione di una chiesa volontaria,
nella quale i parroci dovevano vivere di elemosina e di lavoro.
La gentry non volle rinunciare né al patronato sulla chiesa e
alle decime, che si trovavano sempre più nelle loro mani, né
alla possibilità di avere nei parroci degli alleati per il mantenimento dell'ordine esistente. Anche qui dalla stragrande
maggioranza era considerata naturale l'esistenza di un'unica
chiesa che ricopriva tutto il territorio della collettività politica, mentre le comunità volontarie erano considerate fin dall'inizio sovversive. Tuttavia sotto Cromwell vennero tollerate
le sette rispettose della legge. La relativa tolleranza non si
estese però mai ai papisti, che in Irlanda fino al XVIII secolo
inoltrato non erano soltanto oppressi, ma spesso anche spietatamente perseguitati - nell'interesse del dominio inglese su
questa colonia.
La restaurazione della chiesa di stato dopo il 1660, che,
condotta con inusuale brutalità, tra l'altro fece dipendere i
d i r i t t i politici dalla partecipazione al servizio divino anglicano, era opera del parlamento, mentre i re grazie al potere di
dispensa e di sospensione nel 1662, 1672, 1687, 1688 promulgarono dichiarazioni di indulgenza che tuttavia erano intese
in favore dei cattolici e per questo provocarono resistenza e
anche difficili crisi. La conseguenza di un complotto papista
CHIESA E CHIESE
325
del tutto inventato (Popish Plot) fu nel 1678 il rafforzamento
del Test Act, in base al quale funzionari e parlamentari dovevano partecipare al rito anglicano e dovevano giurare fedeltà
alla supremazia del re. La politica del cattolico Giacomo II a
favore dei suoi correligionari portò infine alla Gloriosa rivoluzione del 1688 e alla determinazione per iscritto della successione al trono protestante nel 1701. «To unite their
Majesties' Protestant sujects» il Toleration Act del 1689 eliminò per i protestanti non-anglicani il dovere di prendere parte
al servizio divino anglicano; le loro sette divennero associazioni con capacità giuridica. A partire dal 1718 i loro appartenenti poterono diventare funzionari e dal 1727 membri della
Camera bassa. Poiché con il divine right of kings perlomeno
da un punto di vista politico era venuto meno anche il divine
right of bishops, la chiesa anglicana assunse sempre più il carattere di una grande setta privilegiata con compiti pubblici;
ad esempio solo i matrimoni anglicani erano del tutto legali.
Ma si trattava pur sempre di un sistema confessionale protestante a due livelli, ossia tollerante nei confronti dei protestanti ma decisamente intollerante nei confronti dei cattolici,
che furono sempre considerati nemici di stato,
L'insurrezione dei Paesi Bassi fu causata tra l'altro dalla
misure di riorganizzazione della più grande e più riuscita chiesa
di stato della prima età moderna: la creazione di un sistema
chiuso, adattato alle condizioni politiche, di 17 diocesi in tre
province ecclesiastiche sotto il primate di Malines, il cardinale Granvelle, che era allo stesso tempo il ministro più influente. Al suo posto nell'insurrezione sembrò imporsi un calvinismo
fanatico, che costituì un'importante forza motrice della resistenza. Il capo della sollevazione, Guglielmo di Orange, e
molti reggenti cittadini univano la pazienza umanistica, nel
senso di Erasmo da Rotterdam, con l'interesse economico a
evitare conflitti superflui. Essi perciò volevano creare una
collettività tollerante. Violenti conflitti tra calvinisti rigorosi e
moderati (i gomaristi e gli arminiani) finirono nel 1619 con la
vittoria dei primi. Tuttavia non si stabilì nella repubblica alcuna chiesa di stato calvinista forte, ma accanto alla «chiesa
pubblica» privilegiata esistettero numerose altre comunità. La
prima era la confessione ufficiale; solo i suoi membri erano
cittadini a pieno diritto e potevano rivestire uffici. Essi erano
sovvenzionati e controllati dallo stato. Ma alla sua ombra gli
326
CHIESA E CHIESE
COLLABORAZIONE E RESISTENZA
arminiani, profughi francesi riformati, luterani, cattolici, anabattisti e persino antitrinitari poterono vivere la loro fede
quasi indisturbati.
