Come sviluppare
le competenze relazionali e collaborative
Villa Policreti – Castello di Aviano (Pn) – Seminario per dirigenti sanitari
Casa di Cura San Giorgio - Pordenone
A cura del Dott. Renato Pilutti - Ph. D.
…la metodologia
 Cercheremo di rigorizzare, sia la scelta dei termini, sia la ricerca del
loro significato etimologico originario, per dare al nostro discorso una
valenza il più possibile scientifica (in senso non galileiano, ma
cartesiano), come un “sapere certo ed evidente, in forza del suo
perché proprio, adeguato e prossimo”.
 Un sapere scientifico sia pure oggi non “convenzionale”, infatti, richiede
l’applicazione del metodo deduttivo e della sperimentazione a
conferma o a confutazione delle tesi sostenute. Un percorso rigoroso.
Non possiamo, infatti, trarre conclusioni plausibili, se non applicando
una seria epistemologia, a partire da una fondata de-finizione (che è
uno stabilire i confini, i limites) del concetto di “uomo”.
 La vita umana ha sempre a che fare con il limite: l’uomo stesso è il
suo proprio limite.
L’uomo I
 Che cos’è o chi è dunque l’uomo:
 È solo un grande primate intelligente e autoriflessivo composto
da una combinata struttura organica (e bio-meccanicistica) di
corporeità, cervello e mente, sostanzialmente unitaria, come
sostengono alcuni (molti?) neuroscienziati, o anche qualcosa
d’altro?
 È solo una questione di aree cerebrali l’essere specifico
dell’uomo? Si tratta forse solo di Aree governate da organi come
i lobi prefrontali, l’amigdala e l’ippocampo, come il talamo e
l’ipotalamo, si tratta solo di una massa di neuroni, sinapsi e
dendriti, suddivisa in due emisferi, l’uno dei quali
presiederebbe alla logica formale e al linguaggio, il sinistro, e
il destro alle emozioni e all’agire sentimentale?
L’uomo II
 L’uomo è forse -dunque- ragionevole, autocosciente,
libero… ma in che misura, e di che libertà si tratta? Qual è
il dibattito attuale delle neuroscienze, dell’etica
filosofica, delle neuroscienze e della neuro-etica in
tema?
 Eppure… l’uomo è capace di azioni quotidiane e di progetti
di medio-lungo periodo…
è capace di azioni grandiose e di mediocrità, e perfino di
crimini quasi inimmaginabili…
ha passioni e innamoramenti, ma anche disamoramenti e
stanchezze…
 L’uomo… è, ha…
… una forma
Chiariamo ora che cosa si può ragionevolmente intendere per
Forma: la Forma non è l’involucro, ma ciò che dà un
senso, una vitalità, una prospettiva alla Materia: ad
es., senza l’intervento di Michelangelo il blocco di marmo
bianco delle Apuane non avrebbe mai preso-la-forma del
David o della Pietà.
 La Forma è, dunque, la Sostanza. La forma è sostanza
perché, se così non fosse, rimarrebbe materiale biologico,
chimico-fisico privo di finalità naturale. O no?
La Forma dell’uomo è la “Libertà”
La Forma dell’Uomo è dunque quella di un essere
che si auto-comprende, diversamente da ogni
altro vivente sensibile.
L’uomo è il razionale autocosciente libero,[1] anzi
libero in quanto razionale.
Se l’uomo è libero è responsabile delle sue proprie
azioni (libere).
L’uomo è la sua coscienza, e la coscienza è il suo
valore.
L’uomo, avendo la coscienza, è la coscienza.
La norma morale sgorga dalla coscienza.[2]
…ma anche “verità”
 Per Heidegger la verità non è una fissità materiale o spirituale
(Hegel), ma è essenzialmente continuo dis-velamento,
α̕λήθεια, infinita ricerca ermeneutica, perché inesauribile…,
come insegna Luigi Pareyson (cf. Verità e interpretazione,
Mursia, Milano 1977):
 “L'approfondimento è quindi essenziale quando si parla di
verità. Perché essa non ci appartiene in modo così
esaustivo da non sentire il bisogno di penetrarla ancora.
Possiamo però concepire l'interpretazione come intensiva,
che giunge a scoprire abissi nuovi e a formulare nuove
domande. In un'ontologia dell'inesauribile l'unica forma di
conoscenza con la quale possiamo avvicinarci all'essere,
alla verità è l'interpretazione, l'interpretazione come
approfondimento.”
