Manuale: PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO di CAMAIONI e Di BLASIO
CAPITOLO 1: Lo STUDIO dello SVILUPPO
Per SVILUPPO PSICOLOGICO ci si riferisce ai cambiamenti che si verificano nel
comportamento e nelle capacità dell’individuo col procedere dell’età. I cambiamenti più
significativi si verificano nell’infanzia,nella fanciullezza e nell’adolescenza. Tre
risultano essere le DOMANDE CHIAVE che rappresentano i quesiti di fondo della
psicologia dello sviluppo:
1. Qual è la natura del cambiamento che caratterizza lo sviluppo?
2. Quali processi causano tale comportamento?
3. Di che tipo di cambiamento si tratta?
Domanda 1: NATURA QUANTITATIVA
graduale accumulo di cambiamenti nel tempo
sviluppo come accrescimento o
NATURA QUALITATIVA
sviluppo implica la comparsa di
nuove capacità o trasformazione di quelle precedenti
Il COMPORTAMENTISMO è la teoria che sostiene la natura quantitativa, in quanto
considera il bambino come un organismo plasmato totalmente dalle esperienze e
dall’apprendimento; le TEORIE ORGANISMIHE optano per la natura qualitativa,
sostenendo il bambino come costruttore delle proprie capacità e lo sviluppo come fattore
dovuto a fattori interni piuttosto che a quelli esterni.
Domanda2: FATTORI AMBIENTALI
questi modellino il comportamento
teorie comportamentali ritengono che
FATTORI GENERICI teorie organismiche ritengono che lo sviluppo sia
generato dall’INTERAZIONE tra un organismo dotato di determinate competenze e
particolari condizioni ambientali
Domanda3: SVILUPPO come PROCESSO CONTINUO
cambiamenti quantitativi
si allinea con l’idea dei
SVILUPPO come PROCESSO DISCONTINUO
cambiamenti di natura qualitativa
coincide con i
Tre risultano essere gli APPROCCI alla psicologia dello sviluppo:
1. METODO COMPORTAMENTISTICO
2. METODO OGANISMICO
3. METODO PSICOANALITICO
Secondo l’approccio comportamentistico, che richiama la tradizione filosofica
dell’empirismo, l’individuo è un ORGANISMO DOCILE e PLASMABILE
caratterizzato da capacità illimitate di apprendimento; il cambiamento evolutivo è
imposto dall’ambiente esterno. Lo sviluppo consiste nel continuo modellamento delle
risposte del bambino da parte dell’ambiente in cui vive; la metodologia utilizzata è la
SPERIMENTAZIONE e l’OSSERVAZIONE con il massimo di controllo. Due sono le
principali correnti teoretiche:
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 COMPORTAMENTISMO RADICALE, fortemente influenzata dalle idee di
SKINNER ove lo sviluppo non è altro che una lunga sequenza di esperienze di
apprendimento. L’apprendimento è regolato da due processi: il
CONDIZIONAMENTO CLASSICO e il CONDIZIONAMENTO OPERANTE
 TEORIA dell’APPRENDIMENTO SOCIALE di A. BANDURA per il quale
l’apprendimento può derivare anche dall’osservazione senza rinforzo;
l’apprendimento per osservazione spiega numerosi comportamenti che il bambino
impara osservando le altre persone e poi emula. Questo però non è automatico;
infatti ciò che esso apprende è condizionato dagli aspetti del comportamento
osservato
L’ approccio organistico considera l’individuo come un ORGANISMO
ATTIVO,SPONTANEO e teso a realizzare le proprie potenzialità; il cambiamento è la
prima caratteristica del comportamento. Il bambino costruisce gradualmente la propria
comprensione con un continuo interscambio con l’ambiente. Tale approccio predilige
l’osservazione e la sperimentazione con un grado moderato di controllo.
L’approccio psicoanalitico considera l’individuo come un ORGANISMO SIMBOLICO,
capace di attribuire significati a se stesso e al mondo; cambiamento = esito dei conflitti
interni, e quello che caratterizza lo sviluppo è qualitativo. Questo metodo è interessato a
ricostruire la storia personale degli individui. Predilige a livello metodologico:
OSSERVAZIONE NATURALISTICA, COLLOQUIO CLINICO e OSSERVAZIONE
DELLA RELAZIONE OSSERVATORE-OSSERVATO.
SVILUPPO COGNITIVO: esistono tre prospettive fondamentali
 MATURAZIONISMO
 COMPORTAMENTISMO
 COSTRUTTIVISMO
Il maturazionismo è il meccanismo che regola la comparsa di nuove abilità con
l’avanzare dell’età; A. GESELL è ritenuto il massimo sostenitore di tale prospettiva, e il
primo a sostenere il ruolo fondamentale della base biologica nel determinare gli schemi
generali dello sviluppo. Egli capi come le prime abilità motorie del bambino si ripetono
con regolarità e ipotizzò la scansione temporale e la sequenze che le determina sono il
risultato di un programma predeterminato. Per Gesell l’esperienza gioca un ruolo
marginale. N. CHOMOSKY presenta una teoria più recente che si rifà al
maturazionsimo: essa è tesa a spiegare il linguaggio del bambino. Egli sostiene la
capacità innata di acquisire il linguaggio nel bambino e che l’esperienza abbia ruolo
determinante.
Il comportamentismo sostiene come l’individuo sia plasmato dall’ambiente;la ricerca
dello sviluppo cognitivo qui si ispira ai principi di PARSIMONIA e RIDUZIONISMO.
Il comportamento complesso può essere ridotto a una serie di comportamenti semplice e
bisogna isolare le singole unità comportamentali. I meccanismi dell’apprendimento
operano in maniera uguale nell’intero ciclo vitale. Grandi maestri di tale prospettiva
sono BIJOU e BAER.
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Il costruttivismo, che si sviluppa grazie alla diffusione della teoria di PIAGET, nega la
psicologia della sviluppo come psicologia dell’apprendimento e afferma la diversità
qualitativa del pensiero infantile rispetto a quello adulto. I bambini costruiscono
attivamente le proprie credenze e conoscenze tanto da risultare spesso bizzarre; essi
formano la propria rappresentazione della realtà grazie ad un continuo interscambio
bidirezionale con l’ambiente. Gli STADI di SVILUPPO, corrispondono a strutture
intellettive di crescente complessità e stabilità, ovvero quelle trasformazioni che il
sistema cognitivo subisce nel corso dello sviluppo.
Fino agli anni’70 gli studiosi tendevano a considerare il contesto in cui il bambino si
sviluppa in modo molto ristretto; ci si limitava all’analisi del rapporto madre-figlio in
famiglia oppure all’interazione tra compagni di gioco nella scuola materna. Nel corso
degli anni si è affermata la tendenza ad allargare la nozione di contesto e si è
riconosciuto lo sviluppo come un processo sempre calato nel contesto. Nel 1979
BRONFENBRENNER, fondatore dell’approccio ecologico, individua all’interno
dell’ambiente ecologico una serie ordinata di strutture incluse l’una nell’altra; al primo
livello si trova il MICROSISTEMA: situazione ambientale quotidiana in cui è inserito
l’individuo. Al secondo livello vi è il MESOSISTEMA: relazioni tra microsistemi; il
terzo livello si compone dell’ ESOSISTEMA: condizioni di vita e di lavoro della
famiglia,della scuola e del gruppo di coetanei. L’esosistema è influenzato a sua volta dal
MACROSISTEMA , ovvero quell’insieme di politiche sociali e di servizi che
caratterizzano una data comunità socioculturale. È andato al tempo stesso crescendo
l’interesse degli psicologi dello sviluppo per l’analisi delle DIFFERENZE
INDIVIDUALI; esse, intese sia come differenze dello sviluppo di individui diversi
(interindividuali) sia come differenze tra aspetti dello sviluppo in uno stesso individuo
(intraindividuali), possono essere spiegate solo se si considera l’interazione tra fattori
maturativi e il ruolo dell’ambiente, dell’ apprendimento e dell’istruzione. In questo
modo le differenze individuali assumono ruolo di meccanismi che contribuiscono alla
costruzione delle capacità che si sviluppano. In quali aspetti esse si manifestano? Alcuni
psicologi hanno analizzato le differenze nel TEMPERAMENTO, altri le differenze nel
LINGUAGGIO e altri ancora riguardo la POPOLARITA’. Per quanto riguarda il
temperamento definito come stile di comportamento di individuo nella sua interazione
con l’ambiente, un’importante ricerca americana( New York Longitudinal Study) ha
studiato longitudinalmente 138 individui dalla nascita fino ai 10 anni di età; secondo ciò
che è emerso, ciascun individuo nasce provvisto di caratteristiche temperamentali che
persistono dall’infanzia fino all’età adulta. Gli individui sono caratterizzati alle diverse
età da un livello di attività alto o basso che evolve con il passare del tempo, ma il
carattere temperale rimane sempre riconoscibile. Considerare le differenze individuali
nel temperamento è importante in quanto l’ambiente e gli adulti risponderanno in modo
diverso a bambini rispettosamente calmi o vivaci. Un altro aspetto in cui si manifestano
forti differenze individuali è quello della popolarità, di cui godono o meno ragazzi e
adolescenti nell’interazione coi coetanei. Nel caso del linguaggio le differenze emergono
con maggior evidenza in quanto i bambini possiedono ritmi propri nell’apprendimento
del linguaggio materno. La precocità di alcuni come la lentezza di altri è del tutto nella
norma. Due risultano essere i DISEGNI di RICERCA per raccogliere informazioni su
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individui in diversi momenti del loro sviluppo : 1) DISEGNI LONGITUDINALI e 2)
DISEGNI TRASVERSALI.
1) Nel disegno longitudinale un gruppo di individui viene osservato e valutato per un
periodo più o meno lungo, solitamente alcuni anni. Questo tipo di disegno
permette di seguire lo sviluppo individuale in un buon arco di tempo e di
rispondere a domande circa la stabilità del comportamento indagato; ciò
nonostante si tratta di un metodo costoso in termini di investimenti e energie, e
inoltre vi è il rischio di perdere soggetti nel corso della ricerca. Un ulteriore
svantaggio è rappresentato dalla possibile confusione tra i cambiamenti legati
longitudinali sono stati spesso utilizzati nelle prime fasi storiche della psicologia
dello sviluppo, con i diari sullo sviluppo infantile alla fine dell’800. Si possono
distinguere disegni longitudinali a BREVE e a LUNGO TERMINE: nel primo
caso si ha uno studio che valuti gli stessi soggetti in almeno due punti di età senza
alcun intervallo temporale. Nel secondo nel tempo.
2) Nel disegno trasversale i gruppi di individui di età diversa vengono confrontati
nello stesso momento; questo metodo è meno costoso, veloce nell’esecuzione e
facile da replicare. Lo svantaggio di tale approccio consiste nel fatto che non
vengono forniti dati riguardo lo sviluppo interno dell’individuo in quanto il
comportamento viene osservato in un unico momento temporale.
Gli studi trasversali risultano più numerosi di quelli longitudinali.
METODI di RICERCA: l’ESPERIMENTO. La sperimentazione è un metodo di ricerca
in cui l’osservatore partecipa attivamente, modificando un fenomeno presente
nell’ambiente naturale oppure lo produce intenzionalmente. Sperimentazione e
osservatore rappresentano le estremità di un CONTINUUM ossia una zona intermedia
dove si collocano caratteristiche sia dell’esperimento sia dell’osservazione.
Nell’esperimento, l’osservatore predispone una situazione dove sono note le variabili,
manipolando una o più di queste(VARIABILI INDIPENDENTI) e rilevando se le
modifiche apportate rilevano un’influenza nel comportamento indagato(VARIABILE
DIPENDENTE). Il ricercatore stabilisce una CONDIZIONE di CONTROLLO in modo
che la manipolazione della variabile indipendente possa essere la causa del cambiamento
osservato nella variabile dipendente. Nell’esperimento classico vi sono almeno due
gruppi ai quali i soggetti vengono assegnati in modo casuale: 1) gruppo sperimentale,
sottoposto al cambiamento della variabile indipendente; 2) gruppo di controllo, il quale
riceve un trattamento diverso oppure non lo riceve affatto. L’esperimento si caratterizza
per la manipolazione e il controllo delle variabili e per l’assegnazione causale dei
soggetti ai gruppi sperimentali e di controllo. VANTAGGI: sono legati alla sua capacità
di formulare rapporti di causa-effetto tra variabile dipendete e indipendente, e inoltre
alla sua propensione all’essere replicato(ottenendo ulteriori conferme o smentite
riguardo l’ipotesi di partenza); LIMITI: soggetti osservati in situazioni controllate o
artificiale potrebbero comportarsi in modo diverso nella realtà. Difficilmente i risultati di
una determinata osservazione possono essere generalizzati al di fuori dell’ambiente
controllato in cui sono stati raccolti; questo tipo di generalizzazione coincide con la
VALIDITA’ ESTERNA della ricerca. Quanto minore risulta la generalizzazione dei
risultati tanto più scarsa è la validità esterna; tuttavia l’esperimento presenta una
VALIDITA’ INTERNA: se le condizioni sono ben controllate e gli altri aspetti della
situazione sono mantenuti costanti, la relazione tra le diverse variabili è esattamente
quella proposta dal ricercatore. In alcune circostanze non è possibile manipolare le
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variabili oppure assegnare i soggetti in modo casuale ai gruppi sperimentali e di
controllo: è il caso dei DISEGNI QUASI-SPERIMENTALI. Quando non è possibile
individuare gruppi che differiscono per l’aspetto o si è interessati a descrivere il rapporto
tra le variabili(se il cambiamento di una corrisponde al cambiamento dell’altra) di parla
di DISEGNO CORRELAZIONALE: permette di misurare il grado di associazione delle
variabili senza modificarle sperimentalmente, senza distinguere tra gruppo sperimentale
e di controllo.
L’ OSSERVAZIONE. Come metodo di ricerca essa implica di selezionare un fenomeno
degno d’interesse e di raccogliere il maggior numero d’informazione dettagliate.
L’osservazione è un’attività complessa costantemente soggetta a distorsioni ed esposta
ai rischi della soggettività dell’osservatore. Questa si differenzia dalla sperimentazione
nella sua scelta di non controllare le variabili indipendenti; diventa dunque necessario
osservare il comportamento quando avviene spontaneamente. L’osservazione si pone
obbiettivi prevalentemente descrittivi piuttosto che esplicativi e dunque non è in grado di
prevedere rapporti di causa-effetto. Tale metodo può essere condotto in diversi modi che
variano per il tipo di ambiente in cui si osserva e per il grado d’intervento:
TIPO di AMBIENTE :
AMBIENTE NATURALE
AMBIENTE
ARTIFICIALE
1
TIPO di STUDIO:
NON
STRUTTURATO
2
STUDIO SUL
STUDIO IN
CAMPO NON LABORAROTIO
STRUTTURATO
NON
STRUTTURATO
3
STRUTTURATO
4
STUDIO SUL
STUDIO IN
CAMPO
LABORATORIO
STRUTTURATO STRUTTURATO
Due sono i principali tipi di osservazione: 1) OSSERVAZIONE NATURALISTICA, in
cui il ricercatore sceglie di esercitare un minimo grado di controllo sul proprio oggetto di
studio; 2) OSSERVAZIONE CONTROLLATA, in cui il ricercatore sceglie di
impiegare un grado medio o totale di controllo sulle condizioni e fornisce stimoli per
evocare il comportamento desiderato. L’osservazione naturalistica è in voga grazie
all’affermarsi dell’approccio etologico e degli studi di Piaget; tale approccio adotta
un’osservazione dissimulata nella quale il ricercatore assume una posizione defilata
oppure si maschera in modo da passare inosservato. Nell’osservazione controllata egli
interviene attivamente senza introdurre una vera e propria manipolazione sperimentale
ma ciò nonostante tale osservazione può essere guidata dalla formulazione di un’ipotesi
che il ricercatore si propone di verificare. L’uso dell’osservazione implica tre fasi: 1)
selezione del fenomeno da osservare; 2) registrazione del fenomeno; 3) codifica dei dati
registrati. In tutte queste tre fasi sono presenti delle FONTI di ERRORE che è
necessario conoscere ed individuare al fine di evitare distorsioni sistematiche nella
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raccolta e nell’analisi dei dati osservati; i soggetti posti sotto osservazione potrebbero
reagire alla presenza dell’osservatore e comportarsi in modo innaturale. Tale reattività
può essere controllata mediante un intervento del ricercatore, il cui scopo consiste nel far
abituare il soggetto alla situazione proposta attraverso metodi non invasivi o eventuale
mascheramento dell’osservatore. Una seconda fase di errore riguarda gli osservatori
stessi: il comportamento può variare in funzione delle condizioni psicofisiche e delle
capacità personali. Terza fonte di errore dei ricercatori risiede nell’atto di commentare o
attraverso la formulazione di aspettative.
INTERVISTE e QUESTIONARI: utilizzati per interrogare i bambini riguardo idee,
esperienze e motivazioni e per interrogare gli adulti riguardo comportamento, capacità e
personalità dei bambini con cui sono in contatto. Nel questionare i bambini è importante
accertarsi che essi posseggano una buona capacità di comprensione e produzione del
linguaggio; sappiamo inoltre che i giudizi di valutazione forniti dagli adulti circa la
capacità del bambino a diversi stadi dello sviluppo sono soggetti a errori sistematici. In
particolare si tende a sottovalutarlo in età pre-scolare e a sopravvalutarlo in età scolare;
risulta dunque utile intervistare genitori e insegnanti riguardo le capacità attuali del
bambino piuttosto che riguardo quelle pregresse. Le domande possono richiedere una
semplice risposta( si/no; vero/falso) trattandosi di domande chiuse oppure richiedere una
risposta estesa e articolata trattandosi di domande aperte. Nel primo caso si parla di
INTERVISTE o QUESTIONARI STRUTTURALI in quanto le possibilità di risposta
sono predefinite dal ricercatore. Quando non si conoscono le diverse modalità di risposta
o quando le domande spaziano su argomenti complessi che richiedono risposte
articolate, è opportuno l’uso di domande aperte.
CAPITOLO2: Lo SVILUPPO FISICO e MOTORIO
I cambiamenti fisici e neurologici sono il risultato della continua interazione tra fattori
biologici(eredità)e fattori ambientali. Conoscere tali fattori è fondamentale sia per
comprendere le modalità con cui si realizzano le caratteristiche comuni della specie sia
per cogliere le differenze che rendono ciascun individuo diverso nell’aspetto fisico e nel
comportamento. Quando nasce il bambino ha già alle spalle nove mesi di vita
“prenatale”; in questo periodo si realizzano eventi che portano all’organizzazione di un
individuo maturo e capace di sopravvivere nell’ambiente esterno. Egli è in grado di
sviluppare il patrimonio genetico trasmessogli dai genitori e inoltre è esposto a una serie
di fattori ambientali a causa dello stretto rapporto con l’organismo materno. Infatti
attraverso il sangue materno, portatore di nutrimento e ossigeno, il futuro bambino
riceve una serie di agenti che lasciano delle tracce sullo sviluppo successivo. AGENTI
TERATOGENI: fattori ambientali che causano un danno congenito nell’embrione e nel
feto; tra i più conosciuti troviamo: la nicotina, le droghe quali l’eroina, la morfina e il
metadone, e una nutrizione scarsa o inadeguata. Dopo che i processi di ovulazione,
fertilizzazione e impianto dell’uovo hanno avuto luogo, si distinguono due fasi nello
SVILUPPO PRENATALE: 1) lo sviluppo dell’embrione; 2) lo sviluppo del feto.
