Come sviluppare le competenze relazionali e collaborative Materiali di Cultura d’Impresa e del Lavoro-2012 L’uomo L’uomo è ragionevole, autocosciente, libero… ma in che misura? L’uomo è capace di azioni quotidiane e di progetti di medio-lungo periodo… L’uomo è capace di azioni grandiose e di mediocrità, e perfino di crimini… L’uomo ha passioni e innamoramenti, ma anche disamoramenti e stanchezze… L’uomo… è, ha… L’uomo in relazione L’uomo fa fatica a stare solo, ha bisogno degli altri, è nella relazione, La relazione mette l’uomo davanti al suo simile, con cui deve mettersi in gioco, Il simile richiama il limite dell’uomo stesso, che si rende conto guardandosi nello specchio dell’Altro, L’Uomo è sempre anche l’Altro, La relazione è ciò-che-collega un uomo a un altro uomo. La Relazione La relazione prevede una distanziazione e un avvicinamento, è un gioco tra due poli e tra le parti: è un gioco delle parti, La relazione è sempre in gioco nella vita umana, si può interrompere, ma non per sempre, se uno va a vivere in Antartide o sulle sponde del lago Bajkal, ma nel nostro quotidiano, essa persiste imperterrita, anche quando non vorremmo: quante volte non vorremmo che la relazione non ci condizionasse ogni giorno, ogni momento, in ogni luogo… o quasi? …e anche qui dove lavoriamo? Il Dialogo Dialogo significa “parola che congiunge due persone attraversando uno spazio fisico e mentale”, avviene mediante lo scambio vocale o scritto, a vista o meno, ma per essere tale, cioè “dia-logo” prevede un riconoscimento tra i due dialoganti e un proporzionato “investimento emotivo”, Il dialogo richiede di accettare la fatica dell’ascolto e la possibilità del fraintendimento, dell’equivoco, del malinteso, del silenzio offeso e ammutolito, e perciò ha bisogno di una specie di “manutenzione”, Il dialogo è “vita spirituale” e condizione per ogni comunicazione vera ed efficace tra esseri umani. La Comunicazione È un mettere-in-comune (communis actio): ma che cosa? - Informazioni, - Nozioni e saperi, - Aggiornamenti, - Stati di avanzamento, etc., e richiede un uso corretto dei “mezzi di comunicazione”, che sono sia quelli tradizionali, cartacei, sia quelli telematici sempre più efficienti, ma che non possono mai sostituire… il dialogo e la relazione. Un Circolo virtuoso Se riusciamo a considerare Relazione-Dialogo- Comunicazione come un “circolo virtuoso”, creiamo le condizioni per vivere, operare, lavorare bene, Un circolo virtuoso è un meccanismo di rinforzo, del quale tutti partecipano, È virtuoso proprio perché la sua circolarità aumenta progressivamente l’efficacia dell’azione, La circolarità aumenta anche le possibilità di comprensione reciproca, arricchendo -a ogni passaggio- le conoscenze e le opinioni dei singoli. L’Io e il Tu Di solito prevale l’Io, perché il Tu è l’Altro-da-te, ed è anche naturale che sia così, ma se questo prevalere permane come unica condizione della relazione, ogni “io” cercherà di marcare il proprio territorio, dimenticando che altrettanto può fare o sta facendo il “tu”, e allora come muoversi? Non tanto delimitando il territorio come può fare un leone maschio, ma negoziare gli ambiti di azione complementare, concordandone alcuni insieme, in una collaborazione reciproca e utilmente in grado di far fruire a ciascuno dei due delle competenze specifiche dell’altro: il contrario di ciò che spesso si fa in un malinteso senso della competizione. Il Riconoscimento dell’Altro Vi è un riconoscimento del soggetto altrui di tipo fattuale- giuridico-politico, cui giocoforza tutti ci assoggettiamo (nessuno può scegliersi i compagni di scuola, di lavoro, di stanza d’ospedale…), e vi può essere un riconoscimento di carattere antropologico-morale: in questo caso il riconoscimento ammette senza esitazioni l’uguaglianza ontologica e valoriale