Nell'Europa orientale il cambiamento di fede si differenziava in base ai gruppi etnici e sociali. Mentre gran parte della
nobiltà polacca e ungherese si volse verso la confessione riformata che veniva da Ginevra o da Zurigo e la nobiltà boema
completò il suo utraquismo hussita prima con il luteranesimo
e poi con il calvinismo, gli slovacchi, gli sloveni e le città tedesche divennero perlopiù luterani. A ciò si aggiunsero forti resti
della chiesa precedente e gruppi radicali come gli antitrinitari
in Transilvania e in Polonia. Qui la nobiltà riformata si unì
volentieri all'opposizione dei ceti contro la monarchia in espansione. La conseguenza fu la massiccia ricattolicizzazione della
Boemia dopo la sconfitta del 1621, mentre in Ungheria la fede
del monarca guadagnò terreno, ma dovette essere tollerata
ancora la confessione riformata di numerosi nobili.
In Polonia tutto sembrava andare nella direzione della tolleranza, dopo che calvinisti, luterani e fratelli boemi nel Consenso di Sandomir del 1570 si erano accordati sulla reciproca
tolleranza e dopo che avevano inserito nell'interregno del 1573
la libertà di culto per i nobili [!]. Gli antitrinitari sulle terre
della nobiltà poterono addirittura tenere una scuola superiore.
Ma la corona, rimasta cattolica, era pur sempre abbastanza forte
da far apparire a molti nobili vantaggioso, dopo la sconfitta nel
1607 del movimento di resistenza, riconvertirsi alla fede del re,
come era accaduto in Ungheria. Gli ortodossi dell'Ucraina tramite l'Unione di Brest del 1596 si unirono alla chiesa cattolica
contro l'espansione russa verso la Polonia. Ma questa unione
si realizzò solo in parte, poiché come reazione in Ucraina si
impose infatti una confessionalizzazione ortodossa. Poiché però
al di fuori di questo caso l'ortodossia non fu toccata dalla
confessionalizzazione, è ancora una volta dimostrato il suo legame con la concorrenza confessionale e con i conflitti nazionali. Alla graduale erosione delle posizioni di potere riformate
e ortodosse seguì in Polonia la definitiva identificazione di
polacco e cattolico negli anni 1648-67 nella lotta mortale contro i cosacchi e contro la Russia ortodossa da un lato, e contro
gli svedesi luterani dall'altro. Nell'autonoma Transilvania al
contrario venne mantenuto il regolamento del 1557, quando la
chiesa cattolica, luterana, riformata e antitrinitaria vennero
327
«recepite» come confessioni territoriali dotate di uguali diritti
e la chiesa ortodossa venne almeno «tollerata».
3. Parità e tolleranza
Un discorso sulla tolleranza non avrebbe potuto esistere
prima della Riforma, poiché fino ad allora il problema del
pluralismo religioso all'interno della cristianità quasi non si
diede. Le differenti soluzioni che erano diventante necessarie
nella prassi dovevano valere solo fino alla ricostituzione dell'unità di fede - tolerari significava in un primo momento
sopportare provvisoriamente, finché le cose non cambiano!
La parità nell'impero (1648: aequalitas mutua exactaque) ha
poco a che vedere con la tolleranza moderna, ma merita piuttosto la designazione di «intolleranza a due», a spese di tutti
gli altri. La sicurezza giuridica raggiunta in questo modo e
l'immobilità politica ha promosso più ancora della resistenza
contadina quella trasformazione dei conflitti politici in questioni di diritto che caratterizza fino a oggi la cultura politica
tedesca (Michael Stolleis).
D'altro canto le minoranze religiose, anziché disposizioni
paritetiche, pretesero spesso la libertà di coscienza per se stesse,
ma solo per opprimere le altre, una volta raggiunto il potere.
