ANATOMIA PATOLOGICA 22-10-07 h. 12:30 – 14:30 Prof. Carbone Il prof dice che sulla sua Aula virtuale troviamo una serie di pdf; la password è “leggimi” in minuscolo. La lezione inizia con mezz’ora di ritardo a causa di problemi con il proiettore. CARCINOMA INVASIVO DELLA MAMMELLA Il carcinoma invasivo della mammella è una malattia molto importante dal punto vista anatomo patologico, clinico, e sociale, ha un impatto sociale molto importante; è una malattia molto frequente e riguarda principalmente il sesso femminile, anche se ne esistono casi anche nel sesso maschile. Divideremo l’argomento in due importanti sezioni: una è la parte descrittiva, anatomo-clinica; l’altra è più laboratoristica. Il carcinoma della mammella ha una grande valenza sia clinica che sociale. Si deve accennare anche alle problematiche legate alla diagnosi precoce, e pesa molto dal punta di vista anche perché si può fare molto proprio a livello di indagini precoci e cure efficaci. CLASSIFICAZIONE CARCINOMA INVASIVO Tipo non speciale (ex CDI-NAS) Tipo speciale: midollare classico, lobulare e sue varianti, tubulare, gelatinosi, papillare, metaplastico, adenoide cistico, apocrino, cribriforme puro, infiammatorio. Le classificazioni hanno senso solo nella misura in cui hanno un significato clinico. Dal punto di vista istotipico-microscopico-biomorfologico, abbiamo dunque due categorie: nei tipi non speciali comprendiamo quello che chiamavamo prima Carcinoma Duttale Invasivo – Non Altrimenti Specificato, nei tipi speciali invece molte forme particolari. DEFINIZIONE ED INCIDENZA - Istogeneticamente si definisce come la neoplasia maligna dell’epitelio secretorio (“nobile”, funzionale) della ghiandola mammaria. - È ormonodipendente (dagli estrogeni): per crescere ha bisogno degli estrogeni. - È la neoplasia maligna più frequente nella donna: 20-25% di tutti i tumori femminili. - Una donna su 13 (nel mondo occidentale) è potenzialmente portatrice di carcinoma della mammella. - È mortale attorno al 30-40% dei casi. Dunque c’è discrepanza fra incidenza elevata (e morbilità elevata) e bassa mortalità. FATTORI DI RISCHIO: 1) Familiarità Significa che quando una donna ha un consanguigno affetto da carcinoma della mammella, questo può essere un dato anamnestico molto importante. E poi bisogna sapere in che fase della sua vita il parente ha avuto il carcinoma alla mammella, perché il rischio cambia. a) Se insorto nel periodo fertile della vita della familiare: X3 b) Se insorto bilateralmente nel periodo fertile della vita della familiare: X9 c) Se insorto in menopausa: X1.5 Il massimo del rischio è quindi quando si ha una parente che ha avuto un carcinoma della mammella in età fertile bilateralmente, ed allora il rischio comincia ad essere veramente importante, addirittura dieci volte di più. Oggi si parla anche di rischio genetico e di ablazione, mastectomia preventiva perché con l’età aumentano rischi di mutazioni di BRAC1, BRAC2. Ma questo tipo di intervento ha sollevato problemi etici. Anche perché c’è una differenza fra genoma ed ambiente (cioè l’espressione del genoma) e tra nature e nurture (nutrimento del genoma, interazione con l’ambiente): genoma e espressione del genoma sono cose diverse. Persone con uno stesso genoma possono avere un diverso fenotipo, che può dipendere pesantemente dall’interazione con l’ambiente! Quindi avere una mutazione non significa necessariamente avere poi il tumore e non legittima ad asportare la ghiandola, anche se sicuramente aumenta il rischio. 2) Lunghezza della vita fertile = tempo di esposizione agli ormoni: a) Se >40 anni (per menarca precoce, menopausa tardiva o entrambe): X2 3) Nulliparità, gravidanze tardive (essendo periodi di deprivazione ormonale, le gravidanze hanno un’azione protettiva; anche l’allattamento.) a) L’una o l’altra condizione: X3 FORME MACROSCOPICHE: Cicatriziale/scirroso: è quello più comune, ha un aspetto a tenaglia: massa cicatriziale fibrosa retraente, dura, che lascia partire dei sepimenti verso il parenchima ghiandolare; il tipico aspetto del “cancro”, qualcosa di maligno penetrante e infiltrante i tessuti. È quello più frequentemente osservato, quello che più facilmente provoca retrazione dei tessuti circostanti, deformazione della ghiandola mammaria, retrazione del capezzolo, difficile non riconoscerlo nella pratica clinica. Circoscritto: è piuttosto insidioso, ne abbiamo parlato a proposito del fibroadenoma. Si presenta macroscopicamente benigno perché cresce in modo espansivo, con margini regolari; solo, ha poi caratteristiche macroscopiche variabili: è un tessuto sì circoscritto ma più carnoso e cellulato (diverso quindi dall’elasticità del fibroadenoma). Gelatinoso: morbido, che in realtà è un accumulo di muco dovuto al fatto che le cellule cancerose producono mucina ma