Come sviluppare le competenze relazionali e collaborative Villa Policreti – Castello di Aviano (Pn) – Seminario per dirigenti sanitari Casa di Cura San Giorgio - Pordenone A cura del Dott. Renato Pilutti - Ph. D. …la metodologia Cercheremo di rigorizzare, sia la scelta dei termini, sia la ricerca del loro significato etimologico originario, per dare al nostro discorso una valenza il più possibile scientifica (in senso non galileiano, ma cartesiano), come un “sapere certo ed evidente, in forza del suo perché proprio, adeguato e prossimo”. Un sapere scientifico sia pure oggi non “convenzionale”, infatti, richiede l’applicazione del metodo deduttivo e della sperimentazione a conferma o a confutazione delle tesi sostenute. Un percorso rigoroso. Non possiamo, infatti, trarre conclusioni plausibili, se non applicando una seria epistemologia, a partire da una fondata de-finizione (che è uno stabilire i confini, i limites) del concetto di “uomo”. La vita umana ha sempre a che fare con il limite: l’uomo stesso è il suo proprio limite. L’uomo I Che cos’è o chi è dunque l’uomo: È solo un grande primate intelligente e autoriflessivo composto da una combinata struttura organica (e bio-meccanicistica) di corporeità, cervello e mente, sostanzialmente unitaria, come sostengono alcuni (molti?) neuroscienziati, o anche qualcosa d’altro? È solo una questione di aree cerebrali l’essere specifico dell’uomo? Si tratta forse solo di Aree governate da organi come i lobi prefrontali, l’amigdala e l’ippocampo, come il talamo e l’ipotalamo, si tratta solo di una massa di neuroni, sinapsi e dendriti, suddivisa in due emisferi, l’uno dei quali presiederebbe alla logica formale e al linguaggio, il sinistro, e il destro alle emozioni e all’agire sentimentale? L’uomo II L’uomo è forse -dunque- ragionevole, autocosciente, libero… ma in che misura, e di che libertà si tratta? Qual è il dibattito attuale delle neuroscienze, dell’etica filosofica, delle neuroscienze e della neuro-etica in tema? Eppure… l’uomo è capace di azioni quotidiane e di progetti di medio-lungo periodo… è capace di azioni grandiose e di mediocrità, e perfino di crimini quasi inimmaginabili… ha passioni e innamoramenti, ma anche disamoramenti e stanchezze… L’uomo… è, ha… … una forma Chiariamo ora che cosa si può ragionevolmente intendere per Forma: la Forma non è l’involucro, ma ciò che dà un senso, una vitalità, una prospettiva alla Materia: ad es., senza l’intervento di Michelangelo il blocco di marmo bianco delle Apuane non avrebbe mai preso-la-forma del David o della Pietà. La Forma è, dunque, la Sostanza. La forma è sostanza perché, se così non fosse, rimarrebbe materiale biologico, chimico-fisico privo di finalità naturale. O no? La Forma dell’uomo è la “Libertà” La Forma dell’Uomo è dunque quella di un essere che si auto-comprende, diversamente da ogni altro vivente sensibile. L’uomo è il razionale autocosciente libero,[1] anzi libero in quanto razionale. Se l’uomo è libero è responsabile delle sue proprie azioni (libere). L’uomo è la sua coscienza, e la coscienza è il suo valore. L’uomo, avendo la coscienza, è la coscienza. La norma morale sgorga dalla coscienza.[2] …ma anche “verità” Per Heidegger la verità non è una fissità materiale o spirituale (Hegel), ma è essenzialmente continuo dis-velamento, α̕λήθεια, infinita ricerca ermeneutica, perché inesauribile…, come insegna Luigi Pareyson (cf. Verità e interpretazione, Mursia, Milano 1977): “L'approfondimento è quindi essenziale quando si parla di verità. Perché essa non ci appartiene in modo così esaustivo da non sentire il bisogno di penetrarla ancora. Possiamo però concepire l'interpretazione come intensiva, che giunge a scoprire abissi nuovi e a formulare nuove domande. In un'ontologia dell'inesauribile l'unica forma di conoscenza con la quale possiamo avvicinarci all'essere, alla verità è l'interpretazione, l'interpretazione come approfondimento.” La