ANATOMIA PATOLOGICA
22-10-07 h. 12:30 – 14:30
Prof. Carbone
Il prof dice che sulla sua Aula virtuale troviamo una serie di pdf; la password è
“leggimi” in minuscolo.
La lezione inizia con mezz’ora di ritardo a causa di problemi con il proiettore.
CARCINOMA INVASIVO DELLA MAMMELLA
Il carcinoma invasivo della mammella è una malattia molto importante dal
punto vista anatomo patologico, clinico, e sociale, ha un impatto sociale molto
importante; è una malattia molto frequente e riguarda principalmente il sesso
femminile, anche se ne esistono casi anche nel sesso maschile.
Divideremo l’argomento in due importanti sezioni: una è la parte descrittiva,
anatomo-clinica; l’altra è più laboratoristica.
Il carcinoma della mammella ha una grande valenza sia clinica che sociale. Si
deve accennare anche alle problematiche legate alla diagnosi precoce, e pesa
molto dal punta di vista anche perché si può fare molto proprio a livello di
indagini precoci e cure efficaci.
CLASSIFICAZIONE CARCINOMA INVASIVO
Tipo non speciale (ex CDI-NAS)
Tipo speciale: midollare classico, lobulare e sue varianti, tubulare,
gelatinosi, papillare, metaplastico, adenoide cistico, apocrino, cribriforme puro,
infiammatorio.
Le classificazioni hanno senso solo nella misura in cui hanno un significato
clinico.
Dal punto di vista istotipico-microscopico-biomorfologico, abbiamo dunque due
categorie: nei tipi non speciali comprendiamo quello che chiamavamo prima
Carcinoma Duttale Invasivo – Non Altrimenti Specificato, nei tipi speciali invece
molte forme particolari.
DEFINIZIONE ED INCIDENZA
- Istogeneticamente si definisce come la neoplasia maligna dell’epitelio
secretorio (“nobile”, funzionale) della ghiandola mammaria.
- È ormonodipendente (dagli estrogeni): per crescere ha bisogno degli
estrogeni.
- È la neoplasia maligna più frequente nella donna: 20-25% di tutti i tumori
femminili.
- Una donna su 13 (nel mondo occidentale) è potenzialmente portatrice di
carcinoma della mammella.
- È mortale attorno al 30-40% dei casi. Dunque c’è discrepanza fra incidenza
elevata (e morbilità elevata) e bassa mortalità.
FATTORI DI RISCHIO:
1) Familiarità
Significa che quando una donna ha un consanguigno affetto da carcinoma
della mammella, questo può essere un dato anamnestico molto importante.
E poi bisogna sapere in che fase della sua vita il parente ha avuto il
carcinoma alla mammella, perché il rischio cambia.
a) Se insorto nel periodo fertile della vita della familiare: X3
b) Se insorto bilateralmente nel periodo fertile della vita della familiare: X9
c) Se insorto in menopausa: X1.5
Il massimo del rischio è quindi quando si ha una parente che ha avuto un
carcinoma della mammella in età fertile bilateralmente, ed allora il rischio
comincia ad essere veramente importante, addirittura dieci volte di più.
Oggi si parla anche di rischio genetico e di ablazione, mastectomia
preventiva perché con l’età aumentano rischi di mutazioni di BRAC1,
BRAC2. Ma questo tipo di intervento ha sollevato problemi etici. Anche
perché c’è una differenza fra genoma ed ambiente (cioè l’espressione del
genoma) e tra nature e nurture (nutrimento del genoma, interazione con
l’ambiente): genoma e espressione del genoma sono cose diverse. Persone
con uno stesso genoma possono avere un diverso fenotipo, che può
dipendere pesantemente dall’interazione con l’ambiente! Quindi avere una
mutazione non significa necessariamente avere poi il tumore e non legittima
ad asportare la ghiandola, anche se sicuramente aumenta il rischio.
2) Lunghezza della vita fertile = tempo di esposizione agli ormoni:
a) Se >40 anni (per menarca precoce, menopausa tardiva o entrambe): X2
3) Nulliparità, gravidanze tardive (essendo periodi di deprivazione ormonale, le
gravidanze hanno un’azione protettiva; anche l’allattamento.)
a) L’una o l’altra condizione: X3
FORME MACROSCOPICHE:
Cicatriziale/scirroso: è quello più comune, ha un aspetto a tenaglia:
massa cicatriziale fibrosa retraente, dura, che lascia partire dei sepimenti verso
il parenchima ghiandolare; il tipico aspetto del “cancro”, qualcosa di maligno
penetrante e infiltrante i tessuti. È quello più frequentemente osservato, quello
che più facilmente provoca retrazione dei tessuti circostanti, deformazione
della ghiandola mammaria, retrazione del capezzolo, difficile non riconoscerlo
nella pratica clinica.
Circoscritto: è piuttosto insidioso, ne abbiamo parlato a proposito del
fibroadenoma. Si presenta macroscopicamente benigno perché cresce in modo
espansivo, con margini regolari; solo, ha poi caratteristiche macroscopiche
variabili: è un tessuto sì circoscritto ma più carnoso e cellulato (diverso quindi
dall’elasticità del fibroadenoma).