invece di tenerla nel citoplasma sottoforma di micro o macrovacuoli (come le cellule ad anello con castone, cellule con sigillo) la sputano immediatamente fuori nel citoplasma; ma la mucina ha una attività litica, separa le fibre di collagene dello stroma e forma questi laghi pieni di muco, di gelatina in cui navigano queste cellule che a guardarle non hanno un aspetto muciparo. Microscopicamente si presentano come passerelle molto dense ma molto morbide dal punto di vista della palpazione. Eczematoso/ulcerativo (Paget): è un tipo dermatopatico: il carcinoma che si presenta come un eczema, un’ulcera del capezzolo o dell’areola, un’area infiammata al centro della mammella. È il tipo pagetoide del carcinoma della mammella: è un tipo di cancro che però poi bisogna valutare attentamente dal punto di vista anatomo-clinico, se sia un sintomo di un carcinoma invasivo sottostante, con scivolamento alla superficie con ulcerazione, oppure se sia un morbo di Paget, cioè un tumore in situ della cute del capezzolo senza associata neoplasia invasiva. Senza massa definita = massless: senza massa, senza tumore. Sono insidiosi e principalmente di due tipi: o A pattern infiltrativo dissociato = carcinoma lobulare invasivo. Con capacità di infiltrare senza sconvolgere il tessuto ghiandolare. o Infiammatorio = si presenta come una eresipela, un’infiammazione della mammella, apparentemente sembra una mastite con la cute arrossata ed anche eczematosa, ma senza una massa precisa, istologicamente forse il suo hallmark, la caratteristica precisa, è l’infiltrazione dei linfatici. Ma non è una forma anatomica precisa, solo una forma di presentazione clinica di un carcinoma della mammella, però lo contempliamo tra quelle lesioni senza massa mammella. Sono insidiosi all’inizio perché non fanno pensare a neoplasia maligna. Come tutte queste forme non è una forma istologica, ma solo una presentazione clinica; ma va contemplato fra le forme senza massa. Multifocale (stesso Q) = ne abbiamo già accennato per quanto riguarda il carcinoma in situ: per multifocale intendiamo più focolai o in situ o invasivi nello stesso quadrante; Multicentrico (differenti QQ) = più focolai o in situ o invasivi in quadranti diversi. Il prof. mostra uno schema sulla struttura della ghiandola mammaria: ha una struttura lobulare con i dotti collettori fino ai galattofori che arrivano al capezzolo eccetera. Immagini dal Netter: - forma cicatriziale/scirrosa: vediamo una cicatrice con aspetto tipo “granchio”, con retrazione della cute sovrastante: retrazione del capezzolo e cute a buccia d’arancia, scabrosa, e ciò è dovuto a retrazione cute con esaltazione della divisione dei pori sudoripari. - Immagine di carcinoma infiammatorio. Non c’è massa, la mammella è arrossata con aspetto infettivo/infiammatorio, ma istologicamente la embolizzazione dei linfatici si riconosce bene. - Esiste anche una forma di cui non abbiamo parlato che è il carcinoma su recidiva, facilmente inquadrabile perché nella storia clinica c’è una asportazione di carcinoma della mammella. Immagine macroscopica di due tipi di carcinoma della mammella considerabili come prototipi: Forma con cicatrice fibrosa; Forma circoscritta. Come dicevamo, dal punto di vista radiologico e clinico può costituire una fonte di errore, perché è una neoplasia a margini ben demarcati che può essere scambiata benissimo per un fibroadenoma; ma dal punto di vista clinico un cancro circoscritto ha una caratteristica palpatoria più soffice a un fibroadenoma; il fibroadenoma è fibroelastico, per cui resiste un po’ alla palpazione, mentre il carcinoma circoscritto, essendo più cellulato, ha una consistenza quasi midollare ed è più tenero alla palpazione. Il tessuto è sollevato alla superficie di sezione, è ridondante, ben vascolarizzato, con colore grigiastro che effettivamente ricorda il midollo osseo. HISTOTYPING Special type Not special type – NOS (=not otherwise specified); è un carcinoma che non possiamo ascrivere a nessun tipo speciale. [SPECIAL TYPE] - Tubular: abbiamo un tipo che lascia riconoscere una differenziazione molto importante di tipo tubulare: è ben differenziato con una struttura di tipo ghiandolare-tubulare. Le classificazioni servono ad affinare la prognosi, per cui devono dare informazioni di tipo anatomoclinico, e non devono essere fini a se stesse. Ora, ascrivendo questo carcinoma al tipo tubulare sappiamo già che ha una spinta differenziativa molto importante e quindi ha una aggressività biologica del tipo non speciale. - Colloid (tipo gelatinoso/colloide/mucosecernente): corrisponde macroscopicamente al tipo gelatinoso: anche l’aspetto istologico non dà adito a dubbi: tutta la mucina è all’esterno del citoplasma e le cellule sono sospese nella gelatina che esse stesse secernono. Anche questo