Relazione e (è) la Libertà Un primo passaggio logico: se quello che abbiamo detto ha un fondamento, allora, laddove la comunicazione resta nel campo della tecnica del rapporto tra essere umani, la relazione, invece, ne esprime tutto il potenziale di libertà… …io, solo se mi re-laziono, sono libero, nel senso che scelgo di guardare negli occhi l’altro ri-conoscendolo come un altro-io, come un soggetto che è pari a me, non come oggetto destinatario di una comunicazione. La relazione è libertà perché mi esprime nel tratto della distanziazione e dell’avvicinamento, come in una dinamica respiratoria, o del battito cardiaco “sistolediastole”, essenziale, vitale! La Libertà La “Libertà”, come concetto e valore, si declina in diversi modi. I quattro principali sono: - quello liberale (ad esempio, mutuato da J. Stuart Mill), esso sostiene che la libertà sussiste fino dove inizia la libertà altrui, e non si pone limiti di carattere etico, se non questi; - la sua estremizzazione contemporanea del “fare ciò che si vuole”; - quello illuministico-kantiano, basato sul dover-essere e sul dover-fare ciò che spetta nella condizione data; - quello ispirato alla dottrina classica delle virtù, che si definisce come segue: “libertà è volere ciò che si fa” nella consapevolezza. Una libertà ispirata dalla ragione come “Recta ratio agibilium” (Tommaso d’Aquino), ma anche attenta a... …i suoi limiti Le passioni umane costituiscono i limiti della libertà. Variamente declinate nella tradizione e nella modernità, è generalmente accettata una tassonomia classica, che le vede elencate a sei coppie contrapposte, più una, l’ira. Esse sono: amore/odio; piacere/dolore; desiderio/fuga; coraggio/paura; speranza/disperazione; gioia/tristezza. Oltre ogni apparente realtà… “[...] erriamo quando prendiamo il presupposto [...] che ogni conoscibile sta senz'eccezione sotto le leggi naturali e lo assolutizziamo nell'affermazione seguente: tutto ciò che è reale è natura e come tale conoscibile. [...] Noi siamo più di ogni conoscibile. Siamo veramente qualcosa che non può mai divenire oggetto di una conoscenza psicologica o naturale, sebbene il fenomeno della nostra vera realtà resta studiabile psicologicamente in una estensione imprevedibile.” (K. Jaspers, ne I grandi filosofi: I. Kant, sito a cura di A. Bongiovanni, Dialeghesthai, 12). Che ne pensiamo? La persona I La Struttura della Persona: Fisicità (interfecondità) Psichismo (organismo psichico, passioni, emozioni, etc.) Spiritualità (senso del sacro, religiosità, fedi, etc.) La persona II La Struttura della Personalità: Genetica (cromosomica e mitocondriale) Ambiente (familiare, sociale, culturale) Educazione (formazione, crescita della dimensione psicologico - affettiva, etc.) Complessità e complicazione Vi è a questo punto del discorso sull’uomo il tema della complessità… e della complicazione? Sono la stessa cosa, sinonimi? Oppure no? Potrebbe essere il concetto di totalità inesauribile? Proviamo a pensare al numero 10: come lo compongo? 8+2, 4+6, 3+7… e così ad libitum: una somma qualsiasi è il 10 complicato di due addendi, mentre l’infinità di possibilità per “fare 10” rappresenta la complessità. Alcuni, come R. Celestino [2002], intendono la totalità come sistema complesso, un insieme di parti che si influenzano reciprocamente e indefinitamente. Joel de Rosnay [1977] spiega che un sistema complesso come nozione riferibile alla totalità è composto da una grande varietà di componenti o di elementi che possiedono delle funzioni specializzate organizzate per sistemi gerarchici interni [ad es. nel corpo umano: cellule, organi, sistemi di organi]; i diversi livelli e gli elementi individuali sono collegati da una grande varietà di legami. Ne viene fuori una grande densità di interconnessioni. La complessità La totalità dice un numero pressoché indefinito di connessioni. L’essere umano, per quanto ci è dato conoscere è la struttura