Dalle orbite
stazionarie…
…alle onde
stazionarie!
Le lacune nella teoria di Bohr
Il modello atomico di Bohr spiegava bene le righe dello spettro
dell'idrogeno, ma non riusciva a spiegare:
1. Tutte le righe degli spettri degli altri elementi (aventi più di un e- ).
Analisi spettrografiche più approfondite, inoltre, rilevavano che diverse
righe, in realtà, erano piccole bande di colore (cioè non erano costituite
da un solo preciso colore, ma da un piccolo insieme di tonalità, di
sfumature diverse )
2. Le anomalie magnetiche degli spettri di molti atomi (avvicinando una
calamita le righe si sdoppiano o, addirittura, si moltiplicano)
Il numero quantico secondario l
Sommerfeld, propose l’idea che non tutte le orbite siano perfettamente circolari, ma
esistono orbite di forma ellittica e con varie, anche se ben definite, eccentricità, ognuna
delle quali aventi una valore di energia leggermente diverso dalle altre (1916). Questo
spiegava le diverse «sfumature» di colore presenti nelle bande.
Il livello energetico (corrispondente ad una distanza indicativa r) individuato da Bohr fu
indicato come numero quantico principale n (con valore da 1 a 7), mentre la diversa
forma dell’orbita fu indicata come numero quantico secondario (o azimutale) l.
Sommerfeld propose i seguenti valori di l nei rispettivi livelli n:
1) l=0
2) l=0, l=1
3) l=0, l=1, l=2
4) l=0, l=1, l=2, l=3
Sebbene i suoi calcoli prevedessero n-1 orbite possibili per un
determinato livello n, i dati spettrali rilevati non indicavano
l’esistenza di orbite con l >3 per i livelli superiori (5, 6, e 7).
Il 3° numero quantico: l’orientamento magnetico m
Altra «stranezza» degli spettri atomici (già conosciuta nel 1800 come effetti Zeeman) è quella che, in
vicinanza di campi magnetici, molte righe spettrali si sdoppiano e altre addirittura si moltiplicano.
Sappiamo che, durante il suo moto, l’e- genera
un leggero campo magnetico (Oersted).
Effetto Zeeman
Avvicinando una calamita, questa interagisce con il
campo magnetico generato dall’e- provocandone
uno spostamento, quindi una «deformazione»
dell’orbita con variazione della sua ET (spostamento
delle righe spettrali).
Tale «deformazione» non è sempre la stessa, ma
dipende dall’orientamento nello spazio della
calamita e dell’orbita interessata.
Se l’orbita si deforma, varia la sua ET.
Ovviamente, allontanando la calamita, l’orbita riacquista la
forma e l’ET originarie.
Nessuna modifica
Se l’orbita avente una determinata forma (numero quantico l ) fosse
unica , la sua deformazione sarebbe evidenziata da un semplice
spostamento (cambiamento di colore) di a righe spettrali preesistenti
(il numero totale delle righe rimarrebbe invariato).
Il fatto che alcune righe, invece, si moltiplicano può essere spiegato solo
ammettendo l’esistenza di più orbite aventi stessa forma (stesso numero
quantico l, quindi la stessa ET), ma orientamento spaziale differente:
questo farà sì che il «disturbo» della calamita, risultando diverso per le varie
orbite, fa assumere ET differenti producendo, appunto, l’effetto Zeeman.
Si introdusse, perciò, un terzo numero quantico per indicare l’orientamento nello spazio di ogni orbita: fu
chiamato numero quantico magnetico m.
Per l’orbita circolare, l =0, fu trovato un solo numero quantico magnetico, m=0; per l =1 tre numeri quantici
m=(-1 , 0, +1); per l =2 cinque numeri quantici m=(-2 , -1, 0, +1, +2); per l =3, sette numeri quantici m=(-3 , 2, -1, 0, +1, +2 , +3).
Formula sintetica:  m= da – l a + l (solo numeri interi compreso lo 0).