tipo può senz’altro avere una prognosi migliore del tipo NAS o non speciale, perchè la capacità infiltrativa delle cellule è affidata unicamente alla capacità litica del muco nei confronti dei tessuti circostanti, per cui anche questo tipo, a parità di dimensioni e altre caratteristiche macroscopiche, ha aggressività inferiore al tipo non speciale. - Cribriform (tipo cribriforme invasivo): margini circoscritti; si vede una demarcazione nel parenchima ghiandolare; si vede dunque già da questo che è maligna ma che ha una infiltrazione di tipo pushing, di tipo demarcato, non penetrating, non infiltrativo nel senso del granchio. È un istotipo ancora sottovalutazione WHO. Ma bisogna già riconoscerlo e comunicarlo al clinico. Ha comunque un’aggressività biologica più bassa del tipo non speciale. - Infiammatory pattern (tipo macroscopico infiammatorio): non è un istotipo particolare ma una presentazione clinica particolare. Quindi non è classificabile fra i tipi speciali (infatti è in corsivo nelle slide). Però anche a livello istologico ha le sue caratteristiche: i vasi linfatici sono pieni di cellule neoplastiche in ampia diffusione verso la periferia. E questa è la sua unica caratteristica, per cui non lo riconosciamo come istotipo particolare, ma lo riconosciamo a livello istologico. - Lobular (tipo lobulare a file indiane). È molto particolare e se ne riconoscono molte varietà. È importante che ricordiamo che questo tipo lobulare ha due-tre (poi ne ha dette due…) caratteristiche importanti: 1) un pattern infiltrativo estremamente dissociato, innanzitutto. Tanto che le cellule in atteggiamento infiltrativo si dispongono come file indiane, filiere. Questo ci rende conto di quanto sia scarsa la coesione intercellulare e di quanto sia particolare il pattern infiltrativo di questo carcinoma. È in grado di infiltrare l’intera ghiandola mammaria senza provocare masse o scompaginare la struttura, ma semplicemente espandendola perché c’è un plus di tessuto neoplastico che infiltra l’impalcatura stromale. Spesso ci troviamo a confrontarci con casi che non hanno effetto massa ma poi lasciano riconoscere un pattern parcellare sicuramente molto insidioso dal punto di vista clinico. 2) La seconda caratteristica sono i “bersagli”. Sono pattern infiltrativi estremamente dissociati = privi di coesione intercellulare e molto diffusivi. I “bersagli” sono dotti normali circondati a carosello o a bersaglio da filiere di cellule dissociate che non hanno penetrato i dotti o distrutto lo stroma periduttale ma solo permeato con una imperlatura di elementi neoplastici. Nel lobulare invasivo possiamo trovare casi che hanno effetto massa oppure casi che non hanno effetto massa. - Medullary (tipo speciale midollare). Si chiama così perché è circoscritto, con un aspetto da tessuto midollare, da midollo osseo: grigio-brunastro, riccamente vascolarizzato; frequentemente ha un aspetto istologico di questo tipo. Le caratteristiche istologiche sono molto importanti e per questo dobbiamo considerarlo come uno special type. Il carcinoma midollare della mammella, quando è in forma classica c.d. “pura” ha margini netti, circoscritti; è un tumore che non uccide mai, ha un andamento benigno di malattia, quasi mai è associato a metastasi linfonodali: si dice proprio che non uccide mai la paziente. Ha dei margini estremamente circoscritti, un tappeto sinciziale di elementi molto scarsamente differenziati, anaplastici, con grado nucleare molto elevato, quindi apparentemente il tumore ha un’aggressività biologica molto elevata, ed un importante infiltrato di tipo linfocitario; se il tumore ha queste caratteristiche non ucciderà il paziente. Ma se è un tipo non classico, è un tipo sospetto per essere un carcinoma non speciale (no margini netti, no grande infiltrato infiammatorio, le cellule non sono anaplastiche ma dal mediamente allo scarsamente differenziato), allora ricade nei tipi non speciali e allora ha un aaggressività biologica molto importante: e va classificato come non speciale poco differenziato. Se invece è ben circoscritto con infiltrato infiammatorio, sincizi ed elementi anaplastici, è assolutamente a buona prognosi. Quindi ecco le caratteristiche: infiltrato infiammatorio, forme sinciziali, non distinguiamo i margini fra una cellula e l’altra, nuclei poco differenziati, tipo anaplastico. Paget. Si presenta come una lesione eczematosa o ulcerativa dell’areola o del capezzolo. Il Paget è un quadro che dobbiamo interpretare o come sintomo di una malattia infiltrante sottostante o come malattia intraepiteliale a sé stante. Che cosa significa Paget? Significa che le cellule non infiltrano oltre la cute che riveste la ghiandola mammaria. Noi le troviamo all’interno dell’epitelio: sono voluminose, di grande taglia, con a volte un citoplasma