Nella certezza di possedere la verità ci si attenne ovunque
all'autorevole principio del padre della chiesa Agostino d'Ippona (valido nella chiesa cattolica fino al 1965): «Vi è una
persecuzione ingiusta: la persecuzione della chiesa di Cristo
da parte dei senza dio; e vi è una persecuzione giusta: quella
dei senza dio da parte della chiesa di Cristo. [...] La chiesa
perseguita per amore, i senza dio per crudeltà»5.
Solo gli umanisti come Erasmo da Rotterdam si batterono
per il primato della vita sulla dottrina e quindi per l'umanità
pratica da un lato e per la concentrazione della contrapposizione teologica su quanto è veramente essenziale dall'altro:
una prima traccia di fondazione della tolleranza tramite la
scepsi. Seguendo il primo Lutero, spiritualisti come Sebastian
Franck insistettero sulla contrapposizione esclusivamente spirituale, dal momento che soltanto Dio conosce i veri cristiani,
5
Citato da Leder, Gescbictie der Religionsfreiheit, vol. I. p. 122.
328
COLLABORAZIONE E RESISTENZA
che probabilmente esistono anche tra i turchi e i pagani. In
questo modo si abbandonava il concetto corrente di eretico.
Nella crisi delle guerre di religione Sebastiano Castellione,
fuggito dall'intollerante Ginevra di Calvino, pubblicò tra il
1551 e il 1563 diversi scritti nei quali, seguendo Franck ed
Erasmo, cercava di fondare la tolleranza su basi bibliche.
Secondo la parabola del grano e della zizzania non deve essere rinviata fino all'ultimo giorno la divisione tra giusti credenti e coloro che sbagliano? Non sono i persecutori di eretici a
loro volta eretici, perché in questo modo si oppongono alla
volontà divina? Anch'egli non intende escludere che gli eretici debbano essere possibilmente puniti - poiché ci può essere
una sola verità, prima del XVII secolo nessuno ha messo in
dubbio l'esigenza dell'unità di fede - ma la pena di morte è
allo stesso tempo non cristiana e inutile. Al contrario i «politici» aggiunsero che la pazienza è assolutamente necessaria
per la sopravvivenza della monarchia francese e per la prosperità olandese.
Comprensibilmente il discorso sulla tolleranza venne sviluppato soprattutto nei Paesi Bassi, nell'ambiente degli ugonotti
esiliati, in Inghilterra e nelle sue colonie nordamericane, mentre nei paesi unitari dal punto di vista confessionale come
l'Italia restò tutto come prima. Nel 1689, anno del Toleration
Act, John Locke pubblicò A Letter Concerning Toleration.
Per lui soltanto la tolleranza corrisponde al comandamento
cristiano dell'amore per il prossimo, e il potere statale non ha
alcuna competenza nelle questioni di fede. Le dottrine che
mettono in pericolo lo stato non devono essere tollerate: né
quella dei papisti, che ubbidiscono a un sovrano straniero, né
quella seguita dagli atei che minano la morale.
Per primo l'esule ugonotto Pierre Bayle nella lettera sulle
comete del 1682 e in articoli del suo Dizionario del 1696-97
contro la pretesa alla verità assoluta osò fondare la tolleranza
sulla scepsi, eliminando, con il riconoscimento della possibilità di un ateismo virtuoso, il collegamento, ritenuto fino ad
allora naturale, tra fede e morale. Con ciò l'Illuminismo ebbe
campo libero per la sua continua richiesta di tolleranza. Per la
sua realizzazione fu però necessario ancora molto tempo: essa
dipendeva infatti non solo dal fatto che il potere statale riconoscesse di non aver più bisogno della base confessionale per
il suo potere, ma anche dal presentarsi di una costellazione
CHIESA E CHIESE
329
storica in grado di contravvenire al principio di inerzia istituzionale proprio dell'Antico Regime, permettendo la eliminazione delle regole esistenti.