più articolata e ricca di connessioni tra i viventi, a partire dal cervello: la sua complessità pone un incommensurabile campo di analisi e di interpretazione sotto ogni profilo psicofisico e spirituale. Non vi è dubbio che l’uomo costituisce un campo di indagine inesauribile, proprio per queste sue caratteristiche di indefinitività: pertanto non si dà mai come terminata la ricerca sui nessi e le interdipendenze che lo costituiscono. Proviamo a elencare alcuni sistemi complessi presenti nel nostro tempo: biologia: DNA, cellule, organismi, cervello; economia: aziende, economia nazionale, economia mondiale; linguistica: linguaggi, gerghi, etc. [e siamo in tema del nostro lavoro]; psicologia e sociologia: individui, piccoli gruppi, grandi gruppi, società; chimica: reazioni chimiche; scienze informatiche: computer paralleli, e certamente altri. La complessità umana La totalità prevede che si diano diversi approcci ad alcune sue declinazioni, tra cui consideriamo -come visto- la complicazione e la complessità. L’approccio alla prima non può che essere analitico, mentre l’approccio alla complessità deve essere sintetico. A mio parere, però, si tratterà di utilizzare a livello conoscitivo anche l’approccio analogico (non digitale!), poiché la realtà è sempre più complessa del modello teorico che la rappresenta, e costituisce sempre un problema per il soggetto conoscente. Se la conoscenza sintetica consente di apprendere i nessi e vederne gli scopi e i fini del sistema, e la coscienza analitica permette di apprenderne i meccanismi, le pieghe, le particolarità, per contro la conoscenza analogica, per definizione imprecisa, consente di penetrare teoricamente in tutte le pieghe del reale graduandone indefinitamente le definizioni. L’uomo in relazione L’uomo fa fatica a stare solo, ha bisogno degli altri, è nella relazione, La relazione mette l’uomo davanti al suo simile, con cui deve mettersi in gioco, Il simile richiama il limite dell’uomo stesso, che si rende conto guardandosi nello specchio dell’Altro, L’Uomo è sempre anche l’Altro, La relazione è ciò-che-collega un uomo a un altro uomo. La Relazione La relazione prevede una distanziazione e un avvicinamento, è un gioco tra due poli e tra le parti: è un gioco delle parti, La relazione è sempre in gioco nella vita umana, si può interrompere, ma non per sempre, magari se uno va a vivere in Antartide o sulle sponde del lago Bajkal: nel nostro quotidiano, essa persiste imperterrita, anche quando non vorremmo; quante volte non vorremmo che la relazione non ci condizionasse ogni giorno, ogni momento, in ogni luogo… o quasi? …e anche dove lavoriamo? Il Dialogo Dialogo significa “parola che congiunge due persone attraversando uno spazio fisico e mentale”, avviene mediante lo scambio vocale o scritto, a vista o meno, ma per essere tale, cioè “dia-logo” prevede un riconoscimento tra i due dialoganti e un proporzionato “investimento emotivo”, Il dialogo richiede di accettare la fatica dell’ascolto e la possibilità del fraintendimento, dell’equivoco, del malinteso, del silenzio offeso e ammutolito, e perciò ha bisogno di una specie di “manutenzione”, Il dialogo è “vita spirituale” e condizione per ogni comunicazione vera ed efficace tra esseri umani. La Comunicazione È un mettere-in-comune (communis actio): ma che cosa? - Informazioni, - Nozioni e saperi, - Aggiornamenti, - Stati di avanzamento, etc., e richiede un uso corretto dei “mezzi di comunicazione”, che sono sia quelli tradizionali, cartacei, sia quelli telematici sempre più efficienti, ma che non possono mai sostituire… il dialogo e la relazione. La Comunicazione e i suoi elementi linguaggi, cioè il “codice espressivo” stili, cioè il “carattere o cifra derivanti dai tratti di personalità soggettivi” modalità, cioè il “modo ordinario di comunicare e le scelte verbali/non verbali/paraverbali” livelli di condivisione, cioè le “simmetrie e le asimmetrie delle informazioni” (tra colleghi e Direzione) mezzi e strumenti operativi, cioè “telefono, computer, riunione, etc.”