chiaro e un vacuolo all’interno, che fanno una disseminazione, uno spreading, sulla base dell’epitelio di rivestimento che distrugge lo strato basale. Il che spiega perché il rivestimento epiteliale sopra la lesione a un certo punto non riesce più a rigenerarsi: e nasce la ulcerazione. Ma la membrana basale non è mai superata e lo stroma è sempre libero da localizzazione. E dunque per Paget si intende una presenza o diffusione (cioè abbiamo un sintomo Paget di un carcinoma sottostante o un morbo di Paget primitivo della cute) nell’epitelio di cellule neoplastiche di origine duttali (nel carcinoma sottostante sono anche i dotti profondi sottostanti, se sono soltanto le porzioni distali dei dotti che si trovano già in epidermide è il Paget propriamente detti). Possiamo avere un carcinoma di Paget che deriva dai dotti più terminali che sono sotto l’areola ed il capezzolo, che si trasformano, ma senza infiltrare la membrana basale scivolano verso l’alto e vanno a interessare l’areola ed il capezzolo, ed è il morbo di Paget. Quando invece queste cellule arrivano da più lontano, arrivano dalla profondità della ghiandola mammaria, allora ovviamente il Paget è un sintomo di questo tumore. A livello dell’areola e del capezzolo noi abbbiamo sempre un’integrità della membrana basale. Noi frequentemente ci troviamo di fronte ad un carcinoma operabile in maniera conservativa, di dimensioni piuttosto piccole; asportabili con lobectomia, o con quadrenctomia con asportazione dei linfonodi sentinella. Che cosa significa però asportare una massa che contenga in un piccolo carcinoma? Anche documentare istologicamente l’efficacia dell’ asportazione. Come facciamo, su un tessuto che non ha altri punti di riferimento? E’ un nodulo senza rivestimento cutaneo e senza punti di riferimento. Non è necessario mettere più di due punti su un frammento di tessuto asportato da una ghiandole mammaria per orientarlo completamente. È sufficiente mettere sul nodulo asportato un punto di sutura corto e uno lungo in modo che, conoscendo il lato dell’asportazione (ghiandola destra o sinistra), il nodulo sia completamente orientabile nello spazio. Ad esempio, mettendo il filo lungo sul polo superiore e il corto sulla faccia anteriore, questo basta per orientare completamente questo nodulo. Per cui è buona pratica negli interventi conservativi orientare il frammento di tessuto. Questo perché con tecniche di inchiostratura o tatuaggio della superficie esterna del nodulo riusciremo a ricostruire istologicamente l’orientamento del pezzo ed a giudicare la validità dell’exeresi. Potremo allora misurare la distanza fra il margine di resezione e i focolai più vicini ad esso. Allora potremmo avere per esempio allargamento e espansione delle varie sezioni perché in quel punto i focolai sono troppo vicini alla resezione; e non c’è garanzia che non sia rimasto qualche focolaio di carcinoma. Macroscopicamente noi possiamo mantenere l’inchiostratura fino alla immagine finale del vetrino istologico. Basta pitturare la superficie esterna con inchiostro di china, poi provocare con un’azione mordenzante la penetrazione nella superficie, utilizzando per esempio l’acido pirico del liquido di Bouet. Si fissa la superficie esterna, senza compromettere il frammento di tessuto, in maniera tale che sia possibile usare congelatori, per penetrare per un centinaio di micron o meno la superficie esterna, che così internalizza l’inchiostro di china. Poi possiamo sciacquare, congelare, processare in modo definitivo. E così a livello istologico potremo misurare chiaramente la distanza della neoplasia dal margine di resezione che rimane marcato in modo indelebile di colore nero. Per cui, in sintesi: con l’orientamento del frammento asportato e con l’inchiostratura dei margini possiamo valutare facilmente l’esito della resezione. STAGING Noi misuriamo il diametro tumorale e studiamo la progressione locale (strati coinvolti); poi con l’imaging studiamo il coinvolgimento linfonodale e metastatico. È un concetto che applichiamo soprattutto al carcinoma invasivo; però abbiamo detto che anche il carcinoma in situ ha un suo T e un suo N; e ci sono 10-12-15% di casi di carcinoma duttale in situ che hanno già metastasi linfonodale: quindi abbiamo stadio N ed anche uno stadio T (distanza massima che abbiamo tra i focolai di carcinoma duttale in situ): abbiamo infatti detto che misuriamo tale distanza per vedere la probabilità di recidiva. A maggior ragione, nel carcinoma invasivo, se abbiamo una massa da misurare o misuriamo con un elemento che taglia oppure con un calibro di ottone, con accuratezza millimetrica. T: diametro tumorale o progressione locale N: stato progressione linfonodale M: stato progressione a distanza Sappiamo che c’è un cTNM e un pTNM (pTNM = pathological TNM); noi