dell’altro-con-me: l’altro vale quanto me, l’altro può avere ragione e ragioni quanto e più di me, e, in altra situazione, viceversa, Questo è il vero riconoscimento, atto a creare le basi per una collaborazione senza pre-comprensioni e pre-giudizi. La Persuasione Ci capita di incontrare molte persone: alcune sono molto convincenti, altre di meno, alcune per nulla. La persuasione non è una procedura manipolatoria, ma un ragionamento proposto e condiviso nel suo procedere: il grande filosofo goriziano Carlo Michaelstaedter distingueva rigorosamente la persuasione dall’arte retorica del bel dire, che contraddistingue -e perciò può essere ingannevole- sia le persone fededegne, sia gli imbonitori e i bluffatori di ogni risma, genere e specie. La persuasione si mostra come capacità di coinvolgimento morale ed operativo nella realizzabilità, o almeno nella plausibilità, della proposta. Etica e Morale? Etica e Morale linguisticamente sono sinonimi, derivando il primo termine dal greco antico e il secondo dal latino, e dunque diciamo etica e morale, nelle accezioni che hanno assunto nel tempo. Il sapere etico è molto serio e importante, e significa la conoscenza e la capacità di giudicare la bontà o la malizia della azioni umane libere. L’etica è dunque la scienza del giudizio sull’agire libero dell’uomo: sappiamo però che la libertà umana è condizionata e relativa. Il “Gruppo semplice” Ogni agire umano-in-relazione costituisce un “gruppo semplice”, che può essere formato da minimo due persone, come alcuni uffici, oppure tre o quattro/cinque, nel quale le dinamiche si dipanano reciprocamente intrecciate. In ogni “gruppo umano semplice”, come in ogni relazione intersoggettiva, nulla è semplice, ma tutto è complesso. L’apparente contraddizione si spiega con il fatto che ogni essere umano è in sé complesso (cum-plexum), e nella relazione con l’altro/gli altri moltiplica geometricamente questa complessità. La complessità richiede non tanto spiegazione, quanto interpretazione e com-prensione (non nel senso moralistico del termine, ma nel senso cognitivo). Il “Gruppo complesso” Se nel “gruppo semplice” tutto è complesso, nel “gruppo complesso” tale caratteristica è ulteriormente enfatizzata, in ogni caso: infatti, gli intrecci intersoggettivi sono più numerosi, probabili, e forieri di problematiche. Lo sforzo di interpretazione e comprensione è dunque più elevato e continuo, mentre nel contempo si svolgono le esperienze soggettive nelle vite individuali, nella congerie di eventi, buoni e cattivi, gioiosi e dolorosi, che muovono energie e disponibilità, talora alimentandole e a volte esaurendole. Il “gruppo complesso” è l’insieme degli uffici e dei reparti di un posto di lavoro (azienda, ente, scuola, ospedale, etc.). La Gerarchia e la Leadership In ogni organizzazione umana vi è una Gerarchia e una Leadership, che possono essere di tipo naturale o carismatico, oppure di status o ruolo. Nei luoghi di lavoro si può essere in presenza di qualsiasi tipo di gerarchia e leadership, ma quella che non manca è quella di “ruolo”: non sempre, però, il “ruolo” è ricoperto da chi esercita nella propria posizione gerarchica una leadership riconosciuta ed efficace. Su queste carenze bisogna approfondire la consapevolezza ed agire per una crescita. Win-win? Un’idea sbagliatissima che ancora alberga in qualche cuore è che sul lavoro mors tua sia vita mea, come nella tradizione utilitaristica più spinta e scettica: non è così, al contrario! La collaborazione disinteressata (nel senso buono del termine) comporta solo vantaggi per il singolo, perché mette in moto una rete di conoscenze ed esperienze, generando valore aggiunto e crescita reciproca… Il motto allora da homo homini lupus deve cambiare in win-win (vinco io se vinci anche tu e viceversa). La Dimensione