La Relazione e (è) la Libertà
 Un primo passaggio logico: se quello che abbiamo detto ha
un fondamento, allora, laddove la comunicazione resta
nel campo della tecnica del rapporto tra essere umani, la
relazione, invece, ne esprime tutto il potenziale di
libertà…
 …io, solo se mi re-laziono, sono libero, nel senso che scelgo
di guardare negli occhi l’altro ri-conoscendolo come un
altro-io, come un soggetto che è pari a me, non come
oggetto destinatario di una comunicazione.
 La relazione è libertà perché mi esprime nel tratto
della distanziazione e dell’avvicinamento, come in una
dinamica respiratoria, o del battito cardiaco “sistolediastole”, essenziale, vitale!
La Libertà
La “Libertà”, come concetto e valore, si declina in diversi modi.
I quattro principali sono:
- quello liberale (ad esempio, mutuato da J. Stuart Mill), esso
sostiene che la libertà sussiste fino dove inizia la libertà
altrui, e non si pone limiti di carattere etico, se non questi;
- la sua estremizzazione contemporanea del “fare ciò che si
vuole”;
- quello illuministico-kantiano, basato sul dover-essere e sul
dover-fare ciò che spetta nella condizione data;
- quello ispirato alla dottrina classica delle virtù, che si definisce
come segue: “libertà è volere ciò che si fa” nella
consapevolezza. Una libertà ispirata dalla ragione come “Recta
ratio agibilium” (Tommaso d’Aquino), ma anche attenta a...
…i suoi limiti
 Le passioni umane costituiscono i limiti della libertà.
 Variamente declinate nella tradizione e nella modernità, è
generalmente accettata una tassonomia classica, che le
vede elencate a sei coppie contrapposte, più una, l’ira. Esse
sono:
amore/odio;
piacere/dolore;
desiderio/fuga;
coraggio/paura;
speranza/disperazione;
gioia/tristezza.
Oltre ogni apparente realtà…
 “[...] erriamo quando prendiamo il presupposto [...] che
ogni conoscibile sta senz'eccezione sotto le leggi naturali e
lo assolutizziamo nell'affermazione seguente: tutto ciò che
è reale è natura e come tale conoscibile. [...] Noi siamo più
di ogni conoscibile. Siamo veramente qualcosa che non può
mai divenire oggetto di una conoscenza psicologica o
naturale, sebbene il fenomeno della nostra vera realtà
resta studiabile psicologicamente in una estensione
imprevedibile.”
(K. Jaspers, ne I grandi filosofi: I. Kant, sito a cura di A.
Bongiovanni, Dialeghesthai, 12).
 Che ne pensiamo?
La persona I
La Struttura della Persona:
 Fisicità (interfecondità)
 Psichismo (organismo psichico, passioni, emozioni,
etc.)
 Spiritualità (senso del sacro, religiosità, fedi, etc.)
La persona II
La Struttura della Personalità:
 Genetica (cromosomica e mitocondriale)
 Ambiente (familiare, sociale, culturale)
 Educazione (formazione, crescita della dimensione
psicologico - affettiva, etc.)
Complessità e complicazione
 Vi è a questo punto del discorso sull’uomo il tema della complessità… e della
complicazione? Sono la stessa cosa, sinonimi? Oppure no? Potrebbe essere il
concetto di totalità inesauribile? Proviamo a pensare al numero 10: come lo
compongo? 8+2, 4+6, 3+7… e così ad libitum: una somma qualsiasi è il 10 complicato di due addendi, mentre l’infinità di possibilità per “fare 10”
rappresenta la complessità.
 Alcuni, come R. Celestino [2002], intendono la totalità come sistema
complesso, un insieme di parti che si influenzano reciprocamente e
indefinitamente.
 Joel de Rosnay [1977] spiega che un sistema complesso come nozione riferibile
alla totalità è composto da una grande varietà di componenti o di elementi che
possiedono delle funzioni specializzate organizzate per sistemi gerarchici
interni [ad es. nel corpo umano: cellule, organi, sistemi di organi]; i diversi
livelli e gli elementi individuali sono collegati da una grande varietà di legami.
Ne viene fuori una grande densità di interconnessioni.