parliamo del pTNM: cioè la stadiazione per quel che si può fare osservando le lesioni. T1a: lesione di carcinoma invasivo fino a 0.5 cm T1b: fra 0.5 e 1 cm T1c: fra 1 e 2 cm. T1c è da solo circa un 30-40% di tutti i carcinomi invasivi della mammella. Ed è molto frequente, oggi come oggi, imbattersi in tumori che vanno da 1 a 2 cm. Perché abbiamo parlato dei termini fase preclinica e fase clinica. E si usa lo spartiacque di 1 cm di dimensioni per separare le due fasi. E allora vediamo che quando il tumore è a 1 cm o poco più è la fase clinica iniziale e ne vediamo quindi tanti. T2: tra 2 e 5 cm senza interessamento di strutture circostanti; T3: più di 5 cm di diametro ma ancora senza interessamento di strutture circostanti. T4 implica coinvolgimento dei piani profondi o della parete toracica o della fascia che protegge il muscolo pettorale: T4a. T4b se c’è infiltrazione diretta della cute con ulcerazione, è uno stadio piuttosto avanzato OPPURE c’è un nodulo cutaneo satellite. T4c: sia coinvolgimento di fascia che di cute. Consideriamo di concerto con il clinico anche una forma “patologica” che è il carcinoma infiammatorio (pT4d); è considerato dai clinici potenzialmente già con metastasi a distanza, cioè per definizione non operabile ma richiedente terapie molto mirate ed energiche. Non a caso è inquadrato nel gruppo quarto. Linfonodi: ci sono novità recenti sulla dimensione delle metastasi all’interno dei linfonodi, perché si è cominciato ad attribuire un significato biologico anche a metastasi estremamente piccole. Prima si pensava di fermarci alla caratterizzazione delle “micrometastasi”: che erano metastasi con massima dimensione di 2 mm. Poi si parlava di metastasi vere e proprie al di sopra dei 2 mm. Oggi, tuttavia, la micrometastasi è stata ulteriormente suddivisa in micrometastasi al di sotto dei 2 mm fino a 0.2 mm di diametro. Fra 0.2 mm e 2 mm parliamo di micrometastasi. Se il diametro degli aggregati neoplastici è inferiore a 0.2 mm siamo comunque autorizzati a segnalarlo. Abbiamo visto la risoluzione del microscopio. E questa è proprio la dimensione che appena riconosciamo ad occhio nudo (200 micron). Dunque siamo al limite della capacità di riconoscere una micrometastasi a livello del linfonodo. Al di sotto di questa soglia interviene il microscopio e parliamo di ITC = Isolated Tumour Cells. Dunque: fino ai 200 micron (=0.2 mm), ITC; fra 0.2 mm e 2 mm micrometastasi; oltre 2 mm, metastasi. Nella TNM c’è una stadiazione con importanza clinica: Classe N1: i linfonodi si mantengono isolati con capsule integre. N2: impacchettamento dei linfonodi ascellari. Questa è una distinzione importante a livello anatomoclinico. Se andiamo a vedere, è importante il numero dei linfonodi colpiti: abbiamo la possibilità di distinguere da 1 a 3 linfonodi in N1a, N2a 4-9, N3 oltre 10. Ma la distinzione importante fra N1 e N2 rimane quella fra linfonodi fissi e non fissi. N3: abbiamo detto 10 linfonodi colpiti o oltre. Una novità che conviene sottolineare: possono essere considerati nella conta anche linfonodi extratoracici come quelli sopraclaveari o laterocervicali. Perché fino a qualche anno fa questi linfonodi si cosideravano M+; oggi si considerano N3+. È come, cioè, se la paziente avesse 10, 12 o 13 linfonodi ascellari in sede di metastasi. Schema che tratta un modo di classificare i linfonodi satelliti o locoregionali della mammella che qualcuno considererebbe obsoleto ma obsoleto non è. Molti chirurghi, proprio perché le tecniche operatorie implicano che si continui a classificare in modo regionale, tendono a continuare ad usare questo tipo di terminologia. Questi sono i famosi linfonodi di livello diverso. Linfonodi di primo livello (quelli più vicini alla ghiandola mammaria), secondo livello, terzo livello (quelli più esterni). Quello che è importante è che topograficamente il primo livello è al di fuori del margine esterno della fascia del piccolo pettorale, secondo livello è tra i due margini (laterale e mediale) della fascia, terzo livello: mediali al margine mediale della fascia del piccolo pettorale. È una terminologia importante a livello chirurgico ma anche nelle refertazioni sia operatoria che anatomopatologica. Si parla di “livelli”. Non è un classificazione di tipo TNM ma sostanzialmente chirurgico. Seconda parte: CARATTERIZZAZIONE BIOPATOLOGICA DEL CARCINOMA INVASIVO Lo facciamo per due motivi: Prognosi: cercare di capire l’aggressività biologica. Predizione di risposta a terapia medica: quali sono i punti vulnerabili di questo tumore in maniera che dal punto di vista clinico si abbia indirizzo terapeutico il più efficace possibile. Questo perché il cancro della mammella è un modello interessante di legame fra diagnostica, eziopatogenesi e terapia, perché è stato studiato in maniera