Generalmente l'intolleranza si ridusse nella seconda metà
del XVIII secolo. In Inghilterra e, dopo la campagna pubblicistica di Voltaire contro la persecuzione dei protestanti, gradualmente anche in Francia le minoranze religiose ottennero in
perfetto silenzio più libertà di movimento. Dopo l'ancora
considerevole pressione sui non cattolici esercitata da Maria
Teresa, Giuseppe II garantì loro nel 1781 un esercizio religioso per metà pubblico e un'estesa eguaglianza civile. Tuttavia
qui come nella Prussia di Federico II e del Codice civile prussiano si trattava solo della libertà di fede e di coscienza dei
singoli sudditi. Dal 1782 in Austria, dal 1791 in Francia, dal
1812 in Prussia queste libertà vennero estese anche agli ebrei.
Per le questioni esterne delle chiese si rimase legati al controllo statale. Persino negli Stati Uniti, le cui nuove costituzioni
avevano influenzato questi sviluppi, la reale uguaglianza delle
minoranze religiose ebbe bisogno di tempo. Nei secoli XVIII
e XIX si imposero non solo la tolleranza ma anche la libertà
di fede e di coscienza. Non fu possibile tornare alla situazione
precedente alla Dichiarazione francese dei diritti civili dell'uomo del 1789. Le nuove costituzioni del XIX secolo e persino
gli atti federativi tedeschi del 1815 garantirono la libertà di
religione. Ma la connessa aspirazione del singolo a una completa eguaglianza civile non fu ancora in nessun modo realizzata. Soprattutto la libertà di coscienza individuale non impedì alle potenze statali di continuare a esercitare il loro consueto dominio sulla chiesa. La libertà di religione e la chiesa di
stato vennero considerate completamente compatibili.
4. Dal dominio statale sulla chiesa alla fine della simbiosi
II dominio statale sulla chiesa raggiunse soltanto nella sua
terza ondata, nei secoli XVIII e XIX, il suo apice. In realtà
soltanto ora può essere definito come dominio dello stato
sulla chiesa, perché venne praticato da un potere statale completamente sviluppato, anche in quanto non ebbe più bisogno
dei servizi delle chiese. Infatti non soltanto il suo monopolio
politico era adesso completamente costituito, anche da un
330
COLLABORAZIONE E RESISTENZA
punto dì vista ideologico esso era diventato capace di sostenersi da solo tramite la fondazione razionale dello stato a
partire dalla natura o dalla storia o addirittura tramite la filosofia politica dell'identità di Rousseau. Il ruolo di socio di
minoranza del potere statale, che le chiese avevano svolto
nella prima età moderna, era ora concluso, mentre aveva inizio il loro tragitto a diventare mere associazioni sociali e gruppi
di interesse all'interno dello stato. Tuttavia esse erano ancora
cosi importanti che il loro controllo politico fu considerato
utile, se non addirittura necessario. Per questo gli stati, nel
senso della teoria collegiale tedesca, tesero a limitarsi alla sovranità esteriore sulla chiesa, considerata parte determinante
del monopolio del potere statale, e a lasciare a essa stessa il
potere al suo interno. Dove però questi confini erano controversi e nelle res mixtae come il matrimonio e più tardi la
scuola, fu naturale l'intervento energico della sovranità statale. Fino alla prima guerra mondiale i vescovi cattolici di tutto
il mondo dovevano di solito prestare giuramento di fedeltà
allo stato. In Spagna quest'usanza fu abolita nel 1953, in Italia
nel 1984. Esiste ancora ad Haiti, nel cantone della città di
Basilea e in Germania, dove il concordato del Reich su richiesta di Hitler lo aveva reintrodotto.
In quasi tutti i paesi cattolici nel Settecento venne introdotto un regime sistematico di dominio statale sulla chiesa,
che soprattutto in Toscana e in Austria si alleò con il cattolicesimo illuminato e riformatore. Tra il 1759 e il 1768 i gesuiti,
considerati reazionari e fedeli al papa, furono cacciati dal
Portogallo, dalla Spagna e dalla Francia e rimandati in Italia,
fino a quando nel 1773 il papa si vide costretto a sopprimere
l'ordine. Come caso estremo vale il giuseppinismo della monarchia asburgica, che però in molti punti risaliva già a Maria
Teresa e al suo ministro illuminato Kaunitz e con la sua
radicalità razionalistico-burocratica di 6.000 dettagliati ordinamenti rappresenta quindi soltanto il punto più alto dell'antico sistema austriaco.
