La caratteristica più evidente delle inglese oggi è la grande diversità

Sintesi diacronica
Gli indici marcatori della potenza della lingua inglese si riassumono nel carico veicolare che
l’inglese trasporta come mezzo primario nell’ambito delle scienze e della tecnologia del XX e
dell’appena nato XXI secolo, nella sua distribuzione demografica, negli utenti, nativi e non, di
diverse culture, nel suo utilizzo nei più importanti forum mondiali e nella sua ricca tradizione
letteraria. Il potere dell’inglese risiede quindi nei suoi domini d’uso, nei ruoli che i suoi utenti sanno
giocare e soprattutto come gli altri considerano la sua importanza. L’inglese predomina sulle altre
lingue mondiali.
La caratteristica più evidente delle inglese oggi è la grande diversità con cui lo si parla. Se
percorriamo a ritroso la vita di questa lingua e ci soffermiamo sulle attestazioni del passato ci
rendiamo conto di come, nella lingua scritta, ovviamente, esistesse una varietà del tutto simile.
Mi piace riprendere una sollecitazione di Emanuele Banfi1: “Facciamo con la fantasia un passo
indietro nel tempo: un salto di un millennio. Immaginiamo di entrare dentro lo scriptorium di un
qualche monastero di Britannia ove monaci solerti, parlanti la loro varietà linguistica mista di
elementi danesi, anglici, sassoni e celtici, attendono, con religiosa compunzione, allo studio di testi
latini, redatti in una lingua che, allora, nella sua unicità, rappresentava il massimo termine di
prestigio per chi, dotato di una qualche cultura, avesse voluto adire le vie del sapere.
Certamente nessuno di quei pii (e non necessariamente dottissimi) monaci avrebbe potuto
immaginare che proprio il loro modesto pidgin germano-celtico, embrione del futuro British
English, oggetto certamente per loro di non particolare apprezzamento e comunque subordinato
gerarchicamente rispetto al latino, sarebbe divenuto, mille anni dopo, “ripulito” dal fiume della
storia, una delle lingue più prestigiose e più diffuse del pianeta.
La storia linguistica dei popoli germanici che si sono stanziati in Inghilterra tra il V e il XIV
secolo si configura come storia di contatti con altre lingue che arricchiscono la struttura germanica
della lingua di significativi apporti culturali e lessicali, e la modificano sul piano morfo-sintattico
differenziandola dalle altre lingue germaniche. Questo periodo è divisibile in tre fasi storiche
corrispondenti a tre diverse condizioni che segnano la documentazione pervenutaci. Il periodo dal V
al IX secolo è quello dello stanziamento delle popolazioni germaniche in Gran Bretagna e vede i
primi contatti sia con le popolazioni celtiche sia con il latino. La situazione linguistica non era per
nulla unitaria; anche se la maggior parte della produzione letteraria è giunta fino a noi in copie più
tarde, i primi documenti ci attestano tre varietà regionali principali, tre aree dialettali che si erano
formate in seguito al progressivo stanziamento originario di Angli, Sassoni, Iuti e all’assestamento
dei vari regni anglosassoni.
Ci sono i dialetti anglici a nord del Tamigi con due varietà: il nothumbro a nord dell’estuario del
fiume Humber, nella regione in cui spiccano i centri di York e Durham e sorgono i primi centri
culturali dei monasteri di Lindisfarne, Wearmouth, Jarrow, il merciano nella regione centrale del
paese, compresa tra il Galles, il fiume Humber e il Tamigi dove si sviluppano i regni della Mercia e
dell’East Anglia. I centri culturali principali sono Lichfield, e poi Worcester e Peterborough. (Vedi
CARTINA DIALETTI ANTICO INGLESE)
A sud del Tamigi nel regno del Wessex, si impone il dialetto sassone occidentale, destinato poi
ad ottenere un’importanza primaria.
A sud-est del Tamigi, nel regno del Kent, si sviluppa il dialetto kentiano che manterrà a lungo
alcune sue proprie caratteristiche anche nei secoli successivi alla fine del periodo anglosassone; il
suo centro culturale preminente è la capitale Canterbury.