Gelatinoso: morbido, che in realtà è un accumulo di muco dovuto al
fatto che le cellule cancerose producono mucina ma invece di tenerla nel
citoplasma sottoforma di micro o macrovacuoli (come le cellule ad anello con
castone, cellule con sigillo) la sputano immediatamente fuori nel citoplasma;
ma la mucina ha una attività litica, separa le fibre di collagene dello stroma e
forma questi laghi pieni di muco, di gelatina in cui navigano queste cellule che
a guardarle non hanno un aspetto muciparo. Microscopicamente si presentano
come passerelle molto dense ma molto morbide dal punto di vista della
palpazione.
Eczematoso/ulcerativo (Paget): è un tipo dermatopatico: il
carcinoma che si presenta come un eczema, un’ulcera del capezzolo o
dell’areola, un’area infiammata al centro della mammella. È il tipo pagetoide
del carcinoma della mammella: è un tipo di cancro che però poi bisogna
valutare attentamente dal punto di vista anatomo-clinico, se sia un sintomo di
un carcinoma invasivo sottostante, con scivolamento alla superficie con
ulcerazione, oppure se sia un morbo di Paget, cioè un tumore in situ della cute
del capezzolo senza associata neoplasia invasiva.
Senza massa definita = massless: senza massa, senza tumore. Sono
insidiosi e principalmente di due tipi:
o A pattern infiltrativo dissociato = carcinoma lobulare invasivo. Con
capacità di infiltrare senza sconvolgere il tessuto ghiandolare.
o Infiammatorio = si presenta come una eresipela, un’infiammazione della
mammella, apparentemente sembra una mastite con la cute arrossata ed
anche eczematosa, ma senza una massa precisa, istologicamente forse il suo
hallmark, la caratteristica precisa, è l’infiltrazione dei linfatici. Ma non è una
forma anatomica precisa, solo una forma di presentazione clinica di un
carcinoma della mammella, però lo contempliamo tra quelle lesioni senza
massa mammella. Sono insidiosi all’inizio perché non fanno pensare a
neoplasia maligna. Come tutte queste forme non è una forma istologica, ma
solo una presentazione clinica; ma va contemplato fra le forme senza massa.
Multifocale (stesso Q) = ne abbiamo già accennato per quanto riguarda
il carcinoma in situ: per multifocale intendiamo più focolai o in situ o invasivi
nello stesso quadrante;
Multicentrico (differenti QQ) = più focolai o in situ o invasivi in
quadranti diversi.
Il prof. mostra uno schema sulla struttura della ghiandola mammaria: ha una
struttura lobulare con i dotti collettori fino ai galattofori che arrivano al
capezzolo eccetera.
Immagini dal Netter:
- forma cicatriziale/scirrosa: vediamo una cicatrice con aspetto tipo “granchio”,
con retrazione della cute sovrastante: retrazione del capezzolo e cute a buccia
d’arancia, scabrosa, e ciò è dovuto a retrazione cute con esaltazione della
divisione dei pori sudoripari.
- Immagine di carcinoma infiammatorio. Non c’è massa, la mammella è
arrossata con aspetto infettivo/infiammatorio, ma istologicamente la
embolizzazione dei linfatici si riconosce bene.
- Esiste anche una forma di cui non abbiamo parlato che è il carcinoma su
recidiva, facilmente inquadrabile perché nella storia clinica c’è una
asportazione di carcinoma della mammella.
Immagine macroscopica di due tipi di carcinoma della mammella considerabili
come prototipi:
Forma con cicatrice fibrosa;
Forma circoscritta. Come dicevamo, dal punto di vista radiologico e
clinico può costituire una fonte di errore, perché è una neoplasia a margini ben
demarcati che può essere scambiata benissimo per un fibroadenoma; ma dal
punto di vista clinico un cancro circoscritto ha una caratteristica palpatoria più
soffice a un fibroadenoma; il fibroadenoma è fibroelastico, per cui resiste un
po’ alla palpazione, mentre il carcinoma circoscritto, essendo più cellulato, ha
una consistenza quasi midollare ed è più tenero alla palpazione. Il tessuto è
sollevato alla superficie di sezione, è ridondante, ben vascolarizzato, con colore
grigiastro che effettivamente ricorda il midollo osseo.
HISTOTYPING
Special type
Not special type – NOS (=not otherwise specified); è un carcinoma che
non possiamo ascrivere a nessun tipo speciale.
[SPECIAL TYPE]
- Tubular: abbiamo un tipo che lascia riconoscere una differenziazione molto
importante di tipo tubulare: è ben differenziato con una struttura di tipo
ghiandolare-tubulare.
Le classificazioni servono ad affinare la prognosi, per cui devono dare
informazioni di tipo anatomoclinico, e non devono essere fini a se stesse.
Ora, ascrivendo questo carcinoma al tipo tubulare sappiamo già che ha una
spinta differenziativa molto importante e quindi ha una aggressività biologica
del tipo non speciale.