La rivoluzione francese portò tolleranza e uguaglianza
borghese, ma non la fine del dominio statale sulla chiesa. Al
contrario, dopo l'espropriazione dei beni ecclesiastici, parroci e vescovi - monasteri e capitoli del duomo vennero aboliti
- divennero funzionari statali eletti, pagati e obbligati a giurare. Al massimo nelle questioni di fede rimaneva alla chiesa un
CHIESA E CHIESE
331
minimo di indipendenza. I conflitti che ne risultarono vennero appianati dal concordato di Napoleone nel 1801, ma nel
1802 venne in aggiunta stabilito un rigido dominio statale
sulla chiesa con placet, recursus ab abusu e giuramento sugli
articoli gallicani del 1682. In base alla volontà di potere del
nuovo stato anche per riformati, luterani e israeliti fu creata
una simile organizzazione di dominio statale sulla chiesa.
In Spagna l'espropriazione dei beni della chiesa, cominciata già con la crisi finanziaria dell'Antico Regime si trascinò
fino nel XIX secolo inoltrato, rispecchiando i rapporti tra
stato e chiesa. Come in Portogallo il cattolicesimo era alternativamente religione di stato o separata dallo stato. In Italia in
un primo momento furono ristabilite le antiche relazioni tra
chiesa e stato, ma, poiché l'unificazione nazionale riuscì contro il papa, la separazione allora introdotta tra chiesa e stato
ebbe un esplicito significato anticlericale.
In Germania con la secolarizzazione del dominio della
chiesa imperiale e dei patrimoni dei monasteri che dipendevano dai singoli signori e con l'abolizione del rapporto di
dipendenza diretta dall'impero dei ceti meno potenti, delle
città e dei cavalieri imperiali sorsero stati moderni chiusi,
nessuno dei quali però aveva ancora una popolazione omogenea dal punto di vista confessionale. Si mantenne il tradizionale orientamento confessionale del potere statale, ancora
cattolico solo in Baviera e in Austria. Ovunque regnava la
sovranità dello Stato sulla chiesa, esercitata tramite uffici particolari. Inoltre la maggior parte delle chiese evangeliche
sottostava al potere ecclesiasrico del loro principe summus
episcopus, che in Prussia nel 1817 ottenne un'unione «volontaria» dei luterani e dei riformati e in caso di resistenza fece
intervenire l'esercito.
Se nel Medioevo lo stato dovette emanciparsi dalla chiesa,
ora, dopo che dell'alleanza con la chiesa fortemente indebolita era rimasto soltanto il controllo statale, si annunciava
l'emancipazione della chiesa dallo stato. Nel caso della chiesa
cattolica le sue pretese di potere, aumentate dopo Trento (Rudolf Reinhardt), si scontrarono con quelle a loro volta cresciute
del potere statale, cosicché il processo di separazione si svolse
qui spesso in modo conflittuale. A regolarlo furono sempre
più spesso concordati e contratti bilaterali tra chiesa e stato,
dove, a differenza di prima, la parte contrattuale della chiesa
CHIESA E CHIESE
332
COLLABORAZIONE E RESISTENZA
era ora esclusivamente rappresentata dal papato. Infatti la
soppressione rivoluzionaria delle strutture ecclesiastiche territoriali dell'Antico Regime portò sul lungo periodo a un aumento di potere da parte del papato, che ora, per la prima
volta, poteva completamente sviluppare la sua monarchia ecclesiastica centralizzata. Dopo che l'orgogliosa chiesa gallicana
era stata annientata dalla rivoluzione, fu il papa a creare, con
il concordato del 1801, una nuova chiesa secondo i desideri
di Napoleone, schematicamente con una diocesi per dipartimento. Ancora nel 1763 un vescovo ausiliario di Treviri aveva
pubblicato con lo pseudonimo di Febronio un programma
episcopalistico, mentre nel 1786, in reazione all'edificazione
di una nunziatura a Monaco, gli arcivescovi tedeschi pretesero una chiesa nazionale tedesca. Dopo lo smembramento della chiesa imperiale e la secolarizzazione dei beni ecclesiastici,
nella creazione di nuove strutture ecclesiastiche il papato
dovette però aver riguardo per gli stati tedeschi. Rispettabili
diocesi come Costanza sparirono o furono degradate come
Magonza. Le chiese protestanti invece, prive di una protezione sovranazionale, in quanto chiese territoriali, erano ancora
più fortemente dipendenti dallo stato di quelle cattoliche. Pertanto la loro separazione ebbe successo, quando lo ebbe, tramite una graduale riduzione del controllo statale e tramite
processi di differenziazione interni alla chiesa, come la crescente
importanza
delle
chiese
libere
in
Scandinavia.