E. Banfi, Le coordinate storiche nella formazione dell’Europa linguistica: dal mediterraneo al Grande Nord, in E.
Banfi (a cura di), Percorsi socio- e storico-linguistici nel Mediterraneo, Labirinti, editrice Università degli Studi di
Trento, Trento 1999, pp.19-37, in particolare p. 37.
1
1
Presso gli Anglosassoni, la lingua in uso non era omogenea dal punto di vista geografico perché
le varie popolazioni germaniche stanziatesi nella cosiddetta Englaland parlavano e scrivevano
dialetti affini, diversificati sul piano soprattutto fonetico.
Era, comunque, una lingua in grado di dar vita ad una lingua poetica e ad una tradizione
letteraria. La lingua latina da una parte e la nuova fede cristiana dall’altra diventarono elementi
aggreganti all’interno del mosaico dei regni anglosassoni2.
Nel periodo compreso tra il IX e l’XI secolo si assiste alla trasformazione della struttura sociale
delle popolazioni germaniche sotto la spinta di una seconda invasione germanica. Tale periodo vede
l’affermazione di una lingua letteraria standardizzata in concomitanza con il predominio del regno
dei sassoni occidentali, il regno del Wessex, una volta tramontata la potenza della Mercia, e con il
cambiamento dell’assetto politico-sociale dovuto alle invasioni vichinghe. Le invasioni vichinghe
determinano infatti la graduale distruzione del sistema dei regni anglosassoni e l’emergere di una
monarchia inglese unificata che si delinea ai tempi di re Alfredo e che influisce nettamente sulla
formazione della lingua.
Nei secoli X e XI i rapporti tra anglosassoni e vichinghi sono così stretti al punto da poter
ipotizzare la formazione di una lingua di scambio, di un pidgin, di una lingua parlata
“pidginizzata”determinata da una analogia strutturale con l’antico inglese e da un lessico da
entrambe le parti comprensibile. Geograficamente, questa sorta di bilinguismo si manifesta in modo
più netto nella zona del regno di Northumbria, con i centri di York, Lincoln e Derby, e in modo
meno sensibile nei territori sud occidentali dove il potere dei re sassoni occidentali era forte e dove
la cultura viveva riorganizzata nella città di Winchester. E’ sicuramente questo il momento in cui si
verifica il grande afflusso di scandinavismi nella lingua parlata. E’ interessante, comunque, ribadire
che la lingua scritta ufficiale resta l’antico inglese anche quando Canuto, nell’XI secolo, riunisce le
corone di Danimarca, di Svezia e di Inghilterra, spostando l’asse del prestigio politico a favore del
mondo nordico.
A partire dall’inizio del XII secolo, nel periodo dell’inglese medio, si attestano i numerosi
prestiti nordici, ovviamente distribuiti nelle aree di denso stanziamento vichingo, con l’esclusione
iniziale dell’Inghilterra meridionale e occidentale.
Sul piano linguistico, quindi, l’invasione vichinga costituisce uno “choc”: l’influsso scandinavo
sulla lingua inglese non è forte soltanto nella regione danese, dove ha lasciato numerose tracce
nell’onomastica e nel linguaggio quotidiano, ma si è diffuso nei secoli anche nella parlata del sud
dove ha determinato la presenza di un elemento importante per alcuni aspetti della morfologia, della
fonetica e del vocabolario comune nazionale. Si può dire che le parole di origine scandinava sono
penetrate nell’inglese “standard” attraverso la via del prestito interno dai dialetti settentrionali e
orientali.