Il 4° numero quantico lo spin s
Altri «effetti magnetici» più lievi, responsabili di «sdoppiamenti» di tutte le righe spettrali, portarono a ipotizzare un ulteriore
numero quantico, il numero quantico magnetico di spin s rappresentato come il verso di rotazione dell’elettrone attorno al
proprio asse (orario o antiorario). A tale numero quantico s furono dati due valori s= +1/2 h ed s=-1/2 h dove h=costante di
Planck.
Nel 1925 Pauli dimostrò che nella stessa orbita
(circolare o ellittica che sia) possono muoversi
due elettroni purchè abbiano gli spin
antiparalleli. Un terzo elettrone ne sarebbe
escluso  principio di esclusione di Pauli.
La spiegazione è da ricercare nelle interazioni
elettromagnetiche degli elettroni…
Essendo di carica uguale due elettroni si respingerebbero per la forza elettrostatica di Coulomb, ma ruotando in senso
inverso (spin antiparalleli) generano intorno campi magnetici aventi orientamento Nord-Sud
che tendono a far
attrarre gli elettroni. Forza elettrica e forza magnetica, così, trovano un equilibrio mantenendo gli elettroni sulla stessa
orbita, ma a debita distanza l’uno dall’altro.
Un terzo elettrone, oltre ad avere carica elettrica uguale agli altri due, si trova ad avere uno spin parallelo ad uno di essi. La
situazione vedrebbe la repulsione avere la meglio sull’attrazione la sommatoria delle interazioni in gioco, infatti, risulterà
una repulsiva (esclusione dall’orbita).
Riassumendo…
Atomo di Sommerfeld-Bohr
 L’elettrone percorre orbite stazionarie con momento angolare mvr=nh/2π che si possono trovare su uno dei 7 livelli
energetici dell’elettrone numero quantico principale n (valori : 1,2,3,4,5,6,7)
 All’interno di ogni livello l’orbita può essere circolare oppure ellittica con specifica eccentricità  Sottolivello energetico
o numero quantico secondario l (valori da l =0 a l =n-1)
 Per le orbite ellittiche esistono diversi orientamenti nello spazio  numero quantico magnetico m (valori da m= - l a
m= + l , compreso m=0)
 In ogni orbita l’elettrone può avere rotazione attorno al proprio asse in senso orario o antiorario  numero quantico
magnetico di spin s (valori +1/2 h e -1/2 h).
Dalle orbite alle… onde!
De Broglie: un’altra idea rivoluzionaria
Le continue modifiche e integrazioni miglioravano sempre di più il modello atomico di Bohr, ma non riuscivano
a raggiungere la perfezione (corrispondenza perfetta tra equazioni, calcoli e previsioni secondo il modello BohrSommerfeld, e righe spettrali reali dei vari elementi).
Peraltro in quei tempi vari esperimenti di
laboratorio avevano fatto rilevare che i raggi catodici
davano diffrazioni e interferenze paragonabili a
quelle della luce! Gli elettroni sembravano
comportarsi come i fotoni!
Si cominciò a sospettare che anche gli elettroni
avessero doppia natura come i fotoni: particellare e
ondulatoria.
Diffrazioni da un foro su un
foglietto di alluminio
Raggi X
Raggi catodici
Ora, se ai fotoni aventi una determinata
λ, è stato possibile
associare una
mc=h/λ (effetto fotoelettrico), per analogia
doveva essere possibile associare agli elettroni, aventi una determinata
mv, una specifica
λel= h/mv
Si cercò di studiare e di capire, quindi, il comportamento ondulatorio
dell’elettrone attorno al nucleo.
Interferenza da due fessure
Quando si parla di onde, l’esperienza comune ci porta a pensare
sostanzialmente ad un fenomeno che, prodotto da una sorgente, si propaga
nello spazio secondo determinate direzioni.
Questo, tuttavia, non si verifica per le onde associate (o prodotte) dall’elettrone, almeno quando l’atomo è stabile (a
riposo): lo dimostra l’assenza dell’annichilimento.
