ALL’INDOMANI DELLE GUERRE PUNICHE
• Le guerre avevano fatto la fortuna di alcune classi sociali,
ma avevano portato alla rovina proprio coloro che
avevano contribuito in modo determinante alla grandezza
di Roma, primi tra tutti i piccoli proprietari terrieri.
• Gli obblighi militari, infatti, avevano costretto i contadini
ad abbandonare le campagne; al ritorno dalla guerra, oltre
a trovare i loro poderi inariditi, essi avevano trovato sul
mercato, a prezzi più che competitivi, i cereali provenienti
dai territori d’oltremare e dalle grandi proprietà terriere in
mano agli aristocratici. Così i piccoli proprietari terrieri si
videro costretti a vendere le loro terre ai grandi proprietari
terrieri, sperando di farsi assumere da quest’ultimi come
lavoratori salariati, ma costoro preferivano la
manodopera servile, economicamente più conveniente.
• La maggioranza degli ex contadini si riversò dunque in
città, alimentando il numero dei disoccupati (chiamati
proletarii, non avendo altro bene che la prole), alla
costante ricerca di piccoli lavori.
• Tutto quello che il governo riuscì a fare, in questa fase,
per evitare che la situazione degenerasse, fu procedere a
pubbliche distribuzioni di grano e distrarre la folla
organizzando giochi nel circo (panem et circenses).
• La nuova ricchezza, rappresentata dal bottino di guerra e
dai tributi imposti ai territori conquistati, era finita
nelle mani della nuova classe sociale dei cavalieri, cioè di
coloro che potevano permettersi un equipaggiamento per
la guerra a cavallo. Infatti, diversamente
dall’aristocrazia, la cui ricchezza era legata
essenzialmente alla terra, i cavalieri avevano ben presto
compreso l’opportunità di dedicarsi ad attività assai
redditizie, come il commercio, l’appalto di opere
pubbliche, la riscossione dei tributi per conto dello stato
(come pubblicani). [Riferimento al plebiscito Claudio del 218 a.C.]
GLI SCHIAVI E LE PRIME RIVOLTE SERVILI
• Nei primi secoli della storia romana, quando il loro numero era
limitato, gli schiavi erano inseriti nel sistema patriarcale; essi
erano considerati persone di famiglia, trattate con umanità e
non di rado legate ai padroni da buoni rapporti.
• Sul finire del II secolo a.C., la popolazione servile era
notevolmente aumentata e i rapporti fra schiavo e padrone
erano mutati completamente. Il mercato degli schiavi,
alimentato anche dalla pirateria, era diventato una delle
attività commerciali più produttive del Mediterraneo
(emblematico il caso dell’isola di Delo). Gli schiavi vennero
impiegati soprattutto nell’agricoltura; erano considerati come
semplici strumenti di produzione e sfruttati al massimo.
Esistevano, però, anche categorie privilegiate di schiavi: quelli
destinati al servizio domestico, quelli addetti alle attività
commerciali, i pedagoghi ed i medici.
• All’inizio del II sec. a.C. si ebbero le prime rivolte di schiavi in
Etruria, in Puglia ed in Calabria. Nel 136 a.C. ci fu una grande
rivolta anche in Sicilia.
LA DEGENERAZIONE DELLA POLITICA
• Molti dei disoccupati riversatisi in città al termine delle
guerre di conquista erano sopravvissuti diventando
clientes delle grandi famiglie. In cambio di benefici di
varia natura, essi si lasciavano manovrare dalle famiglie
patrizie diventando, durante le occasioni di voto,
l’espressione degli interessi personali e di clan dei loro
protettori.
• Contemporaneamente, anche le magistrature si erano
corrotte: chi intraprendeva la carriera politica lo faceva
per diventare al più presto console e sfruttare le
possibilità di guadagno offerte dal comando militare e
dal governo delle province.
LA CRESCITA DELLA TENSIONE CON I “SOCII” ITALICI
ED I PROVINCIALI
• Gli “alleati” (socii) italici avevano partecipato alle
guerre a fianco di Roma, offrendo un contributo decisivo.
Tuttavia, nonostante il ruolo chiave da loro assunto,
Roma non li aveva ammessi alla distribuzione delle terre
conquistate, li sottoponeva a pesanti imposizioni fiscali
e non concedeva loro il diritto di voto. In poche parole, li
considerava alla stregua di sudditi.
• Ancora più scontenti dei “socii” erano gli abitanti dei
territori al di fuori dell’Italia (Sicilia, Sardegna, Corsica,
Gallia Cisalpina, Gallia Transalpina, Africa, Spagna,
Macedonia, Grecia e vaste zone dell’Oriente): qui i
magistrati incaricati di governare abusavano del loro
potere, sottoponendo i sudditi provinciali a vessazioni
continue.