Alla fine del periodo, la lingua degli anglosassoni è ancora una lingua geograficamente
frammentata. La lingua orale doveva certamente riflettere la molteplicità delle parlate locali, molto
di più della lingua scritta. Con il predominio del regno dei sassoni occidentali nell’Inghilterra
meridionale e occidentale si pongono le basi per l’affermazione di una lingua ufficiale; è il sassone
occidentale del periodo alfrediano. Questa varietà vede l’affermarsi di una prosa letteraria, che
assolve anche i compiti della comunicazione dotta e ufficiale in tutta l’Inghilterra. Le opere in prosa
risalenti al X e XI secolo sono redatte in sassone occidentale tardo con le caratteristiche di una
norma d’uso centralizzata. Si presenta come una varietà ben più estesa rispetto alla lingua
alfrediana, contraddistinta da una maggiore uniformità e regolarità fonologica e morfologica e da
una buona stabilità grafica. Questa omogeneità linguistica che si riscontra nei testi del tardo periodo
anglosassone è inoltre dovuta alla riforma benedettina il cui effetto sulla lingua inglese è notevole
perché il movimento si irradia dal Wessex, si concretizza nel promuovere e nel rifiorire
dell’istruzione; i monasteri benedettini sono scriptoria prestigiosi con una precisa funzione
2
Pezzini D., Storia della lingua inglese. Dalle origini alla fine del Quattrocento, La Scuola ed., Brescia 1981 p. 28 e
ss.
2
organizzativa e normativa che ha portato ad una lingua di cultura sovraregionale. Un ulteriore
elemento di standardizzazione è l’opera di un gruppo di collaboratori del re con l’incarico di
redigere e conservare le leggi e i documenti amministrativi, negli scriptoria di Winchester e di
York; ciò doveva avvenire secondo uno schema e uno stile convenzionali.
La fine del periodo antico inglese è segnata da un’altra invasione, quella dei “cugini” di quegli
stessi vichinghi danesi che si erano stanziati nella valle della Senna.
Dall’XI al XIV secolo è compreso il terzo periodo che assiste alle ben note profonde
trasformazioni del quadro socio-politico della società anglosassone e documenta importanti
mutamenti linguistici.
Il diffondersi del francese come lingua aristocratica in Inghilterra, affiancato dalla perdita di
prestigio dell’inglese come lingua letteraria ha avuto forti e determinanti conseguenze sociali e
linguistiche, spingendo le generazioni successive a modificare profondamente la lingua tradizionale,
e accelerando le tendenze evolutive già presenti nell’inglese stesso. Ricordiamo che anche negli
scriptoria dei monasteri furono posti monaci di origine francese e la lingua antico-inglese, la lingua
indigena scomparve per lungo tempo dai documenti ufficiali.
In questo arco di tempo si passa da un’epoca di conquistata “standardizzazione” ad un’epoca di
estrema “frammentazione” dialettale. Si assiste infatti ad una rarefazione dei testi redatti nello
standard antico inglese a favore del latino e del francese; ciò vedrà una fine netta nel XIV secolo
quando la produzione vernacolare in medio inglese riemergerà ricca e fiorente in tutti i campi, con
la sostanziale differenza, rispetto al tardo periodo dell’antico inglese, di una mancanza di
omogeneità linguistica.
Ritengo che la Conquista normanna non debba essere vista solo come una vera e propria rottura;
senza dubbio quello che ha avuto luogo in Inghilterra nel corso dell’XI secolo è stato un profondo
mutamento delle istituzioni socio-politiche che ha determinato serie conseguenze linguistiche a
livello funzionale e ha agito sul processo di standardizzazione della lingua. Ma proprio perché la
lingua è un continuum, bisogna continuare a guardare ai tratti di continuità tra il periodo antico e
quello medio e osservare la gradualità dei mutamenti linguistici fra Old English e Middle English.
Il momento di transizione dall’antico inglese al medio inglese dura almeno mezzo secolo se non
di più se si se pensa che alcuni germi dei fenomeni che caratterizzano il medio inglese erano stati
gettati nel tardo antico inglese e che si manifestano verso la metà del XII secolo.
Con l’etichetta di periodo medio della lingua inglese compreso tra il XII secolo e la fine del
‘400, si indica, in realtà, una situazione caleidoscopica, una grande varietà di forme linguistiche
diverse, in rapido sviluppo. I fatti linguistici più rilevanti nella storia della lingua inglese avvengono
e cominciano in questo periodo. Si passa dal primo inglese medio fino al 1250, ancora dominato
dall’eredità linguistica anglosassone, all’affermazione del linguaggio letterario trecentesco (12501400), alla ripresa nel ‘400 di un secondo momento di sviluppo intenso soprattutto foneticofonologico per sfociare nel ‘500 nell’inglese che definiamo moderno.