Occorre, quindi, pensare ad una serie di onde «vincolate» a
propagarsi intorno al nucleo e a non oltrepassare, comunque, i
confini dell’atomo.
Significato dell’idea di De Broglie
Per capire il concetto e comportamento di onde «vincolate» in un percorso, si può
partire dallo studio di onde di esperienza comune.
Quando diamo uno scossone (sorgente) ad una corda libera, si genera un’onda che
«viaggia» lungo la corda fino all’altro estremo libero per poi «scomparire».
Se lo facciamo su una corda fissata (vincolata) all’estremità, l’onda non
scomparirà, ma rimbalzando, tornerà verso la mano.
Se diamo una serie di scossoni, le onde di «andata» si incontreranno (interferiranno)
con quelle di «ritorno»: si avranno punti in cui l’interferenza sarà costruttiva (in fase)
alternati a punti dove sarà distruttiva (opposizione di fase).
NODI
Se la frequenza e l’ampiezza degli «scossoni» si mantengono costanti, data la loro
uguaglianza, le onde si incontreranno negli stessi punti e negli stessi modi: si generano
onde stazionarie. Oscillazioni, cioè, che non si propagano lungo la corda, ma
mantengono la stessa posizione. In particolare ci saranno punti, detti nodi (oltre agli
estremi) assolutamente fermi e zone della corda oscillanti, dette ventri.
Questo tipo di onde è molto comune: le corde della chitarra, o del violino ecc.,
generano serie di onde che, rimbalzando da un’estremo all’altro, producono,
per interferenza reciproca, onde stazionarie.
C’è un altro aspetto importantissimo: In base all’energia di movimento dato alla
corda, l’onda stazionaria potrà avere differenti lunghezze d’onda, ma un ventre
potrà essere lungo, al massimo, quanto la corda stessa, λ=2Lc (con assenza di nodi
intermedi), senza mai superare tale lunghezza.
Dando più energia alla corda, la λ dell’onda stazionaria generata diminuisce e,
di pari passo, compaiono e aumentano i nodi intermedi, che si dispongono
sempre a distanze tra loro uguali.
In pratica un’onda stazionaria può avere lunghezze d’onda sempre e solo
sottomultiple di quella più grande (dipendente, a sua volta, dalla lunghezza della
corda su cui è generata)  λn=Lc/n
La serie di onde stazionarie così ottenute viene definita serie delle
armoniche.
Torniamo al nostro atomo
Tornando agli elettroni, dobbiamo immaginare onde che si muovo vincolate su corde non rettilinee ma circolari: le
orbite, la cui lunghezze saranno Lc =2πr. Tali onde, quindi, produrranno, per interferenza reciproca, onde stazionarie
aventi λn= 2πr/n. Tali lunghezze d’onda possibili saranno solo e sempre sottomultiple della lunghezza dell’orbita.
Ora, assegnando al moto ondulatorio dell’elettrone λ = h/mv , confrontando le due
𝒉
equazioni ottengo h/mv=2πr/n. Da questa ricavo mvr= 𝒏 2π
Ma questa equazione è quella posta come condizione da Bohr per
spiegare le righe spettrali dell’idrogeno!
Conclusione All’elettrone sono permesse ben definite (quantizzate) orbite con
𝒉
momenti angolari mvr= 𝒏 2π perché si muove come onda attorno al nucleo e genera
onde stazionarie le quali, per loro natura, possono avere lunghezze d’onda sottomultiple
della lunghezza dell’orbita  λn= 2πr/n
Dalle onde agli… orbitali
L’imprevedibilità del comportamento dell’elettrone.
Riprendiamo le esperienze sui raggi catodici:
Le figure di diffrazione attraverso fori piccolissimi si
ottengono sia proiettando fasci di elettroni, sia
proiettandoli uno ad uno sequenzialmente.
Diffrazione attraverso un foro su foglio di alluminio
Raggi X
Raggi catodici
(1) Interfaccia,
(2) alimentatore per alta tensione
(3) tubo per diffrazione degli elettroni
(4) webcam
Nel caso dell’interferenza la situazione ha addirittura
dell’incredibile: ogni elettrone sembra «sdoppiarsi»,
passare da entrambe le fessure per poi ricombinarsi.