I GRACCHI E LA POLITICA DELLE RIFORME
• In questa situazione, fecero la loro comparsa sulla scena
politica i fratelli Tiberio e Caio Gracco, appartenenti ad
una famiglia patrizia imparentata con quella degli
Scipioni, particolarmente colta e aperta ai problemi sociali.
• Tiberio Sempronio Gracco, nato nel 162 a.C., concepì un
progetto di riforma che mirava a due obiettivi,
strettamente connessi: - ricostruire il ceto dei piccoli
proprietari terrieri, decimato da un secolo di guerre di
conquista; - garantire una base sufficiente di reclutamento
all’esercito, composto in gran parte proprio da piccoli
agricoltori.
• Per raggiungere questi obiettivi si trattava di redistribuire,
almeno in parte, le terre pubbliche (ager publicus) che per
legge appartenevano allo stato, ma che di fatto i grandi
proprietari terrieri amministravano come loro beni
personali.
I GRACCHI E LA POLITICA DELLE RIFORME
• Nel 133 a.C. Tiberio Gracco venne eletto tribuno della plebe
e fu in grado di avanzare una proposta di legge, che
stabiliva un limite massimo per la terra pubblica che
poteva essere detenuta da un privato: 125 ettari (500 iugeri,
secondo l’unità di misura latina), che potevano aumentare
fino a 250 in presenza di figli. Le terre eccedenti queste
estensioni sarebbero state ripartite in piccoli appezzamenti,
all’incirca di 7 ettari, e assegnate ad altrettanti
nullatenenti.
• Agli assegnatari servivano poi strumenti agricoli e sementi
per avviare la produzione: Tiberio propose che anche di
questo si occupasse lo stato, finanziando la riforma con i
beni lasciati in eredità al popolo romano da Attalo, re del
piccolo regno di Pergamo (in Asia Minore) morto proprio
nel 133 a.C..
• La reazione dell’aristocrazia senatoria, composta
prevalentemente da latifondisti, che si videro colpiti nei
loro interessi economici, fu immediata e decisa. Tiberio fu
accusato di volersi impossessare del potere ed il senato
votò contro di lui il “senatoconsulto” (deliberazione del
senato) cosiddetto “ultimo”, che dava poteri straordinari
ai consoli in caso di pericolo per lo stato. Per la prima
volta nella storia di Roma, esso era stato votato contro
un concittadino. Nei tumulti che seguirono, Tiberio
Gracco fu ucciso.
• Nel 123 a.C., circa 10 anni dopo la morte di Tiberio
Gracco, venne eletto tribuno della plebe suo fratello Caio
(154-121 a.C.). Caio mise a punto e fece approvare un
progetto politico, molto più ampio ed articolato di quello
di suo fratello. Il suo obiettivo era quello di isolare
politicamente l’aristocrazia più conservatrice e di
guadagnarsi l’appoggio di tutte le altre forze sociali,
quell’appoggio che era mancato a Tiberio.
• Caio ripropose la legge che limitava il diritto di possesso
delle terre pubbliche , ma ad essa affiancò i seguenti
provvedimenti: - legge annonaria che stabiliva l’acquisto e
l’immagazzinamento da parte dello stato di notevoli
quantità di grano da distribuire ai nullatenenti; ammissione dei cavalieri nelle giurie dei tribunali che
giudicavano il reato di malgoverno nelle province; fondazione di nuove colonie in Italia e nelle province per
dare case e terre ai proletari; - attribuzione della
cittadinanza romana ai “socii” italici (ma fu l’inizio della
sua rovina).
• La politica di Caio sembrò in un primo tempo avere
successo. A lui riuscì, per esempio, ciò che non era riuscito a
Tiberio: farsi eleggere tribuno per 2 anni di seguito. Ma
l’aristocrazia senatoria non rimase a guardare: nel 121 a.C.
Caio fu dichiarato nemico dello stato. Di fronte al
precipitare degli eventi Caio preferì farsi uccidere da un suo
schiavo.
I FRATELLI GRACCHI
L’EPOCA DELLA CRISI:
DA GIUGURTA ALLA PRIMA GUERRA CIVILE
• La repressione violenta dei Gracchi ebbe l’effetto di
scoraggiare per parecchi anni l’iniziativa politica dei
populares. Solo tra la fine del II e l’inizio del I sec. a.C.
emersero le figure, fra loro piuttosto diverse, di due nuovi
capi popolari: Gaio Mario e Livio Druso.
• Gaio Mario (157-86 a.C.) era ciò che i Romani definivano
homo novus, ovvero colui che intraprendeva la carriera
politica provenendo da una famiglia in cui nessuno aveva
ricoperto il consolato.
