1 ALFREDO MELA SOCIOLOGIA DELLE CITTA’ RIASSUNTO 2 1 LA SOCIOLOGIA, LO SPAZIO, LA CITTA’ La sociologia urbana: l’oggetto e i confini. Lo strano oggetto della sociologia urbana La sociologia urbana è una linea di ricerca, collocata nel quadro delle discipline sociologiche, e ha come elemento di particolarità quello di interessarsi della città nei suoi aspetti sociali. E tali aspetti si riferiscono all’agire dei soggetti che compongono la popolazione urbana, alle relazione che essi instaurano fra loro e con soggetti esterni, alla formazione di gruppi sociali, movimenti, istituzioni, organizzazioni, etc… ai legami di complementarietà o di competizione che esistono fra tutte queste entità, sino alla configurazione della città come sistema sociale. Il tratto caratteristico della sociologia urbana è la concentrazione selettiva dell’attenzione sulla dimensione spaziotemporale o ambientale della vita sociale (quando si parla di società si parla di fenomeni che accadono in precisi punti dello spazio e del tempo che sono condizionati dalle risorse e dai vincoli presenti nell’ambiente). La città è un oggetto difficile da definire anche solo dal punto di vista della delimitazione territoriale: nessun criterio appare impeccabile, i confini sono meno netti rispetto ad un tempo anche dal punto di vista sociologico. In quanto sistema sociale si caratterizza per il fatto di essere un sistema tutto intero (globale), completo in ogni sua parte (comprende diversi sottosistemi); Una disciplina dai confini sfumati Proprio perché ha un oggetto di studio poliedrico e difficile da chiudere entro limiti certi, la soc. urbana possiede confini sfumati ed è destinata a condividere, almeno parzialmente, il proprio oggetto con altre discipline a lei connesse da più o meno forti affinità. Essa è quasi obbligatoriamente chiamata alla collaborazione interdisciplinare; non possiede un nocciolo duro, ossia non vi è un quadro di problemi e teorie interpretative di sua esclusiva pertinenza. Quello che potrebbe sembrare un elemento di debolezza è in realtà un motivo d’interesse: è favorita nel facile accesso ad un variegato patrimonio artistico “esterno”, ed è quasi costretta a confrontarsi continuamente con esso. Ecco le discipline con cui ha relazioni: 1. Discipline di carattere territoriale: sociologia rurale, delle comunità locali, dell’abitazione, dell’ambiente, del turismo. 2. Discipline non sociologiche di carattere territoriale: geografia urbana e regionale, economia dello spazio e urbana; storia urbana; demografia, psicologia ambientale. 3. Discipline di carattere normativo e progettuale: scienze economiche, giuridiche, politiche e dell’amministrazione. Ingegneria architettura, urbanistica. Discipline relative alla qualità dell’ambiente urbano. Le molteplici tradizioni della sociologia urbana. Classici, correnti, tradizioni nazionali La soc. urbana non presenta affatto una struttura scientifica unitaria, né la sua storia può essere rappresentata come una accumulazione progressiva di teorie e di analisi empiriche che convergono a formare un corpo organico (è un aggregato eterogeneo di concetti e di risultati di ricerca). Ci sono due grandi tradizioni: 1. Tradizione americana: fa capo all’università di Chicago, che propone un approccio basato sull’applicazione allo studio della città dei concetti e principi desunti dall’ecologia animale e vegetale. Elemento caratteristico: interesse per lo studio dell’articolazione sociale dello spazio urbano e per le sue trasformazioni nel tempo. 2. Tradizione europea: interpretazione della città come luogo in cui si presentano nella loro forma più pura i caratteri sociali e culturali che sono ritenuti tipici della modernità. Il filone ecologico 3 In principio si puntò su una ecologia umana intesa come teoria dell’adattamento delle società umane all’ambiente (non ad un ramo della sociologia specializzato nello studio della città), non ci fu quindi un progetto scientifico dichiarato. Anche Durkheim era mosso dall’intenzione di fondare una teoria (la morfologia sociale) che si colloca al di fuori della sociologia e rappresenta un ambito di studio interdisciplinare; idea centrale è quella di unificare e sintetizzare i saperi di diverse discipline attorno allo studio del comune sostrato su cui riposa la vita sociale. Tornando al contesto americano, l’evoluzione del filone ecologico della soc. urbana può essere schematizzata in 3 fasi: la prima comprende gli studi dei fondatori della scuola ecologica classica (Park; Burgess, Mc Kenzie) e ricerche degli anni ’20 e ’30 fatte da sociologi influenzati dalla scuola di Chicago. La seconda corrisponde agli anni ’40 e vede un orientamento critico nei confronti delle idee originarie dell’ecologia