Il PERIODO EMBRIONALE è compreso tra la terza e l’ottava settimana di gestazione
ed esso risulta il periodo di più rapida crescita dell’intera vita umana ; in questo lasso di
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tempo, l’embrione inizia il suo sviluppo diventando un feto, ossia un organismo con
caratteristiche umane riconoscibili. Il PERIODO FETALE ha inizio con la nona
settimana e si conclude al termine della gestazione. Durante questa fase, i diversi sistemi
dell’organismo sono formati e cominciano a funzionare fin dal terzo mese; una rete di
controlli nervosi si sovrappone all’attività muscolare diffusa, iniziando l’interazione e
rendendo possibile un comportamento strutturato. Anche se completamente formato,
egli sarebbe incapace di sopravvivere se la connessione con la placenta venisse
interrotta; il feto alterna periodi di attività a periodi di sonno. Avanzando con lo
sviluppo, nell’ultimo periodo la sua attività è notevolmente ridotta a causa dello spazio
ristretto in cui si trova; per sfruttare al massimo il suo spazio, il feto si predispone con la
testa rivolta verso il basso e in questa posizione la maggior parte dei feti si presenta al
momento del parto. Tra la ventiseiesima e ventottesima settimana il feto oltrepassa la
linea che necessarie per sopravvivere nell’ambiente extrauterino; tale passaggio non è
comunque facile. Il neonato si trova ad affrontare una serie di nuovi compiti: respira
attraverso i polmoni e non più tramite il cordone ombelicale, nutrirsi tramite la bocca e
non tramite il sangue materno e inoltre ha la necessità di regolare la propria temperatura
corporea in un ambiente che non presenta una temperatura costante. Il bambino nasce
equipaggiato per affrontare queste nuove situazioni; nel periodo prenatale il feto si
prepara anche a rispondere allo stress della nascita( in particolar modo al rischio di
ipossia: carenza di ossigeno)producendo in abbondanza ormoni dello stress che
consentono protezione da eventuali situazioni sfavorevoli. Il passaggio dalla vita
intrauterina ed extrauterina richiede un adattamento di tutti gli organi alle nuove
esigenze legate dall’indipendenza dalla circolazione materna. Con il termine crescita ci
riferiamo a due tipi di fenomeni, distinti ma collegati tra loro: crescita vera e propria
legata alla moltiplicazione cellulare che determina l’aumento di volume dell’organismo;
altro fenomeno è il processo di differenziazione e di sviluppo delle diverse funzioni
fisiche e psichiche. La crescita è un processo continuo che però manifesta ritmi e
velocità diverse a seconda delle differenti fasi dello sviluppo. La crescita è caratterizzata
inoltre dall’ASIMMETRIA: tessuti e organi non si sviluppano tutti contemporaneamente
e con la medesima velocità. Si possono distinguere : periodo pre e uno postnatale di
crescita; la velocità di crescita è massima nei primi sei mesi di gravidanza; essa rallenta
a partire dalla trentacinquesima settimana. La crescita postnatale viene suddivisa nelle
seguenti fasi:





Il PERIODO NEONATALE: dalla nascita al ventottesimo giorno di vita;
La PRIMA INFANZIA: 0-2 anni;
La SECONDA INFANZIA: 2-6 anni;
La TERZA INFANZIA: 6-10 anni;
L’ADOLESCENZA: da 10 anni al completamento dello sviluppo sessuale
A circa un anno di vita il bambino aumenta del 50% la propria lunghezza e nel secondo
anno la statura aumenta di circa 1 cm al mese mentre tende a decrescere negli anni a
seguire.
Se confrontato con il feto, il neonato risulta un organismo piuttosto autonomo sia dal
punto di vista anatomico che comportamentale; il repertorio comportamentale del
neonato viene tradizionalmente descritto in termini di POSTURA e RIFLESSI. Egli
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presenta una postura con il capo ruotato e gli arti flessi( a causa dello spazio ristretto
delle ultime settimane di gestazione) e una serie di riflessi considerati come risposte
motorie primitive e involontarie. I principali riflessi del neonato:
RIFLESSI
COSA FA IL NEONATO
Rotazione del capo
Se viene toccato sulla guancia, gira la testa
verso il lato stimolato e poi verso l’alto
Quando la bocca viene a contatto con
qualcosa che può essere succhiato, succhia
Quando sente un rumore forte o subisce
uno shock fisico contrae i muscoli dorsali
ed estende gli arti
Accarezzandogli la pianta del piede, prima
stende le dita e in seguito le richiude
Se si tocca il palmo della mano, stringe le
dita attorno
Se tenuto in posizione eretta in modo che
i piedi tocchino la superficie, compie
movimenti simile a quelli della
deambulazione
Suzione
Moro
Babinsky
Presa
Marcia automatica
Differenza tra concezione neurofisiologica classica e moderna: la concezione classica
identifica il neonato come un insieme meccanico di sistemi isolati fino a quando non
vengono stimolati; mentre la concezione moderna afferma come il neonato sia un
organismo attivo, composto di sottoinsieme che interagiscono, pronto a modulare la sua
attività in funzione delle condizioni ambientali.
Il neonato è un essere complesso e dotato di tutte le abilità necessarie per proteggersi e
per stabilire le prime relazioni sociali; oltre a produrre una serie di risposte motorie sotto
forma di riflessi, il neonato è in grado di estratte informazioni dall’ambiente che lo
circonda tramite i suoi vettori sensoriali: vista, udito, odorato, gusto e tatto. La maggior
parte delle cose che il neonato apprende dipendono dal suo STATO: se dorme oppure è
sveglio, de è sveglio oppure all’erta e attivo, se ha fame o se è appena stato nutrito.
Prechlt individua e distingue 5 STATI di COSCIENZA:
1.
2.
3.
4.
5.
Sonno profondo;
Sonno attivo;
Veglia tranquilla;
Veglia attiva;
Pianto e irrequietezza.
Questi stati si ripetono in modo ciclico durante la giornata, in media ogni due ore; nei
primi giorni di vita il tempo è speso nel sonno e a brevi periodi di sonno si alternano
brevi periodi di veglia. Il momento migliore per stabilire uno scambio sociale con il
bambino è quando è riverso in veglia tranquilla(solitamente dopo esser stato nutrito).
Nella prima infanzia si verifica un rapido sviluppo delle capacità motorie; nello spazio
di alcuni mesi il bambino passa da una quasi assoluta dipendenza ad una relativa
autonomia: è capace di manipolare oggetti, muoversi nell’ambiente ed esplorarlo. Tale
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crescita è collegata ai cambiamenti del sistema nervoso, in particolare nella corteccia
celebrale. La teoria classica di Gesell e Amatruda ipotizza una relazione causale tra lo
sviluppo di nuove strutture neuro anatomiche e la comparsa di nuove abilità motorie. Lo
sviluppo è una sequenza universalmente invariabile di tappe e si invoca il ruolo
dell’esperienza soltanto per spiegare le differenze individuali nell’età di comparsa delle
nuove abilità. Lo sviluppo motorio segue la legge della progressione cefalo-caudale e
prossimo-distale. Nel corso degli anni sono stati proposti altri modelli che si ispirano
all’approccio elaborativo dell’informazione (HIP) e alla teoria dei sistemi dinamici.
L’APPROCCIO HIP: associa la mente umana ad un computer e lo sviluppo delle
diverse funzioni corrisponde alla costruzione di un sistema gerarchico di routine.
Secondo la TEORIA dei SISTEMI DINAMICI, lo sviluppo motorio è dovuto
all’interazione di diversi sistemi e di fattori ambientali + caratteristiche biomeccaniche
dell’individuo. SVILUPPO POSTURALE: il neonato presenta una ipertonia dei muscoli
flessori e degli arti( braccia e gambe piegate) e il tono dell’asse del corpo è quasi
inesistente; entrando nel primo anno di vita il bambino attraversa diverse fasi che gli
permettono di camminare in autonomia. Lo SVILUPPO della DEAMBULAZIONE
procede parallelamente a quello posturale ma avviene più tardi;fino al sesto mese il
bambino è incapace di compiere spostamenti da solo e quindi comincia a servirsi di un
rudimentale metodo: quando è sdraiato sul ventre si trascina in avanti aiutandosi con
braccia e gambe. Poi impara a camminare a gattoni, coordinando meglio gli arti; non
tutti utilizzano l’andare carponi. Infatti alcuni raggiungono la deambulazione eretta
senza passare attraverso questa fase. Verso i 9-10 mesi il bambino compie i primi passi
sostenuto sotto le ascelle oppure aggrappandosi a qualche sostegno; i primi passi sono
ancora incerti: il piede viene sollevato più in alto del necessario, il corpo piegato in
avanti, e le braccia sono tenute lontano dal corpo per bilanciarlo. La conquista della
deambulazione costituisce una tappa fondamentale nella vita del bambino: questa gli
consente di ampliare notevolmente il suo ambiente e rende illimitate le sue capacità
esplorative. Nel corso del primo anno e mezzo di vita si sviluppa un ulteriore capacità
motoria: la MANIPOLAZIONE, il cui progresso dipende sia dalla maturazione
neuromuscolare che dall’esercizio. Sappiamo che alla nascita è presente una forma
primitiva di prensione: il RIFLESSO di PRESA; nel primo mese di vita il riflesso di
presa si indebolisce e svanisce del tutto già al mese successivo. Nello sviluppo di questa
abilità si hanno due fasi che riguardano sia il movimento del braccio verso
l’oggetto(avvicinamento) sia il gesto della prensione vera e propria;tale gesto attraversa
un’evoluzione progressiva:
1. PRENSIONE CUBITO-PALMARE: oggetto afferrato dalla parte cubitale della
mano(sotto il mignolo) senza l’utilizzo del pollice;
2. PRENSIONE DIGITO-PALMARE: oggetto condotto verso il palmo e afferrato
tramite tre dita, pollice,indice e medio;
3. PRENSIONE RADIO-DIGITALE: oggetto posto sotto l’indice e la prensione ha
luogo tra indice e pollice.
Anche in un movimento apparentemente banale di prensione, la vista svolge un ruolo
fondamentale di guida all’azione della mano; nel neonato il semplice vedere l’oggetto
determina l’avvicinamento del braccio ad esso. Quando i due canali sensoriali sono
coordinati, il movimento di orientamento verso l’oggetto compare sotto il controllo
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visivo. Dopo aver imparato queste due nuove abilità egli deve imparare anche a
<<lasciarlo andare>>. Nel primo periodo di vita la manipolazione e la prensione
rappresentano la modalità principale per entrare a contatto con l’ambiente esterno. Le
tappe fin qui analizzate mostrano una progressione che in realtà non è così lineare né
identica in tutti i bambini; si denotano infatti numerose differenze riguardo tempi, modi
e strategie con cui ciascun individuo conquista specifiche abilità motorie. Ogni bambino
ha il proprio ritmo di sviluppo e impara le diverse abilità scegliendo i modi e i tempi più
adeguati al suo stile di movimento e agli obbiettivi che di volta in volta si pone. La
presenza di cotante diversità mette in difficoltà il modello maturativo e l’idea di una
sequenza di tappe dello sviluppo che non varia. Al momento della fecondazione si
stabilisce il sesso cromosomico dell’embrione; all’ottava settimana di vita diventano
riconoscibili i testicoli e alla nona si differenziano nel testicoli le cellule che producono
il testosterone, l’ormone responsabile della formazione dei genitali maschili. La gonade
femminile non richiede stimolo ormonale per differenziarsi; è sufficiente che non venga
prodotto testosterone. Lo sviluppo sessuale continua nell’età dell’infanzia e scolare
senza che avvengano cambiamenti anatomici e funzionali rilevanti; si giunge così alla
pubertà : momento di massima differenziazione sessuale nella vita postnatale.
L’individuo qui raggiunge la completa maturazione degli organi deputati alla
riproduzione( MATURITA’ SESSUALE) grazie a cambiamenti ormonali. 5 sono le fasi
secondo Tanner dello sviluppo puberale dei due sessi: preadolescenza(fase1), dopo di
questa compaiono i primi segni del cambiamento puberale(fase2) e nella fase5 si
acquisiscono le caratteristiche tipiche dell’adulto. Tale sviluppo puberale è caratterizzato
anche da cambiamenti nella sua forma; le modifiche che completano la differenza dei
sessi(dimorfismo sessuale) riguardano tutti gli organi e gli apparati. Il cervello cambia in
grandezza, peso e aspetto esterno con l’età gestionale. Alla nascita è già presente la
maggior parte dei neuroni mentre le connessioni tra di loro, ovvero le sinapsi, non
risultano del tutto perfette; inoltre sulla superficie cellulare si sono formati assoni e
dendriti attraverso i quali si ha lo scambio di informazioni e sostanze chimiche da una
cellula all’altra. Altro processo importante è la mielinizzazione che ha luogo lungo tutta
la gestazione e prosegue fino all’età adulta; la mielina è una sostanza che avvolge le
fibre nervose e svolge la funzione di aumentare la velocità di trasmissione dell’impulso
nervoso. L’esperienza svolge un ruolo rilevante all’interno della formazione dell’attività
celebrale; esistono periodi critici in cui esperienze anomale o traumatiche possono
produrre effetti profondi sull’organizzazione del cervello.
CAPITOLO 3: Lo SVILUPPO PERCETTIVO
Gli organi di senso forniscono informazioni essenziali sulla realtà che ci circonda. Nella
psicologia del senso comune si pensa che le percezioni corrispondano agli stimoli della
realtà fisica e ne siano una fedele copia; in realtà il mondo percettivo non è una copia
immediata e diretta dell’ambiente ma il risultato di mediazioni e attività svolte
dall’organismo. DISTINZIONE TRA SENSAZIONE E PERCEZIONE: per
SENSAZIONE si intende l’effetto soggettivo e immediato dettato dagli stimoli sui
diversi apparati dell’organismo; la PERCEZIONE è un processo di elaborazione degli
stimoli sensoriali che procede attraverso l’analisi, la selezione, il coordinamento e
l’elaborazione delle informazioni.
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PERCEZIONE GUSTATIVA E OLFATTIVA: il neonato è sensibile a diversi tipi di
stimoli che lo raggiungono attraverso i molteplici recettori posti sulla superficie del suo
corpo e che gli consentono di percepire variazioni termiche, segnali dolorosi e tattili,
sapori e odori. In particolare le sensazioni gustative e olfattive rivestono ruolo
importante, non solo ai fini della nutrizione ma anche, di mediazione nella relazione con
l’adulto; fin da poche ore dalla nascita il neonato è in grado di esprimere gusto o
irritazione tramite espressioni facciali differenti a seconda dei suggerimenti forniti dalla
sensibilità gustativa. La sensibilità olfattiva appare ben sviluppata alla nascita grazie alla
maturazione del sistema olfattivo già nella fase fetale; il neonato reagisce chiaramente ai
diversi tipi di odore.
PERCEZIONE UDITIVA: l’orecchio è un organo che riceve dall’esterno l’onda sonora.
Il neonato non presenta differenze anatomiche con l’adulto anche se le dimensioni
dell’organo recettore non consentono l’efficace trasmissione delle vibrazioni sonore.
- PERCEZIONE UDUTIVA PRECOCE: i neonati sono reattivi ai suoni dopo la
nascita e orientano la direzione degli occhi e della testa verso un suono ritmico. Molti
studi inoltre hanno accertato la capacità di distinzione dei suoi umani da altri tipi, come
anche il fatto che essi preferiscano la voce materna. Tale preferenza è stata rilevata in
uno studio significativo in cui DeCasper e Fifer(1980) predisposero una situazione dove
dei lattanti muniti di auricolari ascoltassero per 12 ore la voce materna; successivamente
gli si faceva ascoltare sia la voce della mamma che una sconosciuta. Le reazioni dei
piccoli vennero misurate tramite movimenti di suzione rilevati col metodo della
<<suzione non alimentare>>. Nei tre giorni successivi essi erano in grado di riconoscere
la voce materna e preferirla all’altra. Gli autori presupposero la presenza di un
apprendimento prenatale. La voce materna ha il dono di poter essere trasmessa sia
internamente che esternamente.
Per affrontare l’apprendimento del linguaggio, è necessario differenziare le singole unità
di cui si compongono le parole, ossia cogliere le differenze tra i fonemi. I bambini
discriminano i fonemi dalla propria lingua e mostrano tale abilità nei confronti di tutte le
altre; sono dunque in grado di distinguere tra categorie fonetiche differenti. Il neonato
possiede grandi capacità visive che presentano però alcune limitazioni che derivano da
una incompleta maturazione del sistema visivo e nervoso. A tale imperfezione segue
che la possibilità di percepire i dettagli non è sviluppata in modo completo.
L’immaturità nervosa implica un’imperfetta mielinizzazione delle fibre delle vie
ottiche che impedisce una rapida trasmissione dei messaggi al cervello; per quanto
riguarda i movimenti oculari, essi consentono l’ispezione esterna e sono governati dalla
zona motoria corticale che alla nascita è sufficientemente sviluppata. Il neonato è in
grado di compiere i movimenti coniugati che consentono un’ampia esplorazione del
campo visivo e altrettanto precocemente compie i movimenti di inseguimento che gli
permettono di seguire uno stimolo che si sposta lentamente dal suo capo visivo alla
periferia. Il riflesso pupillare rivela come il neonato sia sensibile alle diverse intensità
degli stimoli visivi; questa risposta agli stimoli si perfeziona già dai primi giorni di vita.
Poche ore dopo la nascita la coordinazione e la convergenza , indispensabili per la
messa a fuoco, iniziano a comparire, anche se in forma rudimentale. L’esplorazione
visiva ad un mese migliora anche se lo sguardo spesso vaga e la capacità di esaminare
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l’oggetto è imperfetta; entro i tre mesi si verifica un miglioramento significativo poiché
con lo sviluppo della visione binoculare si definisce la capacità di mettere a fuoco con
entrambi gli occhi.
PERCEZIONE CROMATICA: il mondo che i neonati percepiscono è dotato di
sfumature cromatiche.