La complessità
 La totalità dice un numero pressoché indefinito di connessioni. L’essere
umano, per quanto ci è dato conoscere è la struttura più articolata e ricca
di connessioni tra i viventi, a partire dal cervello: la sua complessità
pone un incommensurabile campo di analisi e di interpretazione sotto
ogni profilo psicofisico e spirituale.
 Non vi è dubbio che l’uomo costituisce un campo di indagine inesauribile,
proprio per queste sue caratteristiche di indefinitività: pertanto non si dà mai
come terminata la ricerca sui nessi e le interdipendenze che lo costituiscono.
 Proviamo a elencare alcuni sistemi complessi presenti nel nostro tempo:
biologia: DNA, cellule, organismi, cervello; economia: aziende, economia
nazionale, economia mondiale; linguistica: linguaggi, gerghi, etc. [e siamo in
tema del nostro lavoro]; psicologia e sociologia: individui, piccoli gruppi,
grandi gruppi, società; chimica: reazioni chimiche; scienze informatiche:
computer paralleli, e certamente altri.
La complessità umana
 La totalità prevede che si diano diversi approcci ad alcune sue
declinazioni, tra cui consideriamo -come visto- la complicazione e la
complessità. L’approccio alla prima non può che essere analitico,
mentre l’approccio alla complessità deve essere sintetico.
 A mio parere, però, si tratterà di utilizzare a livello conoscitivo anche
l’approccio analogico (non digitale!), poiché la realtà è sempre più
complessa del modello teorico che la rappresenta, e costituisce sempre
un problema per il soggetto conoscente.
 Se la conoscenza sintetica consente di apprendere i nessi e
vederne gli scopi e i fini del sistema, e la coscienza analitica
permette di apprenderne i meccanismi, le pieghe, le
particolarità, per contro la conoscenza analogica, per definizione
imprecisa, consente di penetrare teoricamente in tutte le pieghe
del reale graduandone indefinitamente le definizioni.
L’uomo in relazione
 L’uomo fa fatica a stare solo, ha bisogno degli altri, è




nella relazione,
La relazione mette l’uomo davanti al suo simile, con
cui deve mettersi in gioco,
Il simile richiama il limite dell’uomo stesso, che si
rende conto guardandosi nello specchio dell’Altro,
L’Uomo è sempre anche l’Altro,
La relazione è ciò-che-collega un uomo a un altro
uomo.
La Relazione
 La relazione prevede una distanziazione e un
avvicinamento, è un gioco tra due poli e tra le parti: è un
gioco delle parti,
 La relazione è sempre in gioco nella vita umana, si può
interrompere, ma non per sempre, magari se uno va a
vivere in Antartide o sulle sponde del lago Bajkal: nel
nostro quotidiano, essa persiste imperterrita, anche
quando non vorremmo; quante volte non vorremmo che la
relazione non ci condizionasse ogni giorno, ogni momento,
in ogni luogo… o quasi?
 …e anche dove lavoriamo?
Il Dialogo
 Dialogo significa “parola che congiunge due persone
attraversando uno spazio fisico e mentale”, avviene
mediante lo scambio vocale o scritto, a vista o meno, ma
per essere tale, cioè “dia-logo” prevede un riconoscimento
tra i due dialoganti e un proporzionato “investimento
emotivo”,
 Il dialogo richiede di accettare la fatica dell’ascolto e la
possibilità del fraintendimento, dell’equivoco, del
malinteso, del silenzio offeso e ammutolito, e perciò ha
bisogno di una specie di “manutenzione”,
 Il dialogo è “vita spirituale” e condizione per ogni
comunicazione vera ed efficace tra esseri umani.
La Comunicazione
 È un mettere-in-comune (communis actio): ma che cosa?
- Informazioni,
- Nozioni e saperi,
- Aggiornamenti,
- Stati di avanzamento, etc.,
e richiede un uso corretto dei “mezzi di comunicazione”, che
sono sia quelli tradizionali, cartacei, sia quelli telematici
sempre più efficienti, ma che non possono mai sostituire…
il dialogo e la relazione.
La Comunicazione
e i suoi elementi
 linguaggi, cioè il “codice espressivo”
 stili, cioè il “carattere o cifra derivanti dai tratti di personalità
soggettivi”
 modalità, cioè il “modo ordinario di comunicare e le scelte
verbali/non verbali/paraverbali”
 livelli di condivisione, cioè le “simmetrie e le asimmetrie
delle informazioni” (tra colleghi e Direzione)
 mezzi e strumenti operativi, cioè “telefono, computer,
riunione, etc.”.