Solo in questo modo è possibile spiegare le figure di
interferenze a bande alternate, come quelle delle onde
elettromagnetiche.
Approfondiamo e cerchiamo di capire meglio.
Agendo sulla tensione elettrica (voltaggio) del circuito, è possibile variare la velocità di emissione degli elettroni.
Con velocità opportunamente bassa si può seguire nel tempo cosa succede su uno schermo sensibile, man mano che vi
giungono gli elettroni. (La cosa risulta molto più difficile con la luce, data la sua altissima velocità)
tempo
- +
A determinati intervalli di tempo,
si potrà osservare qualcosa come
nelle seguenti figure
V
Ripetendo l’esperienza, le posizioni degli elettroni cambiano, ma non
cambierà il risultato finale: zone più dense alternate a zone meno
dense.
Stesso risultato si osserva se gli elettroni si proiettano a fasci,
anziché singolarmente.
t1
10 e-
t2
200 e-
t3
6000 e-
t4
40000 e-
t5
140000 e-
Il trucco svelato
Le figure ottenute si spiegano come il risultato della diversa posizione assunta dai vari elettroni via via che giungono (uno alla
volta) sullo schermo: non c’è nessuno «sdoppiamento»!
C’è un fatto strano, però: la posizione di ogni elettrone risulta casuale, imprevedibile, diversa ogni volta che si ripete
l’esperienza, impossibile da conoscere, prima del suo arrivo sullo schermo stesso. Risulta persino impossibile sapere quale
delle due fessure possa attraversare, quindi fare previsioni esatte sulle traiettorie.
Tuttavia, osservando meglio le figure… qualcosa è possibile determinare!
 la distribuzione delle «posizioni» sullo schermo non sembra, poi, del
tutto casuale: esistono zone più dense e zone meno dense.
Allora possiamo parlare di probabilità maggiori o minori di trovare
l’elettrone, una volta «attraversate le fessure», in determinate zone o
punti dello schermo e, quindi, di traiettorie più e meno probabili che esso
può seguire.
La disposizione di tali zone, inoltre, ricalca quasi fedelmente la posizione
delle bande alternate delle onde elettromagnetiche quindi  tale
disposizione può essere «matematizzata» attraverso funzioni d’onda.
Una funzioni d’onda, in sintesi, rappresenta la distribuzione sullo
schermo di un insieme numerosissimo di elettroni che hanno
attraversato il foro (o le fessure)
Una funzione d’onda, relativa alla distribuzione degli elettroni sullo schermo dopo diffrazione o interferenza, descrive
matematicamente la disposizione sullo schermo di moltissimi elettroni, quindi rappresenta un fenomeno collettivo…
Ma quale significato può avere una funzione d’onda per il singolo elettrone?
Esistono diverse interpretazioni:
Interpretazione statistica (Max Born e Einstein) La funzione d’onda è applicabile ad un insieme di particelle e ne
rappresenta l’andamento statistico, collettivo. É perfettamente inutile, insignificante riferire la funzione alla singola
particella.
Interpretazione di Copenaghen o probabilistica (Bohr e Heisemberg) La funzione d’onda rappresenta tutte le
possibilità (traiettorie e posizioni) di ogni singola particella. Tuttavia l’atto della rilevazione (misura) in un determinato
istante mi permette di conoscere una sola di queste possibilità.
Per capire  Quando “sparo” un elettrone e questo interagisce con un ostacolo microscopico, posso prevedere che
arriverà sullo schermo in una delle numerose possibili posizioni ricavate dallo sviluppo della funzione d’onda, posso
indicare dove ha più probabilità di giungere, ma non posso sapere esattamente, con certezza assoluta il punto d’arrivo.