Pur con i limiti sopra descritti, le capacità visive del piccolo vengono esercitate nella
osservazione e nella esplorazione visiva agli stimoli che attirano la sua attenzione e che
si trovano nello spazio a lui contiguo; dopo pochi giorni dalla nascita gli oggetti di
dimensioni piuttosto grandi in movimento provocano risposte di inseguimento che
indicano un’attenzione selettiva e un’esplorazione tutt’altro che casuale. I neonati
concentrano la loro attenzione sui contorni che se curvilinei attraggono maggiormente la
loro attenzione rispetto ad analoghe linee curve all’interno della figura. Tra i diversi tipi
di stimoli preferiscono quelli più strutturati rispetto quelli uniformi e quelli più
complessi ai più semplici. Emerge dunque una preferenza per gli STIMOLI
CURVILINEI, per i MARGINI ESTERNI di una figura e le FIGURE STRUTTURATE
e COMPLESSE . Le capacità attentive si coniugano con quelle di fissazione dando vita
ad un’attenzione focalizzata che consente l’elaborazione delle informazioni
sull’ambiente esterno. Questo tipo di attenzione è molto importante in quanto
rappresenta un parametro attraverso cui viene studiata l’attività cognitiva nelle prime
fasi. I piccoli sono attratti dalla novità dello stimolo e dalla sua complessità e quando
essi si trovano di fronte a qualcosa di nuovo impiegano più tempo per osservarlo ed
esplorarlo; alcuni studi evidenziano come già a partire dai quattro mesi è evidente la
presenza di differenze individuali nelle strategie utilizzate per selezionare ed elaborare
l’informazione fornita dallo stimolo.
2 diverse modalità di elaborazione dello stimolo:
1. Short lookers: adottata da chi presenta tempi di reazione brevi e analizza prima gli
aspetti generali per poi passare a quelli particolari
2. Long lookers: adottata da chi procede attraverso una strategia analitica( esamina
elemento per elemento)
L’attenzione obbligatoria ha destato grande interesse nei ricercatori tanto che negli
ultimi anni molti si sono concentrati sul suo studio; con questo termine ci si riferisce al
fatto che nei primi sei mesi di vita, il bambino è così attratto da uno stimolo da non
riuscire a distogliere lo sguardo. Le ipotesi per spiegare questo fenomeno sottolineano
come i piccoli siano obbligati a guardare qualcosa a causa dell’imperfetta coordinazione
tra sistema oculomotorio e sistema attenzionale. Una prospettiva più recente(1991)
fondata sullo studio delle basi neurali, afferma che nei primi sei mesi di vita vi sia
un’affermazione sequenziale di quattro circuiti neurali; l’attenzione obbligatoria sarebbe
un fenomeno connesso alla comparsa del secondo circuito neurale.
Il neonato accorda un’attenzione preferenziale alla struttura schematica del volto umano;
secondo gli studi classici[JONSON e MORTON] il motivo di attrazione per il volto non
risiede, almeno all’inizio, nel realismo dello stimolo, ma nella presenza di caratteristiche
peculiari che lo contraddistinguono e che attraggono l’attenzione. Queste sono:
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 nitidezza dei contorni
 movimento
 simmetria
 complessità
La ricerca di uno studioso nel 1975, Salapatek, riguardo la direzione del movimento
oculare del bambino di 1-2 mesi mostra chiaramente come l’attenzione si focalizzi sui
contorni marcati e nitidi. A due mesi la direzione cambia e movimenti oculari si
concentrano sulle parti interne del viso, in particolare occhi e bocca. Un altro aspetto
che sollecita l’interesse è il movimento; anche la complessità e la varietà dello stimolo
rappresentano qualità attraenti che influiscono sui tempi di fissazione. Emerge inoltre
l’importanza di un altro elemento, vale a dire la regolarità dello schema del volto che
attrae maggiormente rispetto a configurazioni del volto irregolari(ossia schematizzate in
modo anomalo). Successive indagini a quelle di Jonson e Morton confermano come il
neonato preferisce lo schema regolare del volto anche quando viene confrontato con
stimoli luminosi e nitidi.
I neonati ,a quattro giorni di vita sino a quattro settimane, sebbene guardino più a lungo
il volto della madre non sono in grado di discriminare in base ai soli dettagli interni del
viso;la loro percezione delle caratteristiche interne non è indipendente da quelle esterne
e quando essi si trovano di fronte il volto completo, la discriminazione è precoce.
La conoscenza
dell’ambiente non avviene solo attraverso le percezioni ma anche grazie a informazioni
che segnalano la dimensione, la forma, il colore degli oggetti e le loro relazioni nello
spazio. Le stimolazioni proiettate sulla retina sono continuamente diverse ma la
percezione dell’ambiente resta stabile grazie alle COSTANZE PERCETTIVE. La
costanza della forma e la costanza della dimensione sono presenti sin dai primi giorni di
vita in forme parziali ma sufficienti a determinare una certa stabilità ambientale. La
costanza della forma appare in modo precoce; la costanza della dimensione permette
al bambino di riconoscere che un oggetto è sempre lo stesso anche se è a diversa
distanza da lui. BOWER(1972) ha preso in considerazione lo sviluppo della percezione
della distanza e della profondità, abilità importanti che consentono di muoversi nello
spazio e di percepire la distanza tra sé e gli oggetti.
La maturazione del sistema
nervoso del bambino,particolarmente rapida nel primo anno, procede negli anni seguenti
a un ritmo meno accelerato e la percezione di arricchisce di nuovi elementi provenienti
da nuove esperienze di deambulazione ed esplorazione dell’ambiente. Tra bambini di
diversa età e tra bambini e adulto vi sono nette differenze dovute al fenomeno del
sincretismo infantile. In generale la percezione segue la legge della chiusura della
forma che prevale sulla regola della continuità di direzione; i piccoli di tre o quattro
anni non sembrano dar peso alla continuità delle linee e descrivono ciò che vedono come
casette e quadratini poiché vincolati alle forme. Tra i tre e i quattro anni avviene una
fase di transizione nella quale prevale la preferenza per colore, a causa di una
incomprensione dei rapporti metrici. Dopo i quattro anni si impone una preferenza per la
forma, seppur non in modo esclusivo.
Per SINCRETISMO INFATILE si intende
quel fenomeno per il quale la percezione di struttura di insieme ostacola l’individuazione
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delle singole parti, quindi il tutto si sottrae alla divisione in singoli elementi. Le strutture
differiscono per il fatto che un’ipotetica struttura rappresenti un insieme di linee non
organizzate e un’altra ipotetica sia un insieme organizzato. Entrano qui in gioco
influenze derivanti dall’esperienza e dalle proprietà strutturali degli stimoli; quando
l’insieme corrisponde ad una forma semplice o ad una struttura forte esso tende ad
imporsi. Il sincretismo infantile dovrebbe essere considerato come una tendenza a
cogliere le strutture spontaneamente prodotte dal gioco delle condizioni oggettive. 3
sono i periodi dello sviluppo percettivo:
1. percezione originariamente sincretica(globale indifferenziata)
2. percezione analitica
3. percezione sintetica(globale – differenziata
Intorno ai 6 anni si verifica un’evoluzione nella percezione determinata dallo sviluppo di
capacità cognitive che consentiranno una più marcata inversione di tendenza; si assiste
al superamento del sincretismo infantile tra i 6 e i 9 anni e in concomitanza con
l’affermarsi di operazioni concrete emerge una migliore capacità di analisi e di
esplorazione. La capacità di tipo analitico serve a contrastare la forza dei fattori di
unificazione formale; si assiste all’articolazione gerarchica del campo dei fenomeni
che procede con la capacità di adottare una prospettiva reversibile che consente di
esplorare il tutto per passare alle singole parti. Questa fase permette anche di analizzare
e di considerare in modo congiunto le somiglianze e le differenze e inoltre di individuare
principi di classificazione nella percezione. Viene acquisita la capacità di compiere
un’esplorazione esaustiva; durante la fanciullezza la costanza della grandezza
progredisce, consentendo la percezione di oggetti che sono collocati a distanze sempre
maggiori; si raggiunge la costanza perfetta intesa come una tendenza compensatoria
che induce a percepire un oggetto distante come leggermente più grande di quanto in
realtà non sia. Anche la costanza della forma subisce un incremento positivo nella
fanciullezza sino a diventare completa nell’adolescenza.
CAPITOLO 4: Lo SVILUPPO COGNITIVO
Biologo per formazione, PIAGET fin dall’inizio si era posto il problema di come gli
organismi viventi si adattano al proprio ambiente;egli infatti riconobbe una
fondamentale continuità tra organizzazione biologica e intelligenza. L’intelligenza è un
particolare caso di adattamento biologico: mentre l’organismo elabora nuove forme,
l’intelligenza costruisce nuove strutture utili a comprendere e spiegare l’ambiente.
L’individuo è un attivo costruttore delle proprie conoscenze. Piaget propone una
TEORIA ORGANISMICA:
1. lo sviluppo è comprensibile all’interno della storia evolutiva della specie
2. l’organismo è attivo e si modifica attraverso gli scambi con l’ambiente
3. lo sviluppo consiste nella trasformazione di strutture costruite grazie all’attività
individuale
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L’intelligenza del bambino e quella dell’adulto presentano strutture differenti ma
modalità di funzionamento della vita mentale identiche. In questa compresenza di
strutture variabili e di funzioni invarianti ,Piaget trova la soluzione al problema della
continuità.
Lo sviluppo mentale è guidato dallo stesso principio che regola l’evoluzione biologica
degli organismi viventi: le strutture interne ogniqualvolta devono far fronte a nuovi
bisogni. Queste modifiche sono il risultato dell’interazione di assimilazione e
accomodamento. L’intelligenza è assimilazione in quanto incorpora nei propri schemi i
dati dell’esperienza ma risulta allo stesso tempo accomodamento in quanto tali schemi
vengono modificati per essere compatibili con nuovi dati. Queste due funzioni
complementari, che garantiscono l’equilibrio tra continuità e cambiamento, determinano
l’adattamento dell’organismo all’ambiente . Piaget ritiene che l’adattamento e
l’equilibrio siano funzioni invarianti ,ossia modalità di funzionamento generale. Lo
sviluppo cognitivo risulta continuo e contemporaneamente discontinuo, in quanto
governato da funzioni invarianti ma anche perché col crescere dell’età si verificano
cambiamenti strutturali che segnano veri e propri stadi di sviluppo. Ciascuno stadio
presenta un’organizzazione psicologica con proprie conoscenze e interpretazioni della
realtà; le acquisizioni di uno stadio vengono integrate in strutture più evolute e tale
passaggio è detto integrazione gerarchica tra stadi.
Lo STADIO SENSOMOTORIO: DALLA NASCITA AI 18 MESI
Lo stadio sensomotorio copre i primi due anni di vita, nei quali l’intelligenza consiste in
schemi di azione pratici. Tale stadio si caratterizza per i seguenti aspetti: a) la risposta
del bambino alla realtà è di tipo sensoriale e motorio; b) il bambino risponde al presente
in modo immediato; c) il bambino non possiede una rappresentazione interna degli
oggetti, non possiede immagini mentali né parole che possono essere manipolate.
L’intelligenza sensomotoria si sviluppa tramite sei sottostadi:
Il primo stadio: l’esercizio dei riflessi( 0-1 mese). Anche se i riflessi sono reazioni
innate, il neonato li esercita e li applica a situazioni sempre più numerose. In questo
momento egli è chiuso in uno stato di egocentrismo radicale e non ha alcuna
consapevolezza né di se stesso né dell’esistenza di un mondo.
Il secondo stadio: le reazioni circolari primarie e i primi
adattamenti acquisiti( 1-4 mesi). L’attività sensomotoria si trasforma in funzione
dell’esperienza: quando trova per caso in risultato nuovo e interessante, il bambino cerca
di conservarlo attraverso la ripetizione. Piaget chiama questo bisogno reazione
circolare primaria perché le azioni sono tutte concentrate sul corpo dell’infante; non si
può ancora parlare d’intelligenza poiché la scoperta avviene per caso. Tuttavia la
capacità di conservare i dati dell’esperienza è una prima forma di organizzazione
psicologica .
Il terzo stadio: le reazioni circolari secondarie(48mesi). Interesse per la realtà esterna: il bambino cerca di immagazzinare un’azione che
ha provocato casualmente uno spettacolo interessante nell’ambiente, ripetendola.
Il quarto stadio: la coordinazione degli schemi secondari e la
loro applicazione alle situazioni nuove(8-12mesi). Compare una differenziazione tra
mezzi e fini: quando vuole raggiungere uno scopo non immediatamente accessibile, il
bambino utilizza gli schemi che già possiede, applicandoli a una nuova situazione.
Il quinto stadio:le reazioni circolari terziarie e la scoperta di
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mezzi nuovi mediante sperimentazione attiva(12-18mesi). Nuovi schemi vengono
costruiti e applicati a una varietà di situazioni. La scoperta di schemi nuovi avviene
grazie alle reazioni circolari terziarie: quando trova un risultato interessante il
bambino non lo ripete ma lo modifica al fine di studiarne la natura. Nella ricerca
dell’oggetto scomparso il bambino è in grado di seguire gli spostamenti da un
nascondiglio all’altro a condizione che abbia seguito la sequenza.
Il sesto stadio: l’invenzione di mezzi nuovi
mediante combinazione mentale(18-24mesi). In una situazione nuova il bambino
procede per invenzione, compiendo un atto mentale. Le azione sono ora interiorizzate e
questa nuova capacità segna la comparsa della rappresentazione. Ora un oggetto
scomparso viene ritrovato anche in seguito a spostamenti invisibili, non percepiti ma
semplicemente inferiti; la costruzione della nozioni di oggetto permanente diventa
completa. Tale nozione in aggiunta di tempo,spazio e causalità consentono al bambino
di agire in cui gli oggetti sono dotati di esistenza propria, occupano uno spazio comune a
dove si colloca il bambino, fanno parte di eventi ordinati temporalmente e vengono
percepiti come fonti autonome di causalità. La comparsa della rappresentazione
comporta che il bambino percepisce il suo corpo come un oggetto in mezzo agli altri.
Lo STADIO PREOPERATORIO: DAI 2 AI 6 ANNI
Il grande cambiamento che si verifica alla fine dei due anni di vita è la comparsa della
rappresentazione: il bambino è ora in grado di usare simboli, immagini, parole e azioni
che raffigurano altre cose. Nell’ imitazione differita il bambino riproduce un modello
tempo dopo la sua percezione; ciò significa che è stato in grado di conservare una
rappresentazione interna di tale modello. Nel gioco simbolico il bambino tratta un
oggetto come se fosse qualcosa di diverso(ad esempio una scopa può diventare un
cavallo). Quando opera il linguaggio per riferirsi ad oggetti,persone o situazioni assenti,
egli mostra di saper utilizzare schemi verbali per disegnare una realtà rappresentata
mentalmente. Comportamenti così differenti hanno in comune il fatto che tutti si
riferiscono ad una realtà non percepita in quel determinato momento e la evocano. Per
studiare l’egocentrismo intellettuale, Piaget ha proposto l’esperimento delle <<tre
montagne >>: viene mostrato un modello tridimensionale che raffigura tre montagne
differenti per colore e altezza; girando intorno al modellino egli è capace di cogliere che
la percezione varia a seconda della sua posizione. Piaget chiede al bambino di
individuare una serie di figure che meglio rappresenti come gli appaiono le tre
montagne. In una prima fase il bambino opera scelte casuali ma successivamente sceglie
la foto che rappresenta quello che egli stesso vede; in questo modo viene provato
l’egocentrismo. In questo stadio le azioni mentali sono rigide e irreversibili. Il pensiero
va al di là dei dati attuali perché ricostruisce le azioni passate, anticipa le conseguenze di
azioni non ancora compiute ma a causa della sua irreversibilità ciascuna
rappresentazione rimane isolata.
Lo STADIO OPERATORIO CONCRETO: DAI 7 AI 12 ANNI
Le azioni isolate si coordinano tra di loro e diventano operazioni concrete. Piaget ha
realizzato compiti di conservazione: in una prima fase vengono presentate due entità e
ci si assicura che il bambino le consideri uguali. In seguito una delle due subisce una
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trasformazione mentre il bambino osserva; dai risultati Piaget ha studiato la
conservazione della sostanza, del volume e del numero, della lunghezza, della superficie
e del peso.
Lo STADIO OPERATORIO FORMALE: DAI 12 ANNI IN POI
Il pensiero operatorio formale è di tipo ipotetico -deduttivo poiché consente di compiere
operazioni logiche su premesse ipotetiche e di ricavarne le conseguenze adeguate. Il
ragazzo in questa fase deve imparare a estendere le proprie capacità di ragionamento alle
situazioni che non ha vissuto in prima persona o che non conosce o che non è in grado di
gestire direttamente. Le operazioni formali consentono all’adolescente di risolvere
problemi piuttosto complessi attraverso una ricerca sistematica e metodica delle possibili
soluzioni.
L’analisi dei compiti di Piaget ha consentito di definire in modo preciso le abilità
richieste; in particolare la modalità di presentazione del compito e il tipo di consegna
verbale servono a capire quale significato il bambino attribuisca al problema. Ad
esempio utilizzando il compito delle << tre montagne >> , Piaget trovava che i bambini
di 8 anni per lo più falliscono; è possibile che le loro risposte egocentriche siano dovute
al modo con cui il compito viene presentato. Altre ricerche si sono occupate del ruolo
che la conoscenza specifica ha sull’esecuzione del compito: Michelene Chi(1978) ha
dimostrato che giocatori di scacchi molto esperti ricordano le posizioni delle pedine
nelle diverse mosse molto più velocemente rispetto a giocatori principianti, anche
quando gli esperti sono bambini e i principianti gli adulti. La più importante questione
teoretica su cui si è aperto un intenso dibattito riguarda l’esistenza o meno degli stadi
proposti da Piaget. Lo stadio sottintende una struttura cognitiva coerente e le strutture
sottostanti al funzionamento cognitivo di ciascuno stadio sono considerate sempre come
totalità. Se avesse ragione Piaget, dovremmo trovare che il bambino sello stadio
operatorio applica la stessa logica a una varietà di problemi, ossia si dovrebbe verificare
una coerenza di tipo orizzontale; numerose ricerche hanno mostrato come non esista
stabilità e sistematicità nelle risposte. Altre soluzioni riguardo la compresenza di
continuità e discontinuità nello sviluppo cognitivo sono state proposte da due studiosi,
rispettivamente J.Flavell (1971) e K.Fisher (1978). Fisher propone una serie di livelli di
sviluppo che esprimono il livello ottimale ovvero il massimo rendimento che un
bambino è capace di raggiungere un presenza di situazioni facilitanti; in sintesi tutti
riconoscono che lo sviluppo cognitivo procede secondo sequenze universali e che i
bambini acquisiscono i concetti fondamentali nello stesso ordine. Secondo Piaget il
bambino che pensa è un individuo isolato che è in grado di costruire le sue conoscenze
della realtà senza essere influenzato dal contesto sociale e culturale in cui vive. In questo
modo Piaget ignora o sottovaluta il ruolo dell’esperienza sociale e dedica attenzione
esclusiva all’esperienza fisica e logico- matematica del bambino. A partire dagli anni
’70 gli studiosi trovano riduttivo il ruolo dell’interazione sociale proposto da Piaget e
quindi indagano i possibili effetti sullo sviluppo cognitivo e in particolare la sua capacità
di favorire un progresso cognitivo. A Ginevra, Doise e altri studiosi conducono degli
esperimenti sugli effetti dell’interazione sociale partendo dall’ipotesi che essa induca
una perturbazione cognitiva che risulti migliore di quella sperimentata dal bambino nelle
solitarie interazioni con la realtà fisica. Si è accertato come i bambini preoperatori a un
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pre-test individuale migliorino nella soluzione dei compiti solo dopo aver lavorato
insieme. La conclusione è che accanto al conflitto intraindividuale ipotizzato da Piaget
agisca un conflitto sociocognitivo. Nel complesso queste ricerche hanno dimostrato
come l’interazione sociale abbia effetti positivi nel facilitare lo sviluppo cognitivo
individuale ma non interpretano tali effetti come meccanismi volti a generare progressi
cognitivi. LEV SEMENOVIC VYGOTSKIJ è considerato il fondatore della scuola
storico- culturale e svolse ricerche interessandosi di due principali temi:
1. lo sviluppo delle funzioni psichiche superiori nel bambino
2. l’influenza delle variabili culturali sui processi cognitivi
Egli ritiene che lo sviluppo storico- culturale abbia prodotto l’evoluzione dell’umanità
attraverso i mediatori simbolici che permettono agli individui di entrare in relazione tra
di loro all’interno della stessa cultura e tra culture diverse. Lo sviluppo ontogenetico
consiste nell’appropriarsi dei significati della cultura da parte dell’individuo, descritto
come un processo di interiorizzazione di attività che hanno favorito lo sviluppo della
vita sociale. Nella prospettiva storico- culturale dipende in larga misura dal contesto
storico e socioculturale in cui vive; la Zona di sviluppo prossimale(ZSP) definisce la
distanza tra il livello di sviluppo effettivo e il livello di sviluppo potenziale. Essa
consente di valutare ciò che il bambino è in grado di fare da solo e ciò che è capace di
fare se aiutato. Nel delineare i rapporti tra pensiero e linguaggio Vygotskij entrò in
polemica con Piaget; accanto alla funzione sociale , il linguaggio comincia ad assolvere
una funzione intrapsichica che si trasformerà in vero e proprio linguaggio interiore.