• Nel 118 a.C. morì Micipsa, re di Numidia, un regno nordafricano da tempo tributario di Roma, e nella lotta che si
accese per la successione i 2 figli del re, Aderbale e
Iempsale, furono eliminati da un loro cugino, Giugurta,
che divenne il nuovo sovrano.
• I Romani inizialmente accettarono il fatto compiuto; ma
quando Giugurta, nel 112 a.C., massacrò la popolazione
della città di Cirta, compresi i numerosi mercanti italici
là residenti, il senato decise di aprire le ostilità.
• Per diversi anni, tuttavia, le operazioni si trascinarono
ed i Romani subirono ripetute sconfitte, anche perché
generali e senatori si lasciavano corrompere dal denaro
di Giugurta.
• Di fronte all’incapacità dell’aristocrazia senatoria di
risolvere un conflitto che sulla carta appariva persino
banale, i populares sostennero l’elezione al consolato di
Mario, avvenuta nel 107 a.C., con il mandato di porre fine
alle ostilità nel più breve tempo possibile.
• Mario tenne fede all’impegno: nel giro di 3 anni ristabilì
la situazione, sconfiggendo i Numidi e catturando lo
stesso Giugurta, condotto a Roma in catene nel 104 a.C.
• Il senato ricorse ancora a Mario per fronteggiare
l’invasione di due popoli germanici, i Cimbri ed i Teutoni,
che si erano spinti fino a minacciare, intorno al 105 a.C., i
domini romani nella Gallia Narbonese e nella pianura
padana. La gravissima emergenza impose una soluzione
estrema: per 5 anni consecutivi, dal 104 al 100 a.C., il
consolato fu affidato a Mario. Con 2 sanguinose vittorie,
sui Teutoni ad Aquae Sextiae (102) e sui Cimbri ai Campi
Raudii (101), egli riuscì a sventare anche questo pericolo. Il
prestigio di Mario era all’apice.
• Ma l’azione di Mario fu decisiva anche grazie alla riforma
dell’esercito da lui attuata. Per la prima volta nella storia
di Roma l’arruolamento divenne volontario e aperto anche
ai nullatenenti. In questo modo il soldato romano
diventava un proletario per il quale la guerra era spesso
l’unica fonte di reddito, rappresentata dallo stipendio
militare, ma anche dal bottino ricavato dai saccheggi nei
territori conquistati.
• La riforma di Mario venne accettata dal senato in un
momento di grave emergenza, che non permetteva indugi.
• Tuttavia, nel 100 a.C., la politica di concessioni e benefici
a favore delle classi meno abbienti e di quei soldati di cui
Mario era l’indiscusso capo carismatico provocò una
frizione sempre più netta non solo con il senato, ma anche
con i cavalieri e la plebe, sul cui appoggio il generale
basava il proprio consenso. Mario uscì dalla scena
politica per più di un decennio.
• Nel 91 a.C. venne al pettine un altro nodo della crisi
politica repubblicana: la questione della cittadinanza ai
socii italici. Il tribuno della plebe Marco Livio Druso
(come già aveva fatto Caio Gracco) propose l’estensione
della cittadinanza romana ai socii; tuttavia, questo era un
provvedimento che anche la plebe vedeva con un certo
sospetto, nel timore di perdere, dividendoli con altri, i
privilegi legati alla cittadinanza romana. La proposta di
Druso non ebbe successo ed il tribuno fu assassinato.
• L’eliminazione di Druso ebbe però un effetto imprevisto: i
socii italici, convinti che ormai non rimanesse altra via
per raggiungere i loro obiettivi, decisero di prendere le
armi. La rivolta, iniziata ad Ascoli Piceno, si estese in
tutta l’Italia centro-meridionale e tenne impegnate le
truppe romane per 3 anni, fino all’89 a.C. (ma focolai di
rivolta si ebbero fino al termine degli anni ottanta).
• La guerra sociale, così chiamata perché combattuta tra
Roma ed i suoi socii, vide contrapposti popoli da secoli
abituati a combattere fianco a fianco. I nuclei più forti di
combattenti erano rappresentati dai Marsi e dai Sanniti,
intorno ai quali le altre popolazioni si erano strette in un
vero stato federale, che coniava monete, possedeva un
forte esercito e aveva eletto a sua capitale la città di
Corfinio, detta Corfinio Italica.
• La guerra sociale dimostrò ancora una volta che il ricorso
alla violenza era l’unico modo per strappare concessioni
all’aristocrazia dominante. Formalmente la guerra fu
vinta da Roma, ma ciò, di fatto, fu possibile solo perché il
senato si impegnò a concedere la cittadinanza, dapprima
ai popoli che non avevano aderito alla rivolta, infine a
tutti coloro che avessero deposto le armi entro una certa
scadenza.