. La “parola” Paul Ricoeur distingue tra “langue”, intesa come lessico, che costituisce un codice comunicativo, e “parole”, che invece rappresenta il segno significante di un senso: vediamo di orientarci in questo calembour… La parola è di per sé polisemantica, cioè ha più-significati, ma non solo: essa significa e dà senso a cose che non dice… Come? Tacendo di ciò che deve rimanere inespresso, o si vuole rimanga inespresso, come domanda sospesa, come affermazione, come giudizio… Quante volte siamo rimasti spiazzati dalla parola, anche quando -apparentemente- essa è “chiara e distinta” come i concetti cartesiani? Perché accade questo, come possiamo orientarci in questa complessità? La Comunicazione performativa: la Relazione Se la Comunicazione avviene in un contesto empatico, contribuisce a far crescere la qualità relazionale tra umani, tra colleghi, ma richiede un’attenzione particolare, e l’utilizzo degli strumenti adeguati al contesto: nessuno può pretendere di far funzionare allo stesso modo il telefono e la telematica, che è quasi istantanea, ma priva di coscienza, muta e fredda… e tantomeno sostituire il colloquio interpersonale con la e-mail et similia (sms, WhattsApp, etc.) Comunicando io modifico me stesso “modificando” il mio interlocutore… Un Circolo virtuoso Se riusciamo a considerare Relazione-Dialogo- Comunicazione come un “circolo virtuoso”, creiamo le condizioni per vivere, operare, lavorare bene, Un circolo virtuoso è un meccanismo di rinforzo, del quale tutti partecipano, È virtuoso proprio perché la sua circolarità aumenta progressivamente l’efficacia dell’azione, La circolarità aumenta anche le possibilità di comprensione reciproca, arricchendo -a ogni passaggio- le conoscenze e le opinioni dei singoli. L’Io e il Tu Di solito prevale l’Io, perché il Tu è l’Altro-da-te, ed è anche naturale che sia così, ma se questo prevalere permane come unica condizione della relazione, ogni “io” cercherà di marcare il proprio territorio, dimenticando che altrettanto può fare o sta facendo il “tu”, e allora come muoversi? Non tanto delimitando il territorio come può fare un leone maschio, ma negoziare gli ambiti di azione complementare, concordandone alcuni insieme, in una collaborazione reciproca e utilmente in grado di far fruire a ciascuno dei due delle competenze specifiche dell’altro: il contrario di ciò che spesso si fa in un malinteso senso della competizione. Il Riconoscimento dell’Altro Vi è un riconoscimento del soggetto altrui di tipo fattuale- giuridico-politico, cui giocoforza tutti ci assoggettiamo (nessuno può scegliersi i compagni di scuola, di lavoro, di stanza d’ospedale…), e vi può essere un riconoscimento di carattere antropologico-morale: in questo caso il riconoscimento ammette senza esitazioni l’uguaglianza ontologica e valoriale dell’altro-con-me: l’altro vale quanto me, l’altro può avere ragione e ragioni quanto e più di me, e, in altra situazione, viceversa, questo è il vero riconoscimento, atto a creare le basi per una collaborazione senza pre-comprensioni e pre-giudizi. La Persuasione Ci capita di incontrare molte persone: alcune sono molto convincenti, altre di meno, alcune per nulla. La persuasione non è una procedura manipolatoria, ma un ragionamento proposto e condiviso nel suo procedere: il grande filosofo goriziano Carlo Michaelstaedter (mancato prematuramente) distingueva rigorosamente la persuasione dall’arte retorica del bel dire, che contraddistingue -e perciò può essere ingannevole- sia le persone fededegne, sia gli imbonitori e i bluffatori di ogni risma, genere e specie. La persuasione si mostra come capacità di coinvolgimento morale ed operativo nella realizzabilità, o almeno nella plausibilità, della proposta. Etica e Morale? Etica e Morale linguisticamente sono sinonimi, derivando