Ancora  se, dopo averlo sparato, rilevo una posizione sullo schermo e ne traccio la traiettoria seguita, non è detto che,
ripetendo l’esperienza, alle stesse condizioni, venga seguita la stessa traiettoria per ritrovare l’elettrone nella medesima
posizione sullo schermo. Potrebbe benissimo percorrere, in modo del tutto casuale e indipendente, un’altra traiettoria,
pur tra quelle rispettanti la funzione d’onda (e sono molto numerose!)
Queste ed altre interpretazioni, alternative o discendenti dalle prime due, concordano sul fatto che:
Non è possibile «localizzare» il singolo elettrone che, per tal motivo, viene definito un’entità delocalizzata (o
Non-localizzata) non ha, o non è possibile individuare per esso, un «luogo» fisico di esistenza definito.
Heisemberg tradusse il concetto di Non-localizzazione dell’elettrone nel famoso
Principio di Indeterminazione
È impossibile conoscere contemporaneamente posizione e quantità di moto
dell’elettrone.
Fine modello deterministico
Inizio modello probabilistico
N.B.  I concetti di Nonlocalizzazione, indeterminazione… valgono nel mondo «nanoscopico» (mondo dell’ultrapiccolo,
sub-atomico). Nel consueto mondo «macroscopico» valgono ancore le teorie deterministiche di Newton-Maxwell.
Al di là dell’aspetto matematico, anche pensando l’elettrone come pura particella e non onda, possiamo
convincerci di tale principio analizzando la seguente situazione:
 Per rilevare un qualsiasi oggetto occorre utilizzare la «luce».
 La luce, interagendo con l’oggetto, ne subisce una
(riflessione, rifrazione, diffrazione ecc.)
 Raccogliendo e interpretando il segnale «modificato», riusciamo a «
 A sua volta anche l’
» l’oggetto e le sue proprietà.
, interagendo con la luce, ne subisce una
 Il segnale ricevuto, perciò, mi dà informazioni risultanti dall’impatto, quindi dalla reciproca modificazione:
dire quanto l’informazione sia fedele alla realtà assoluta, immodificata dell’oggetto. Così, ad
esempio, non potremo sapere con assoluta certezza la
nè come essa sia stata modificata.
Possiamo solo dichiarare che in un dato momento abbiamo «visto»
delle
della
particella.
 Per ovviare al
connesso all’«
» luce-oggetto, possiamo pensare di utilizzare segnali
luminosi a
in modo da causare un disturbo trascurabile all’oggetto, il che ci garantirà
informazioni abbastanza fedeli alla realtà.
L’idea è ottima, ma è tutt’altro che facile da realizzare con le particelle!
 Consideriamo una palla da basket che rimbalza nel buio
 Possiamo disporre di una fotocamera dotata di flash e fare una sequenza di foto in modo da «seguire» il moto della
palla
 La luce del flash che colpisce ogni volta la palla ha lunghezze d’onda
(visibili) molto più piccole delle dimensioni della palla e, interagendo con
essa, riflette in modo perfetto e torna alla fotocamera in cui è posto il
sensore che rileva e registra il segnale molto nitido.
 Osservando le varie «riprese» possiamo riscostruire le posizioni, la
traiettoria, calcolare velocità, quantità di moto, energia ecc.
 Siamo «sicuri» che tutte le caratteristiche individuate siano fedeli praticamente al 100% alla realtà in quanto
l’interazione tra palla e luce è trascurabilissima.
 Infatti, l’energia contenuta nei segnali del flash (come la sua quantità di moto), a confronto con quella della palla, è
decisamente trascurabile (basta pensare a E=mc2 che rappresenta l’energia contenuta nella massa della palla: una
quantità davvero enorme). [Come dire …. la luce non fa nemmeno il solletico alla palla!]
Molto diversa è la situazione per l’elettrone: La sua massa, le sue dimensioni, la quantità di moto sono molto piccole!