La “parola”
 Paul Ricoeur distingue tra “langue”, intesa come lessico, che
costituisce un codice comunicativo, e “parole”, che invece
rappresenta il segno significante di un senso: vediamo di
orientarci in questo calembour…
 La parola è di per sé polisemantica, cioè ha più-significati, ma
non solo: essa significa e dà senso a cose che non dice… Come?
Tacendo di ciò che deve rimanere inespresso, o si vuole rimanga
inespresso, come domanda sospesa, come affermazione, come
giudizio…
 Quante volte siamo rimasti spiazzati dalla parola, anche
quando -apparentemente- essa è “chiara e distinta” come i
concetti cartesiani?
 Perché accade questo, come possiamo orientarci in questa
complessità?
La Comunicazione performativa:
la Relazione
 Se la Comunicazione avviene in un contesto empatico,
contribuisce a far crescere la qualità relazionale tra umani,
tra colleghi, ma richiede un’attenzione particolare, e
l’utilizzo degli strumenti adeguati al contesto: nessuno
può pretendere di far funzionare allo stesso modo il
telefono e la telematica, che è quasi istantanea, ma priva
di coscienza, muta e fredda…
 e tantomeno sostituire il colloquio interpersonale con
la e-mail et similia (sms, WhattsApp, etc.) Comunicando io modifico me stesso “modificando” il
mio interlocutore…
Un Circolo virtuoso
 Se riusciamo a considerare Relazione-Dialogo-
Comunicazione come un “circolo virtuoso”, creiamo
le condizioni per vivere, operare, lavorare bene,
 Un circolo virtuoso è un meccanismo di rinforzo, del
quale tutti partecipano,
 È virtuoso proprio perché la sua circolarità aumenta
progressivamente l’efficacia dell’azione,
 La circolarità aumenta anche le possibilità di
comprensione reciproca, arricchendo -a ogni
passaggio- le conoscenze e le opinioni dei singoli.
L’Io e il Tu
 Di solito prevale l’Io, perché il Tu è l’Altro-da-te, ed è
anche naturale che sia così, ma se questo prevalere
permane come unica condizione della relazione, ogni “io”
cercherà di marcare il proprio territorio, dimenticando che
altrettanto può fare o sta facendo il “tu”, e allora come
muoversi?
 Non tanto delimitando il territorio come può fare un leone
maschio, ma negoziare gli ambiti di azione
complementare, concordandone alcuni insieme, in una
collaborazione reciproca e utilmente in grado di far fruire a
ciascuno dei due delle competenze specifiche dell’altro: il
contrario di ciò che spesso si fa in un malinteso senso della
competizione.
Il Riconoscimento dell’Altro
 Vi è un riconoscimento del soggetto altrui di tipo fattuale-
giuridico-politico, cui giocoforza tutti ci assoggettiamo
(nessuno può scegliersi i compagni di scuola, di lavoro, di
stanza d’ospedale…), e vi può essere un riconoscimento
di carattere antropologico-morale: in questo caso il
riconoscimento ammette senza esitazioni
l’uguaglianza ontologica e valoriale dell’altro-con-me:
l’altro vale quanto me, l’altro può avere ragione e ragioni
quanto e più di me, e, in altra situazione, viceversa,
questo è il vero riconoscimento, atto a creare le basi per
una collaborazione senza pre-comprensioni e pre-giudizi.
La Persuasione
 Ci capita di incontrare molte persone: alcune sono molto convincenti,
altre di meno, alcune per nulla.
 La persuasione non è una procedura manipolatoria, ma un
ragionamento proposto e condiviso nel suo procedere: il grande filosofo
goriziano Carlo Michaelstaedter (mancato prematuramente)
distingueva rigorosamente la persuasione dall’arte retorica del bel dire,
che contraddistingue -e perciò può essere ingannevole- sia le persone
fededegne, sia gli imbonitori e i bluffatori di ogni risma, genere e specie.
 La persuasione si mostra come capacità di coinvolgimento
morale ed operativo nella realizzabilità, o almeno nella
plausibilità, della proposta.
Etica e Morale?