- Colloid (tipo gelatinoso/colloide/mucosecernente): corrisponde
macroscopicamente al tipo gelatinoso: anche l’aspetto istologico non dà adito a
dubbi: tutta la mucina è all’esterno del citoplasma e le cellule sono sospese
nella gelatina che esse stesse secernono. Anche questo tipo può senz’altro
avere una prognosi migliore del tipo NAS o non speciale, perchè la capacità
infiltrativa delle cellule è affidata unicamente alla capacità litica del muco nei
confronti dei tessuti circostanti, per cui anche questo tipo, a parità di
dimensioni e altre caratteristiche macroscopiche, ha aggressività inferiore al
tipo non speciale.
- Cribriform (tipo cribriforme invasivo): margini circoscritti; si vede una
demarcazione nel parenchima ghiandolare; si vede dunque già da questo che è
maligna ma che ha una infiltrazione di tipo pushing, di tipo demarcato, non
penetrating, non infiltrativo nel senso del granchio. È un istotipo ancora
sottovalutazione WHO. Ma bisogna già riconoscerlo e comunicarlo al clinico. Ha
comunque un’aggressività biologica più bassa del tipo non speciale.
- Infiammatory pattern (tipo macroscopico infiammatorio): non è un
istotipo particolare ma una presentazione clinica particolare. Quindi non è
classificabile fra i tipi speciali (infatti è in corsivo nelle slide). Però anche a
livello istologico ha le sue caratteristiche: i vasi linfatici sono pieni di cellule
neoplastiche in ampia diffusione verso la periferia. E questa è la sua unica
caratteristica, per cui non lo riconosciamo come istotipo particolare, ma lo
riconosciamo a livello istologico.
- Lobular (tipo lobulare a file indiane). È molto particolare e se ne
riconoscono molte varietà. È importante che ricordiamo che questo tipo
lobulare ha due-tre (poi ne ha dette due…) caratteristiche importanti:
1) un pattern infiltrativo estremamente dissociato, innanzitutto. Tanto
che le cellule in atteggiamento infiltrativo si dispongono come file
indiane, filiere. Questo ci rende conto di quanto sia scarsa la coesione
intercellulare e di quanto sia particolare il pattern infiltrativo di questo
carcinoma. È in grado di infiltrare l’intera ghiandola mammaria senza
provocare masse o scompaginare la struttura, ma semplicemente
espandendola perché c’è un plus di tessuto neoplastico che infiltra
l’impalcatura stromale. Spesso ci troviamo a confrontarci con casi che
non hanno effetto massa ma poi lasciano riconoscere un pattern
parcellare sicuramente molto insidioso dal punto di vista clinico.
2) La seconda caratteristica sono i “bersagli”. Sono pattern infiltrativi
estremamente dissociati = privi di coesione intercellulare e molto
diffusivi. I “bersagli” sono dotti normali circondati a carosello o a
bersaglio da filiere di cellule dissociate che non hanno penetrato i dotti
o distrutto lo stroma periduttale ma solo permeato con una imperlatura
di elementi neoplastici.
Nel lobulare invasivo possiamo trovare casi che hanno effetto massa oppure
casi che non hanno effetto massa.
- Medullary (tipo speciale midollare). Si chiama così perché è circoscritto,
con un aspetto da tessuto midollare, da midollo osseo: grigio-brunastro,
riccamente vascolarizzato; frequentemente ha un aspetto istologico di questo
tipo. Le caratteristiche istologiche sono molto importanti e per questo
dobbiamo considerarlo come uno special type. Il carcinoma midollare della
mammella, quando è in forma classica c.d. “pura” ha margini netti, circoscritti;
è un tumore che non uccide mai, ha un andamento benigno di malattia, quasi
mai è associato a metastasi linfonodali: si dice proprio che non uccide mai la
paziente.
Ha dei margini estremamente circoscritti, un tappeto sinciziale di elementi
molto scarsamente differenziati, anaplastici, con grado nucleare molto elevato,
quindi apparentemente il tumore ha un’aggressività biologica molto elevata, ed
un importante infiltrato di tipo linfocitario; se il tumore ha queste
caratteristiche non ucciderà il paziente.
Ma se è un tipo non classico, è un tipo sospetto per essere un carcinoma non
speciale (no margini netti, no grande infiltrato infiammatorio, le cellule non
sono anaplastiche ma dal mediamente allo scarsamente differenziato), allora
ricade nei tipi non speciali e allora ha un aaggressività biologica molto
importante: e va classificato come non speciale poco differenziato.
Se invece è ben circoscritto con infiltrato infiammatorio, sincizi ed elementi
anaplastici, è assolutamente a buona prognosi.
Quindi ecco le caratteristiche: infiltrato infiammatorio, forme sinciziali, non
distinguiamo i margini fra una cellula e l’altra, nuclei poco differenziati, tipo
anaplastico.
Paget.
Si presenta come una lesione eczematosa o ulcerativa dell’areola o del
capezzolo. Il Paget è un quadro che dobbiamo interpretare o come sintomo di
una malattia infiltrante sottostante o come malattia intraepiteliale a sé stante.