il primo termine dal greco antico (ε̕θος) e il secondo dal latino (mos, moris), e dunque diciamo etica e morale, nelle accezioni che hanno assunto nel tempo. Il sapere etico è molto serio e importante, e significa la conoscenza e la capacità di giudicare la bontà o la malizia della azioni umane libere. L’etica è dunque la scienza del giudizio sull’agire libero dell’uomo: sappiamo però che la libertà umana è condizionata e relativa. Le varie scuole dell’Etica Deve essere declinata. Le varie “scuole”: Utilitarismo Edonismo Deontologismo Emotivismo Prescrittivismo Culturalismo Il Finalismo o Eudemonismo Teleologico (felicità finalizzata), detto anche via virtutum o dell’uomo come fine, può essere la scelta etica più completa. L’Etica della Vita umana Se il sapere etico è in qualche modo un’epistème, una “scienza”, e non un balletto di opinioni, bisogna trovare dei minimi comun denominatori sul valore dell’oggetto esaminato da questo sapere. Su questo tema vi sono non poche opinioni e visioni, anche molto divergenti: mi pare però che sia possibile convenire su un punto: che l’uomo stesso, essendo soggetto e nel contempo oggetto dell’azione umana libera, possa essere considerato il fine di un’etica della persona, lasciando al dibattito in corso, non sempre lucido e razionale e spesso tra posizioni inconciliabili, di dirimere ulteriori passaggi sui temi più delicati, come quello dell’inizio e del fine vita. L’Etica della salute Nel nostro contesto, l’etica della salute si pone come fonte di ispirazione delle professioni mediche, e specifico ambito disciplinare, a parer mio, dove convergono più fattori, sia di ambito professionale nel quale sono coinvolti il personale medico e paramedico, sia di carattere organizzativo, nel quale, oltre agli aspetti legati alle singole professionalità, gioca un ruolo fondamentale la capacità di integrazione e del “lavoro di gruppo”. Le politiche e le prassi della sicurezza sono totalmente intrinseche a questa esigenza di sviluppare una “cultura del lavoro di gruppo”, che è poi sottesa a ogni strutturazione di “gruppi di lavoro” e di équipes. Come vediamo di seguito… Il “Gruppo semplice” (l’équipe) Ogni agire umano-in-relazione costituisce un “gruppo semplice”, che può essere formato da un minimo di due persone, come alcuni uffici/ reparti, oppure tre o quattro/cinque, nel quale le dinamiche si dipanano reciprocamente intrecciate. In ogni “gruppo umano semplice”, come in ogni relazione intersoggettiva, nulla è semplice, ma tutto è complesso. L’apparente contraddizione si spiega con il fatto che ogni essere umano è in sé complesso (cum-plexum), e nella relazione con l’altro/gli altri moltiplica geometricamente questa complessità. La complessità richiede non tanto spiegazione, quanto interpretazione e com-prensione (non nel senso moralistico del termine, ma nel senso cognitivo). Il “Gruppo complesso” (la struttura della Casa di cura nel suo insieme) Se nel “gruppo semplice” tutto è complesso, nel “gruppo complesso” tale caratteristica è ulteriormente enfatizzata, in ogni caso: infatti, gli intrecci intersoggettivi sono più numerosi, probabili, e forieri di problematiche. Lo sforzo di interpretazione e comprensione è dunque più elevato e continuo, mentre nel contempo si svolgono le esperienze soggettive nelle vite individuali, nella congerie di eventi, buoni e cattivi, gioiosi e dolorosi, che muovono energie e disponibilità, talora alimentandole e a volte esaurendole. Il “gruppo complesso” è l’insieme degli uffici e dei reparti di un posto di lavoro (azienda, ente, scuola, ospedale, etc.). La Gerarchia e la Leadership In ogni organizzazione umana vi è una Gerarchia e una Leadership, che possono essere di tipo naturale o carismatico, oppure di status o ruolo. Nei luoghi di lavoro si può essere in presenza di qualsiasi tipo di gerarchia e leadership, ma quella che non manca è quella di “ruolo”: non sempre, però, il “ruolo” è