Lo psicologo statunitense J.BRUNER è stato influenzato dalla teoria di Vygotskij ma
anche dalla scienza cognitiva alla quale aderisce sottolineando l’importanza di studiare i
processi della conoscenza. Bruner propone che durante il processo di assimilazione del
pensiero maturo, il bambino passi attraverso tre forme di rappresentazione:
rappresentazione esecutiva, iconica e simbolica. Nella rappresentazione esecutiva che
caratterizza il primo anno di vita, la realtà viene codificata attraverso l’azione. La
rappresentazione iconica codifica la realtà attraverso immagini. La rappresentazione
simbolica codifica la realtà attraverso il linguaggio e altri sistemi simbolici. Bruner
riprendendo Vygotskij sostiene che i processi mentali hanno un fondamento sociale e
che la cognizione umana è influenzata dalla cultura; l’influenza culturale si realizza
grazie alle relazioni sociali che il bambino stabilisce con chi si prende cura di lui e in cui
il ruolo dell’adulto si caratterizza come scaffolding. All’interno della stessa ottica
K.Kaye propone l’idea di apprendistato per caratterizzare la condizione del bambino
che si introduce gradualmente ai contenuti della propria cultura partecipando ad attività
congiunte con l’adulto. Le credenze e i valori della cultura vengono trasmessi tramite il
linguaggio, in particolar modo tramite narrazione, che è il veicolo privilegiato della
trasmissione culturale; essa consente di organizzare l’esperienza, di costruire e
trasmettere significati. Nella sua produzione più recente Bruner ritiene che il pensiero
narrativo rappresenti una particolare modalità cognitiva di organizzare l’esperienza.
L’approccio dell’elaborazione dell’informazione(HIP) non è una vera e propria teoria
dello sviluppo ma un approccio allo studio del pensiero e della memoria con i relativi
metodi d’indagine. l’approccio HIP nasce nel solco della rivoluzione legata
all’intelligenza artificiale e si rifà alle simulazioni dell’intelligenza su computer; la
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prestazione in un compito cognitivo consiste nell’eseguire un certo numero di operazioni
,spesso indipendenti tra di loro. L’analisi del compito serve ad individuare le operazioni
che il soggetto deve compiere per eseguire in dato compito. Tale nozione si pone come
alternativa alla teoria proposta da Piaget; i processi individuati dall’approccio HIP
riguardano sia la capacità di base di elaborare sia le strategie di elaborazione .
R.Siegler propone il <<compito della bilancia >> . La bilancia presenta una serie di pioli
su entrambi i bracci ai quali possono essere attaccati dei pesi. Si chiede al bambino di
prevedere da quale lato la bilancia si abbasserà a seconda del numero e della
collocazione dei pesi; dalle considerazioni di Siegler emergono quattro regole: 1) il
bambino tiene conto di una sola dimensione e dice che si abbasserà il braccio con più
pesi; 2) il bambino tiene conto del numero ad eccezione di quando il numero è uguale in
entrambi i lati; 3)il bambino considera in contemporanea sia la distanza che il peso ma
quando le condizioni sono contraddittorie tende a indovinare; 4) il bambino considera la
regola esatta: distanza x peso di ciascun braccio.
Un altro settore che ha
suscitato interesse è quello relativo a come i bambini arrivano a conoscere ciò che
effettivamente sanno: con i termini di metaconoscenza e metamemoria ci si riferisce
alla consapevolezza circa i processi del proprio pensiero e della propria memoria.
Queste capacità sono all’interno dei processi esecutivi ; si propone l’idea di una sistema
esecutivo centrale che controlla in modo sempre più efficace e flessibile i processi
cognitivi dell’individuo. Alla fine degli anni ’80 la proposta di Piaget del bambino come
<<piccolo scienziato>> viene ritenuta parziale. Essa risulta esclusiva in quanto vede il
bambino in relazione con il mondo degli oggetti e non con le persone. Questa tendenza
attribuisce al bambino una teoria della mente ossia una teoria di come funzionano gli
esseri umani in quanto diversi dagli oggetti inanimati; punti di partenza sono: le
emozioni fondamentali (amore, odio, paura) e gli stati fisiologici (fame,sete,eccitazione).
Secondo Wellman il desiderio è uno stato mentale più semplice della credenza. I
bambini di due anni possiedono una psicologia del desiderio che interpreta le azioni
sulla base dei desideri e spiega le reazioni emotive in modo congruo al fatto che i
desideri siano stati soddisfatti o meno. Verso i tre ani padroneggiano una più complessa
psicologia della credenza- desiderio grazie alla quale sono in grado di prevedere che le
azioni di una persona saranno guidate dai desideri e dalle credenze( che possono essere
sia vere che false ). In un primo momento vengono prese in considerazione solo le
credenze ritenute vere; un cambiamento importante avviene con la presa di coscienza
della <<falsa credenza>> . Nello sviluppo precoce vi sono dei precursori della teoria
della mente; Camaioni ha individuato un precursore ancora più precoce ossia
l’intenzione comunicativa dichiarativa che compare alla fine del primo anno di vita e
consiste nel richiamare l’attenzione per condividere con lui l’interesse per l’oggetto.
Come e perché sono nati i test d’intelligenza?
I responsabili dell’istruzione dei diversi paesi europei ritennero che era necessario
ricorrere ad uno strumento diagnostico per valutare le differenze individuali nel
funzionamento dell’intelligenza. Nel 1904 il ministero della pubblica istruzione francese
istituì una commissione che fosse in grado di studiare il problema dell’educazione
speciale;la commissione doveva elaborare un test d’intelligenza da somministrare ad
alunni delle scuole elementari. Il risultato fu la scala Binet del 1905, la quale distingueva
19
tra intelligenza normale e ritardo e inoltre differenziava tre tipi di ritardo. Tale scala e
quelle successive hanno permesso di misurare il quoziente d’intelligenza (QI): esso è il
rapporto tra l’età cronologica e la sua età mentale. I test d’intelligenza maggiormente
utilizzati al giorno d’oggi sono la scala Stanford-Binet e la scala Wechsler Intelligence
Scale for Children. Nel corso degli anni ’80 alcuni studiosi hanno cercato di superare i
limiti dei test e la concezione stessa d’intelligenza come una capacità globale; Sternberg
(1985) propone una teoria triarchica secondo la quale esistono tre aspetti
dell’intelligenza: intelligenza componenziale, esperienziale e contestuale. I test
d’intelligenza non possono essere effettuati da bambini al di sotto dei tre anni in quanto
si basano sul linguaggio. Alcuni importanti studi basati sulle scale di Bayley e di Gesell
mostrano che le correlazioni tra punteggi ottenuti in successive prove nei primi due anni
di vita erano troppo basse per consentire qualsiasi tipo di predizione. Negli anni ’40
furono creati altri test che si propongono di migliorare quelli precedenti tramite un
raffinamento delle tecniche statistiche.
Che
cosa
è
l’intelligenza che i test intendono valutare?
Innanzi tutto
l’intelligenza è un insieme di capacità le quali cambiano qualitativamente nel corso dello
sviluppo; ad ogni fase evolutiva corrisponde un determinato tipo di intelligenza correlata
a tale periodo. Si è dunque affermato un nuovo approccio alla valutazione dello
sviluppo cognitivo, detto ordinale, che si propone come alternativo all’approccio
psicometrico. Per quanto riguarda le cause dello sviluppo, i test tradizionali adottano la
posizione secondo cui esso è il prodotto di una programmazione genetica. L’approccio
ordinale sostiene che la causa del cambiamento risiede nell’interazione tra organismo e
condizioni ambientali. Inoltre 4 sono le variabili maggiormente correlate allo sviluppo
cognitivo: 1) regolarità e predittività dell’ambiente; 2) adeguatezza degli stimoli offerti
dal bambino; 3) livello non eccessivo di stimolazione; 4) appropriata stimolazione
verbale. La disponibilità di scale ordinali per valutare l’intelligenza nei primi anni di vita
ha permesso di smentire la nozione d’intelligenza come capacità unitaria e stabile,
rivendicando il giusto ruolo all’ambiente e ai diversi tipi di stimolazione.
CAPITOLO 5: Lo SVILUPPO DEL LINGUAGGIO e DELLA COMUNICAZIONE
Imparare a parlare significa acquisire nel giro di pochi anni(generalmente 3) una
capacità straordinariamente complessa; per imparare ad utilizzare il linguaggio il
bambino deve:
a) analizzare i suoni linguistici che ascolta così da identificare la propria lingua
madre;
b) padroneggiare i pattern articolati necessari a produrre i fenomeni e le sequenze di
fenomeni della propria lingua;
c) acquisire e ampliare un notevole numero di voci lessicali e altrettanti significati;
d) padroneggiare le regole morfologiche e sintattiche così da costruire frasi
grammaticalmente corrette;
e) imparare a governare ed utilizzare le diverse funzioni comunicative del linguaggio
in base al contesto e all’interlocutore e a produrre un discorso.
20
E’ importante parlare del linguaggio inserendolo all’interno di una capacità
comunicativa più ampia e al tempo stesso sottolineare la sua specificità, ossia le
proprietà che rendono il linguaggio unico e diverso da altri sistemi. Queste proprietà
sono essenzialmente due: la creatività e l’arbitrarietà. Le principali teorie
sull’acquisizione del linguaggio hanno cercato di rispondere a tre domande
fondamentali: 1) qual è il peso della componente innata e della componente appresa
nell’acquisizione del linguaggio? 2) quali rapporti il linguaggio attiene con le capacità
cognitive e sociali dell’individuo? 3) è possibile stabilire una relazione tra il linguaggio
e la comunicazione?.
La spiegazione innatista: negli anni ’60 Chomsky
ipotizza l’esistenza di un
dispositivo innato per l’acquisizione del linguaggio; si tratta di un programma
biologico per imparare a parlare che corrisponde ad una grammatica universale, la quale
contiene la descrizione degli aspetti strutturali condivisi da tutte le lingue naturali.
Secondo Chomsky il linguaggio è una serie di regole che il bambino deve scoprire, a
cominciare dalle più generali per arrivare alle più specifiche e complesse. La posizione
innatista di Chomsky ha esercitato una forte influenza sugli studiosi successivi,
introducendo una sorta di rivoluzione copernicana: il linguaggio infantile viene visto
come un processo attivo, creativo e guidato da regole; tuttavia alcuni aspetti della sua
teoria vengono ritenuti poco convincenti e in seguito sono diventati oggetti di critiche.
Innanzitutto si considera il linguaggio indipendente sia dall’intelligenza che dalla
capacità comunicativa; in secondo luogo, la competenza linguistica precede l’esecuzione
: il bambino possiede le regole prima di saperle usare. Infine, il fatto che il bambino
ascolti nell’ambiente in cui vive è considerato irrilevante per l’acquisizione della lingua
materna.
La spiegazione interazionista: all’inizio degli anni ’70 comincia a entrare in crisi l’idea
che il linguaggio si sviluppi indipendentemente da altre capacità dell’individuo, in
particolare dalle capacità cognitive e sociali. Per quanto riguarda le prime, si ritiene che i
bambini debbano sviluppare una sufficiente conoscenza del mondo prima di iniziare a
parlare; la cosiddetta ipotesi cognitiva inserisce lo sviluppo del linguaggio all’interno
dello sviluppo cognitivo e recupera le ipotesi formulate da Piaget sui rapporti tra
linguaggio e pensiero. Nella seconda metà degli anni’70 emerge un nuovo interesse per
la pragmatica, ossia per gli usi e le funzioni del linguaggio nel contesto; questo
interesse chiama in cause altre capacità del bambino prima trascurate o sottovalutate: le
capacità sociali e comunicative. Saper parlare significa usare il linguaggio in modo
grammaticalmente corretto e anche contestualmente appropriato. Gli approcci
funzionalisti sostituiscono alla nozione chomskiana di competenza linguistica, la più
ampia nozione di competenza comunicativa. In quest’ottica le prime espressioni
verbali dei bambini ricevono un’analisi di tipo funzionale o pragmatico, che si ispira alla
nozione di << atti linguistici >> proposta da Austin e Searle; con tale nozione essi
caratterizzavano la differenza tra il contenuto di una frase e l’intenzione con cui il
parlante pronuncia quella frase. Quali conseguenze derivano dal considerare importante
la relazione tra linguaggio e contesto sociale nelle prime fasi dello sviluppo? In primo
luogo, si scopre che il linguaggio rivolto dagli adulti ai bambini che imparano a parlare
non è l’input impoverito e scorretto che Chomsky aveva ipotizzato; in secondo luogo, si
comincia a considerare l’interazione sociale precoce tra il bambino e chi lo accudisce,
come una matrice di significati e segnali convenzionali che confluiranno più tardi nella
21
costruzione del codice linguistico sociale. Bruner sostiene che i bambini apprendono il
linguaggio nel contesto familiare degli scambi con chi li accudisce e individua nei
formati di attenzione condivisa e di azione condivisa, le sequenze sociali più
significative per imparare ad esprimere le proprie intenzioni e comprendere quelle altrui.
Inoltre alcune proposte hanno cercato di spiegare l’origine del linguaggio come un
sistema dipendente dall’integrazione di capacità cognitive e sociali che in parte lo
precedono nell’ontogenesi: bisogna formulare una teoria secondo la quale esista sia un
LAD( dispositivo innato per l’acquisizione del linguaggio) sia un LASS( sistema di
supporto per l’acquisizione del linguaggio).
I primi suoni che il neonato e il lattante producono sono di natura vegetativa(
sbadigli,gemiti,ecc.) o compiano legati al pianto che svolge un ruolo importante nel
regolare l’interazione del bambino con gli adulti che lo allevano. Dal punto di vista
fonologico le vocalizzazioni non di pianto presentano l’evoluzione più interessante: tra
i 2 e i 6 mesi di età compaiono e si stabilizzano i suoni vocali; verso i 7 mesi compare la
lallazione canonica: il bambino produce sequenze consonante-vocale con le stesse
caratteristiche delle sillabe ripetute più volte. Verso i 10-12 mesi la maggior parte dei
bambini produce sequenze sillabiche complesse che costituiscono la lallazione variata.
Sempre a questa età compaiono i primi suoni simili a parole o proto-parole che
assumono un significato specifico quando vengono utilizzate di continuo in determinati
contesti. I bambini differiscono tra loro non soltanto nelle preferenze fonetiche ma anche
nella stabilità di queste preferenze e nell’organizzazione del proprio sistema fonologico.
Negli ultimi mesi del primo anno di vita, il bambino inizia a utilizzare gesti che vengono
chiamati performativi o deittici. Di solito vengono prodotti a distanza(distali) e non
implicano nessun contatto con il destinatario; alcuni di essi( mostrare, offrire e dare)
richiedono la presenza nella mano dell’oggetto cui il gesto si riferisce. In uno studio più
approfondito, 3 sono risultate le caratteristiche dei gesti comunicativi:
1) usati con un’intenzione comunicativa;
2) sono convenzionali;
3) si riferiscono ad un oggetto o evento esterno
I gesti deittici vengono utilizzati sia per chiedere l’intervento o aiuto
dell’adulto(richiesta) sia per attirare l’attenzione e condividere con lui l’interesse per un
evento esterno(dichiarazione). Negli ultimi mesi del primo anno di vita, fa la sua
comparsa un nuovo tipo di gesti: referenziali o rappresentativi. A differenza dei gesti
deittici, i gesti referenziali esprimono un’intenzione comunicativa e rappresentano un
referente specifico; il loro significato non varia sulla base del contesto. Nello stesso
periodo in cui il bambino utilizza gesti referenziali compaiono anche le prime parole, le
quali sono inizialmente molto legate a situazioni specifiche. L’età di comparsa delle
PRIME PAROLE varia considerevolmente ma in linea di massima si colloca tra gli
undici e i tredici mesi di vita. I bambini tendono inizialmente a <<parlare delle stesse
cose>>: le prime parole stanno a indicare persone, oggetti, familiari oppure azioni che il
bambino compie abitualmente. Tutte queste parole vengono utilizzate in contesti
specifici e spesso ritualizzati; sono cioè legate alle situazioni e agli aventi che servono a
significare( contestualizzare). E’ utile differenziare questo uso non referenziale delle
22
parole da un uso referenziale, che compare più tardi ed è legato alla capacità del
bambino di comprendere il carattere arbitrario della relazione tra suono e significato.