Che cosa significa Paget? Significa che le cellule non infiltrano oltre la cute che
riveste la ghiandola mammaria. Noi le troviamo all’interno dell’epitelio: sono
voluminose, di grande taglia, con a volte un citoplasma chiaro e un vacuolo
all’interno, che fanno una disseminazione, uno spreading, sulla base
dell’epitelio di rivestimento che distrugge lo strato basale. Il che spiega perché
il rivestimento epiteliale sopra la lesione a un certo punto non riesce più a
rigenerarsi: e nasce la ulcerazione.
Ma la membrana basale non è mai superata e lo stroma è sempre libero da
localizzazione.
E dunque per Paget si intende una presenza o diffusione (cioè abbiamo un
sintomo Paget di un carcinoma sottostante o un morbo di Paget primitivo della
cute) nell’epitelio di cellule neoplastiche di origine duttali (nel carcinoma
sottostante sono anche i dotti profondi sottostanti, se sono soltanto le porzioni
distali dei dotti che si trovano già in epidermide è il Paget propriamente detti).
Possiamo avere un carcinoma di Paget che deriva dai dotti più terminali che
sono sotto l’areola ed il capezzolo, che si trasformano, ma senza infiltrare la
membrana basale scivolano verso l’alto e vanno a interessare l’areola ed il
capezzolo, ed è il morbo di Paget. Quando invece queste cellule arrivano da
più lontano, arrivano dalla profondità della ghiandola mammaria, allora
ovviamente il Paget è un sintomo di questo tumore. A livello dell’areola e del
capezzolo noi abbbiamo sempre un’integrità della membrana basale.
Noi frequentemente ci troviamo di fronte ad un carcinoma operabile in maniera
conservativa, di dimensioni piuttosto piccole; asportabili con lobectomia, o con
quadrenctomia con asportazione dei linfonodi sentinella.
Che cosa significa però asportare una massa che contenga in un piccolo
carcinoma? Anche documentare istologicamente l’efficacia dell’ asportazione.
Come facciamo, su un tessuto che non ha altri punti di riferimento? E’ un
nodulo senza rivestimento cutaneo e senza punti di riferimento.
Non è necessario mettere più di due punti su un frammento di tessuto
asportato da una ghiandole mammaria per orientarlo completamente.
È sufficiente mettere sul nodulo asportato un punto di sutura corto e uno lungo
in modo che, conoscendo il lato dell’asportazione (ghiandola destra o sinistra),
il nodulo sia completamente orientabile nello spazio. Ad esempio, mettendo il
filo lungo sul polo superiore e il corto sulla faccia anteriore, questo basta per
orientare completamente questo nodulo.
Per cui è buona pratica negli interventi conservativi orientare il frammento di
tessuto. Questo perché con tecniche di inchiostratura o tatuaggio della
superficie esterna del nodulo riusciremo a ricostruire istologicamente
l’orientamento del pezzo ed a giudicare la validità dell’exeresi.
Potremo allora misurare la distanza fra il margine di resezione e i focolai più
vicini ad esso.
Allora potremmo avere per esempio allargamento e espansione delle varie
sezioni perché in quel punto i focolai sono troppo vicini alla resezione; e non
c’è garanzia che non sia rimasto qualche focolaio di carcinoma.
Macroscopicamente noi possiamo mantenere l’inchiostratura fino alla immagine
finale del vetrino istologico. Basta pitturare la superficie esterna con inchiostro
di china, poi provocare con un’azione mordenzante la penetrazione nella
superficie, utilizzando per esempio l’acido pirico del liquido di Bouet. Si fissa la
superficie esterna, senza compromettere il frammento di tessuto, in maniera
tale che sia possibile usare congelatori, per penetrare per un centinaio di
micron o meno la superficie esterna, che così internalizza l’inchiostro di china.
Poi possiamo sciacquare, congelare, processare in modo definitivo.
E così a livello istologico potremo misurare chiaramente la distanza della
neoplasia dal margine di resezione che rimane marcato in modo indelebile di
colore nero.
Per cui, in sintesi: con l’orientamento del frammento asportato e con
l’inchiostratura dei margini possiamo valutare facilmente l’esito della resezione.
STAGING
Noi misuriamo il diametro tumorale e studiamo la progressione locale (strati
coinvolti); poi con l’imaging studiamo il coinvolgimento linfonodale e
metastatico.
È un concetto che applichiamo soprattutto al carcinoma invasivo; però
abbiamo detto che anche il carcinoma in situ ha un suo T e un suo N; e ci sono
10-12-15% di casi di carcinoma duttale in situ che hanno già metastasi
linfonodale: quindi abbiamo stadio N ed anche uno stadio T (distanza massima
che abbiamo tra i focolai di carcinoma duttale in situ): abbiamo infatti detto
che misuriamo tale distanza per vedere la probabilità di recidiva. A maggior
ragione, nel carcinoma invasivo, se abbiamo una massa da misurare o
misuriamo con un elemento che taglia oppure con un calibro di ottone, con
accuratezza millimetrica.
T: diametro tumorale o progressione locale
N: stato progressione linfonodale
M: stato progressione a distanza
Sappiamo che c’è un cTNM e un pTNM (pTNM = pathological TNM); noi
parliamo del pTNM: cioè la stadiazione per quel che si può fare osservando le
lesioni.