ricoperto da chi esercita nella propria posizione gerarchica una leadership riconosciuta ed efficace. Su queste carenze bisogna approfondire la consapevolezza ed agire per una crescita. Win-win? Un’idea sbagliatissima che ancora alberga in qualche cuore è che sul lavoro mors tua sia vita mea, come nella tradizione utilitaristica più spinta e scettica: non è così, al contrario! La collaborazione “disinteressata” (nel senso buono del termine) comporta solo vantaggi per il singolo, perché mette in moto una rete di conoscenze ed esperienze, generando valore aggiunto e crescita reciproca… Il motto hobbesiano, allora, da homo homini lupus deve cambiare in win-win (vinco io se vinci anche tu e viceversa). La Dimensione Top-Down Vi è una dimensione top-down, rappresentata dalle posizioni gerarchiche presenti negli organigrammi e un flusso conseguente di azioni, di ordini di servizio, di verifiche, etc.: è importante, anzi fondamentale, che queste relazioni tra la dimensione top e la dimensione down siano sempre “a due vie”, evitando l’isolamento del down e la mancanza di feedback: il feedback è il principale degli strumenti atti a sviluppare la collaborazione e i processi di delega. Nella nostra esperienza questo accade? E se non accade, perché? La Dimensione Bottom-Up Se vi deve essere una circolarità sistemica nelle relazioni tra le dimensioni top e down, in ogni struttura organizzata è bene sistematizzare verifiche reciproche, che comprendano anche valutazioni periodiche del lavoro fatto e del lavoro da sviluppare nei progetti futuri. Tale circolarità permette di creare l’ambiente adatto alla formazione di backup di profili e figure provviste di potenziale. Una struttura organizzata manifesta la propria accortezza solo se riesce a pensare e ad agire con un occhio alla prospettiva degli sviluppi e dei cambiamenti futuri, cogliendo i segnali deboli del cambiamento stesso e considerandolo non come un fastidio, ma come un’opportunità. Responsabili! Non sempre quando si sente declinare il tema della responsabilità ci si accorge che chi parla e chi ascolta ha presente il significato vero e profondo del termine… quante volte sentiamo gente che dice: “mi assumo la responsabilità di… e di…”, verrebbe da chiedergli: “ma allora tu rispondi di quel danno lì, che ammonta a…”, “bè no, perché non ho agito solo io, ma anche altri…” e via scusandosi. La responsabilità è una cosa seria, significa “rispondere di qualcosa”, in liquido e in solido, ma soprattutto sotto il profilo morale. Il Mestiere del Lavoro Ogni lavoro prevede che il lavoratore abbia, per così dire, un “mestiere”, che significa le giuste competenze per il ruolo assegnato, e sapendo che le competenze sono date dal mix virtuoso tra conoscenze ed esperienze. Ma, e ciò a volte non lo pensiamo, il lavoro stesso è un mestiere, nel senso che è un’attività esistenziale, volta quindi non solo alla creazione del reddito personale e familiare, ma anche alla propria realizzazione come persona. Potremmo dire che il lavoro fa parte integralmente del mestiere di vivere che ognuno impara con fatica e a proprie spese nel tempo e nel contesto suo proprio. Il Mestiere del “Capo” Dentro questo mestiere del lavoro vi è il “mestiere del capo”, che si può imparare, anche se taluni ritengono che “si nasca capi”, e non si possa diventarlo. Tale tesi è sbagliata dal punto di vista di una sana e completa antropologia: infatti noi diventiamo ciò che possiamo diventare in base ad almeno tre fattori fondamentali: a) la nostra genetica (base biologica), b) l’ambiente in cui nasciamo e cresciamo (educazione), c) la formazione che riceviamo (scuola e università): si può vedere dunque che il mestiere del capo può svilupparsi da almeno tre sorgenti fondative dell’essere umano. Capi, dunque, si può diventare, anche perché in situazione si possono manifestare carismi nascosti, o per timidezza o per mancanza di opportunità espressive.