umana. La terza si apre agli inizi degli anni ’50 e prosegue con minor vigore fino ad oggi. Nel momento iniziale di essa si collocano i lavori di Hawley e di Quinn, considerati come base di una scuola ecologica “neo – ortodossa”. Contemporaneamente si sviluppano la social area analysis e la cluster analysis, e le applicazioni dell’analisi fattoriale che danno luogo ad un approccio tuttora seguito, etichettato con l’espressione ecologia fattoriale. Importantissima è la diffusione dei sistemi informatici. L’approccio critico e conflittualista La corrente più consistente degli ultimi 20 anni è quella che ha assunto un atteggiamento critico nei confronti della città e che cerca di documentare la presenza di fattori di conflitto e di indicare possibili alternativi di sviluppo. L’asse principale su cui si incardina questa corrente è quello del pensiero marxista e socialista. In Marx il giudizio sulla città è fortemente intrecciato con i temi di fondo del materialismo dialettico: dunque, la città è esaminata soprattutto in quanto luogo di massima concentrazione degli effetti e delle contraddizioni del modo di produzione capitalistico e come luogo di incubazione dei processi che porteranno al suo superamento. Alcuni lavori di Engels portano invece l’attenzione sulle modalità concrete che, nell’ambiente urbano, assume la vita della classe operaia e degli strati più poveri della popolazione. Le condizioni per un incontro-scontro fra l’approccio marxista e la sociologia urbana maturano, piuttosto, all’inizio degli anni ’70, in uno scenario che vede le città di molti paesi investite da grandi movimenti di protesta che, indicano la presenza di un nuovo momento di rottura nella evoluzione delle società industriali. Il dibattito su città e modernità Modello dicotomico: Tonnies distingue tra comunità (Gemeinschaft) e società (Gesellschaft). Negli Stati Uniti la discussione su città e modernità ha un carattere più pragmatico: i concetti dicotomici, ripresi e rielaborati da molti sociologi, servono soprattutto come strumenti per la comprensione empirica dei modi di vita propri di differenti tipi di insediamento; prevale l’idea di un continuum urbano-rurale: i tratti culturali “urbani” e “rurali” si trovano indistricabilmente mescolati. Prospettive di una sociologia spazialista Essa deriva da uno sforzo di rinnovamento concettuale inteso a rivalutare l’importanza dello spazio come dimensione costitutiva dell’agire e, dei sistemi sociali. Dal momento che la tendenza della teoria sociologica è di sempre maggiore indifferenza agli spazi e ai tempi concreti in cui si manifestano i fenomeni sociali , si tratta di reinserire l’attenzione per lo spazio e per il tempo nel cuore stesso della sociologia I campi di ricerca della sociologia urbana I fuochi di interesse La città sarà analizzata da molti punti di vista. L’angolo visuale della sociologia urbana porta ad interpretare il sistema urbano come un’entità complessa e dotata di forti relazioni tra i singoli elementi, piuttosto che come un aggregato di 4 parti che possano essere considerate separatamente. Le ricerche più importanti sono quelle che riescono a mostrare la coerenza tra i molteplici fenomeni interagenti nell’ambito urbano. 4 fuochi: - dimensione economica: città come sede di attività economiche, produz. Beni e servizi - dimensione politico-sociale: articolaz. Delle classi/strati sociali - dimensione culturale: confronto fra culture/valori - dimensione ecologica : distribuz. Spaziale. (schema p.39) La ricerca empirica La vocazione specifica della sociologia urbana è prevalentemente empirica: il suo ruolo è di interpretare efficacemente particolari fenomeni urbani, di rilievo sociale, analizzandoli con l’uso di opportune metodologiche di ricerca. Le finalità della ricerca empirica vanno dalla pura conoscenza alla utilità per la predisposizione di piani e linee di intervento, in campo pubblico/privato. Si utilizzano metodi di natura assai eterogenea: l’analisi è basata essenzialmente su informazioni di fonte indiretta, ovvero sull’uso di dati già esistenti di varia origine, raccolti a scopi statistici; in molti studi è prevista la produzione di nuova informazione. Si distingue tra metodi quantitativi (survey) e metodi qualitativi. 