T1a: lesione di carcinoma invasivo fino a 0.5 cm
T1b: fra 0.5 e 1 cm
T1c: fra 1 e 2 cm.
T1c è da solo circa un 30-40% di tutti i carcinomi invasivi della mammella. Ed
è molto frequente, oggi come oggi, imbattersi in tumori che vanno da 1 a 2
cm. Perché abbiamo parlato dei termini fase preclinica e fase clinica. E si usa lo
spartiacque di 1 cm di dimensioni per separare le due fasi. E allora vediamo
che quando il tumore è a 1 cm o poco più è la fase clinica iniziale e ne vediamo
quindi tanti.
T2: tra 2 e 5 cm senza interessamento di strutture circostanti;
T3: più di 5 cm di diametro ma ancora senza interessamento di strutture
circostanti.
T4 implica coinvolgimento dei piani profondi o della parete toracica o della
fascia che protegge il muscolo pettorale: T4a.
T4b se c’è infiltrazione diretta della cute con ulcerazione, è uno stadio piuttosto
avanzato OPPURE c’è un nodulo cutaneo satellite.
T4c: sia coinvolgimento di fascia che di cute.
Consideriamo di concerto con il clinico anche una forma “patologica” che è il
carcinoma infiammatorio (pT4d); è considerato dai clinici potenzialmente già
con metastasi a distanza, cioè per definizione non operabile ma richiedente
terapie molto mirate ed energiche. Non a caso è inquadrato nel gruppo quarto.
Linfonodi: ci sono novità recenti sulla dimensione delle metastasi all’interno
dei linfonodi, perché si è cominciato ad attribuire un significato biologico anche
a metastasi estremamente piccole. Prima si pensava di fermarci alla
caratterizzazione delle “micrometastasi”: che erano metastasi con massima
dimensione di 2 mm. Poi si parlava di metastasi vere e proprie al di sopra dei 2
mm.
Oggi, tuttavia, la micrometastasi è stata ulteriormente suddivisa in
micrometastasi al di sotto dei 2 mm fino a 0.2 mm di diametro. Fra 0.2 mm e
2 mm parliamo di micrometastasi. Se il diametro degli aggregati neoplastici è
inferiore a 0.2 mm siamo comunque autorizzati a segnalarlo. Abbiamo visto la
risoluzione del microscopio. E questa è proprio la dimensione che appena
riconosciamo ad occhio nudo (200 micron). Dunque siamo al limite della
capacità di riconoscere una micrometastasi a livello del linfonodo. Al di sotto di
questa soglia interviene il microscopio e parliamo di ITC = Isolated Tumour
Cells.
Dunque: fino ai 200 micron (=0.2 mm), ITC; fra 0.2 mm e 2 mm
micrometastasi; oltre 2 mm, metastasi.
Nella TNM c’è una stadiazione con importanza clinica:
Classe N1: i linfonodi si mantengono isolati con capsule integre.
N2: impacchettamento dei linfonodi ascellari.
Questa è una distinzione importante a livello anatomoclinico. Se andiamo a
vedere, è importante il numero dei linfonodi colpiti: abbiamo la possibilità di
distinguere da 1 a 3 linfonodi in N1a, N2a 4-9, N3 oltre 10.
Ma la distinzione importante fra N1 e N2 rimane quella fra linfonodi fissi e non
fissi.
N3: abbiamo detto 10 linfonodi colpiti o oltre. Una novità che conviene
sottolineare: possono essere considerati nella conta anche linfonodi
extratoracici come quelli sopraclaveari o laterocervicali. Perché fino a qualche
anno fa questi linfonodi si cosideravano M+; oggi si considerano N3+. È come,
cioè, se la paziente avesse 10, 12 o 13 linfonodi ascellari in sede di metastasi.
Schema che tratta un modo di classificare i linfonodi satelliti o locoregionali
della mammella che qualcuno considererebbe obsoleto ma obsoleto non è.
Molti chirurghi, proprio perché le tecniche operatorie implicano che si continui a
classificare in modo regionale, tendono a continuare ad usare questo tipo di
terminologia. Questi sono i famosi linfonodi di livello diverso. Linfonodi di primo
livello (quelli più vicini alla ghiandola mammaria), secondo livello, terzo livello
(quelli più esterni). Quello che è importante è che topograficamente il primo
livello è al di fuori del margine esterno della fascia del piccolo pettorale,
secondo livello è tra i due margini (laterale e mediale) della fascia, terzo
livello: mediali al margine mediale della fascia del piccolo pettorale.
È una terminologia importante a livello chirurgico ma anche nelle refertazioni
sia operatoria che anatomopatologica. Si parla di “livelli”. Non è un
classificazione di tipo TNM ma sostanzialmente chirurgico.
Seconda parte:
CARATTERIZZAZIONE BIOPATOLOGICA DEL CARCINOMA INVASIVO
Lo facciamo per due motivi:
Prognosi: cercare di capire l’aggressività biologica.
Predizione di risposta a terapia medica: quali sono i punti vulnerabili di
questo tumore in maniera che dal punto di vista clinico si abbia indirizzo
terapeutico il più efficace possibile.
Questo perché il cancro della mammella è un modello interessante di legame
fra diagnostica, eziopatogenesi e terapia, perché è stato studiato in maniera
intensiva.