Il quadro dei dialetti nel medio inglese è variegato e frantumato molto di più di quello antico
inglese perché gli sviluppi linguistici locali acquistano vigore in mancanza di uno standard scritto
insegnato e imposto a tutto il paese. Il primo inglese medio è lo sviluppo della lingua parlata dagli
strati sociali inferiori e meno colti, dove l’evoluzione può essere più libera e senza controllo. Si può
ricordare che, da una parte, dopo la conquista normanna, gli strati alti e intermedi della società sono
costituiti dai normanni e da altri francesi settentrionali, arrivati al seguito del re che, seppure poco
numerosi, ma ben organizzati, riescono ad introdurre in Inghilterra la loro infrastruttura economicopolitica, fondata sui possedimenti terrieri, sulla costruzione di castelli e su un legame con il sovrano
di tipo feudale, ma dall’altra la classe contadina, circa l’80% della popolazione è e resta inglese. E
seguita a parlare inglese, anche se si può presupporre un certo grado di bilinguismo almeno nel
primo periodo quando i proprietari erano quasi interamente francofoni.
Per il periodo centrale del medio inglese, il XIII secolo, si individuano cinque aree dialettali,
ciascuna non certamente omogenea, ma definibile in base ad alcune caratteristiche dominanti: il
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dialetto settentrionale a nord del fiume Humber, esteso fino alla Scozia, il dialetto dei Midlands
occidentali, il dialetto dei Midlands orientali, suddivisa nella zona settentrionale e nella zona
meridionale, il dialetto meridionale sud-occidentale fino alla linea Tamigi-Severn e il dialetto del
Kent nell’Inghilterra sud-orientale. (Vedi CARTINA DIALETTI MEDIO INGLESE)
Il dialetto meridionale si presenta come continuatore dell’antico sassone occidentale ed è più
conservativo, mentre i dialetti del nord e dei Midlands nord-orientali presentano interessanti
innovazioni soprattutto in campo grammaticale, che avranno un ruolo importante nella formazione
della lingua inglese moderna.
Nell’Inghilterra di questo periodo si vive una situazione di plurilinguismo: accanto all’inglese si
parla l’anglo-normanno prima e il francese poi, il latino come lingua della cultura, della liturgia e
della comunicazione orale nelle case monastiche e in seguito anche nelle università, il danese e il
norvegese e loro varietà in alcune zone dell’Inghilterra orientale e settentrionale, il celtico nelle
zone di confine con l’Inghilterra e nel Galles, in Irlanda e in Scozia.
Per quanto riguarda la lingua scritta si continua a favorire, in un primo momento, durante i regni
di Guglielmo e dei suoi figli, l’uso del latino come lingua colta accanto all’inglese che
progressivamente viene abbandonato a favore del latino come lingua dell’amministrazione in
seguito allo spostamento del potere decisionale dalle assemblee locali alla curia regis e alle corti
feudali. Con i Plantageneti, Enrico II e Edoardo II, il francese si sostituisce al latino nei documenti
ufficiali. Nello stesso periodo (XII e XIII sec.) fiorisce la letteratura poetica anglo-normanna,
prodotta in Inghilterra per un pubblico laico di lingua francese insieme con lo sviluppo di una vita
di corte secondo modelli culturali francesi.
E’ decisivo (si veda il documento noto come Provisions of Oxford, 1258 o Proclamazione di
Enrico III), l’influsso esercitato da Eleonora d’Aquitania , moglie di Enrico II, e da Eleonora di
Provenza, moglie di Enrico III.
Si può dire che il latino condivide col francese il rango di lingua alta, continuando la sua
funzione di lingua della religione e della cultura scientifica, sopravvivendo al predominio del
francese, e che il francese, per un determinato periodo, è la lingua alta della legge, del governo,
dell’amministrazione, della letteratura cortese e in parte anche della Chiesa.