Dopo le rivoluzioni del 1848 la pressione statale sulla chiesa
si allentò in molti luoghi. L'offensiva di Pio IX (il Sillabo del
1864 e il dogma di infallibilità del 1870) suscitò l'agitazione
soltanto di chi nello stato voleva ancora accalorarsi per motivi
politici: uno di questi motivi politici era la nuova attività parlamentare dei gruppi cattolici come il Zentrum tedesco che
Bismarck trovò pericolosa. Il Kulturkampf (Rudolf Virchow),
da lui avviato tra il 1871 e il 1876, portò misure di modernizzazione che erano maturate da lungo tempo, come il matrimonio civile e il registro dello stato civile, ma si dimostrò
anacronistico nel tentativo di fare accettare per forza la sovranità dello stato sulla chiesa. L'autorità statale non era all'altezza della renitenza passiva del cattolicesimo popolare: la
chiesa aveva dalla sua parte le forze politiche più moderne.
Fonte di conflitti era anche il controllo della scuola, sopratt u t t o l'introduzione effettuata dalla Terza Repubblica france-
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se di un sistema di istruzione coerentemente laicista con la
soppressione dell'istituzione ecclesiastica fino ad allora dominante. In un primo momento il sistema napoleonico che ridonava validità al dominio dello stato sulla chiesa venne introdotto
in modo repressivo, ma nel 1904 venne disdetto il concordato
e nel 1905 sancita la separazione tra stato e chiesa.
La caduta della monarchia dopo la prima guerra mondiale significò per le chiese evangeliche tedesche la fine dell'Antico Regime che la chiesa cattolica aveva vissuto cento anni
prima. Esse avevano sviluppato sufficiente autonomia amministrativa ed elementi sinodali per essere in grado di sostenere
la nuova situazione, se non dal punto di vista ideologico, almeno da quello organizzativo. Il nuovo diritto ecclesiastico
era un compromesso: «la separazione zoppicante» tra la chiesa e lo stato (Ulrich Stutz). Lo stato resta rigorosamente neutrale, assicura tuttavia a determinate comunità religiose lo status
di enti di diritto pubblico con autodeterminazione illimitata
nell'ambito delle leggi e con il privilegio di riscuotere le tasse
dai loro membri.
Non soltanto in Germania ci fu e c'è la possibilità di regolare ulteriori dettagli per mezzo di concordati con la chiesa
cattolica, e di patti ecclesiastici con quella evangelica. Una
nuova diffusione della politica concordataria cominciò con
l'appianamento del duraturo conflitto tra l'Italia e il papato,
che ebbe il suo apice nei Patti lateranensi del 1929. I concordati e i patti ecclesiastici, come quelli di diritto internazionale, non potevano essere disdetti o modificati in modo unilaterale, benché regolassero relazioni interne allo stato. Il fatto
che il potere statale stringesse con le chiese patti basati sull'uguaglianza giuridica dimostra che esse fino a oggi non sono
diventate enti o eruppi di interesse come gli altri. Ma la misura dei privilegi che esse vogliono assicurarsi contrattualmente
si ridusse rapidamente dopo la seconda guerra mondiale, questa
volta anche in Spagna e in Italia.