intensiva. Vedremo poi che alcuni indicatori prognostici coincidono anche con alcuni indicatori di terapia, ma questo non è un problema: a cambiare è solo il punto di vista, la finalità con cui si guarda a questo parametro: ciò ha un significato prognostico o di indicatore di terapia. Principali marcatori prognostici consolidati nel carcinoma della mammella: 1. Età (fase fertile vs stato menopausale) 2. pTNM 3. Istotipo 4. Grado di differenziazione tumorale (G) 5. Attività proliferativa tumorale 6. Ormonodipendenza (ER e PR) (Consensus meeting St.Gallen, Svizzera marzo 2003) In quest’elenco ci sono cose molto importanti da punto di vista clinico; come l’età; e quando si dice età nel cancro della mammella intendiamo soprattutto stato menopausale, fase fertile vs fase non fertile, ormoni vs non ormoni; poi ognuno deve fare le proprie medie, considerare i vari parametri di stima dell’età che usano un proprio criterio di cut off. Il concetto della validazione dei dati nelle proprie cliniche vedremo che bisognerà sempre riproporre e considerare. Il pTNM, sicuramente, come fattore di prognosi è piuttosto pesante. L’istotipo non va sottovalutato (tipo speciale vs tipo non speciale). Ma qui entriamo un poco nel vivo della situazione, della caratterizzazione biopatologica del cancro della mammella, perché sono delle cose in più che dobbiamo cercare di fare per capire l’aggressività del tumore. Grading: grado di differenziazione tumorale. Lo conosciamo dalla patologia generale e sappiamo cos’è. L’ ormonodipendenza è tipica del cancro della mammella ma non dobbiamo dimenticare che riguarda anche il cancro dell’endometrio. Ed è sicuramente un modello da ricordare. È importante perché se pensiamo in termini statistici e facciamo categorie di pazienti (A = pazienti con recettori per estrogeni e progesterone; poi grado di differenziazione 1 (tumore ben differenziato); poi T1c (massimo diametro 2 cm); poi età superiore a 35 anni; questi pazienti sono sicuramente a minor rischio del gruppo cosiddetto B = uno o tutti e due i recettori assenti; tumore più grande di 2 cm di grado 2 o 3; età <35). Se proviamo a fare schematicamente una divisione su questo tipo di parametri abbiamo un risultato molto importante e significativo; sono pazienti senza metastasi linfonodali; i fattori di rischio da eliminare sono appunto le metastasi linfonodali. consideriamo età, stato e dimensioni del tumore stesso. Sono pochi parametri che combinati insieme ci fanno stratificare in modo sensibilmente diverso fra pazienti a basso rischio e pazienti ad alto rischio. E allora vediamo che la percentuale di risk-free patients è molto diversa. E possiamo adottare parametri di questo tipo per capire se sono pazienti che possiamo trattare in modo adiuvante per cercare di abbattere le percentuali di ripresa di malattia. Sono parametri molto importanti perché vedremo che oggi una paziente non viene operata chirurgicamente anche se il tumore è piccolo, i linfonodi sono relativi, i recettori possono esserci o no; piuttosto, si considera se fare una terapia ulteriore, sistemica, proprio per ridurre il rischio di progressione di malattia. E allora se la paziente rientra in una categoria di tipo B, sicuramente può essere avvicinata a una terapia più importante. Non dobbiamo dimenticare i parametri più importanti su cui basare solidamente una terapia. Innanzitutto, c’è la diagnosi morfologica che è una stima del T, il G, il tipo di tumore. Grading Il grading è uno score, un punteggio che si dà al tumore; è una valutazione morfologica; indica semplicemente una stima di quanto il tumore si ritiene bene o poco differenziato; cioè, quanto il tumore ricorda, da un punto di vista istocitologico, architetturale, il tessuto normale. Allora, di solito vedremo un punteggio che si esprime su una scala in tre gradi, da I a III: i numeri più bassi sono quelli che stanno ad indicare un miglior grado di differenziazione ed una minore aggressività biologica, mentre i numeri più alti indicano una maggiore aggressività biologica. Vedremo noi stessi altri sistemi di grading in altri organi, grading più articolati, grading su punteggi più estesi e così via. Su 3 gradi la possibilità di malattia è piuttosto limitata. È chiaro che possiamo prevedere l’andamento di malattia su un grado III (GIII), perché quello è sicuramente più aggressivo. Ma che cosa dire dei gradi 2? Sono un po’ una terra di mezzo in cui è difficile stabilire con certezza l’andamento di malattia. Altri parametri ci aiutano a capire che cosa succede in questi tumori che hanno un grado intermedio di differenziazione. Ciononostante, anche questo grading continua ad avere una valenza molto importante; si calcola facendo una valutazione dei parametri principali del tumore: la struttura tubulare; il grado di differenziazione