Se una situazione di diglossia con il latino è comune nel medioevo a tutti i volgari europei, la
situazione di triglossia è tipica dell’inglese di questo periodo con ovvie conseguenze linguistiche.
L’inglese che nel periodo anglosassone aveva condiviso con il latino gli alti domini d’uso, nel
periodo medio si trova ad avere la funzione di varietà bassa, limitata ai domini della comunicazione
quotidiana per le classi sociali inferiori e della diffusione della cultura media attraverso i
volgarizzamenti.
La cultura inglese non è stata, comunque, danneggiata dal fatto che la lingua nativa ha vissuto un
periodo di perdita di prestigio a vantaggio del francese, perché ha continuato ad essere di alto livello
e soprattutto cosmopolita specialmente negli studi teologici, filosofici e storici – si possono
ricordare Giovanni di Salisbury, Ruggero Bacone, Guglielmo di Occam, Matthew Paris – anche se
il suo veicolo era il latino, come si diceva poc’anzi, la lingua internazionale della cultura e della
scienza medievale.
In questo periodo i dialetti acquistano una grandissima importanza e la produzione letteraria di
questa epoca intermedia è basata sui vari dialetti regionali. Soltanto verso la metà del ‘300 si vanno
formando delle varietà di lingua scritta che possono aspirare a diventare un modello e quindi ad
imporsi come standard, standard che vedremo sufficientemente formato alla fine del ‘300 e
consolidato nel ‘400, con uno spostamento del centro dialettale rispetto all’antico inglese. Si
afferma il dialetto di Londra; la situazione linguistica di Londra era molto interessante per la sua
posizione di ponte tra il sud e il centro est. Da quando poi Edoardo il Confessore (1042-1066) aveva
trasferito la capitale da Winchester a Londra, Londra accrebbe sempre più il suo prestigio e la sua
importanza come sede dell’amministrazione centrale e come centro economico-commerciale.
Come nel periodo dell’antico inglese il pluricentrismo è convogliato verso la varietà dialettale
del sassone occidentale per questioni socio-politiche e culturali, così nel medio inglese la
4
frantumazione dialettale trova, alla fine, un modello a cui rifarsi, un modello che, per le stesse
questioni sopraccitate, si è imposto accogliendo in sé tratti del Sud, del Nord e del Centro Est, a
differenza del sassone occidentale che si connotava per alcune sue precise caratteristiche
linguistiche.
Il dialetto di Londra come lingua della classe media cittadina si impone, raffinandosi, negli
ambienti di corte; il dialetto di Londra si impone come mezzo letterario, come lingua ufficiale della
cancelleria.
A differenza dell’italiano, l’inglese standard non nasce e non vive soltanto come lingua letteraria,
ma anche come lingua dell’amministrazione, della politica, delle operazioni legali e commerciali.
Quindi il dialetto di Londra si impone non solo per merito di Chaucer e altri autori come Occleve,
Gower, Lydgate, ma per essere il massimo centro mercantile del paese e sede della cancelleria reale.
Trasferitasi nella City, a Chancery Lane, la cancelleria produce documenti di stato che dal 1430
sono emessi regolarmente in inglese e linguisticamente sono più evoluti rispetto alla lingua di
Chaucer, perché è più aperta ad accogliere influenze settentrionali. La lingua della Cancelleria
diventa il diretto antenato dello standard moderno. Gli scribi della cancelleria, proprio per usare di
abitudine quello che viene definito come King’s English (lo standard cancelleresco si afferma in
seguito al fatto che Enrico V dall’agosto del 1417 inizia a dettare le ordinanze in inglese) assumono
grande prestigio. La stampa poi sarà influenzata dall’inglese della cancelleria e sarà un mezzo
formidabile di unificazione e di diffusione linguistica a livello nazionale, soprattutto per lo standard
scritto.