Date le dimensioni dell’elettrone (1 fentometro= 1x10-15 metri), per «vederlo» non è possibile utilizzare luce con λ dello
spettro del visibile come per la palla (nell’ordine medio dei 500 nanometri (5x10-10 metri). Occorre utilizzare raggi γ, con λ
molto più piccole in modo da essere riflesse o, almeno, diffratte dalla particella ed essere rilevate dagli strumenti in modo
nitido.
Data la massa piccolissima dell’elettrone, da una parte, e le alte energie di tali onde, dall’altra  rischio di interagire
eccessivamente, quindi di modificare le proprietà della particella in modo significativo. (basti pensare all’effetto fotoelettrico
in cui la luce visibile è in grado di spostare l’elettrone di un metallo dalla sua orbita naturale)
Per evitare modifiche all’oggetto, dovrò utilizzare luce a bassissima energia (λ grandi) rischio di non «vedere» la particella
stessa: le onde la oltrepasserebbero senza interagire significativamente (non avrò riflessione o diffrazione apprezzabile)
Occorre giungere ad un compromesso: utilizzare λ che, da una parte, consentano di «vedere» la particella quanto più
nitidamente possibile, dall’altra interagiscano con essa in modo non eccessivo per non cambiarne significativamente le
caratteristiche e il comportamento.
Appare chiaro, ora, che quanta più precisione pretendo nel rilevare la sua posizione in un dato istante, tanto più saranno
l’interazione e la modifica indotta, quindi tanto meno conoscerò il suo reale comportamento (es. la quantità di moto)
Viceversa: quanto più preciso voglio essere nel determinare il comportamento (es. quantità di moto) tanto meno dovrò
interagire con essa, quindi tanto meno nitida è più confusa (diffratta) sarà la sua immagine, incerta la sua posizione.
λ
λ
Dimensione
λ troppo grandi passano
attraverso la particella, senza
«vederla» ne spostarla.
Dimensione
λ troppo piccole, riflettono in
modo preciso sulla particella
ma ne «modificano»
eccessivamente la posizione.
Dimensione
λ prossime alle dimensioni
della particella, si diffrangono,
riflettono in modo impreciso
sulla particella e ne provocano
un moderato spostamento
λ
Questa situazione fu esposta matematicamente da Heisemberg con la seguente equazione
Er(x)+Er(v)=1
Er(x)
Er(x) = errore minimo nella misura della posizione (x)
Er(v) = errore minimo nella misura della velocità (v)
Seguendo il grafico osservo che…
abbassando l’errore Er(x) si alza quello
Er(v) e viceversa.
1
1
Er(v)
L’equazione d’onda di Shroedinger
Il compromesso nei confronti dell’elettrone non porta a risultati molto soddisfacenti, per cui occorre
«accontentarci» di conoscenze «approssimative», collettive, probabilistiche.
Shroedinger, dalle osservazioni di Heisemberg e dall’idea di De Broglie, riuscì ad ottenere matematicamente
una complessa funzione d’onda per rappresentare tutte le possibili posizioni assunte attorno al nucleo, nel
tempo, da un qualsiasi elettrone tenendo conto di tutti i 4 numeri quantici dell’atomo quantistico di BohrSommerfeld (livelli energetici, sottolivelli, numeri quantici magnetici e di spin) .
Per curiosità, solo per curiosità, si riporta la
formula con la simbologia specifica.
Ciò che è importante è lo sviluppo matematico di tale funzione per il parametro ψ2 (psi al quadrato).
Questo sviluppo (calcolando ψ2 per tutte le combinazioni dei numeri quantici di cui sopra) porta a risultati
rappresentabili graficamente, su un piano tridimensionale, con zone di densità variabile (qualcosa di simile
a nuvole, con parti più dense e parti meno dense). Tali zone furono nominati ORBITALI ATOMICI.
