SINTESI DELL’INTERVENTO
DEL PROF. MARIO RIZZETTO
Diagnosi dell’epatite B, quale paziente trattare?
La diagnosi dell’epatite B si basa oltre che sulla sierologia per HBsAg sulla misura e
sulla quantizzazione dell’HBVDNA, il genoma del virus dell’epatite B. Tale analisi
permette di distinguere quei pazienti che necessitano di terapia. Infatti l’insorgenza di
malattia epatica è in relazione al tasso di virus circolante: al di sopra di una certa soglia
- tra 103 e 104 copie di virus per ml - l’organismo immunocompetente risponde con un
attacco o reazione immune diretta contro le cellule infette, gli epatociti, contenenti il
virus.
Alla luce di questa premessa si possono distinguere tre categorie di pazienti: quelli in
cui il virus si replica a bassa intensità, sotto la soglia di 103 - 104 copie, che non
manifestano la malattia: è la categoria un tempo chiamata dei “portatori sani”, mentre
ora, più propriamente, si parla di “infezione inattiva da virus B”. La seconda categoria
di pazienti è quella in cui il virus replica oltre la soglia limite (103 - 104 copie): questi
pazienti hanno un’infezione attiva e manifestano la malattia. Inoltre la differenza di
valori di HBVDNA rispetto ai numeri soglia dipende anche dal tipo di epatite B e in
particolare se la malattia è di tipo antigene ‘e’ positiva o antigene ‘e’ negativa.
Infine c’è una terza categoria di pazienti nei quali il virus è presente a livelli elevati ma
per qualche motivo - probabilmente perché possiedono una propria immuno-tolleranza non riescono a sviluppare una reazione immunologia e quindi non hanno una malattia
manifesta. In questi casi, meno frequenti dei precedenti, si parla di pazienti
immunotolleranti: la tendenza è oggi orientata alla rivalutazione dell’HBV da solo
(indipendentemente dalla malattia manifestata attraverso i livelli di transaminasi) quale
possibile indice prognostico a lungo termine di evoluzione verso la cirrosi e
l’epatocarcinoma.
Vantaggio della rapidità d’azione del farmaco
Per l’epatite B in generale i vantaggi della rapidità di azione di un farmaco sono almeno
due. Anzitutto più velocemente si abbatte la viremia prima si controlla la patologia, dato
che - come abbiamo visto - questa è funzione del tasso di virus circolante. Secondo, più
rapidamente e più “in profondità” – il che costituisce un’altra proprietà dell’entecavir si abbatte la viremia, tanto meno si rischia l’emergere di ceppi di virus mutanti resistenti
alla terapia: l’emergenza di ceppi virali resistenti dipende, tra gli altri fattori, dalla
“barriera genetica” intrinseca del farmaco (vale a dire dalla caratteristica della molecola
di indurre mutazioni), ma anche dal tasso virale raggiunto sotto terapia, cioè dal fatto
che più il virus è represso, cioè tanto meno replica e tanto più difficilmente può dare
origine a mutanti. Pertanto il vantaggio di inibire rapidamente il virus B con un farmaco
è che probabilmente la patologia migliora in tempi più veloci. In altre parole, più lungo
è il tempo necessario per inibire il virus, tanto più la malattia può persistere. Un altro
notevole vantaggio è che il virus rapidamente e soprattutto, profondamente, inibito,
come avviene con l’entecavir, è meno pronto a ‘sottrarsi’ alla terapia stessa e sviluppare
mutanti, ciò perché si replica molto di meno. Il mutante sviluppa in funzione di quanto
il virus si replica; è frutto di un turno di replicazione in cui – per usare una metafora –
qualcosa “va storto”, ma, com’è facile intuire, è certamente più probabile che ciò accada
quando siamo in presenza di un milione di turni (o giri) di replicazione rispetto, ad
esempio, a 10.000 giri di replicazione.
Infine ancora un altro vantaggio comporta dei risvolti di pratica clinica: la misura
dell’inibizione virale a 6 o 3 mesi è anche prognostica in quanto capace di rivelare il
rischio di recidive; permette dunque di stabilire eventuali terapie di recupero nei
pazienti rimasti con una viremia alta non prontamente repressa, per i quali è prevedibile
anzitempo che possano emergere dei mutanti nell’arco temporale di un anno o due.
IL PROF. MARIO RIZZETTO E’ DIRETTORE DEL DIPARTIMENTO MALATTIE
APPARATO DIGERENTE, AZIENDA OSPEDALIERA S. GIOVANNI BATTISTA
DI TORINO