Vedremo poi che alcuni indicatori prognostici coincidono anche con alcuni
indicatori di terapia, ma questo non è un problema: a cambiare è solo il punto
di vista, la finalità con cui si guarda a questo parametro: ciò ha un significato
prognostico o di indicatore di terapia.
Principali marcatori prognostici consolidati nel carcinoma della mammella:
1.
Età (fase fertile vs stato menopausale)
2.
pTNM
3.
Istotipo
4.
Grado di differenziazione tumorale (G)
5.
Attività proliferativa tumorale
6.
Ormonodipendenza (ER e PR)
(Consensus meeting St.Gallen, Svizzera marzo 2003)
In quest’elenco ci sono cose molto importanti da punto di vista clinico; come
l’età; e quando si dice età nel cancro della mammella intendiamo soprattutto
stato menopausale, fase fertile vs fase non fertile, ormoni vs non ormoni; poi
ognuno deve fare le proprie medie, considerare i vari parametri di stima
dell’età che usano un proprio criterio di cut off. Il concetto della validazione dei
dati nelle proprie cliniche vedremo che bisognerà sempre riproporre e
considerare.
Il pTNM, sicuramente, come fattore di prognosi è piuttosto pesante.
L’istotipo non va sottovalutato (tipo speciale vs tipo non speciale). Ma qui
entriamo un poco nel vivo della situazione, della caratterizzazione
biopatologica del cancro della mammella, perché sono delle cose in più che
dobbiamo cercare di fare per capire l’aggressività del tumore.
Grading: grado di differenziazione tumorale. Lo conosciamo dalla patologia
generale e sappiamo cos’è.
L’ ormonodipendenza è tipica del cancro della mammella ma non dobbiamo
dimenticare che riguarda anche il cancro dell’endometrio. Ed è sicuramente un
modello da ricordare.
È importante perché se pensiamo in termini statistici e facciamo categorie di
pazienti (A = pazienti con recettori per estrogeni e progesterone; poi grado di
differenziazione 1 (tumore ben differenziato); poi T1c (massimo diametro 2
cm); poi età superiore a 35 anni; questi pazienti sono sicuramente a minor
rischio del gruppo cosiddetto B = uno o tutti e due i recettori assenti; tumore
più grande di 2 cm di grado 2 o 3; età <35).
Se proviamo a fare schematicamente una divisione su questo tipo di parametri
abbiamo un risultato molto importante e significativo; sono pazienti senza
metastasi linfonodali; i fattori di rischio da eliminare sono appunto le metastasi
linfonodali. consideriamo età, stato e dimensioni del tumore stesso. Sono pochi
parametri che combinati insieme ci fanno stratificare in modo sensibilmente
diverso fra pazienti a basso rischio e pazienti ad alto rischio.
E allora vediamo che la percentuale di risk-free patients è molto diversa. E
possiamo adottare parametri di questo tipo per capire se sono pazienti che
possiamo trattare in modo adiuvante per cercare di abbattere le percentuali di
ripresa di malattia.
Sono parametri molto importanti perché vedremo che oggi una paziente non
viene operata chirurgicamente anche se il tumore è piccolo, i linfonodi sono
relativi, i recettori possono esserci o no; piuttosto, si considera se fare una
terapia ulteriore, sistemica, proprio per ridurre il rischio di progressione di
malattia. E allora se la paziente rientra in una categoria di tipo B, sicuramente
può essere avvicinata a una terapia più importante. Non dobbiamo dimenticare
i parametri più importanti su cui basare solidamente una terapia.
Innanzitutto, c’è la diagnosi morfologica che è una stima del T, il G, il tipo di
tumore.
Grading
Il grading è uno score, un punteggio che si dà al tumore; è una valutazione
morfologica; indica semplicemente una stima di quanto il tumore si ritiene
bene o poco differenziato; cioè, quanto il tumore ricorda, da un punto di vista
istocitologico, architetturale, il tessuto normale.
Allora, di solito vedremo un punteggio che si esprime su una scala in tre gradi,
da I a III: i numeri più bassi sono quelli che stanno ad indicare un miglior
grado di differenziazione ed una minore aggressività biologica, mentre i numeri
più alti indicano una maggiore aggressività biologica.
Vedremo noi stessi altri sistemi di grading in altri organi, grading più articolati,
grading su punteggi più estesi e così via. Su 3 gradi la possibilità di malattia è
piuttosto limitata. È chiaro che possiamo prevedere l’andamento di malattia su
un grado III (GIII), perché quello è sicuramente più aggressivo. Ma che cosa
dire dei gradi 2? Sono un po’ una terra di mezzo in cui è difficile stabilire con
certezza l’andamento di malattia. Altri parametri ci aiutano a capire che cosa
succede in questi tumori che hanno un grado intermedio di differenziazione.
Ciononostante, anche questo grading continua ad avere una valenza molto
importante; si calcola facendo una valutazione dei parametri principali del
tumore: la struttura tubulare; il grado di differenziazione nucleare; la presenza
delle mitosi all’interno del tumore stesso.
Noi abbiamo:
t = differenziazione tubulare;
n = differenziazione nucleare;
m = numero di mitosi.