 Etica e Morale linguisticamente sono sinonimi,
derivando il primo termine dal greco antico (ε̕θος) e il
secondo dal latino (mos, moris), e dunque diciamo
etica e morale, nelle accezioni che hanno assunto nel
tempo.
 Il sapere etico è molto serio e importante, e significa la
conoscenza e la capacità di giudicare la bontà o la
malizia della azioni umane libere.
 L’etica è dunque la scienza del giudizio sull’agire
libero dell’uomo: sappiamo però che la libertà umana
è condizionata e relativa.
Le varie scuole dell’Etica
 Deve essere declinata. Le varie “scuole”:






Utilitarismo
Edonismo
Deontologismo
Emotivismo
Prescrittivismo
Culturalismo
 Il Finalismo o Eudemonismo Teleologico (felicità
finalizzata), detto anche via virtutum o dell’uomo
come fine, può essere la scelta etica più completa.
L’Etica della Vita umana
 Se il sapere etico è in qualche modo un’epistème, una
“scienza”, e non un balletto di opinioni, bisogna trovare dei
minimi comun denominatori sul valore dell’oggetto
esaminato da questo sapere.
 Su questo tema vi sono non poche opinioni e visioni, anche
molto divergenti: mi pare però che sia possibile convenire
su un punto: che l’uomo stesso, essendo soggetto e nel
contempo oggetto dell’azione umana libera, possa
essere considerato il fine di un’etica della persona,
lasciando al dibattito in corso, non sempre lucido e
razionale e spesso tra posizioni inconciliabili, di dirimere
ulteriori passaggi sui temi più delicati, come quello
dell’inizio e del fine vita.
L’Etica della salute
 Nel nostro contesto, l’etica della salute si pone come fonte di
ispirazione delle professioni mediche, e specifico ambito
disciplinare, a parer mio, dove convergono più fattori, sia di
ambito professionale nel quale sono coinvolti il personale
medico e paramedico, sia di carattere organizzativo, nel quale,
oltre agli aspetti legati alle singole professionalità, gioca un ruolo
fondamentale la capacità di integrazione e del “lavoro di gruppo”.
 Le politiche e le prassi della sicurezza sono totalmente
intrinseche a questa esigenza di sviluppare una “cultura del
lavoro di gruppo”, che è poi sottesa a ogni strutturazione di
“gruppi di lavoro” e di équipes.
 Come vediamo di seguito…
Il “Gruppo semplice” (l’équipe)
 Ogni agire umano-in-relazione costituisce un “gruppo
semplice”, che può essere formato da un minimo di due persone,
come alcuni uffici/ reparti, oppure tre o quattro/cinque, nel
quale le dinamiche si dipanano reciprocamente intrecciate.
 In ogni “gruppo umano semplice”, come in ogni relazione
intersoggettiva, nulla è semplice, ma tutto è complesso.
 L’apparente contraddizione si spiega con il fatto che ogni essere
umano è in sé complesso (cum-plexum), e nella relazione con
l’altro/gli altri moltiplica geometricamente questa complessità.
 La complessità richiede non tanto spiegazione, quanto
interpretazione e com-prensione (non nel senso moralistico
del termine, ma nel senso cognitivo).
Il “Gruppo complesso” (la
struttura della Casa di cura nel suo
insieme)
 Se nel “gruppo semplice” tutto è complesso, nel “gruppo
complesso” tale caratteristica è ulteriormente enfatizzata,
in ogni caso: infatti, gli intrecci intersoggettivi sono più
numerosi, probabili, e forieri di problematiche.
 Lo sforzo di interpretazione e comprensione è dunque
più elevato e continuo, mentre nel contempo si svolgono le
esperienze soggettive nelle vite individuali, nella congerie
di eventi, buoni e cattivi, gioiosi e dolorosi, che muovono
energie e disponibilità, talora alimentandole e a volte
esaurendole.
 Il “gruppo complesso” è l’insieme degli uffici e dei
reparti di un posto di lavoro (azienda, ente, scuola,
ospedale, etc.).
La Gerarchia e la Leadership
 In ogni organizzazione umana vi è una Gerarchia e una
Leadership, che possono essere di tipo naturale o
carismatico, oppure di status o ruolo.