Questo fenomeno di progressiva decontestualizzazione si riproduce anche nella
comprensione del linguaggio; intorno agli 8-10 mesi il bambino comprende frasi
semplici in contesti specifici e all’interno della routine. La comprensione precede e
influenza la produzione linguistica, nel senso che il bambino comprende espressioni che
soltanto in un secondo momento sarà capace di produrre spontaneamente. Nello
sviluppo lessicale si distinguono due fasi durante il secondo anno di vita: nella fase
iniziale(12-16 mesi circa) l’ampiezza del vocabolario si attesta in media sulle 50 parole;
la fase successiva(17-24 mesi circa) si caratterizza per una maggiore rapidità
nell’apprendimento di nuove parole e può assumere la forma di una esplosione del
vocabolario. Nel primo sviluppo lessicale la variabilità individuale è piuttosto alta sia
come ampiezza del vocabolario sia come presenza o meno di una fase di rapida
accelerazione. Quando il vocabolario supera le 100 parole , la sua composizione si
modifica;in particolare aumenta in proporzione il numero di verbi, aggettivi e parole con
funzione grammaticale. La comparsa di questi nuovi elementi facilita il passaggio dalla
referenza, caratteristica della fase delle singole parole, alla predicazione, caratteristica
della fase delle combinazioni di parole. Il significato delle parole riflette la
categorizzazione della realtà che il bambino padroneggia a un dato momento del suo
sviluppo, ovvero le categorie di oggetti, eventi e persone. Nel primo lessico troviamo
errori che segnalano la difficoltà nell’identificare a che cosa si riferiscono i nomi: tali
vengono denominati come errori di sovraestensione, sottoestensione e
sovrapposizione. Le divergenze tra gli studiosi si palesano quando ci si chiede a quale
tipo di soggetto fanno riferimento i bambini nell’identificare categorie di oggetti, eventi
o relazioni. Secondo alcuni, il bambino costruisce il significato delle parole mediante
somiglianze percettive tra gli oggetti( forma,grandezza,colore,ecc.) mentre per altri
vengono categorizzare all’inizio le somiglianze funzionali, ovvero l’uso degli oggetti e
le loro proprietà dinamiche. Secondo l’ipotesi del nucleo funzionale di Nelson,
l’oggetto inizialmente viene riconosciuto attraverso l’azione che compie o che subisce.
Un aspetto importante nella costruzione del sistema semantico riguarda i livelli di
generalità a cui gli oggetti possono essere categorizzati e quindi nominati. Solitamente i
bambini cominciano a imparare nomi che si situano ad un livello-base di generalità e
solo in seguito imparano nomi più specifici(categorie subordinate) o nomi più generali e
astratti( categorie sovraordinate). In sintesi, il sistema semantico che il bambino
padroneggia quando produce le sue prime parole non è ancora un sistema
convenzionale; la sua evoluzione tende verso la progressiva convenzionalizzazione
nell’uso delle categorie concettuali e dei nomi. Nello sviluppo delle grammatica si
individuano due componenti:
1) la morfologia;
2) la sintassi.
Con il termine morfologia ci riferiamo all’acquisizione di quei suffissi e prefissi che
servono a formare il singolare o il plurale o il femminile o il maschile; con il termine
sintassi ci riferiamo alla capacità di costruire combinazioni di parole che rispettino le
regole della lingua materna. I bambini producono le prime combinazioni di parole a 20
23
mesi di età; agli inizi degli anni ’60 alcuni autori hanno cercato di individuare le
regolarità nelle prime frasi dei bambini raggruppando in classi le parole che compaiono
nei medesimi contesti. Hanno in tal modo individuato due classi: la classe perno e la
classe aperta. La prima comprende un piccolo numero di parole ricorrenti in modo
frequente e sempre in posizione iniziale; alla seconda appartengono tutte le altre parole
del vocabolario. Esaminando lo sviluppo dei bambini che imparano lingue diverse
dall’inglese, si sono trovate scarse conferme della presenza delle due classi;
secondariamente tali grammatiche descrivono la struttura sintattica del linguaggio
trascurando la dimensione semantica.
Nel primo stadio i bambini producono espressioni di due o più parole costruite tutte allo
stesso modo; esse contengono la struttura nucleare della frase cioè un predicato
verbale con i suoi argomenti e l’intenzione con cui si pronuncia. In un secondo stadio la
struttura nucleare minima si amplia in modo da includere strutture facoltative, come
gli avverbi, che modificano il significato del verbo.
Per valutare la progressiva crescita della complessità morfosintattica nelle riproduzioni
infantili si utilizza la lunghezza media dell’enunciato. Per i bambini che imparano la
lingua inglese, tale lunghezza si ricava calcolando il numero di morfemi per ogni
enunciato; nel caso della lingua italiana è invalso l’uso di calcolare il numero di parole
per enunciato. Tra 2 e 3 anni di età compaiono in rapida successione diversi meccanismi
morfosintattici; uno sviluppo spesso menzionato come esplosione morfologica. I
bambini italiani utilizzano l’accordo soggetto-verbo entro i tre anni di età e acquisiscono
buona parte della morfologia verbale; le forme plurali dei verbi compaiono dopo quelle
singolari e non sono ancora ben padroneggiate. Per quanto riguarda la morfologia
nominale, le forme del genere e del numero relative ai nomi vengono ben utilizzate
intorno ai tre anni di età, mentre il sistema degli articoli risulta ancora incompleto;
considerando la morfologia pronominale si nota come i bambini imparino entro i trequattro anni ad inserire in modo efficace i pronomi egli scambi dialogici. La completa
acquisizione della morfosintassi è un processo graduale e complesso; i suoi aspetti chiari
e frequenti nell’input linguistico compaiono precocemente alla produzione dei bambini.
Alcuni autori ritengono che tra i 4 e i 6 anni si verifichi una riorganizzazione del sistema
linguistico con il passaggio da una grammatica << intrafrasale >> ad una <<
interfrasale>> . i bambini imparano a usare le regole grammaticali per esprimere
relazioni tra enunciati diversi e per ottenere la coesione del discorso.
Nell’apprendimento al linguaggio ogni bambino segue una propria strada seppur
condividendo caratteristiche comuni a tutti gli altri; troviamo però delle differenze
considerevoli nel ritmo. La comparsa delle prime parole che si colloca tra gli 11 e i 13
mesi può verificarsi precocemente(8mesi) oppure ritardare(fino a 18mesi); differenze
analoghe si presentano con la comparsa delle prime frasi e nel ritmo di sviluppo
grammaticale. Le prime combinazioni compaiono in media a 20 mesi ma in alcuni sono
già presenti a 14 oppure tardano fino ai 24 mesi. Troviamo interessanti differenze anche
negli stili individuali con cui i bambini imparano a parlare; K. Nelson analizzando le
prime 50 parole dette da bambini americani ha scoperto come la produzione di nomi sul
vocabolario complessivo variasse notevolmente. L’autrice ha distinto questi stili di
acquisizione in referenziali ed espressivi, seguendo il campione fino ai due anni di età,
e ha notato come i bambini referenziali avessero uno sviluppo lessicale più rapido
mentre quelli espressivi erano più precoci nello sviluppo sintattico. Ricerche successive
24
hanno stabilito differenze riguardo la preferenza per i nomi rispetto ad altre parti del
discorso(verbi,pronomi,ecc.) ; l’idea di due diversi stili di acquisizione è stata accettata
in letteratura e sono stati caratterizzati da altri autori come stile referenziale-espressivo,
nominale-pronominale e analitico-olistico. Secondo quest’ultima proposta il bambino
apprende attraverso un approccio analitico per la segmentazione del linguaggio che
ascolta nelle sue unità minime e grazie un approccio olistico che gli consente di
riprodurre unità linguistiche più ampie senza averle analizzate. Sempre Nelson parla di
stili cognitivi sostenendo che i bambini referenziali sono maggiormente interessati agli
oggetti e all’importanza di nominarli mentre coloro espressivi si interessano alle
relazioni sociali e usano il linguaggio come tramite per esprimere le proprie emozioni
oppure per influenzare gli altri. Le variabili contestuali sono state identificate
analizzando le caratteristiche dell’interazione madre-figlio e il modo in cui le madri
parlano ai bambini. Per diventare buoni parlanti e ascoltatori i bambini devono scoprire
le regole e le relazioni semantiche della propria lingua e imparare ad utilizzarle
correttamente a seconda del contesto e dell’interlocutore; questa competenza pragmatica
include due aspetti: la capacità di conversare e la capacità di tener conto del punto di
vista e dei bisogni dell’ascoltatore. Il bambino è precocemente capace di conversare
utilizzando l’intonazione appropriata e un limitato numero di frasi fatte; le madri li
aiutano a sviluppare questa capacità adattandosi fin da dubito alle loro limitate
competenze. Esse seguono gli interessi del bambino e sviluppano gli argomenti da lui
introdotti; già a 4 anni sono in grado di adattare il loro stile all’interlocutore che hanno
di fronte. Negli scambi dialogici tra bambini di 3-5 anni di asilo nido e scuola materna,
coloro che frequentano l’asilo rivolgono ai coetanei richieste in forma di comando ed
espressioni di possesso o di conferma; i bambini di scuola materna usano con il coetaneo
forme più cortesi di richiesta e d’informazione. Piaget proponeva come i bambini fino a
7 anni non hanno alcun interesse riguardo il punto di vista del proprio interlocutore e
sembra che essi si rivolgano a sé stessi piuttosto che ad un ascoltatore; sempre secondo
Piaget, il linguaggio egocentrico nella sfera tra i 2 e i 7 anni è presente nella produzione
verbale spontanea in grandi percentuali, che si aggirano tra il 40 % e il 70%. Ma a
cominciare dagli anni ’70 numerose ricerche hanno provato che i bambini sono assai più
consapevoli dei bisogni dell’interlocutore di quanto pensava Piaget; inoltre la capacità di
comunicare efficacemente è influenzata dal carico cognitivo del compito( tanto più
complesso è, minore sarà la prestazione comunicativa). Il fallimento comunicativo che si
verifica è dovuto ad uno o più fattori implicati nel produrre un messaggio comunicativo
efficace: abilità percettive, di confronto, di memoria e linguistiche. I bambini tendono a
prendere per buoni i messaggi ambigui piuttosto che chiedere informazioni; questo
comportamento bizzarro può trovare risposta nel rendersi conto che l’ambiguità non
implica la capacità di risolverla. I bambini sanno di avere un problema ma non sanno
che la fonte risiede nel messaggio. Fino all’età di 8 anni i bambini presentano
prestazioni scarse nei compiti di comunicazione referenziale, ovvero producono
messaggi raramente informativi e piuttosto ambigui. Weir ha registrato i soliloqui del
figlio di due anni e mezzo quando veniva lasciato da solo nella sua camera prima di
addormentarsi; nei dai raccolti si trovano giochi con i suoni basati su rime ,allitterazioni
ed esercizi grammaticali in cui il bambino seleziona un particolare modello
grammaticale e applica una regola di sostituzione. Mentre riesce a produrre giochi
linguistici sulla forma trascurando il contenuto, quando deve tener presente sia la forma
25
che il contenuto il bambino in fase prescolare incontra serie difficoltà. Il bambino
piccolo ha inoltre difficoltà nel comprendere il significato di verbi che si riferiscono a
stati mentali che appartengono al metalinguaggio così come verbi che si riferiscono a
diversi atti linguistici e i termini con i quali si ci riferisce a parti o unità linguistiche.
L’alfabetizzazione facilita la padronanza del metalinguaggio più elaborato in quanto il
bambino a scuola impara a trattare il linguaggio come strumento di analisi. I bambini
che possiedono un’alta consapevolezza metalinguistica riescono ad apprendere la
letteratura in modo più rapido e facile, cioè sanno meglio quali parole si collocano in
punti specifici della frase. Secondo E. Ferreiro e A. Teberosky imparare a leggere e
scrivere è un processo conoscitivo in cui il bambino fa delle ipotesi che vengono vagliate
ed eventualmente abbandonate quando entrano in conflitto con i dati dell’esperienza,
fino a che acquisisce le regole del sistema convenzionale adulto. La padronanza della
letteratura e della scrittura consente nuove possibilità di riflettere sulla lingua, che
difficilmente avrebbero potuto verificarsi senza di essa.
CAPITOLO 6: Lo SVILUPPO SOCIALE
Intorno al secondo anno di vita, la prospettiva soggettiva che organizza l’esperienza si
apre verso nuovi campi di relazione e interazione con gli altri.
L’individuo vive immerso nei rapporti sociali e si trova a contatto con gli altri, con le
regole prescritte dal suo gruppo di riferimento e con sistemi di norme che deve imparare
a conoscere. Il termine sviluppo sociale ha preso il posto di socializzazione; questo
cambiamento ha avuto luogo nel momento in cui gli studiosi si sono accorti dell’errore
fino ad allora commesso: aver considerato il bambino una tabula rasa da plasmare,
guidare e controllare in funzione delle sue esigenze sociali. Fino agli anni ’60 lo studio
dei processi di socializzazione era concepito o in chiave di acculturazione o di
acquisizione del controllo degli impulsi o di addestramento al ruolo. La capacità di
rapportarsi con gli altri richiama le relazioni affettive primarie, lo sviluppo delle
emozioni e la capacità di comprendere i sentimenti e i pensieri propri e altrui; per
diventare competente sul piano sociale ,il bambino deve sviluppare la capacità di capire
che le persone sono dotate di stati interni che orientano il loro comportamento. Non è
risaputo se compaia per prima la conoscenza di sé o degli altri, ma è noto che la
comprensione sociale subisca un’importante svolta nel momento in cui il bambino
sviluppa la DISTINZIONE tra sé e gli altri. La coscienza di possedere un’identità
separata si basa sul processo di differenziazione e sulla rappresentazione del Sé come
entità soggettiva. Sul tema della consapevolezza del Sé Lewis e colleghi riprendono la
classica distinzione tra IO e ME introdotta da James in ambito filosofico, parlando di un
Sé esistenziale, inteso come la componente implicita del Sé che organizza l’esperienza e
di un Sé categorico, componente esplicita del Sé che deriva dall’autoconsapevolezza.
La consapevolezza primaria si fonda su una percezione immediata e precoce che
deriva dalle informazioni sensoriali e dalle comunicazioni verbali e non nelle
interazioni. La consapevolezza secondaria si basa sulla capacità di rappresentazione e
auto riflessione e coincide con il Sé categorico di Lewis. Come stabilire quando si ha il
passaggio da Sé esistenziale e Sé categorico che rende coscienti della propria identità
separata da quella altrui? Abitualmente si ritiene che l’uso di termini verbali con i quali
il bambino si riferisce a se stesso e agli altri come entità distinte, siano gli indicatori più
26
attendibili del processo di decentramento mentale e oggettivazione. Il mito greco di
Narciso potrebbe non solo indicare la condizione psicologica di chi è orientato
solamente su di sé e nutre amore per se stesso ma anche la difficoltà di percepire la
differenza tra Sé oggettivo e Sé soggettivo. Come reagiscono i bambini di diversa età
quando si trovano davanti alla propria immagine riflessa da uno specchio? Dixon ha
notato che fino a 4-5mesi, i piccoli sono fortemente attratti dall’immagine della madre
ma non della propria, mentre nei mesi successivi cominciano a comprendere che esiste
un rapporto tra sé e ciò che vedono, fino a raggiungere intorno i 18 mesi la capacità di
riconoscersi. Ma cosa riconoscono veramente i bambini, si domanda Lewis? Per parlare
di vero e proprio autoriconoscimento è necessario che il bambino percepisca la propria
immagine fisica e la riconosca come stabile nel tempo e nello spazio. La
consapevolezza di sé comincia ad apparire intorno ai 15 mesi e accomuna gran parte dei
bambini di età compresa tra i 21 e 24 mesi. Supponendo la presa di coscienza di sé o per
meglio dire la distinzione tra sé e gli altri, il bambino ha gli strumenti per comprendere
che gli altri posseggono caratteristiche diverse dalle proprie e che utilizzi elementi che
conosce su sé stesso per comprendere cosa sentono e pensano gli altri. Un criterio utile
può essere la familiarità cioè il riconoscimento dell’estraneo e la sua identificazione
come diverso da sé e dalle persone familiari. Come interpretare questa varietà? L’ipotesi
di Lewis e Brooks presuppone una connessione tra sviluppo del Sé e reazione
all’estraneo, basata sull’idea che i bambini utilizzino gli schemi di conoscenza del Sé per
comprendere gli altri. La conoscenza dell’altro richiede la percezione degli aspetti
esteriori, dei comportamenti e l’elaborazione di un’immagine mentale che contenga:
stabilità spazio-temporale, comprensione delle proprie e altrui emozioni e la
consapevolezza del punto di vista attraverso cui gli altri vedono le cose. Per prima cosa
il bambino deve percepire la STABILITA’ degli oggetti e delle persone nel tempo e
nello spazio: la permanenza della persona e dell’oggetto, come ha evidenziato Piaget, si
sviluppano durante il periodo senso motorio a partire dai 12 mesi e si esprimono in
senso compiuto al termine di tale fase, intorno ai 18 mesi. Un secondo aspetto è la
capacità di riconoscere le EMOZIONI e di comprenderne il significato: il bambino nei
primi 2 anni di vita, esprime il proprio stato emotivo, riconosce il significato di alcune
emozioni negli altri e impara a manifestare le proprie emozioni in base a regole
appropriate alle diverse circostanze. Grazie allo sviluppo emotivo e cognitivo, la
rappresentazione mentale degli altri diventa sempre più ampia fino a inglobare il punto
di vista degli altri attraverso cui vedono e sentono la realtà; con il procedere dello
sviluppo, la comprensione degli altri si avvale del canale verbale e delle descrizioni con
le quali vengono presentate le loro qualità. Le elaborazioni del Sé sono soggette a
continue ristrutturazioni e rielaborazioni come esito delle esperienze sociali e di una
diversa comprensione della realtà; dopo la prima infanzia il senso dell’identità personale
e il rapporto con adulti e coetanei è caratterizzato dall’acquisizione dello spirito
d’iniziativa,industriosità e superamento del senso di inferiorità. Osservando i giochi, si
nota che i bambini assumano il ruolo degli adulti elaborando una finzione collettiva
dove ciascun partecipante ricopre le vesti di un personaggio diverso; in chiave di
dinamiche affettive, la teoria dell’attaccamento sostiene che nell’infanzia la percezione
del mondo sia filtrata da modelli operativi della mente interni del sé e della figura
dell’attaccamento, che si sono organizzati nella relazione primaria e che le nuove
esperienze possono arricchire e modificare. Questo dipende dal fatto che il bisogno di
27
essere accettati è prevalente nell’infanzia e rende particolarmente vulnerabili al giudizio
degli altri soprattutto a quello degli adulti. L’autostima è determinata dall’insieme delle
valutazioni che riguarda il Sé nelle sue componenti: Sé fisico, capacità sociali e identità;
un altro aspetto che determina il modo di percepire il sé e gli altri deriva dall’abilità di
cogliere la prospettiva dell’altro e di metterla in relazione alla propria. Selman ha
individuato gli STADI delle abilità di role-taking grazie cui si affina la distinzione tra il
concetto di sé e quello degli altri:
STADIO
Stadio 0 :
egocentrico(5anni)
Stadio 1:
soggettivo(6-8anni)
Stadio 2:
auto-riflessivo(9anni)
Stadio 3:
reciproco(11anni)
Stadio 4:
sociale e convenzionale(12
anni e mezzo)
CAPACITA’ DI
CAPACITA’ DI METTERE
DISTINGUERE TRA VARI
PUNTI DI VISTA
IN RELAZIONE VARI
PUNTI D.V.