Al contrario le chiese di stato protestanti sperimentarono
sull'isola britannica e in Scandinavia uno sviluppo più tranquillo. Certamente da tempo si è imposta la libertà di religione e persino l'unificazione della confessione all'interno delle
chiese, ma persiste una mite forma di dominio statale sulla
chiesa. In Svezia persino i non appartenenti alla chiesa di
stato pagano tasse alla chiesa a causa dei suoi compiti pubbli-
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COLLABORAZIONE E RESISTENZA
ci. Paradossalmente a seguito dello sviluppo politico, i detentori
dei dominio statale sulla chiesa sono di fatto - in Finlandia e
Islanda anche di diritto - i parlamenti e i governi e non più i
monarchi. Così anche i credenti di altre religioni o gli atei
possono decidere sulle questioni interne alla chiesa. La soluzione finnica, che autorizza al voto su queste faccende solo i
parlamentari appartenenti alla chiesa, che peraltro possono
solo accettare o rifiutare i progetti delle assemblee ecclesiastiche, non ha trovato alcuna imitazione. Una chiara separazione tra stato e chiesa è stata per ora scelta solo dalle chiese
anglicane: dalla chiesa di Irlanda nel 1871 e dalla chiesa del
Galles nel 1920.
Il crescente pluralismo sociale fa apparire sempre meno
giustificati i privilegi per gruppi, i cui membri diminuiscono
di numero e di importanza, soprattutto quando diventano per
il potere statale sempre più una quantité négligeable dal punto di vista politico. Di conseguenza ovunque bisogna prevedere una crescente separazione tra stato e chiesa, che probabilmente significherà il completamento dell'emancipazione ecclesiastica dallo stato, sicuramente la fine di una simbiosi
politica durata duemila anni.
Capitolo dodicesimo
Diritto e giustizia
Il diritto è oggi monopolizzato dalla forza statale. Unità
sottostatali, come le chiese, vogliono avere il loro proprio diritto, che ottengono però solo per concessione dello stato e all'interno del contesto statale. Organizzazioni sovrastatali come
l'Onu o l'Unione Europea hanno un proprio diritto, che comincia a vincolare gli stati membri, non potendo più essere
senz'altro rifiutato, ma che si fonda in ultima istanza sempre
sulla loro forza di imporre tale diritto. Questo stato di cose è
tuttavia una conquista specifica dello stato europeo moderno
e si differenzia da ciò che era il diritto in altre culture e in Europa fino alla prima età moderna. Il diritto era originariamente identico alla religione, alla morale, al costume, dai quali venne separandosi in un processo di differenziazione, cadendo
però sempre di più sotto l'influenza della politica. In origine e
in alcune fasi successive il diritto fu del tutto o in parte indipendente dal nascente potere statale, che però nel corso del suo
sviluppo ha completamente sottomesso a sé diritto e giustizia.
Questa storia rende chiara la multidimensionalità di ogni
formazione giuridica che viene oggi offuscata dal monopolio
statale della statuizione del diritto. Il diritto è infatti ogni
volta: 1) un mezzo di potere del sovrano, 2) un riflesso delle
relazioni sociali, 3) un'espressione delle convinzioni etiche
(ad esempio il diritto di aborto), 4) un'emanazione dei costumi sociali che possono, ma non devono (ad esempio la struttura familiare), essere regolati su base socioeconomica o morale. Il diritto è quindi allo stesso tempo fondato in modo
materiale e ideale, posto dai sovrani e imposto dai sudditi,
quindi contemporaneamente un costrutto razionale dei legislatori e l'emanazione dei sentimenti degli uomini (Harold J.
Berman). Il suo scopo è la riduzione della complessità (Niklas
Luhman). La pienezza della vita viene ridotta a casi esemplari