 Nei luoghi di lavoro si può essere in presenza di qualsiasi
tipo di gerarchia e leadership, ma quella che non manca è
quella di “ruolo”: non sempre, però, il “ruolo” è ricoperto da
chi esercita nella propria posizione gerarchica una
leadership riconosciuta ed efficace.
 Su queste carenze bisogna approfondire la
consapevolezza ed agire per una crescita.
Win-win?
 Un’idea sbagliatissima che ancora alberga in qualche cuore
è che sul lavoro mors tua sia vita mea, come nella
tradizione utilitaristica più spinta e scettica: non è così, al
contrario!
 La collaborazione “disinteressata” (nel senso buono del
termine) comporta solo vantaggi per il singolo, perché
mette in moto una rete di conoscenze ed esperienze,
generando valore aggiunto e crescita reciproca…
 Il motto hobbesiano, allora, da homo homini lupus deve
cambiare in win-win (vinco io se vinci anche tu e
viceversa).
La Dimensione Top-Down
 Vi è una dimensione top-down, rappresentata dalle
posizioni gerarchiche presenti negli organigrammi e
un flusso conseguente di azioni, di ordini di servizio,
di verifiche, etc.: è importante, anzi fondamentale, che
queste relazioni tra la dimensione top e la dimensione
down siano sempre “a due vie”, evitando l’isolamento
del down e la mancanza di feedback: il feedback è il
principale degli strumenti atti a sviluppare la
collaborazione e i processi di delega.
 Nella nostra esperienza questo accade? E se non
accade, perché?
La Dimensione Bottom-Up
 Se vi deve essere una circolarità sistemica nelle relazioni
tra le dimensioni top e down, in ogni struttura organizzata
è bene sistematizzare verifiche reciproche, che
comprendano anche valutazioni periodiche del lavoro fatto
e del lavoro da sviluppare nei progetti futuri.
 Tale circolarità permette di creare l’ambiente adatto alla
formazione di backup di profili e figure provviste di
potenziale.
 Una struttura organizzata manifesta la propria accortezza
solo se riesce a pensare e ad agire con un occhio alla
prospettiva degli sviluppi e dei cambiamenti futuri,
cogliendo i segnali deboli del cambiamento stesso e
considerandolo non come un fastidio, ma come
un’opportunità.
Responsabili!
 Non sempre quando si sente declinare il tema della
responsabilità ci si accorge che chi parla e chi ascolta
ha presente il significato vero e profondo del termine…
quante volte sentiamo gente che dice: “mi assumo la
responsabilità di… e di…”, verrebbe da chiedergli: “ma
allora tu rispondi di quel danno lì, che ammonta a…”,
“bè no, perché non ho agito solo io, ma anche altri…” e
via scusandosi.
 La responsabilità è una cosa seria, significa
“rispondere di qualcosa”, in liquido e in solido, ma
soprattutto sotto il profilo morale.
Il Mestiere del Lavoro
 Ogni lavoro prevede che il lavoratore abbia, per così dire,
un “mestiere”, che significa le giuste competenze per il
ruolo assegnato, e sapendo che le competenze sono date
dal mix virtuoso tra conoscenze ed esperienze.
 Ma, e ciò a volte non lo pensiamo, il lavoro stesso è un
mestiere, nel senso che è un’attività esistenziale, volta
quindi non solo alla creazione del reddito personale e
familiare, ma anche alla propria realizzazione come
persona.
 Potremmo dire che il lavoro fa parte integralmente del
mestiere di vivere che ognuno impara con fatica e a
proprie spese nel tempo e nel contesto suo proprio.
Il Mestiere del “Capo”
 Dentro questo mestiere del lavoro vi è il “mestiere del
capo”, che si può imparare, anche se taluni ritengono che
“si nasca capi”, e non si possa diventarlo.
 Tale tesi è sbagliata dal punto di vista di una sana e
completa antropologia: infatti noi diventiamo ciò che
possiamo diventare in base ad almeno tre fattori
fondamentali: a) la nostra genetica (base biologica), b)
l’ambiente in cui nasciamo e cresciamo (educazione), c) la
formazione che riceviamo (scuola e università): si può
vedere dunque che il mestiere del capo può svilupparsi da
almeno tre sorgenti fondative dell’essere umano.
 Capi, dunque, si può diventare, anche perché in
situazione si possono manifestare carismi nascosti, o per
timidezza o per mancanza di opportunità espressive.