Il bambino considera se stesso e gli
altri come entità distinte ma non
differenzia i rispettivi punti di
vista. Confonde una prospettiva
con la verità
Non può mettere in relazione i
p.d.v. Se gli si fa notare una
prospettiva diversa dalla sua
l’accetta
senza
notare
la
contraddizione.
È consapevole del fatto che il suo Non capisce che ciascuno può
punto di vista può differire da considerare gli altri come soggetti.
quello di un altro
Non mette in relazione i vari p.d.v.
Distingue i diversi p.d.v. tramite i
differenti dati che uno ha della
situazione, diversi valori e propositi
delle persone
È capace di riflettere sul proprio
comportamento e motivazioni
ponendosi nella prospettiva di un
altro. Sa anche che gli altri possono
fare la medesima cosa
Differenzia la propria prospettiva
da quella generale; distingue i
p.d.v. di ciascuno dei membri di
una coppia rispetto quello di una
terza persona
Sia lui che gli altri possono
prendere in considerazione in
simultanea rispettivi p.d.v. assume
posizione imparziale in un conflitto
tra i membri di una coppia
Riesce a confrontare due o più punti Si rende conto che la
di vista che appartengono a gruppi o comunicazione e la comprensione
società intere
tra le persone è facilitata dal
comune riferimento ad un punto di
vista generale( quello del sistema
sociale)
Un altro strumento per capire come i bambini vedano se stessi e gli altri è fornito dalle
descrizioni verbali con cui essi valutano le caratteristiche fisiche e psicologiche delle
persone. Anche nella descrizione di sé si ha uno sviluppo analogo: i bambini(fino ai 7
anni) dedicano maggior attenzione agli aspetti esteriori oppure indicano ciò che
28
possiedono; mentre successivamente iniziano a descrivere preferenze, qualità e lati del
carattere.
Man mano che il bambino cresce si rende conto che le persone si possono distinguere in
base ad alcune categorie a cui egli stesso appartiene e con cui si identifica; i bambini
inizialmente identificano caratteristiche simili a sé e alle persone familiari e cominciano
ad organizzare categorie mentali con le quali orientarsi nella distinzione tra maschio e
femmina. Gli studi riguardo le differenze sessuali sono stati influenzati dagli stereotipi
sociali che hanno guidato i ricercatori. Sebbene alcune attività ludiche nei bambini a due
anni sia simile in entrambi i sessi, le scelte dei giochi e dei giocattoli sono orientate
differentemente. I maschi si impegnano di più in giochi di movimento e con giocattoli
delle caratteristiche <<maschili>>( costruzioni,armi,automobili) mentre le femmine si
dedicano ad attività con le bambole e i colori tradizionalmente <<femminili>>. Anche la
scelta dei compagni si organizza in base alle differenze di genere e segue precise linee
di sviluppo; in genere i bambini prediligono i coetanei dello stesso sesso e si mantiene a
lungo termine fino a che si affievolisce per poi scomparire nell’età pre e adolescenziale
con l’affermarsi delle relazioni sessuali. Per quanto riguarda lo stile relazionale
all’interno dei gruppi, le differenze affiorano con la tendenza a stabilire delle scale
gerarchiche e dominanti con i compagni e da contatti corporei che sfociano in episodi di
aggressione fisica. Gli studi sulla tipizzazione sessuale si sono preoccupati di
comprendere quale peso abbiano i fattori di natura biologica, sociale,educativa e
cognitiva che concorrono a determinare le differenze di genere. Al ruolo socializzante
degli adulti viene attribuita una notevole importanza tanto che si considera come
l’identità sessuale e l’assunzione del ruolo sessuale dipendano dai modelli trasmessi dal
mondo degli adulti, in particolare dai genitori. La psicoanalisi, attraverso le fasi dello
sviluppo psicosessuale, delinea una progressiva tendenza del piccolo ad identificarsi con
il genitore dello stesso sesso e ad interiorizzare il ruolo; la teoria dell’apprendimento
sociale assegna un ruolo determinante ai meccanismi di imitazione che derivano
dall’osservazione del comportamento degli adulti e dall’esposizione ai modelli sociali.
Kohlberg: il CONCETTO DI GENERE SESSUALE. Egli vede la tipizzazione
sessuale come un processo primariamente cognitivo che deriva dalla più generale
tendenza del bambino a pensare per categorie; intorno ai tre anni il bambino inizia
differenziare le due categorie di appartenenza sociale: maschile e femminile. E quindi a
stabilire la PROPRIA IDENTITA’ DI GENERE. Verso i quattro anni il bambino
comprende il concetto di STABILITA’ DI GENERE ,ovvero si rende conto che le
differenze sessuali non mutano nel tempo e che appartenere ad un genere significa
diventare uomo o donna, madre o padre. Intorno ai 6-7 anni la differenza di genere è
intesa come una caratteristica biologica intrinseca e non modificale, CONGRUENZA DI
GENERE, pur al variare dei segni esteriore di identificazione quali l’aspetto o
l’abbigliamento.
L’influenza delle relazioni tra pari appare ampiamente riconosciuta nella sua specificità.
In realtà già Piaget, nel sottolineare la differenza tra la relazione sociale asimmetrica con
l’adulto basata sul rispetto,riconoscimento e obbedienza, e quella simmetrica con i
coetanei basata sulla cooperazione e sulla condivisione aveva assegnato alla discussione
e al confronto paritario con i coetanei, un ruolo importante nel favorire il passaggio
verso fasi più evolute di giudizio morale. Nel corso dello sviluppo l’importanza delle
relazioni con i coetanei aumenta e quando i bambini possono scegliere se interagire tra
29
adulti e coetanei, questi preferiscono sempre di più i secondi; da queste interazioni
spesso nascono le relazioni d’amicizia, legami più forti caratterizzati dalla stabilità,
costanza e selettività nell’orientamento preferenziale verso uno o più partner. Nel corso
dello sviluppo le occasioni sempre più frequenti di contatto e la capacità di interagire
con i coetanei rendono la relazione tra pari sempre più costruttiva. Nell’età prescolare
tali relazioni hanno il carattere dell’unidirezionalità, nel senso che all’azione del primo
non corrisponde l’azione coordinata del secondo; una specifica analisi delle interazioni
di bambini di due/tre anni ha chiarito come le competenze sociali si vadano sempre più
affinando, passando da uno scambio di imitazione speculare a interazioni complementari
e reciproche. Nel periodo prescolare fioriscono le attività di gruppo, favorite sia dalla
capacità di comunicare verbalmente i desideri e le aspettative sia dallo sviluppo di
abilità simboliche. Nell’infanzia si sviluppano relazioni sempre più selettive basate
sull’affinità e i compagni vengono scelti in funzione della comunanza d’interesse; i
rapporti con i coetanei appaiono caratterizzati dal fenomeno della segregazione sessuale
soprattutto nelle attività ludiche. Montagner: l’importanza delle sequenze di
comportamento non verbale nella dinamica accettazione-rifiuto. I bambini
popolari,chiamati bambini leader, manifestano e mantengono nel tempo comportamenti
e sequenze di interazioni non verbali rassicurati e non aggressive; appaiono in grado di
mediare un conflitto e di intervenire con decisione a difesa di un altro aggredito. I
bambini rifiutati , chiamati bambini dominanti aggressivi, manifestano in misura
costante comportamenti di minaccia attraverso movimenti bruschi e disordinati, scarsa
concentrazione e interventi che minano le attività altrui attraverso aggressioni fisiche.
Gli aspetti che riguardano il temperamento e la personalità maggiormente connessi alla
dinamica accettazione-rifiuto sono l’aggressività e il mancato controllo degli impulsi.
Nella fase della preadolescenza e della adolescenza le relazioni con i coetanei risentono
delle esperienze pregresse e allo stesso tempo assumono valore di stimolo al confronto,
fonte di sostegno e di supporto all’autostima.
Le relazioni amicali presentano caratteristiche non perfettamente sovrapponibili a quelle
che si stabiliscono nei gruppi di coetanei; i bambini frequentandosi più o meno
occasionalmente, diventano amici quando la loro relazione si protrae nel tempo e
diventa reciproca e stabile. Si viene a creare un legame preferenziale. Cosa spinge il
bambino alla ricerca di relazioni preferenziali? Howes ha evidenziato che nei bambini
più piccoli il bisogno di vicinanza e rassicurazione, in mancanza di figure adulte
significative, viene soddisfatto all’interno di un rapporto d’amicizia affettivamente
pregnante, mentre verso i 3-4 anni l’esigenza di esplorazione e la curiosità spingano il
bambino a stabile un numero più elevato di relazioni. Nei primi due anni di vita i legami
preferenziali possono essere interpretati come legami affiliativi caratterizzati da
affettività, vicinanza fisica e reciprocità nella rispondenza ai segnali; durante l’età
prescolare, le relazioni di amicizia assumono forme e funzioni diverse, diventando meno
esclusive e più flessibili. A partire dai 4-5 anni il bambino distingue ,all’interno di un
gruppo,gli amici dagli altri compagni; condividere e cercare l’intimità sono indirizzati
agli amici, le azioni di aiuto e conforto dipendono dalla condizione del ricevente. Nella
relazione di amicizia si manifestano pattern comportamentali specifici di tipo pro
sociale( condividere, donare,ecc..) che non impediscono l’emergere di altri sentimenti ed
emozioni pro sociali volti a comprendere ed alleviare il disagio dei non amici. Cosa
succede quando per aiutare un coetaneo si debbano superare sentimenti negativi come
30
l’ira o la paura? La relazione amicale rappresenta una spinta talmente forte che, in
particolare in questi casi, favorisce la solidarietà e l’aiuto;ciò non implica che tali
relazioni siano esenti da conflitti e dispute che per altro sono funzionali all’amicizia, sia
nella fase di formazione che in quella di mantenimento della relazione. La capacità di
collaborare è una delle competenze sociali meglio sollecitate dalla relazione amicale; sia
nella risoluzione di problemi, prove e giochi di fantasia le coppie di amici ,rispetto a
quelle di non amici, mostrano maggiori competenze e un più elevato livello di
soddisfazione. Selman ha intervistato un alto numero di soggetti d’età compresa tra i 3 e
i 34 anni e ha individuato 4 STADI DELLA CONSAPEVOLEZZA DELL’AMICIZIA:
1- AMICIZIA COME VICINANZA FISICA: 3-5 anni, nello stadio 0 gli amici sono i
compagni di gioco momentanei e l’amicizia è concepita in chiave di vicinanza e
contatto fisico. È assente la comprensione dei pensieri altrui e il bambino presta
attenzione agli attributi fisici del compagno e alle sue azioni
2- AVERE UN AMICO SIGNIFICA RICEVERE AIUTO: 6-8 anni, nello stadio 1 l’amicizia
è considerata nei termini di aiuto unilaterale ritenuto capace di capire e intuire i
desideri e soddisfare le aspettative
3- DARE E RICEVERE AIUTO DA UN AMICO: 9-12 anni, nello stadio 2 di cooperazione
in situazioni favorevoli,con la capacità di coordinare i diversi punti di vista, emerge
una maggior consapevolezza della reciprocità del rapporto
4- CONFIDENZA,FIDUCIA E SOSTEGNO NELL’AMICIZIA: dai 12 anni in poi, soltanto
allo stadio 3, di condivisione mutualistica l’amicizia è una relazione solida e duratura
caratterizzata da intimità e fiducia reciproca
La successione evolutiva nel concetto di amicizia si snoda lungo tre dimensioni che
corrispondono all’evoluzione nella comprensione sociale:
1- incremento nella capacità di assumere la prospettiva altrui;
2- percezione delle persone come entità fisiche e psicologiche;
3- preferenza per i rapporti sociali duraturi piuttosto che incontri occasionali.
Sul piano del concetto di amicizia emerge l’immagine di un bambino che prima dell’età
prescolare non è in grado di percepire le caratteristiche psicologiche dell’amico e quindi
non riflette sul significato di amicizia.
La
comprensione delle regole e dei valori costituiscono le linee guida per l’individuo; in
primo luogo, la norma assume un significato affettivo-emotivo nella misura in
contiene qualche forma di indicazione su come l’individuo si sente o dovrebbe sentirsi
quando la rispetta o la viola. La teoria psicoanalitica ha privilegiato il significato della
sensazione morale e dei meccanismi di controllo interni che formano la coscienza; il
bambino dominato dal principio di piacere e dalle pulsioni sviluppa,gradualmente,
grazie all’individuazione dell’Io e del Super-io la capacità di aderire alla realtà e di
controllare l’istinto amorale. La norma, in secondo luogo, rappresenta una guida per la
condotta nel senso che prescrive comportamenti socialmente desiderabili, probi
bendone o sanzionandone altri; un terzo aspetto della morale concerne la conoscenza
delle norme che rende possibile comprendere i significati espliciti o impliciti.
31
Piaget e Kohlberg si sono principalmente dedicati della moralità in termini di
acquisizione e ragionamento indipendentemente dal contenuto o delle azioni ad esse
collegate. Quest’accezione di moralità privilegia il ruolo della cognizione a cui viene
attribuito di costruire gli stessi significati morali; i processi cognitivi hanno il compito di
selezionare, fare gerarchie, categorizzare e differenziare dalla realtà, definendo come la
moralità risieda nella giustezza, nella bontà e nel significato che l’essere le assegna.
Piaget attraverso il metodo clinico ha proposto a bambini tra 6 e 12 anni alcuni
problemi quotidiani( dire le bugie, suddividere oggetti,ecc..) invitandoli a dare un
giudizio e ad operare un confronto tra alternative diverse; grazie all’osservazione
diretta ha studiato il modo in cui i bambini si approcciano ad un gioco contraddistinto
da regole. Alla fine delle sue analisi egli ha desunto la forma che assume la
comprensione delle norme nel corso dello sviluppo:
fino ai 3-4 anni i bambini attraversano un periodo premolare caratterizzato da anomia
ovvero da assenza di regole; in seguito vengono a organizzarsi due forme distinte di
moralità: dai 4-5 anni fino 8-9 prevale il realismo morale. Tipico del periodo
preoperatorio, è caratterizzato dall’adozione di un punta di vista egocentrico in quanto i
giudizi tendono ad essere formulati secondo un criterio guida che corrisponde al danno
reale e oggettivo; in questo stadio prevale una morale eteronoma secondo cui la validità
dei principi morali derivi dall’autorità di chi li ha promulgati e dalla forza con cui
vengono fatti rispettare. La fase relativismo morale o soggettivismo morale si
contraddistingue per una concezione meno rigida delle regole, concepite come frutto di
accordi passibili di cambiamento; dopo gli 8 anni troviamo una morale autonoma
caratterizzata dall’importanza attribuita agli elementi specifici della situazione e
all’intenzionali(responsabilità soggettiva). Per quanto riguarda la pratica della regola:
PRIMO STADIO
Abitudini motorie
Il bambino
manipola gli oggetti
secondo regolarità
individuali in
funzione dei suoi
desideri. Il gioco è
individuale
SECONDO
STADIO
Egocentrismo (2-5
anni)
Imita le regole
codificate che
riceve dall’esterno e
imita i bambini più
grandi. Gioca senza
entrare in rapporto
con i compagni.
Ognuno gioca per
conto proprio
TERZO STADIO
Cooperazione
incipiente(6-11
anni)
Compare
l’agonismo. Nasce
l’esigenza di
cooperare per
codificare le regole
in base alle quali
definire vincitori e
vinti
QUARTO
STADIO
Codificazione delle
regole(+ 11 anni)
Regole assumono
un significato
collettivo che tutti
conoscono. Si
acquisisce la
consapevolezza che
per cambiare le
regole è necessario
l’accordo di tutti
Kohlberg: lo sviluppo morale. Ha l’obbiettivo di riportare lo studio del comportamento
sociale sotto il primato cognitivo. Per esplorare le trasformazioni del giudizio morale
utilizza vari dilemmi in forma di storie in cui il protagonista può prendere decisioni
diverse. I tre livelli presentati da Kohlberg ruotano intorno al concetto di convenzionale
che significa conformarsi e attenersi alle regole, alle aspettative e convenzioni della
società.
32
1. Nel primo livello preconvenzionale prevalente nei bambini di età inferiore a 9-10
anni, il bene e il male vengono considerati in base alle conseguenze negative o
positive per il soggetto. Il primo stadio è analogo a quello della morale di Piaget(
importanza all’autorità che emana le norme). Il secondo stadio ha come riferimento
centrale l’individualismo e il bambino giudica utile osservare le regole quando da
esse deriva un vantaggio immediato per sé.
2. Il secondo livello convenzionale è incentrato sui rapporti interpersonali e sui valori
sociali; lo scopo principale durante il terzo stadio è vivere in conformità con le
aspettative della propria cerchia sociale e con quelle connesse ai ruoli di figlio,
fratello e amico non deludendo le aspettative degli altri. Nel quarto stadio si affina la
capacità di differenziare tra il punto di vista della società, gli accordi e le motivazioni
interpersonali.
3. Il terzo livello postconvenzionale è caratterizzato dall’emergere di giudizi morali
basati su principi astratti che possono essere o meno condivisi dal proprio gruppo di
appartenenza. Nel quinto stadio emerge la consapevolezza che le leggi e le regole
sono relative, frutto di accordi e devono essere rispettate in quanto garanzia
d’imparzialità e di un contratto sociale che garantisce il rispetto dei diritti individuali.
Il sesto stadio l’individuo acquista la consapevolezza che le leggi sociali sono validi
solo se basati su principi universali e su valori etici.
Dagli studi di Kohlberg è emersa la validità della sequenza stadiale che vede il
ragionamento preconvenzionale decrescere con l’età e quello convenzionale aumentare.
Le regole
interiorizzate, basate sull’acquisizione che certi modelli di convivenza e di relazione
sociale vadano rispettati per il significato che rivestono, rappresenta la principale
essenza della morale. L’interazione sociale e le routine quotidiane favoriscono lo
sviluppo delle regole convenzionali e insegnano che se alcune di queste regole
accomunano più persone altre sono specifiche della propria famiglia.
CAPITOLO 7: Lo SVILUPPO EMOTIVO e AFFETTIVO
Le emozioni rappresentano un’importante componente nel percepire se stessi, le
persone, l’ambiente e gli oggetti; esperienze così comuni che tutti condividono e che
caratterizzano la nostra specie non sono facili da definire in maniera chiara e univoca.