Paradossalmente sono le stesse consonanti del TNM, ma qui sono tnm in
minuscolo. Ed è il tnm piccolo del grading, non dello staging. Qui invece
parliamo del grading.
Dalla valutazione della presenza o meno dei tubuli e del loro numero diamo un
numero, da 1 a 3 (1 quando i tubuli sono molto ben rappresentati e numerosi,
3 se sono assenti o pochissimo rappresentati). Così n piccolo (1 se nuclei ben
differenziati fino a 3 scarsamente differenziati); e mitosi (1 se numero di mitosi
basso o assenti; fino a 3 in numero alto).
Allora sommando abbiamo la possibilità di avere un punteggio finale che va da
un minimo di 3 a un massimo di 9: 3 nel caso in cui tutti e tre siano uguali a 1,
9 se tutti e tre sono uguali a 9.
E allora abbiamo poi un grading finale: 8, 9 = G III; 6, 7= G II; 3, 4, 5 = G I.
Attività mitotica ed attività proliferativa
Parliamo dell’attività proliferativa. È un fattore prognostico molto importante,
ma al tempo stesso capace di indicarci la potenziale risposta a una terapia
antiblastica. Perché noi, facendo una stima dell’ attività mitotica o proliferativa,
diciamo quanto il tumore è attivo dal punto di vista della crescita, e sono
proprio quelli più attivi che possono essere colpiti con farmaci che inibiscono la
crescita cellulare. Per cui in questo modo offriamo anche una indicazione
sull’efficacia di questa terapia. Che fattori abbiamo per studiare l’attività
mitotica e proliferativa in un tumore?
1.
Conta delle mitosi : l’indice mitotico (morfologica)
2.
Ki67 (immunoistochimica): tecnica immunoistochimica che ci dice quante
cellule sono in attività proliferativa;
3.
PFS (citofluorimetria a flusso): stima con buona approssimazione la
percentuale di cellule che sono nella fase S della crescita cellulare.
Dunque sono parametri che fotografano situazioni diverse: le mitosi sono in
realtà l’ultima fase della crescita cellulare; l’attività proliferativa vera e propria
è semmai quella misurata da Ki-67, che è un parametro che indica un
momento più ampio della fase della crescita cellulare rispetto alle mitosi; così
come la citometria a flusso fotografa la fase S, cioè le cellule che stanno
sintetizzando DNA, non le cellule che si stanno dividendo o hanno finito
completamente di risintetizzare il DNA.
Mitosi.
Morfologicamente sono valutabili in modo alquanto accurato. Ci sono due
strumenti per esaltare l’accuratezza della stima del numero di mitosi in una
sezione istologica tumorale:
a)
Porre criteri oggettivi di diagnosi di figura mitotica! Almeno due
condizioni devono essere verificate:
Assenza totale della membrana del nucleo
Riconoscimento una delle figure note della divisione cellulare mitotica
(anafase, metafase, telofase...)
Solo allora siamo autorizzati a diagnosticare mitosi.
b)
Standardizzare la superficie osservata. Cioè, riportare il numero di mitosi
totali con questi criteri stringenti ad una superficie standard di sezione
istologica. In genere si usa il millimetro quadrato. Per cui dobbiamo osservare
tanti campi da ottenere un millimetro quadrato. E quindi dare il numero di
mitosi per superficie osservata.
Ki-67: tecnica immunoistochimica che come al solito, appare marrone bruciato
(reazione antigene-anticorpo).
Questo ci dice il fatto che c’è una attività proliferativa, perché questa proteina
inizia ad essere espressa all’inizio della fase S e finisce alla fine della fase M.
Per cui è superiore ad un indice mitotico studiato morfologicamente, almeno
sulla carta, perché copre una percentuale maggiore della durata della divisione
cellulare, e comprende quest’ultima.
Quindi possiamo dare una valutazione percentuale degli elementi con positività
nucleare per Ki-67 (che si trova nel nucleo, si vedono i nuclei colorati) sul
totale della popolazione cellulare.
Per cui noi con Ki-67 riusciamo a riconoscere sia elementi in fase S sia
elementi in mitosi vera e propria.
Con la citofluorimetria a flusso possiamo stabilire due caratteri importanti:
1)
Quanto il tumore è aneuploide: cioè quanto il contenuto in DNA nucleare
è lontano dal normale
2)
Quale è la percentuale di cellule in fase S. È un parametro molto
affidabile per capire qual è la frazione di crescita del tumore: è un parametro
numerico, continuo, discretamente riproducibile; un qualcosa di più affidabile
di una valutazione soggettiva di un numero di mitosi valutato in una sezione
istologica.
Dal punto di vista pratico è una metodica molto semplice: si prende un piccolo
frammento di tessuto fresco e si usa un liquido con queste due caratteristiche:
Estrarre i nuclei dal tessuto
Colorarli con un fluoro cromo che ha la capacità di legarsi
stechiometricamente con il DNA: si legherà in modo proporzionale e stringente
con la quantità di DNA presente in ogni nucleo. E siccome è stechiometrico c’è
una accuratissima sensibilità di questo legame. Per cui capiremo innanzitutto di
base quanto DNA c’è in ogni nucleo; ed anche se nelle cellule questo DNA sta
aumentando; e se addirittura ha raddoppiato completamente il contenuto di
DNA per nucleo; e come è la distribuzione nelle varie fasi della divisione
cellulare, soprattutto la fase S, che indica più di tutti la frazione di crescita di
un tumore.