nucleare; la presenza delle mitosi all’interno del tumore stesso. Noi abbiamo: t = differenziazione tubulare; n = differenziazione nucleare; m = numero di mitosi. Paradossalmente sono le stesse consonanti del TNM, ma qui sono tnm in minuscolo. Ed è il tnm piccolo del grading, non dello staging. Qui invece parliamo del grading. Dalla valutazione della presenza o meno dei tubuli e del loro numero diamo un numero, da 1 a 3 (1 quando i tubuli sono molto ben rappresentati e numerosi, 3 se sono assenti o pochissimo rappresentati). Così n piccolo (1 se nuclei ben differenziati fino a 3 scarsamente differenziati); e mitosi (1 se numero di mitosi basso o assenti; fino a 3 in numero alto). Allora sommando abbiamo la possibilità di avere un punteggio finale che va da un minimo di 3 a un massimo di 9: 3 nel caso in cui tutti e tre siano uguali a 1, 9 se tutti e tre sono uguali a 9. E allora abbiamo poi un grading finale: 8, 9 = G III; 6, 7= G II; 3, 4, 5 = G I. Attività mitotica ed attività proliferativa Parliamo dell’attività proliferativa. È un fattore prognostico molto importante, ma al tempo stesso capace di indicarci la potenziale risposta a una terapia antiblastica. Perché noi, facendo una stima dell’ attività mitotica o proliferativa, diciamo quanto il tumore è attivo dal punto di vista della crescita, e sono proprio quelli più attivi che possono essere colpiti con farmaci che inibiscono la crescita cellulare. Per cui in questo modo offriamo anche una indicazione sull’efficacia di questa terapia. Che fattori abbiamo per studiare l’attività mitotica e proliferativa in un tumore? 1. Conta delle mitosi : l’indice mitotico (morfologica) 2. Ki67 (immunoistochimica): tecnica immunoistochimica che ci dice quante cellule sono in attività proliferativa; 3. PFS (citofluorimetria a flusso): stima con buona approssimazione la percentuale di cellule che sono nella fase S della crescita cellulare. Dunque sono parametri che fotografano situazioni diverse: le mitosi sono in realtà l’ultima fase della crescita cellulare; l’attività proliferativa vera e propria è semmai quella misurata da Ki-67, che è un parametro che indica un momento più ampio della fase della crescita cellulare rispetto alle mitosi; così come la citometria a flusso fotografa la fase S, cioè le cellule che stanno sintetizzando DNA, non le cellule che si stanno dividendo o hanno finito completamente di risintetizzare il DNA. Mitosi. Morfologicamente sono valutabili in modo alquanto accurato. Ci sono due strumenti per esaltare l’accuratezza della stima del numero di mitosi in una sezione istologica tumorale: a) Porre criteri oggettivi di diagnosi di figura mitotica! Almeno due condizioni devono essere verificate: Assenza totale della membrana del nucleo Riconoscimento una delle figure note della divisione cellulare mitotica (anafase, metafase, telofase...) Solo allora siamo autorizzati a diagnosticare mitosi. b) Standardizzare la superficie osservata. Cioè, riportare il numero di mitosi totali con questi criteri stringenti ad una superficie standard di sezione istologica. In genere si usa il millimetro quadrato. Per cui dobbiamo osservare tanti campi da ottenere un millimetro quadrato. E quindi dare il numero di mitosi per superficie osservata. Ki-67: tecnica immunoistochimica che come al solito, appare marrone bruciato (reazione antigene-anticorpo). Questo ci dice il fatto che c’è una attività proliferativa, perché questa proteina inizia ad essere espressa all’inizio della fase S e finisce alla fine della fase M. Per cui è superiore ad un indice mitotico studiato morfologicamente, almeno sulla carta, perché copre una percentuale maggiore della durata della divisione cellulare, e comprende quest’ultima. Quindi possiamo dare una valutazione percentuale degli elementi con positività nucleare per Ki-67 (che si trova nel nucleo, si vedono i nuclei colorati) sul totale della popolazione cellulare. Per cui noi con Ki-67 riusciamo a riconoscere sia elementi in fase S sia elementi in mitosi vera e propria. Con la citofluorimetria a flusso possiamo stabilire due caratteri importanti: 1) Quanto il tumore è aneuploide: cioè quanto il contenuto in DNA nucleare è lontano dal normale 2) Quale è la percentuale di cellule in fase S. È un parametro molto affidabile per capire qual è la frazione di crescita del tumore: è un parametro numerico, continuo, discretamente riproducibile; un qualcosa di più affidabile di una valutazione soggettiva di un numero di mitosi valutato in una sezione istologica. Dal punto di vista pratico è una metodica molto semplice: si prende un piccolo frammento di tessuto fresco e si usa un liquido con queste due caratteristiche: Estrarre i nuclei dal tessuto Colorarli con un fluoro cromo che ha la capacità di legarsi stechiometricamente con il DNA: si legherà in modo proporzionale e stringente con la quantità di DNA presente in ogni nucleo. E siccome è stechiometrico c’è una accuratissima sensibilità di questo legame. Per cui capiremo innanzitutto di base quanto DNA c’è in ogni nucleo; ed anche se nelle cellule questo DNA sta aumentando; e se addirittura ha raddoppiato completamente il contenuto di DNA per nucleo; e come è la distribuzione nelle varie fasi della divisione cellulare, soprattutto la fase S, che indica più di tutti la frazione di crescita di un tumore. Trattando i tessuti con questo liquido, alla fine abbiamo dei nuclei che sono intensamente colorati; che guardiamo al microscopio e ci sembra che sono colorati allo stesso modo. Con l’ausilio dello strumento riusciamo a quantificare la colorazione in modo accurato. E noi riusciamo a studiare la distribuzione di questi elementi in tutte le fasi del ciclo cellulare: MG0 resting G0G1 commitment G1S DNA synthesis SG2 duplication G2M mitosis MG0 resting la normalità è il contenuto diploide; l’anormalità è il contenuto più o meno aneuploide. Lo strumento citofluorometrico ci dice qual è l’intensità di fluorescenza per nucleo in termini numerici. La nostra accortezza è immettere all’interno del campione anche un nucleo di globulo rosso di trota che ha una quantità nota di DNA. Ci serve come parametro perché sappiamo già che l’emazia di trota ha un piccolo nucleo di 5 pg di DNA. Noi così tariamo il sistema, che alla fine ci dà un grafico, dove abbiamo sulle ascisse l’intensità di fluorescenza, ed in ordinata il numero di eventi registrati, cioè il numero di nuclei. Ed allora noi tariamo il sistema in modo da mettere le emazie di trota sul canale 50, sul grafico si vede una piccola gobba che corrisponde appunto alle emazie di trota messe nel sistema. Grafico di una situazione normale o di un tumore che sia diploide, perché in un tumore può esserci anche una mutazione puntiforme. E allora noi vediamo la aneuploidia. La sensibilità è del 5%: cioè dobbiamo avere variazioni di contenuto di DNA del nucleo almeno uguali al 5% perché tutto funzioni. Allora nel tumore quasi diploide, quasi normale, abbiamo la corvetta delle emazie, abbiamo poi un picco molto importante sul canale 80, un altro picco sul canale 82-83, e queste sono le fasi G0G1 del campione che stiamo esaminando: cioè ì contenuti diploidi dei nuclei in condizioni normali, oppure di un tumore diciamo normale. Quì notiamo una piccola gobba nell’aria 160-170: sono gli elementi che hanno raddoppio totale del contenuto di DNA, cioè la fase G2M. Nel canale 80 invece abbiamo G0G1. E che cos’è la striscia fra 80 e 160? Gli elementi in fase S, che aumentano via via la quantità di DNA fino a raddoppiarla ed acquistano una fluorescenza piano piano superiore. E allora con una integrazione (area delle superfici dei picchi) calcoliamo quante cellule sono in ogni fase del ciclo cellulare. Un altro caso, altro grafico: - nel canale 50 abbiamo sempre una piccola quantità di emazie di trota; - poi abbiamo un picco a 80; - poi subito dopo una spalla confusa; - e se cerchiamo il picco diploide a 160 non lo troviamo; - invece a 120 c’è un enorme picco che significa qualcosa: probabilmente è un clone cellulare molto rappresentato! - E allora vediamo che cosa c’è al doppio di questa intensità: troviamo una gobba importantissima a 220-240! E che cosa possiamo dedurre da questo? Al canale 80 abbiamo un qualcosa di diploide: o un clone tumorale diploide o cellule stromali o normali; abbiamo una spalla quasi diploide che può essere cose varie, che può essere un clone neoplastico; ma quello su cui dobbiamo concentrare l’attenzione è il grosso picco nel canale 120, che è la fase G0G1 di un clone neoplastico. E infatti a 220-240 ci sono le cellule in fase G2M del clone neoplastico aneuploide a 120!!! E fra il picco a 120 e 220-240 ci sono le cellule in fase S. Possiamo quindi calcolare la % di cellule in fase S. Altra cosa calcolabile: il grado di aneuploidia = indice di DNA: possiamo esprimere un numero che sia indicativo di quanto il picco neoplastico è lontano o vicino dalla normalità. E allora noi facciamo il rapporto fra il canale dove esce il picco G0->G1 del tumore e canale dove ci aspettiamo il picco G0->G1 diploide! Questo è l’indice di DNA, il DNA index che è un parametro del frado di aneuploidia del tumore. Esempio: in questo caso il rapporto è 80/80: cioè il picco diploide appare dove ce lo aspettiamo. Se un tumore ha un DNA index di 1 è un tumore diploide. Qui se facciamo 120/80 viene 1.50; se il DNA index è maggiore di 1 è aneuploide e sarà tanto maggiore di 1 quanto più è anormale e peggiore la prognosi (anche l’aneuploidia è un fattore di prognosi). Fermiamoci ora. gabriella [ luca] featuring Saluti e ringraziamenti sono rinviati alla prossima sbob…