Generalmente , l’emozione è intesa come un allontanamento dal normale stato di quiete
cui si accompagna un impulso all’azione e alcune specifiche reazioni fisiologiche
interne, ognuna delle quali si esprime attraverso una diversa configurazione e designa
risposte emotive. A livello fisiologico entrano in gioco sia il sistema nervoso centrale e
autonomo, responsabile delle reazioni corporee connesse alle manifestazioni delle
emozioni, sia il sistema endocrino, che attiva il sistema nervoso e regola i livelli di stress
e ansia; a queste modificazioni si accompagna una dimensione cognitiva capace di
mediare il rapporto con l’ambiente, di valutare e individuare il significato di ciò che
accade. Vi è inoltre un livello motivazionale che oriente all’azione e modifica il
comportamento in funzione di bisogni e desideri; tendenzialmente gli eventi spiacevoli
vengono evitati mentre quelli piacevoli ricercati ardentemente. Infine a livello
espressivo e comunicativo non è semplice inibire o modificare la manifestazione delle
33
emozioni soprattutto quando colpiscono l’individuo in modo improvviso; ogni emozione
presenta una configurazione comunicativa proveniente da movimenti facciali,
manifestazioni non verbali come movimenti corporei o tono della voce che
arricchiscono il significato delle relazioni individuali. Le emozioni possiedono una
specifica dimensione sociale. Esse infatti non si presentano mai casualmente o senza
una ragione; per provare gioia, tristezza,ecc.. è necessario la realizzazione di alcune
condizioni determinata da eventi o da azioni delle persone. Lo schema di Plutchik
evidenzia la catena dei principali eventi connessi all’emozione; tale catena incomincia
con la percezione di uno stimolo e si conclude con un’interazione tra l’organismo e lo
stimolo che ha dato avvio alla catena di eventi.
Sentimento
Evento
stimolo
Valutazione
Impulso ad
agire
Azione
manifesta
Effetto
dell’azione
Questo rapido quadro lascia intuire sia l’importanza dell’esperienza emotiva nel corso
Eccitazione
dello sviluppo sia il significato
che essa riveste nell’organizzazione
delle relazioni
ma
fisiologica
affettive. Una delle prime ricerche sulle emozioni nell’infanzia è stata condotta negli
anni ’30 da Bridges attraverso l’osservazione delle risposte fisiologiche dei bambini di
età compresa tra un mese e due anni; la prospettiva teoretica che tale studio ha dato vita
e che negli anni successivi è stata ampliata e rielaborata da Sroufe viene chiamata teoria
della differenziazione emotiva. Si fonda sull’idea che da una iniziale eccitazione
indifferenziata si articolino nel corso dello sviluppo specifiche e diverse emozioni.
L’apporto decisivo dell’attività cognitiva favorisce il tipo di interpretazione che il
piccolo assegnerà ai segnali interni, inizialmente di tipo fisiologico; viene a delinearsi
una sequenza evolutiva che, a partire da un iniziale stato di indifferenziazione, vede
l’emergenza delle diverse emozioni secondo tre diversi percorsi: quello che caratterizza
il sistema piacere-gioia, quello del sistema circospezione-paura e quello del sistema
rabbia-collera.
1. Lo sviluppo del sistema piacere-gioia relativamente rapido, vede affermarsi (nel
piccolo di tre mesi) reazioni emotive puntuali sostenute dal significato cognitivo
attribuito allo stimolo
2. All’interno del sistema circospezione-paura un percorso analogo seguono le
reazioni di disagio che (intorno ai quattro mesi) si differenziano in disappunto e
sorpresa in connessione a stimoli specifici che possono intimorire e spaventare
34
3. Altre forme di reazioni di disagio, tipiche del sistema rabbia-collera sono quelle di
delusione e insoddisfazione( evidenti verso la fine dei 6 mesi di vita) quando al
piccolo viene sottratto un oggetto che stringe nella mano o quando viene interrotta
l’alimentazione
Izard sostiene che il neonato possegga fin dalla nascita un certo numero di emozioni
fondamentali e differenziate basate su programmi innati e universali; la teoria
differenziale sostiene il carattere distintivo delle espressioni fenomenologiche e
motivazionali che si palesano attraverso configurazioni facciali e vocali specifiche. Nel
primo e secondo mese di vita il neonato manifesta a livello di esperienza sensorio affettiva, le emozioni negative e positive, quelle di interesse, disgusto e trasalimento,
giusto per comunicare i propri bisogni e per stabilire indirettamente un contatto con le
figure di allevamento; a partire dal secondo anno i bambini imparano a mostrare ciò che
provano in accordo con le regole sociali e quindi diventano capaci di simulare,esagerare,
mascherare o minimizzare le espressioni emotive.
Campos, ponendosi in
una prospettiva volta a comprendere a quali obbiettivi rispondano le emozioni,introduce
un approccio funzionalista che pone in evidenza il ruolo delle emozioni nella
regolazione dei rapporti fra l’organismo e l’ambiente. Le emozioni vengono intese come
sistemi di azione che spingono ad esprimere e a soddisfare bisogni che hanno un
significato adattivo; quattro sono gli aspetti che le caratterizzano: hanno il compito di
regolare i processi psicologici interni e i comportamenti sociali e interpersonali, hanno
un carattere distintivo rispetto alle altre forme istintuali, permettono la comprensione
del significato da attribuire ai comportamenti sociali e utilizzano un processo
comunicativo non codificato culturalmente. Queste caratteristiche sottolineano la
funzione di organizzazione;uno dei meriti della teoria funzionalista di Campos è l’aver
concettualizzato le emozioni in relazione al ruolo che svolgono e quindi in termini di
famiglie di emozioni che mirano allo stesso obbiettivo e che assolvono la stessa
funzione. Si ritiene che esistano alcune emozioni fondamentali concepite come forme di
base che preparano all’azione o modalità di prototipi delle emozioni vere e proprie
oppure come configurazioni facciali innate e universali; Izard chiarisce che un’
emozione deve possedere uno specifico substrato neurale, esprimersi attraverso una
specifica e distinta configurazione facciale, essere collegata ad un’esperienza emotiva e
possedere proprietà motivazionali e organizzative finalizzate all’adattamento.
I diversi periodi della sequenza evolutiva:
. Un primo periodo è caratterizzato dalle reazioni emotive presenti alla nascita che sono
regolare da processi biologici fondamentali; il sistema edonico ha lo scopo di sollecitare
il sistema gustativo, le relazioni trasalimento hanno lo scopo di proteggere da stimoli
luminosi o acustici troppo intensi, le risposte di sconforto segnalano disagio alle
stimolazioni dolorose e quelle d’interesse l’attenzione per gli stimoli nuovi
. Un secondo periodo ,che ha inizio verso il secondo mese e si conclude intorno al
primo anno di vita, comporta grandi scoperte e cambiamenti in quanto grazie alle
interazioni sociali, un bambino inizia a comunicare le proprie intenzioni e ad attuare le
prime forme di controllo emozionale. In questa fase compare sia il sorriso sociale non
selettivo in risposta alla voce umana, sia il sorriso sociale selettivo tendenzialmente
35
rivolto alla madre. Inoltre verso i 9 mesi compare anche la paura dell’estraneo che si
manifesta nel contatto con persone sconosciute che indica la presenza di un legame
affettivo di cura e protezione tra il bambino e la persona che si occupa di lui
.Un terzo periodo nel quale appaiono emozioni complesse quali la timidezza, colpa,
vergogna, l’orgoglio e l’invidia ha luogo dopo il primo anno.
L’espressione delle emozioni del neonato: le espressioni di disgusto, di piacere,ecc..
non sembrano denotare specifiche emozioni, ma sono piuttosto pattern espressivi
generali comuni anche ad altre sensazioni, risposte o azioni motorie. Secondo una
concezione molto restrittiva, gli unici pattern mimici in grado di comunicare un modo
universale e invariante uno stato emotivo sarebbero quelli di piacere – dolore che
segnalano un tono edonico positivo o negativo espresso dai segnali di sorriso o pianto. I
piccoli sin dai primi giorni sono in grado di emettere segnali comunicativi sul loro stato
emotivo che vengono interpretati dagli adulti come risposte emotive specifiche di gioia,
dolore,disgusto,interesse,sorpresa,ecc. Il riconoscimento e comprensione delle
emozioni: Durante il primo anno il bambino impara a riconoscere gli stati emozionali
degli altri ed è capace di reagirvi in modo appropriato; tuttavia affinché possa
comprendere il significato delle emozioni devono trascorrere alcuni anni. Il
riconoscimento delle emozioni richiede di distinguere e differenziare le espressioni
emotive altrui; bambini tra i 4 e 7 mesi riescono a distinguere le variazioni di
espressione emotive in foto che ritraggono i medesimi volti che inizialmente
manifestano sorpresa e poi gioia. Questo tipo di risposta fa pensare che esista una forma
di anticipazione delle espressioni emotive che il bambino si aspetta di veder comparire
sul volto della madre.
Con
lo
sviluppo emergono modi più raffinati di interpretare le espressioni della madre che
diventano indizi di cui servirsi per affrontare situazioni di paura o nelle quali vi siano
ostacoli sa superare. L’espressione emotiva della madre assume carattere comunicativo e
diventa un segnale che trasmette sicurezza o paura; questo fenomeno è il riferimento
sociale e richiede la capacità di avvalersi delle emozioni altrui per orientare il proprio
comportamento. La capacità di comprendere le emozioni è mediata dai comportamenti
empatici che sottendono la presenza di processi di risonanza emotiva grazie ai quali il
bambino può sentire e provare le emozioni degli altri; precocemente compare quello che
Eisenberg chiama contagio emotivo che consiste nel sentire la stessa emozione
dell’altro ma in forma indifferenziata e non cognitiva. Verso la fine del secondo anno si
manifesta la comprensione delle espressioni non chiare, la capacità di far finta e
l’ulteriore comprensione del <<come se>>; il bambino impara anche a modificare
deliberatamente le proprie emozioni, adeguandosi alle circostanze sociali e mostrando le
regole di ostentazione delle emozioni. Una componente più evoluta nella comprensione
delle emozioni è la capacità di rendersi conto che la prospettiva mentale ossia pensieri e
concetti dell’altro possano essere differente dai propri; un ultimo e importante progresso
concerne la consapevolezza che possano essere provate sia diverse emozioni nello stesso
tempo sia la combinazione emotiva di valenza opposta che caratterizza l’ambivalenza.
In quanto segnali indispensabili per regolare la comunicazione ed il commento delle
proprie esigenze interiori, gli adulti svolgono ruolo di mediatori cognitivi e mediatori
sociali; le madri attribuiscono più o meno coscientemente un’intenzionalità emotiva alle
manifestazioni del bambino e questa funzione definita scaffolding consiste nel
36
rispondere in modo appropriato ai segnali del piccolo, modulando il proprio
comportamento in base al suo livello di sviluppo. Attraverso la socializzazione delle
emozioni ossia attraverso l’attribuzione di significato ad eventi e stimoli interni ed
esterni che attivano le emozioni, il bambino apprende dagli adulti del suo ambiente quali
siano le condotte emotive appropriate nelle diverse situazioni.
La
teoria dell’attaccamento: elaborata e proposta da Bowbly il quale teorizza
l’attaccamento come una predisposizione biologica del piccolo verso la persona che gli
assicura la sopravvivenza, prendendosi cura di lui. Sono il bisogno di confronto e
contatto a muovere primariamente il piccolo verso una figura di attaccamento
privilegiata; la ricerca della vicinanza rappresenta la manifestazione più esplicita ed
evidente dell’attaccamento stesso. Vi è una differenza tra attaccamento come sistema
comportamentale interno che organizza le emozioni e i sentimenti che egli prova verso
se stesso e gli altri e comportamento di attaccamento che consiste nelle modalità
attraverso cui si esprimono tali sentimenti. La vicinanza alla madre e l’esplorazione
sono i due poli di questa goal directed parternship che vede il bambino e la figura di
attaccamento impegnati per il raggiungimento di un obbiettivo comune = sopravvivenza
e successo riproduttivo. L’esplorazione dell’ambiente viene considerata una componente
antitetica del comportamento di attaccamento; entra in azione un sistema di controllo di
tipo cibernetico chiamato sistema di attaccamento che ha lo scopo di mantenere un
equilibrio omeostatico tra vicinanza ed esplorazione. Bowbly differenzia quattro fasi
dello sviluppo del legame di attaccamento:
1. la prima fase, tipica dei primi due mesi, è caratterizzata da comportamenti di
segnalazione e di avvicinamento senza discriminazione della persona
2. la seconda fase si sviluppa dai tre ai sei mesi ed è caratterizzata da comunicazioni
dirette verso una o più persone discriminate, essenzialmente la madre o chi elargisce
le cure
3. nella terza fase, che va dai sei mesi ai due anni, appaiono segnali di mantenimento
della vicinanza con la persona discriminata; il bambino impara a camminare e
amplia notevolmente il suo repertorio comportamentale
4. nella quarta fase, dai due anni in poi, si sviluppa una relazione basata sul set-goal
(scopo programmato) che consiste nel perseguimento di obbiettivi regolati dai
feedback provenienti dall’ambiente
I bambini diventano capaci di adottare comportamenti intenzionali , di pianificare i
propri obbiettivi e di tener conto delle esigenze altrui; si stabilisce un rapporto reciproco,
non più unidirezionale, basato sull’abilità del bambino di intuire e di comprendere le
emozioni e i sentimenti della madre e di adattarsi alle sue esigenze.
Tipi di
attaccamento:
1. Pattern A. Attaccamento insicuro evitante: caratterizza i bambini che durante il
primo anno di vita hanno sperimentato un rapporto con una figura di attaccamento
insensibile ai loro segnali e rifiutante sul piano del contatto fisico, anche in
circostanze stressanti
37
2. Pattern B. Attaccamento sicuro: caratterizza i bambini che hanno avuto una madre
sensibile ai segnali di sconforto e pronta alla risposta delle loro richieste
3. Pattern C. Attaccamento insicuro ansioso ambivalente: questi bambini, durante i
primi mesi di vita, hanno avuto una madre imprevedibile nelle risposte: affettuose per
un primo bisogno e rifiutante su sollecitazione del bambino
4. Pattern D. Attaccamento insicuro disorganizzato:
STILI DI ATTACCAMENTO
RISPOSTE DEL BAMBINO
ALLE SEPARAZIONI DELLA
MADRE
RISPOSTE DEL BAMBINO
ALLE RIUNIONI CON LA
MADRE
ANSIOSO AMBIVALENTE C1
BAMBINO MANIFESTA
CONSISTSENTE STATO DI
DISAGIO E SOFFERENZA IN
ASSENZA DELLA MADRE.
CON L’ESTRANEO PUO’
MANIFESTARE NEI SUOI
CONFRONTI RABBIA
RICERCA ATTIVAMENTE LA
VICINANZA DELLA MADRE
MA MOSTRA SEGNI DI
RESISTENZA E RABBIA
QUANDO VIENE CONSOLATO
ANSIOSO AMBIVALENTE C2
MANIFESTA
CONSISTENTE PASSIVO, RICERCA MENO
STATO
DI
DISAGIO
E ATTIVAMENTE LA VICINANZA
SOFFERENZA IN ASSENZA E IL CONTATTO CON LA
DELLA MADRE
MADRE. NON RIESCE A
CALMARSI ALLA RIUNIONE.
MANIFESTA PROTESTA
QUANDO SI TENTA DI
METTERLO A TERRA SENZA
SEGNI DI RABBIA
La teoria dell’attaccamento non si limita a fornire una descrizione del comportamento
del bambino; in una prospettiva che salda gli aspetti individuali alle modalità con cui
nella realtà si è venuta sviluppando la relazione, ipotizza la continuità dell’attaccamento
grazie alla costituzione di modelli mentali complessi sia delle figure affettive sia di se
stesso. Queste rappresentazioni costituiscono modelli operativi interni che hanno la
funzione di indirizzare l’individuo nell’interpretazione delle informazioni che
provengono dal mondo esterno e di guidare il suo comportamento nelle situazioni
nuove. Nel pattern di attaccamento sicuro i modelli operativi si costituiscono a partire
dalla rappresentazione della figura di attaccamento come disponibile a rispondere
positivamente e coerentemente alle richieste di aiuto e conforto. In quelli insicuri, i
modelli operativi convogliano una rappresentazione della figura di attaccamento come
non disponibile alle richieste si aiuto e conforto,rifiutante, distante e ostile. All’interno
della teoria fin ora esaminata appaiono interessanti le sollecitazioni volte a riesaminare
più attentamente il concetto di sensibilità materna non più concepita come il fattore
centrale e determinante per lo sviluppo dei legami affettivi; analogamente, il concetto di
monotropia si va progressivamente stemperando nella maggiore attenzione dedicata sia
ai legami che il bambino struttura con altre figure quali l’altro genitore sia alla stessa
dinamica familiare nel suo complesso. Vi sono poi una serie di valori che hanno
esaminato lo sviluppo del legame di attaccamento oltre la prima infanzia e che si basano
sull’ipotesi dei modelli operativi fungano da mediatori nell’evoluzione delle relazioni
38
future; gli sforzi di molti ricercatori hanno cercato di verificare l’ipotesi relativa alla
stabilità dei modelli mentali dell’attaccamento nel corso dello sviluppo. Un ulteriore
aspetto a cui prestare attenzione riguarda modelli operativi interni dell’attaccamento
che caratterizzano la tarda adolescenza e la vita adulta. Le esperienze affettive precoci
non possono essere concepite in un’ottica deterministica che assegna un potere assoluto
ai primi anni di vita.
CAPITOLO 8: L’ADOLESCENZA
L’adolescenza è stato definito un periodo di transizione caratterizzato da cambiamenti
fisici, intellettivi,affettivi e sociali profondi e significativi.
Il periodo di transizione tra l’infanzia e la vita adulta prende il nome di adolescenza e
corrisponde ad un arco di anni piuttosto ampio, ma variabile per ciascun individuo sia
per quanto riguarda l’entità e le caratteristiche dei cambiamenti che l’attraversano sia per
quanto concerne i limiti temporali che ne scandiscono l’inizio e la conclusione. Il fiorire
degli studi concordano sul fatto che essa si tratti di un periodo caratterizzato da grandi
cambiamenti dei diversi aspetti dell’esistenza. Una prima distinzione riguarda la
diversità dei processi fisici e psicologici che caratterizzano pubertà e adolescenza; la
pubertà è un fenomeno universale che segnala il passaggio dalla condizione fisiologica
del bambino a quella dell’adulto; l’adolescenza è il passaggio dallo status sociale del
bambino a quello dell’adulto che varia per durata,qualità e significato da una società ad
un’altra.
Nella preadolescenza vengono affrontati problemi nuovi e diversi da quelli tipici
dell’infanzia, legati alla crescita fisica, all’identità corporea, alla definizione sessuale
che spesso si impongono con evidenza e in modo improvviso; nella fase seguente,
ovvero l’adolescenza , la maturazione delle capacità di analisi e d’introspezione
consentono una progressiva riorganizzazione nell’affrontare tali problematiche( anche se
in modo intricato e confuso ). Un importante aspetto della transizione adolescenziale
riguarda il suo carattere relativo e non universale dovuto al fatto che essa viene
diversamente rappresentata a seconda della cultura e della appartenenza sociale. Anche
la prospettiva sociologica ha centrato l’attenzione sul rapporto tra organizzazione
sociale, gruppi di appartenenza e classi sociali chiarendo che il modo attraverso cui si
manifesta l’adolescenza risente dell’influenza del contesto familiare, sociale e culturale.