Lo standard scritto si sovrappone ai vari dialetti regionali e tale sovrapposizione è la premessa
del futuro sviluppo dei dialetti sociali o socioletti, tipici dell’inglese. Se da un lato i dialetti perdono
prestigio e la produzione letteraria non è più su base dialettale, come era stato nei secoli precedenti,
dall’altro, però, sopravvivono a livello orale. In ogni regione si formano strati sovrapposti di ceti
colti e non, con una sorta di bilinguismo; Crystal parla di bidialectalism, tra dialetto locale e lingua
standard.
Il XVI secolo si apre con una ripresa dell’economia, dopo un periodo di ristagno economico in
cui il paese aveva vissuto ai margini dell’Europa, spossato dalle interminabili lotte con la Francia
(la guerra dei Cent’Anni) e dalle lotte dinastiche interne (la guerra delle Due Rose), e con una
nuova guida politica garantita dalla nuova dinastia Tudor (Enrico VII) che, nel giro di alcuni
decenni, condurranno l’Inghilterra ad essere una delle potenze europee; a segnare l’avvento dell’età
moderna sono lo sviluppo della flotta, dei viaggi, dei traffici commerciali, e l’espandersi del sistema
capitalistico.
D’accordo con Peter Strevens3 mi piace sottolineare che l’incredibile diffusione dell’inglese
come la lingua “franca” più popolare nel mondo è dovuta al fatto che “it passed through several
stages…, which cumulatively yet inevitably led to the present state of affairs”.
Lo stadio compreso tra il 1350 e il 1600 vede lo sviluppo dell’inglese diciamo “moderno” come
lingua nazionale quando l’influsso di 300 anni di occupazione anglonormanna è stato assimilato dai
dialetti di base germanica con ulteriori integrazioni da parte degli invasori vichinghi. Per 250 anni
fino al 1600, l’inglese era parlato soltanto in Inghilterra, probabilmente neanche da tutti i 7 milioni
di abitanti.
Lo stadio compreso tra il 1600 e il 1750 vede la diffusione dell’inglese come risultato delle
esplorazioni e della colonizzazione. Durante questo periodo, viaggiatori, mercanti, e coloni hanno
gettato i semi della diffusione globale dell’inglese nei territori d’oltremare.
Lo stadio compreso tra il 1750 e il 1900 vede lo sviluppo dell’inglese come lingua nazionale
nelle colonie.
3
P. Strevens, English as an International Language. Directions in the 1990s, in B. B. Kachru, The Other Tongue.
English across Cultures, University of Illinois Press, Urbana and Chicago, 1992, 2nd ed., pp.27-47, qui p. 29.
5
Sempre Strevens mette in luce tre importanti cambiamenti di questo periodo, che hanno
contribuito in modo significativo alla diffusione dell’inglese:
“First, the populations of the overseas NS (native speakers) English-speaking settlements greatly
increased in size and became states with governments – albeit colonial governments- and with a
growing sense of separate identity, which soon extended to the flavour of the English they used.
Second, in the United States first of all but later in Australia and elsewhere, the colonies began to
take their independence from Britain, which greatly reinforced the degree of linguistic difference:
Noah Webster, for example, urged Americans to take pride in the fact of their English reflecting the
dynamic new life of the United States. And third, as the possessions stabilized and prospered, so
quite large numbers of people, being non-native speakers (NNS) of English, had to learn to use the
language in order to survive, or to find employment with the governing class. These NNS learners
were of two kinds: indigenous people and immigrants. Learning English (though not, generally
speaking, being taught English) now became a major activity4”.
Le diverse forme di governo, “Colony, Dominion, Indirect Rule, esercitate dai Britannici
perseguivano cinque obiettivi, in misura diversa a seconda degli interessi dell’autorità coloniale
locale:
1) l’istituzione di un regime d’ordine sociale e legale ritenuto valido e condizione base
per ogni tipo di attività;
2) la possibilità di libero commercio
3) la conversione al cristianesimo dei popoli colonizzati, che presso il pubblico
vittoriano era uno dei progetti più amati
4) l’importazione di tecnologia moderna, dal telegrafo alle ferrovie, al motore a vapore
ecc.