• Nella guerra sociale si era distinto per abilità militare e
spregiudicatezza l’aristocratico Lucio Cornelio Silla (13878 a.C.). In gioventù egli aveva collaborato con Mario
durante la guerra contro Giugurta, ma presto i due si
erano trovati schierati su fronti politici opposti: mentre
Mario diventava un punto di riferimento della corrente
popolare, Silla apparve ben presto agli ottimati come
l’uomo che avrebbe potuto difendere il loro potere. Lo
scontro tra Mario e Silla (prima guerra civile) si accese in
occasione della guerra contro Mitridate VI, re del Ponto.
• Il Ponto (piccolo regno sulla costa meridionale del Mar
Nero) era uno dei regni ellenistici diventati tributari di
Roma. Mitridate, tuttavia, non si rassegnò alla dominazione
romana e, approfittando del fatto che i Romani erano
impegnati nella guerra sociale, diede inizio ad un progetto di
espansione in grande stile nell’Asia Minore. Inizialmente il
senato si trovò nell’impossibilità di mobilitare un esercito e
di inviarlo in Asia. L’intervento divenne però improrogabile
quando Mitridate fece massacrare in una sola giornata 80000
cittadini romani ed italici, residenti in Asia Minore per
ragioni di commercio.
• Il comando della guerra mitridatica fu assegnato a Silla,
console nell’88 a.C.. I suoi avversari politici, però, popolari e
cavalieri, votarono provocatoriamente una risoluzione che
trasferiva il comando a Mario, il quale tornava così al centro
dello scontro politico dopo oltre un decennio di
emarginazione. A questo punto, Silla si pose a capo del suo
esercito, impegnato in Campania a reprimere gli ultimi
focolai della guerra sociale, e marciò su Roma.
• Mario fu costretto a fuggire in Africa, mentre Silla, dopo
aver conquistato Roma, poté partire con l’esercito alla
volta dell’Oriente.
• Nel corso di 4 anni di guerra Silla ristabilì la situazione in
Oriente, sconfiggendo ripetutamente Mitridate ed i suoi
alleati. Nel frattempo, però, a Roma Mario, rientrato in
città, aveva riottenuto il consolato. Mario morì nell’86
a.C., ma i suoi seguaci mantennero il controllo della
situazione, scatenando rappresaglie contro i partigiani di
Silla, con massacri e devastazioni. Di fronte a tale
situazione Silla preferì concludere una tregua con
Mitridate e tornare precipitosamente in Italia, dove sbarcò
nell’83 a.C.. L’esercito sillano, superiore numericamente e
militarmente, si scontrò con quello dei populares, guidato
dal figlio di Mario, Mario il Giovane presso Porta Collina,
all’ingresso di Roma, nell’82 a.C.. Mario il Giovane perse
la vita e le forze popolari vennero sbaragliate. Silla rimase
l’unico detentore del potere.
SILLA PADRONE DI ROMA
• Silla si fece assegnare a tempo indeterminato la carica di
dittatore per la riforma dello stato. Egli rimase dittatore
per 3 anni, dall’82 all’80 a.C.., durante i quali perseguì
con coerenza e spietatezza un programma politico il cui
obiettivo ultimo era chiaro: rendere immodificabile il
potere dell’aristocrazia senatoria, eliminando qualsiasi
altra autorità che potesse minacciarlo, condizionarlo o
indebolirlo.
• Silla si liberò degli avversari politici attraverso le
cosiddette liste di proscrizione (elenchi di pubblici nemici
dello stato che chiunque poteva uccidere impunemente).
• Quindi ridusse notevolmente i poteri dei tribuni della
plebe. Stabilì poi l’obbligo per i comandanti di congedare
gli eserciti non appena giunti in Italia, i cui confini
vennero fatti coincidere con l’intera penisola, ad
eccezione della pianura padana (linea immaginaria dal
fiume Magra al Rubicone).
• Un’altra norma vietò la rielezione al consolato prima
che fossero trascorsi 10 anni dal consolato precedente.
• L’intero assetto del cursus honorum fu ridefinito.
• Il diritto di accesso al senato venne esteso ai magistrati
minori, a partire dai questori (così il numero dei
senatori passò da 300 a 600).
• Silla, inoltre, mise nuovamente nelle mani dei senatori il
pieno controllo dei processi intentati contro i
governatori di provincia.
• Completate le sue riforme, Silla depose spontaneamente
la dittatura nell’80 e si ritirò a vita privata. Morì nel 78
a.C..