L’adolescente è chiamato a confrontarsi con alcune tematiche ricorrenti : lo sviluppo
corporeo, la maturazione sessuale, la quale sollecita sia le relazioni di tipo extra familiari
sia l’affermazione del ruolo sessuale, lo sviluppo del pensiero operatorio, la ricerca e la
rielaborazione dell’ identità personale, che spingono per all’autonomia e alla ricerca del
sé, l’interazione in un gruppo di coetanei e la preparazione ad un’attività lavorativa
proiettata verso una dimensione adulta.
CAMBIAMENTI SOMATICI: LA PUBERTA’
Nella fase prepuberale iniziano a manifestarsi alcune piccole modificazioni corporee
caratterizzate da un arrotondamento delle forme e da un leggero aumento di peso; il
corpo nella sua interezza assumerà un’ importanza determinante nella pubertà. Esiste
un’ampia variabilità individuale nello sviluppo puberale, dovuta essenzialmente a fattori
genetici e ambientali; tra questi ultimi il più rilevante appare un’alimentazione
insufficiente o inadeguata che incide sulla crescita, rallentandola e determinando un
conseguente ritardo nell’inizio della pubertà. Le rapide trasformazioni fisiche rendono
39
all’improvviso sconosciuto il corpo all’adolescente e questo mutamento scuote la fiducia
dell’individuo circa la stabilità del mondo in generale; tali modifiche rischiano di
mettere alla prova le capacità di adattamento dell’adolescente in quanto introducono il
problema del confronto con i coetanei. Emerge un bisogno generalizzato
dell’adolescente di comprendere e assimilare tali trasformazioni e questo avviene spesso
tramite il ricorso alla propria immagine allo specchio oppure alla comparazione con gli
altri, tramite una continua valutazione del proprio corpo. La mentalizzazione del corpo
intesa come riflessione, a cui si assegna un significato relazionale, sociale, sentimentale
e erotico, emerge in corrispondenza a paure che rimandano alla complessità del rapporto
mente-corpo. La prospettiva psicoanalitica ha attribuito alla pubertà il ruolo centrale di
attivatore delle energie istintuali e ha offerto un contributo significativo allo studio
dell’adolescenza grazie ad autori che hanno ampliato e riconsiderato le posizioni
espresse da Freud nei Tre saggi sulla sessualità. Secondo il padre della psicoanalisi,
l’adolescenza coincide con l’abbandono delle pulsioni di tipo pregenitale e
dell’investimento libidico sulle zone erogene parziali, a favore delle pulsioni sessuali
genitali . Il pericolo di perdita del controllo pulsionale o la forte presenza di fantasie
sessuali, tipiche della pubertà, richiedono all’intero sistema di difese dell’Io di entrare in
azione per controllare le spinte libiche. Il ricorso massiccio a meccanismi di difesa quali
la rimozione, formazioni reattive, identificazioni e proiezioni diventa quindi inevitabile
per permettere all’individuo di sottrarsi dal continuo richiamo delle pulsioni; dall’esito
del conflitto delle tra le istanze dell’Es e le funzioni di un Io rigido e ancora poco
flessibile, dipenderà la formazione di sintomi nevrotici o la strutturazione armonica della
personalità. L’ascetismo come processo difensivo, è caratterizzato dalla rinuncia ad ogni
piacere dei sensi per dedicarsi a più alti ideali religiosi e morali a prezzo di una
negazione totale dei desideri sessuali; l’intellettualizzazione implica uno spostamento
degli affetti dagli oggetti di amore e odio alle discussioni intellettuali in modo da poter
controllare il conflitto psichico.
L’IDENTITA’ ADOLESCENZIALE
Portare a compimento il processo di formazione dell’identità personale è uno dei
compiti fondamentali dell’adolescenza; due principali aspetti compongono questo
costrutto: l’idea che un individuo ha di se stesso e ciò che l’individuo è. Nel processo di
formazione del senso d’identità ,ossia l’idea che l’individuo ha di sé, appaiono peculiari
della preadolescenza e dell’adolescenza due modi di conoscenza che si esprimono
nell’idea di sé creata e nell’idea di sé riflessa. Nella prima si ha uno spiccato interesse
per la vita di relazione, per le amicizie, per le prime emozioni sentimentali, mentre
retrocedono le attività note e la sicurezza degli affetti familiari; nella seconda l’impegno
attivo si coniuga con la ricerca di una coerenza nella quale confluiscano le qualità
personali e le diverse esperienze.
La teoria di Erikson ha rappresentato un tentativo di coniugare la prospettiva sociologica
con quella antropologica; il fulcro della sua concezione si basa sul concetto di crisi
d’identità. Tale teoria propone uno schema evolutivo di otto stadi:
CRISI NORMATIVA
ETA’(ANNI)
40
CARATTERISTICHE
FIDUCIA vs FIDUCIA
0-1
INTEGRAZIONE SOCIALE CON
IL CARETAKER CEH SVOLGE
FUNZIONI MATERNE
AUTONOMIA vs
VERGOGNA E DUBBIO
1-2
INTERAZIONI PRIMARIE CON
I GENITORI;
ADDESTRAMENTO AL
CONTROLLO SFINTERICO
EVACUAZIONE-RITENZIONE
INIZIATIVA vs COPLA
3-5
INTERAZIONE PRIMARIA CON
LA FAMIGLIA NUCLEARE,
ORIGINE DEI SENTIMENTI
EDIPICI. SVILUPPO DEL
LINGUAGGIO E DELLA
LOCOMOZIONE E DELLA
COSCIENZA COME
REGOLAMENTATORE di
AZIONI
INDUSTRIOSITA’ vs
INFERIORITA’
6 – pubertà
INERAZIONE SOCIALE
PRIMARIA AL di FUORI DELLA
FAMIGLIA. VALUTAZIONE
DELLA CAPACITA’ di FARE
COMPITI
IDENTITA’ vs
CONFUSIONE di RUOLO
Adolescenza
INTERAZIONE SOCIALE
PRIMARIA CON I PARI CHE
CULMINA CON L’AMICIZIA
ETEROSESSUALE. CRISI
D’IDENTITA’
INTIMITA’ vs
ISOLAMENTO
Età adulta- giovinezza
INTERAZIONE PRIMARIA
SOCIALE CON MEMBRO DEL
SESSO OPPOSTO, IN UNA
RELAZIONE INTIMA.
ACCETTAZIONE IMPEGNI
ADULTI, COMPRESO QUELLO
di PARTNER IN UNA COPPIA
GENERATIVITA’ vs
STAGNAZIONE
Età adulta- maturità
INTERESSE SOCIALE
PRIMARIO A GUIDARE LE
GENERAZIONI FUTURE;
PRODUTTUVUTA’ E
CREATIVITA’
INTEGRITA’ vs
DISPERAZIONE
Età adulta- anzianità
INTERESSE SOCIALE
PRIMARIO di TIPO RIFLESSIVO;
ACCETTAZIONE DEL PROPRIO
RUOLO NEL CICLO DELLA
VITA E DELLA PROPRIA
RELAZIONE CON GLI ALTRI
Erikson parla di IDENTITA’ DELL’IO e ne definisce le funzioni (non limitandosi a
fornire quella di organizzatore e mediatore tra le esigenze istintuali) che hanno lo scopo
di mantenere l’unitarietà e la centralità della persona e di garantire flessibilità nel
rapporto con l’ambiente. Il periodo adolescenziale è dominato dalla tensione fra identità
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e confusione o disperazione dell’identità ed è caratterizzato dalla messa in discussione
delle conquiste precedenti. Il periodo che incombe in questa fase è la confusione del
proprio ruolo, ovvero il rischio di non riuscire ad integrare in una sintesi originale e
personale le proprie identificazioni; si palesa, in questo caso, un’ identità diffusa che non
di basa su un solido nucleo aggregante. L’identità negativa è l’espressione utilizzata da
Erikson per esprimere la ricerca di un identità fondata su quelle identificazioni e quei
ruoli che, sebbene socialmente pericolosi e delinquenziali, vengono privilegiati e fatti
propri dall’adolescente. Se il percorso adolescenziale si conclude positivamente, emerge
un identità caratterizzata da coerenza e continuità, accettazione dei propri limiti e senso
di reciprocità.
Il modello di Erikson è stato ulteriormente articolato grazie agli studi di Marcia che ha
cercato di operazionalizzarlo , sottoponendolo alla ricerca empirica. Egli ha definito
quattro principali STATI di IDENTITA’ che si configurano attraverso il concetto di
due dimensioni:l’esperienza e l’impegno. Si può così elencare:
1- Identità realizzata, esito di un’esperienza esplorativa positiva, coniugata con un
valido impegno.
2- Blocchi d’identità, quando la pressione verso impegni seri è precoce fino al punto
di non consentire la libera sperimentazione.
3- Diffusione d’identità, è ciò che si genera dall’esplorazione incerta e dall’impegno
poco soddisfacente; l’individuo non ha ancora scelto o riflettuto.
4- Moratoria dell’identità, viene a determinarsi una situazione di stallo e
prolungamento della fase di esplorazione realizzando tale dimensione caratterizzata
dal dubbio tra le diverse alternative( all’interno delle quali non si riesce a scegliere ).
LO SVILUPPO COGNITIVO DELL’ADOLESCENTE: IL PENSIERO OPERATORIO
FORMALE
E’ fondamentale tener conto dei profondi cambiamenti nello sviluppo delle funzioni
cognitive, legati alla comparsa del pensiero operatorio formale. Piaget è stato il primo
a riconoscere ciò che caratterizza il pensiero adolescenziale, ossia la capacità di pensare
in termini di possibilità anziché di semplice realtà concreta. La strategia del pensiero
formale possiede una propria specificità: in primo luogo è un pensiero ipoteticodeduttivo caratterizzato dalla capacità di formulare ipotesi e di effettuare deduzioni;
connessa a tale capacità vi è l’abilità di compiere un’analisi combinatoria. Il pensiero
formale è anche proposizionale, vale a dire capace di utilizzare la logica delle
proposizioni distinguendole e collocandole tra loro per compiere inferenze di vario tipo;
l’elaborazione mentale e la formulazione di nuove idee indicano che ogni cosa diventa
nutrimento per il pensiero e per l’esercizio della parola sul pensiero.
I neo piagetiani preferiscono l’approccio dell’elaborazione dell’informazione e hanno
dimostrato che le prestazioni cognitive dell’adolescente varia in base a conoscenze
pregresse, modalità di rappresentazione del compito e alle aspettative proprie e degli
altri; anche i post piagetiani hanno sottolineato come gli adolescenti posti di fronte a
problemi che richiedono una soluzione logica, confrontano le diverse opinioni tramite la
forma del conflitto cognitivo. La logica, preferendo l’aspetto astratto e formale del
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ragionamento, sottovaluta l’importanza sia degli schemi inferenziali sia delle regole del
pensiero comune.
LO SVILUPPO MORALE
Tra ciò che accade nell’infanzia e le capacità etiche nell’età adulta, si pone lo stadio
dell’adolescenza in cui l’individuo impara a concepire il bene universale in termini
ideologici. Il ragionamento morale può avvalersi degli strumenti del pensiero formale ed
è sostenuto dai progressi conseguiti nel processo di formazione dell’identità; delle
caratteristiche della pre e dell’adolescenza si è occupato Kohlberg.
Egli ha definito come dalla preadolescenza, in cui si raggiunge il livello convenzionale
(nel quale conta prima di tutto il rispetto delle norme socialmente approvate), gli
adolescenti passano al livello postconvenzionale, regolato da principi in base ai quali le
leggi morali vanno rispettate, ma sono create dall’uomo e sono soggette di modifiche e
interpretazioni in modo che siano garantiti sia i diritti individuali sia i valori universali.
Approfondendo i suoi studi egli ha articolato alcuni stadi: aggiunge uno stadio 0
caratteristico dell’età prescolare e uno stadio 4b che meglio specifica il significato che la
legge e le norme assumono nell’adolescenza; Kohlberg precisa che lo stadio 5 è
distinguibile in stadio 5a e stadio 5b(per segnalare il passaggio da una concezione
utilitaristica del contratto sociale ad una concezione fondata sulla consapevolezza di
diritti reciproci come fondamento delle norme e delle azioni) .
La scarsa attenzione mostrata verso l’influenza dei fattori sociali e culturali lo ha indotto
all’adozione di un punto di vista centrato sullo sviluppo cognitivo, sottovalutando il peso
che esercitano altre condizioni.
Alcune ricerche, accomunate dall’obbiettivo di studiare se la partecipazione alla vita
sociale e politica favorisse lo sviluppo di livelli morali elevati, hanno mostrato che i
giovani capaci di assumersi responsabilità in attività che implicano il perseguimento dei
valori, raggiungono livelli post convenzionali; quelli disinteressati alle iniziative
politiche e sociali presentano un assetto morale di tipo convenzionale. Kohlberg per
primo, ha verificato che adolescenti con una storia di condotta deviante, utilizzano criteri
di giudizio preconvenzionali; i giovani non delinquenti si basano su concetti di
trasgressione e di norma riferiti ad un’autorità esterna.
La condotta morale, nelle diverse fasi di sviluppo, assume sfumature di grande
complessità per i suoi legami con la specificità dei contesti micro e macrosociali nei
quali viene chiamata ad esprimersi; Bandura nell’ambito della prospettiva
dell’interazionismo cognitivo sociale mette in guardia da una rigida adesione alla
prospettiva stadiale che rischia di attribuire scarsa rilevanza al comportamento sociale.
Queste forme di disimpegno agiscono allentano o riducendo le forme di auto sanzione
che hanno funzione di mantenere alto il livello morale; oltre ai mass media e ai coetanei
la famiglia ricopre un ruolo diretto allo sviluppo della morale,della interiorizzazione
delle norme e nell’assunzione di responsabilità. I numerosi lavori di Hoffman che hanno
centrato l’attenzione sul ruolo dell’empatia ,mettono in luce l’incidenza socializzante in
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senso presociale e morale del genitore (dello stesso sesso) a patto che questi sia portatore
di valori centrati sulla comprensione e salvaguardia del benessere di tutti.
FAMIGLIA E GRUPPO DEI PARI IN ADOLESCENZA
Lo studio delle relazioni nel suo complesso e quello del rapporto genitori – figli ha
risentito l’influsso del paradigma sistemico che, in contrapposizione all’approccio
analitico - dualistico, concettualizza gli eventi come un insieme organizzato e non come
una sequenza lineare di unità separate(analisi) e spesso opposte(dualismo).
L’adolescenza rappresenta una fase critica e delicata per l’intero sistema familiare che
ora deve affrontare il delicato compito di integrare la legittima esigenza d’indipendenza
e autonomia dei figli, con la coesione con gli affetti e la negoziazione di nuove regole
del rapporto.
L’attenzione al ciclo di vita della famiglia, sia nel suo funzionamento sistemico-globale
sia per il contributo che ad esso offrono i singoli componenti, si concentra nelle ricerca
che fanno capo all’approccio dello sviluppo secondo cui l’adolescenza rappresenta sia
un’impresa evolutiva congiunta di genitori e figli, sia un periodo caratterizzato da una
trasformazione dei legami precedenti.
Due processi: individualizzazione e differenziazione s’intrecciano tra di loro dando
vita a nuove configurazioni relazionali.
Un fenomeno nuovo nelle società occidentali è il prolungamento dell’adolescenza, late
adolescence, che si esprime nella permanenza del giovane adulto nella famiglia,
percepita come luogo un cui la positiva riorganizzazione dei rapporti ha favorito buoni
livelli di condivisione di esperienze e accettazione delle divergenze.
Il comportamento genitoriale è riconducibile a tre linee di tendenza:
 Una prima tipologia, quella del GENITORE RELAZIONATO il cui obbiettivo è la
crescita autonoma delle motivazioni del figlio, identifica quei genitori capaci di
capire i punti di vista o i bisogni dell’adolescente , fornire consigli, apprezzare i
contributi senza imporre le proprie ragioni
 Il GENITORE AUTOCENTRATO tende a restare fermo sulle proprie posizioni,
nella convinzione di possedere i migliori strumenti per comprendere quale sia il bene
dei figli e per stabilire le regole alle quali si deve obbedienza e rispetto
 Il GENITORE EVASIVO appare spesso arrabbiato, deluso o psicologicamente
assente
Il ruolo che ricopre il genitore assolve tre funzioni principali: il potenziamento
dell’autostima, soprattutto nel momento in cui il giovane affronta un fallimento;
l’appoggio diretto e la vicinanza in situazioni stressanti; la stabilità del rapporto affettivo
al variare delle circostanze.
Nell’elaborato processo di formazione dell’identità, il GRUPPO diventa luogo
insostituibile di confronto e di scambio; sebbene vi sia concordanza sull’importanza di
tali esperienze, non esiste una visione condivisa della modalità attraverso cui i processi
di gruppo agiscano né vi è omogeneità nell’utilizzo del termine gruppo dei pari.
L’appartenenza a un gruppo che nasce da un iniziale bisogno di affiliazione, si
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trasforma poi in un bisogno di appartenenza che implica la scelta selettiva di attività e
di riferimenti valoriali che meglio si conciliano con le esigenze e i valori che emergono
dalla personalità che man mano l’adolescente va costruendo. Abitualmente si
distinguono diverse forme di aggregazione giovanile, classicamente differenziate in
gruppi
formali,
nei
quali
esiste
un’interazione
stretta
con
le
istituzioni(scuola,oratorio,gruppi sportivi,ecc..) e una sostanziale adesione ai valori che
li ispirano, e gruppi informali slegati dalle istituzioni e luogo di espressioni di
tendenze più personali. Il gruppo svolge anche un importante ruolo nello sviluppo delle
relazioni eterosessuali; il compito evolutivo dell’adolescente consiste nell’apprendere
come instaurare rapporti eterosessuali. All’interno delle relazioni con i pari, la capacità
di istaurare rapporti d’amicizia è ritenuta un indice del benessere psicologico
dell’adolescente, della sua capacità di cooperare e di negoziare nonché un fattore
protettivo dal rischio di disagio psicosociale. I preadolescenti concettualizzano
l’amicizia a partire dal significato che riveste lo stare piacevolmente insieme, il
condividere tempo, stabilire rapporti di cooperazione e reciprocità; successivamente
prevale il riconoscimento delle caratteristiche individuali e il principio di uguaglianza tre
le parti, da cui derivano rispetto e accettazione. L’effetto positivo di relazioni amicali
caratterizzate da confidenza e disponibilità a rivelarsi, si riverbera anche sulle
competenze sociali più ampie. A livelli più elevati di soddisfazione corrisponde minore
ansia e ostilità nelle relazioni interpersonali e ciò risulta legato alla capacità di instaurare
rapporti amicali intimi e affettivamente rilevanti.
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