5) l’istruzione mirata dei popoli colonizzati che ha determinato la fondazione di
numerose scuole nelle diverse regioni dell’impero britannico con lo scopo di creare una
classe efficiente di collaboratori e mediatori locali che avrebbero contribuito a loro volta a
diffondere la lingua e la cultura inglesi nei rispettivi paesi5.
La fase compresa tra il 1900 e il 1945 vede la diffusione dell’inglese attraverso il canale
dell’istruzione. Durante questo periodo le colonie hanno cominciato ad offrire alle popolazioni
indigene istruzione in inglese, diffondendo in tal modo la lingua tra un numero sempre maggiore di
abitanti indigeni. Nello stesso tempo, gli USA, il Canada e l’Australia hanno dato avvio a corsi di
lingua inglese agli emigrati.
Fino alla fine della Seconda guerra mondiale, l’inglese era principalmente parlato nelle colonie e
nelle ex colonie britanniche. La diffusione dell’istruzione in inglese subisce un forte impulso nel
periodo successivo alla seconda guerra mondiale, quando, soprattutto in Africa, in seguito
all’indipendenza, numerose nazioni hanno adottato l’inglese come seconda lingua e come lingua
ufficiale dell’amministrazione6.
Il periodo compreso tra il 1945 circa fino ad oggi vede la diffusione dell’inglese come lingua
globale. Si possono cogliere, in questa fase, due linee di sviluppo. La prima è relativa al fatto che
tutte le restanti colonie britanniche sono diventate stati indipendenti e di conseguenza, il ruolo e la
funzione dell’inglese, da strumento di subordinazione, si sono aperti ad altre finalità come finestra
sul mondo della scienza e della tecnologia, o come lingua accettata da tutti7. La conseguenza di ciò
ha portato ad una rapida crescita dell’insegnamento della lingua inglese in tutto il mondo.
La seconda linea di sviluppo vede l’emergere, nel mondo, di attività e di svariati campi e settori
(per esempio, la navigazione aerea e navale, le scienze, le tecnologie, il commercio e la finanza, la
politica, i media) in cui si usa normalmente l’inglese come lingua delle comunicazioni
4
Ibidem, pp. 29-30.
C. Sassi, L’inglese, La Nuova Italia, Scandicci (Firenze) 1995, pp.16-17.
6
Ibidem, p.18.
7
P. Strevens, op. cit., p.30.
5
6
internazionali grazie ad accordi internazionali o grazie al fatto che per la maggior parte della gente è
l’unica lingua condivisa.
L’inglese, inizialmente diffusosi quale risultato dell’imperialismo britannico, ha perso ogni
associazione con il colonialismo e con la cultura occidentale e oggi è da considerarsi
“a symbol of modernisation, a key to expanded functional roles and an extra arm for
success and mobility in culturally and linguistically complex and pluralistic societies. As if all
this were not enough, it is also believed that English contributes to yet another type of
transmutation: it internationalises one’s outlook. In comparison with other languages of wider
communication, knowing English is like possessing the fabled Aladdin’s lamp, which permits
one to open, as it were, the linguistic gates in international business, technology, science, and
travel8”.
La conseguenza di tutto ciò è che il numero dei parlanti nativi è nettamente inferiore a
quelli non nativi; se le statistiche non vanno errate, il numero dei parlanti nativi raggiunge
circa 350 milioni di unità; tale cifra è stata calcolata sulla base di statistiche di popolazione e
scuole negli States, in Canada, in Gran Bretagna, in Australia e Nuova Zelanda, tenendo conto
dei numeri crescenti di immigrati in questi paesi, per i quali l’inglese non è lingua madre.
Il totale di 235 milioni rappresenta una stima di coloro che hanno in uso l’inglese come
seconda lingua; tuttavia tenendo conto che per molti paesi non sono disponibili conteggi, e
che in altri, come l’India, il Pakistan, la Nigeria, il Ghana, la Malaysia, le Filippine e la
Tanzania, che nel 1995 raggiungevano una popolazione complessiva di 1.300 milioni di
persone, anche solo l’aumento di una piccola percentuale nel numero di parlanti con
competenza della lingua inglese ritenuta ragionevole può aumentare in modo notevole il totale
dei parlanti inglese L2, si totalizza il verosimile totale di 350 milioni anche per questa
categoria.