Per Shroedinger ogni orbitale rappresenta la distribuzione della carica elettrica dell’elettrone  zone più dense=zone
più cariche (in linea con la Non-locabilità dell’elettrone)
Per Bohr rappresenta la zona di probabilità di trovare l’elettrone in un dato momento zone più dense=zone più
probabili (in linea con l’idea che l’elettrone sia, comunque, una particella locabile, almeno in un determinato istante)
Orbitali atomici
Attualmente si preferisce pensare l’orbitale ψ2 (funzione d’onda) come nell’interpretazione di Bohr, ma se preferiamo l’idea
di De Broglie, dovremmo pensare ad un onda stazionaria vibrante non su una corda circolare, bensì su una sfera (passare da
una rappresentazione bidimensionale a quella tridimensionale il «salto» di immaginazione è davvero arduo!)
Per gli orbitali, risultanti dalla risoluzione della funzione d’onda ψ2 …
la grandezza dipende dal numero quantico principale n
la forma dipende dal numero quantico secondario l
l’orientamento nello spazio dal numero quantico
magnetico m
Molti fisici e chimici anziché i valori numerici, al numero
quantico secondario l preferisco assegnare le lettere s,p,d,f
mentre per i valori del numero quantico m lettere varie
come x,y,z,k,q ecc.
Ogni orbitale possiede una ben
determinata (quantizzata) energia
che dipende solo dai primi due
numeri quantici (n, l) e rispetta
l’ordine seguente:
I valor di energia sono correlati in
modo inverso con le probabilità di
ospitare elettroni.
En. n 1<2<3<4<5<6<7
Prob. l s>p>d>f
Prob. n 1>2>3>4>5>6>7
En. l s<p<d<f
Orbitali atomici considerando il numero quantico secondario l (forma)
e quello magnetico m (orientamento nello spazio)
Orbitali atomici considerando tre numeri quantici (n, l, m)
CONFIGURAZIONE ELETTRONICA
Tenendo conto dei numeri quantici, delle interazioni elettromagnetiche e delle energie, quindi delle probabilità in gioco,
nonchè dello sviluppo dell’equazione di Shroedinger, i vari elettroni tendono a disporsi attorno al nucleo, nei vari orbitali,
secondo una configurazione che segue alcune regole:
Regola dell’aufbau (dal tedesco «a strati»)  Gli elettroni
tendono a sistemarsi negli orbitali a partire da quelli del livello
energetico più basso (più probabile, più vicino al nucleo) a
quello più alto (meno probabile, più lontano dal nucleo). Tale
regola, troppo generale è, però, meglio rappresentata dalla
regola della diagonale la quale, basata sullo sviluppo
dell’equazione di Shroedinger, tiene in considerazione anche di
qualche orbitale di un dato livello che risulta avere più energia,
meno probabilità, di quelli del livello o dei livelli superiori.
Principio di esclusione di Pauli  In un orbitale (sottolivello) con un determinato orientamento (numero quantico
magnetico m) può ospitare al massimo 2 elettroni che devono avere spin antiparallelo
Principio della massima distribuzione di Hund  Gli elettroni all’interno di un sottolivello tendono a sistemarsi
occupando quanti più orbitali degeneri possibili (orbitali degeneri=orbitali aventi stessa probabilità, stessa energia)
Solitamente la configurazione elettronica
di un atomo può essere rappresentata
tramite simboli alfanumerici…
…o con un diagramma a caselle e freccette
Rappresentazione della configurazione elettronica
L’atomo di Shroedinger e i suoi orbitali
I numeri quantici dell’atomo quantistico di Bohr–Sommerfeld ( livello energetico n, sottolivello l, numero quantico
magnetico m, numero quantico di spin s) rimangono validi, ma non si ammettono più orbite (traiettorie) per l’elettrone.
Al loro posto si parla di orbitali.
Per lo stesso Shroedinger ogni orbitale ψ2 rappresenta semplicemente la distribuzione nello spazio attorno al nucleo
della carica negativa dell’elettrone: più densa è la zona, più concentrata è la carica in tale zona e viceversa.