Trattando i tessuti con questo liquido, alla fine abbiamo dei nuclei che sono
intensamente colorati; che guardiamo al microscopio e ci sembra che sono
colorati allo stesso modo. Con l’ausilio dello strumento riusciamo a quantificare
la colorazione in modo accurato.
E noi riusciamo a studiare la distribuzione di questi elementi in tutte le fasi del
ciclo cellulare:
MG0 resting
G0G1 commitment
G1S DNA synthesis
SG2 duplication
G2M mitosis
MG0 resting
la normalità è il contenuto diploide; l’anormalità è il contenuto più o meno
aneuploide.
Lo strumento citofluorometrico ci dice qual è l’intensità di fluorescenza per
nucleo in termini numerici.
La nostra accortezza è immettere all’interno del campione anche un nucleo di
globulo rosso di trota che ha una quantità nota di DNA. Ci serve come
parametro perché sappiamo già che l’emazia di trota ha un piccolo nucleo di 5
pg di DNA. Noi così tariamo il sistema, che alla fine ci dà un grafico, dove
abbiamo sulle ascisse l’intensità di fluorescenza, ed in ordinata il numero di
eventi registrati, cioè il numero di nuclei. Ed allora noi tariamo il sistema in
modo da mettere le emazie di trota sul canale 50, sul grafico si vede una
piccola gobba che corrisponde appunto alle emazie di trota messe nel sistema.
Grafico di una situazione normale o di un tumore che sia diploide, perché in un
tumore può esserci anche una mutazione puntiforme.
E allora noi vediamo la aneuploidia. La sensibilità è del 5%: cioè dobbiamo
avere variazioni di contenuto di DNA del nucleo almeno uguali al 5% perché
tutto funzioni.
Allora nel tumore quasi diploide, quasi normale, abbiamo la corvetta delle
emazie, abbiamo poi un picco molto importante sul canale 80, un altro picco
sul canale 82-83, e queste sono le fasi G0G1 del campione che stiamo
esaminando: cioè ì contenuti diploidi dei nuclei in condizioni normali, oppure di
un tumore diciamo normale.
Quì notiamo una piccola gobba nell’aria 160-170: sono gli elementi che hanno
raddoppio totale del contenuto di DNA, cioè la fase G2M. Nel canale 80
invece abbiamo G0G1.
E che cos’è la striscia fra 80 e 160? Gli elementi in fase S, che aumentano via
via la quantità di DNA fino a raddoppiarla ed acquistano una fluorescenza piano
piano superiore.
E allora con una integrazione (area delle superfici dei picchi) calcoliamo quante
cellule sono in ogni fase del ciclo cellulare.
Un altro caso, altro grafico:
- nel canale 50 abbiamo sempre una piccola quantità di emazie di trota;
- poi abbiamo un picco a 80;
- poi subito dopo una spalla confusa;
- e se cerchiamo il picco diploide a 160 non lo troviamo;
- invece a 120 c’è un enorme picco che significa qualcosa: probabilmente
è un clone cellulare molto rappresentato!
- E allora vediamo che cosa c’è al doppio di questa intensità: troviamo una
gobba importantissima a 220-240!
E che cosa possiamo dedurre da questo?
Al canale 80 abbiamo un qualcosa di diploide: o un clone tumorale diploide o
cellule stromali o normali; abbiamo una spalla quasi diploide che può essere
cose varie, che può essere un clone neoplastico; ma quello su cui dobbiamo
concentrare l’attenzione è il grosso picco nel canale 120, che è la fase G0G1
di un clone neoplastico. E infatti a 220-240 ci sono le cellule in fase G2M del
clone neoplastico aneuploide a 120!!! E fra il picco a 120 e 220-240 ci sono le
cellule in fase S.
Possiamo quindi calcolare la % di cellule in fase S.
Altra cosa calcolabile: il grado di aneuploidia = indice di DNA: possiamo
esprimere un numero che sia indicativo di quanto il picco neoplastico è lontano
o vicino dalla normalità. E allora noi facciamo il rapporto fra il canale dove esce
il picco G0->G1 del tumore e canale dove ci aspettiamo il picco G0->G1
diploide! Questo è l’indice di DNA, il DNA index che è un parametro del frado di
aneuploidia del tumore. Esempio: in questo caso il rapporto è 80/80: cioè il
picco diploide appare dove ce lo aspettiamo.
Se un tumore ha un DNA index di 1 è un tumore diploide.
Qui se facciamo 120/80 viene 1.50; se il DNA index è maggiore di 1 è
aneuploide e sarà tanto maggiore di 1 quanto più è anormale e peggiore la
prognosi (anche l’aneuploidia è un fattore di prognosi).
Fermiamoci ora.
gabriella
[
luca]
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Saluti e ringraziamenti sono rinviati alla prossima sbob…