Le stime per coloro che hanno imparato l’inglese come lingua straniera tendono a variare
enormemente; si va da un minimo di 100 milioni ad un massimo di 1.000 milioni. Tutto
dipende dal livello di competenza linguistica che definisce una persona un parlante di lingua
inglese. Una cosa è certa: il ruolo di questa categoria nel conteggio, all’interno del quadro
dell’inglese globale, è soggetto ad aumentare drammaticamente nel XXI secolo. Dal punto di
vista numerico, molto dipenderà da ciò che succederà nei paesi più densamente popolati quali
la Cina, il Giappone, la Russia, l’Indonesia e il Brasile.
Per essere il più cauti possibile, andando a scegliere le stime più basse all’interno di
ciascuna categoria, si potrebbe parlare di un totale complessivo di 670 milioni di parlanti
inglese con una padronanza nativa o dello stesso livello. Se invece ci spostiamo all’estremo
opposto e usiamo il criterio della cosiddetta “reasonable competence” rispetto alla “native-like
fluency”, parleremmo di un totale complessivo di 1.800 milioni; la saggia via di mezzo
sarebbe quella dei 1.200/1.500 milioni, oggi comunemente accettata.
Ciò che è impressionante non è tanto l’ammontare complessivo quanto la velocità di
espansione della lingua inglese a partire dagli anni ’50.
A questo punto mi sembrerebbe interessante riprendere la distinzione che Kachru propone
all’interno della categoria dei parlanti non nativi: da una parte, ci sono quelli che considerano
l’inglese come lingua straniera, lo usano in ambiti ristretti e sono in rapido aumento nella
maggior parte dei paesi la cui lingua ufficiale non è l’inglese. Dall’altra ci sono quelli che
usano varietà istituzionalizzate di inglese come L2. L’uso istituzionalizzato dell’inglese è
riscontrabile in quasi ogni continente, per esempio, in Nigeria, Kenia, nella Repubblica del
Sud Africa, Ghana, Bangladesh, India, Pakistan, Sri Lanka, nelle Filippine, a Singapore,
Malaysia, Tailandia, nelle Samoa americane e a Puerto Rico…
8
B.B. Kachru, The Alchemy of English, Pergamon Institute of English., Oxford, New York, Sydney 1986, p.1.
7
Un’importante conseguenza della diffusione dell’inglese è un aumento notevole delle
varietà regionali e funzionali; quello che all’inizio era un limitato numero di dialetti in
Inghilterra, oggi è un conglomerato di varietà native nazionali e per quelle varietà dette
istituzionalizzate si può dire che ciascuna può essere suddivisa in diversi dialetti regionali. Sia
gli uni che gli altri sono poi diventati la base per lo sviluppo di pidgins in varie parti del
mondo. Ciascuna di queste varietà può essere studiata per quanto concerne il registro, lo stile,
le forme gergali e l’uso.
Mentre gli studiosi discutono su quanti e quali siano le varietà di inglese nel mondo, su
quali rapporti intercorrano tra loro, su quali caratteristiche si contraddistinguano, su chi siano
gli utenti e, glissano su affermazioni perentorie circa lo standard e gli standard, mi sembra che
sia utile riflettere su quanto scrive Strevens:
“there exists an unspoken mechanism, operated through the global industry of English
teaching, which has the effect of preserving the unity of English in spite of its great diversity.
For throughout the world, regardless of whether the norm is native-speaker or non-native
speaker variety, irrespective of whether English is a foreign or a second language, two
components of English are taught and learned without variation: these are its grammar and
its core vocabulary. There may be embellishments in the way of local vocabulary and
expressions, and there will certainly be great differences of pronunciation, but the grammar
and vocabulary of English are taught and learned virtually without variation around the
world.9”
9
P. Strevens, op.cit., p. 39
8