Per Heisemberg e Bohr ogni orbitale ψ2 rappresenta la distribuzione nello spazio delle probabilità di trovare l’elettrone
in un dato momento attorno al nucleo: nelle parti più dense è maggiore. Ad esempio, che lo sviluppo di ψ2 per l’unico
elettrone dell’idrogeno permette di ottenere risultati moltissimo addensati a formare una sorta di circonferenza attorno
al nucleo con raggio circa 0,5 Angstron. Il dato combacia con il valore del raggio della presunta orbita trovato anni prima
da Bohr. Questo rafforzò l’opinione che a quella distanza è altissima (più del 90%) la probabilità di trovare l’elettrone in
un dato istante o, nell’idea di Shroedinger, è densissima la sua carica negativa.
Relativamente al nucleo e alle altre particelle subatomiche… nessuna novità sostanziale:
Z  numero atomico=numero di protoni (identificativo della specie atomica)
A numero di massa= somma dei protoni e dei neutroni
 I raggi protoni e neutronici manifestano analoghi comportamenti ondulatori e indeterministici dei raggi catodici.
 Il nucleo mostra equilibri precari (radioattività) e contenuti energetici enormi (energia nucleare).
 Nessuna ipotesi degna di rilevanza circa l’organizzazione, la struttura e gli equilibri all’interno del nucleo fino al 1964,
quando fu ipotizzata l’esistenza dei quarks  Modello Standard
Dalton 1803
Thomson 1904
Rutherford 1911
Bohr 1913
Sommerfeld 1916
De Broglie 1924
Modello standard 1967/68
Shroedinger 1926
Qualche riflessione…
L’atomo quantistico di Bohr-Sommerfeld ricorre ad una teoria che oggi definiamo semi-classica in quanto le leggi utilizzate
erano in sostanza quelle della meccanica classica, quella cioè di Newton-Maxwell (definita deterministica), con l’aggiunta di
condizioni quantistiche.
L’atomo di De Broglie-Heisemberg-Shroedinger ricorre a leggi nuove: quelle della meccanica quantistica (o ondulatoria o
probalistica) che non è deterministica (pensate alla «delocalizzazione» dell’elettrone …!).
Le teorie della fisica quantistica hanno rivoluzionato il modo di concepire la realtà e risultano sconvolgenti non tanto per la
non applicabilità della meccanica classica di Newton-Maxwell (ritenuta tutt’ora valida per il mondo macroscopico) al mondo
sub-atomico, quanto per le implicazioni della non-locabilità di ciascuna particella e del suo stato fisico inteso come il risultato
di specifiche combinazioni probabilistiche, tra numerose possibili.
• Così, ad esempio, è incomprensibile che un oggetto come una palla, di cui si possono determinare e prevedere, con
assoluta certezza, posizione, velocità, peso, colore ecc… sia completamente costituita da particelle non localizzabili, il cui
stato non è determinato, se non nel solo momento della loro osservazione.
•
E’ anche sconvolgente sapere che un oggetto e il suo stato chimico-fisico siano solo il risultato di una serie di
combinazioni casuali tra le tantissime possibili.
Shroedinger, per far capire a colleghi e studenti la «portata» inquietante di questa rivoluzione scientifica, che prevede
l’indeterminabilità di un evento particellare, ideò un esperimento concettuale.
Sostanza radioattiva: emette in media 1 particella/ora
Dopo un’ora, il gatto è vivo o è morto?
Dato che non è possibile determinare con
esattezza se la particella sia stata emessa o no,
occorre valutare l’evento in modo statistico: lo
sviluppo del calcolo probabilistico (La funzione ψ)
porta ad affermare che: gatto vivo e gatto morto
non sono condizioni fisiche esistenti allo stato
puro, bensì sono perfettamente miscelati, quindi
la risposta esatta è…
Gatto vivomorto.
L’osservazione diretta (apertura della scatola),
tuttavia, «manifesterà» uno dei due stati possibili
in modo casuale, non prevedibile.
Scatola chiusa
La particella
colpisce la leva che
«scatta» in giù
Cianuro
La leva fa cadere il martello
La fiala si rompe
Einstein non era per niente d’accordo con queste convinzioni indeterministiche della realtà. Di lui rimase una frase storica:
«Dio non gioca a dadi!»