Top-Down Vi è una dimensione top-down, rappresentata dalle posizioni gerarchiche presenti negli organigrammi e un flusso conseguente di azioni, di ordini di servizio, di verifiche, etc.: è importante, anzi fondamentale, che queste relazioni tra la dimensione top e la dimensione down sia siano sempre “a due vie”, evitando l’isolamento del down e la mancanza di feedback: il feedback è il principale degli strumenti atti a sviluppare la collaborazione e i processi di delega. Nella nostra esperienza questo accade? E se non accade, perché? La Dimensione Bottom-Up Se vi deve essere una circolarità sistemica nelle relazioni tra le dimensioni top e down, in ogni struttura organizzata è bene sistematizzare verifiche reciproche, che comprendano anche valutazioni periodiche del lavoro fatto e del lavoro da sviluppare nei progetti futuri. Tale circolarità permette di creare l’ambiente adatto alla formazione di backup di profili e figure provviste di potenziale. Una struttura organizzata manifesta la propria accortezza solo se riesce a pensare e ad agire con un occhio alla prospettiva degli sviluppi e dei cambiamenti futuri, cogliendo i segnali deboli del cambiamento stesso e considerandolo non come un fastidio, ma come un’opportunità. Responsabili! Non sempre quando si sente declinare il tema della responsabilità ci si accorge che chi parla e chi ascolta ha presente il significato vero e profondo del termine… quante volte sentiamo gente che dice: “mi assumo la responsabilità di… e di…”, verrebbe da chiedergli: “ma allora tu rispondi di quel danno lì, che ammonta a…”, “bè no, perché non ho agito solo io, ma anche altri…” e via scusandosi. La responsabilità è una cosa seria, significa “rispondere di qualcosa”, in liquido e in solido, ma soprattutto sotto il profilo morale. Il Mestiere del Lavoro Ogni lavoro prevede che il lavoratore abbia, per così dire, un “mestiere”, che significa le giuste competenze per il ruolo assegnato, e sapendo che le competenze sono date dal mix virtuoso tra conoscenze ed esperienze. Ma, e ciò a volte non lo pensiamo, il lavoro stesso è un mestiere, nel senso che è un’attività esistenziale, volta quindi non solo alla creazione del reddito personale e familiare, ma anche alla propria realizzazione come persona. Potremmo dire che il lavoro fa parte integralmente del mestiere di vivere che ognuno impara con fatica e a proprie spese nel tempo e nel contesto suo proprio. Il Mestiere del Capo Dentro questo mestiere del lavoro vi è il “mestiere del capo”, che si può imparare, anche se taluni ritengono che “si nasca capi”, e non si possa diventarlo. Tale tesi è sbagliata dal punto di vista di una sana e completa antropologia: infatti noi diventiamo ciò che possiamo diventare in base ad almeno tre fattori fondamentali: a) la nostra genetica (base biologica), b) l’ambiente in cui nasciamo e cresciamo (educazione), c) la formazione che riceviamo (scuola e università): si può vedere dunque che il mestiere del capo può svilupparsi da almeno tre sorgenti fondative dell’essere umano. Capi, dunque, si può diventare, anche perché in situazione si possono manifestare carismi nascosti, o per timidezza o per mancanza di opportunità espressive. Aspirazioni e Potenzialità Se abbiamo detto che i “galloni di capo” possono essere cuciti su ogni spallina, bisogna che ogni ambiente lavorativo curi attentamente la conoscenza delle aspirazioni dei singoli e nel contempo delle potenzialità, mettendo a disposizione strumenti di analisi e valutazione del comportamento, dell’impegno, del senso di responsabilità, delle competenze… e infine della volontà di fare, di crescere, di collaborare, senza secondi fini e senza calcoli miseri. Allora si metterà in moto il meccanismo del rinnovamento, della sana competizione e della collaborazione per un fine condiviso.