Dell’Orto Irina Mito di Anfitrione • Mito di Eracle • Anfitrione Anfitrione, generale dell’esercito tebano, è partito per una guerra lasciando a Tebe la moglie Alcmena. La spedizione termina con un completo successo da parte di Anfitrione che torna in Patria con il fidato servo Sosia. Durante la sua assenza però, Giove (Gr.Zeus), il padre degli dei, conquistato dalle virtù di Alcmena la insidia con l’intento di giacere con lei per una notte e di generare un eroe coraggioso e impavido. Assume così le sembianze di Anfitrione e lascia il figlio Mercurio, trasformato in Sosia, sulla porta a fare la guardia. Il giorno successivo però Anfitrione e Sosia giungono in città e il servo viene mandato da Anfitrione a casa per preannunciare l’arrivo e la vittoria. Sosia viene fermato da Mercurio e da questi convinto, con l’inganno e con la violenza, che è lui il vero Sosia e così il povero servo torna confuso da Anfitrione. Dopo aver sentito dal servo l’assurda storia, il generale si reca di persona a palazzo, dove incontra Alcmena dalla quale apprende di aver trascorso una notte d’amore con la stessa. Con l’aiuto del veggente Tiresia, Anfitrione viene a conoscenza della verità e si rappacifica con Alcmena. La donna è così incinta di due gemelli: Euristeo figlio di Anfitrione ed Eracle figlio di Giove. Giove Mercurio Eracle o Ercole Le dodici fatiche di Eracle o Ercole Le leggende legate alla figura di Eracle (dal greco antico Ἡρακλῆς, composto da Ἥρα, Era, e κλέος, gloria, "gloria di Era"), costituiscono un ciclo infinito ed è difficile esporre i diversi episodi secondo un ordine logico ed anche enumerarli tutti. Quando era ancora nella culla, uccise due grossi serpenti, strozzandoli con le mani. Gli animali erano stati mandati da Era, la moglie legittima di Zeus, che voleva vendicarsi dell'infedeltà del marito. La prima educazione di Eracle fu molto accurata: fu istruito soprattutto nell'arte della guerra e del combattimento con armi diverse, ma anche nelle lettere e nella musica; ma la sua forza immensa unita al forte temperamento lo portarono persino ad uccidere il suo maestro Lino. Allora Anfitrione, che esercitava su di lui la patria potestà, lo mandò sul monte Citerone tra i pastori, dove rimase fino all'età di diciotto anni. Fu in questo periodo che egli compì la sua prima grande impresa, uccidendo un leone che decimava le mandrie di quel luogo. Un'altra impresa di una certa importanza fu, poco dopo, la liberazione di Tebe dal tributo di cento buoi imposto annualmente dal re d'Orcomeno. In seguito a ciò Creonte, re di Tebe, diede in sposa all'eroe la figlia Megara, che gli dette vari figli; ma Eracle li uccise tutti in un momento di pazzia, causata da Era (che non gli diede mai tregua, e si riconciliò con lui solo dopo la sua ascesa all'Olimpo) per provocare in lui un'impurità morale che lo avrebbe costretto a sottomettersi ad una espiazione. Fu così che per volontà della Pizia, sacerdotessa di Apollo, egli dovette andare esule presso il re Euristeo di Tirinto, che gli impose una serie di prove da affrontare per purificarsi della sua colpa. Sono le dodici famose fatiche, che Ercole riuscì a portare a termine, ottenendone in premio l'immortalità. Il leone di Nemea La prima impresa di Eracle fu liberare la piana di Nemea da una belva estremamente feroce, nota come il Leone di Nemea. Mentre cacciava attraverso la foresta nemea e tentava di trovare la tana del leone, Eracle udì un terribile ruggito e si fermò. Voltandosi vide l’enorme leone che si dirigeva minaccioso verso di lui. Rapidamente tese il suo arco e scoccò una freccia, che non scalfì minimamente il manto del leone. Non appena il mostro si avventò su di lui, scoccò rapidamente un'altra freccia, e di nuovo non gli recò alcun danno: il bronzo si piegò curvandosi come se stesse colpendo una pietra. La pelle di questa creatura non poteva essere penetrata dalla più acuta delle punte. Il leone d’un balzo gli fu addosso ed Eracle lo colpì con la sua pesante clava, ma riuscì solo a stordire la belva. Non comprendendo quale arma potesse uccidere questo mostro si liberò di tutte e lottò con esso a mani nude: con forza incredibile avvolse le sue braccia intorno al collo del leone e lo strangolò. Eracle tentò quindi di scuoiare l’ animale, ma la pelle era così dura che non poté né lacerarla né tagliarla. Allora provò ad adoperare gli stessi enormi artigli del leone: questi furono efficaci ed Eracle ottenne il suo trofeo. Ammirando quella impenetrabilità e resistenza della pelle, se la gettò addosso come un mantello e la tirò fin sopra la testa come un elmo. Da quel momento Eracle indossò sempre la pelle di leone come protezione in battaglia. Idra di Lerna La seconda impresa di Eracle fu l'uccisione dell‘Idra, un mostro dalle tante teste (di cui una immortale) che viveva nella palude di Lerna e atterriva i villaggi vicini divorando uomini e bestie quando si svegliava dal suo sonno. In questa impresa Eracle fu affiancato dal nipote Iolao. Giunto nella palude di Lerna e stanato il mostro dal suo nascondiglio con l'ausilio di frecce infuocate, cercò di ucciderlo recidendogli le teste, ma ad ogni taglio in luogo della testa mozzata ne ricresceva una nuova. Non potendo vincere da solo, l'eroe invocò l'aiuto di Iolao: gli chiese di portare delle torce infuocate e gli ordinò di bruciare i colli dell'Idra ogni qual volta egli ne tagliava le teste per non farle ricrescere. Soffocò poi quella immortale schiacciandola con un sasso. In questo modo riuscì ad uccidere la bestia e a liberare Lerna da quel flagello. La cerva di Cerinea Nelle folte foreste della regione di Cerinea, nella Grecia mitica, viveva una cerva bellissima, sacra ad Artemide, dea della caccia e sorella di Apollo. L’animale aveva uno splendido palco d’oro e zoccoli d’argento. Chi nei boschi si imbatteva in essa veniva ammaliato dal suo sguardo e non riusciva a resistere alla tentazione di seguirla. In questo modo l’animale conduceva il malcapitato in un paese fatato da cui nessuno faceva più ritorno. Euristeo incaricò Ercole di catturare l’animale, senza farle alcun male per non adirare la dea. Dopo un inseguimento estenuante, il semidio decise di ferirla leggermente per rallentarne la corsa. Così fece e riuscì a catturarla. Artemide e Apollo gli intimarono di lasciarla, in quanto era un animale sacro, ma spiegando alle due divinità il perché del suo gesto ottenne il permesso di portare la cerva a Euristeo. Fonti: Libri: “Anfitrione”- Plauto “Dizionario di Mitologia Classica” – Luisa Biondetti “I miti greci” – Robert Graves