2 L’URBANESIMO. L’ECONOMIA, LO SVILUPPO La città, fenomeno economico Urbanesimo e rivoluzioni economiche La città è un sistema sociale di grande complessità che presenta al proprio interno, in forma “concentrata”, la quasi totalità dei fenomeni tipici di sistemi di più ampie dimensioni, come le società nazionali o i sistemi internazionali. Si può quindi affermare che la città è, contemporaneamente, un fenomeno economico, politico, culturale; e occorre aggiungere che ogni aspetto è indissolubilmente legato agli altri. Si fa riferimento a due grandi momenti: 1. rivoluzione neolitica: dalla raccolta del cibo alla produzione agricola 2. rivoluzione industriale: dalla produzione agricola alla produzione e lo scambio di beni. In questi due momenti la trasformazione dell’economia ha stabilito i presupposti, rispettivamente, per la nascita della città e per una enorme crescita dell’incidenza del fenomeno urbano. Accanto alle cause economiche, agiscono con altrettanta forza cause di natura politica, o culturale: vedi la formazione delle grandi compagini statali dell’era antica. Città, sviluppo, sottosviluppo Il processo di urbanizzazione si è esteso progressivamente ai paesi che si trovano in condizioni di svantaggio economico. Oggi è in atto un processo che tende a rendere reciprocamente indipendenti, alla scala planetaria, il fenomeno della crescita urbana e quello dello sviluppo economico. In alcune parti del mondo (paesi più avanzati) l’urbanesimo rallenta, mentre lo sviluppo prosegue. In altre (Africa, Asia, America Latina) la crescita urbana accelera, pur in presenza di un ristagno economico. Se si volesse tenere conto della differenza dei tipi di città oggi presenti nei cinque continenti occorre considerare due ordini di fattori. Il primo è relativo alla profondità storica dell’urbanesimo. La città è il prodotto di una lunga sedimentazione di caratteri morfologici e culturali, accumulati nel corso dei secoli. Il secondo fattore si riferisce ai diversi ruoli che le aree mondiali hanno assunto, nell’epoca industriale e, in particolar modo, nella sua fase più recente, per effetto di quella che viene definita la divisione internazionale del lavoro. Si distingue tra 6 grandi aree: forti del centro, deboli del centro, industriali nuove, dell’Europa orientale, semiperiferiche e periferiche del sud. L’urbanesimo nel sud del mondo Gli approcci interpretativi 5 La sociologia presenta due grandi tradizioni teoriche che hanno formulato ipotesi tra loro alternative, mentre una terza comincia a delinearsi in tempi più recenti. La prima fa capo ai modelli funzionalisti e alla teoria della modernizzazione. L’idea guida è che i diversi paesi, pur trovandosi in origine a differenti livelli di sviluppo, traggono un vantaggio reciproco dall’interscambio economico. Inoltre il libero scambio serva a diffondere schemi culturali, atteggiamenti, aspirazioni di carattere “moderno” anche nei contesti rimasti fermi allo stadio della società tradizionale. La città è vista come l’ambito che è maggiormente permeabile alle influenze provenienti dal mondo già sviluppato e modernizzato e che è in grado di far penetrare tali influenze nel resto del paese. La crescita urbana dei paesi sottosviluppati è valutata positivamente (scambio di valori). La seconda ha i suoi punti di riferimento nell’analisi marxista. L’idea guida è quella della divisione internazionale del lavoro: lo sviluppo delle società occidentali ha messo in atto un processo che comporta l’attribuzione ai vari paesi e regioni del mondo di una specializzazione produttiva che li colloca in posizioni ineguali, nell’ambito di una gerarchia internazionale. La tradizione marxista rovescia la valutazione formulata dalla teoria della modernizzazione: la connessione tra città del Nord e Sud è uno strumento di riproduzione dell’egemonia dei paesi sviluppati. La terza tradizione è alternativa rispetto ad entrambe: essa tende a mettere in dubbio la stessa immagine dello sviluppo; inoltre si basa su un approccio “normativista” allo sviluppo. L’idea guida è che dall’attuale situazione di disequilibrio si può uscire solo imprimendo allo sviluppo una diversa direzione. Sviluppo come risposta a esigenze fondamentali dell’uomo, prima che come necessità economica, imposta da interessi “forti”. La città è un tipo particolare di società locale che presenta specifici problemi e che possiede peculiari risorse. I fattori della crescita urbana Il primo aspetto che occorre sottolineare è la dinamica apparentemente inarrestabile della crescita urbana: in sostanza i paesi a minore sviluppo sono contrassegnati da un’espansione urbana che va oltre ogni effettiva possibilità di controllo. Si pensi alla “macrocefalia urbana”: poche città di dimensioni gigantesche. Tutto ciò è dovuto a due tipi distinti di cause: - processi che incidono sulla destrutturazione delle arre rurali. I fattori di crisi delle aree rurali, rappresentano una molla che agisce nel senso di “spingere” la popolazione fuori dalle campagne; sono legati alla rottura di un equilibrio che esisteva tra le popolazioni e le risorse necessarie al sostentamento di quest’ultima, alla scala locale. Una parte della popolazione rurale non trova più nelle campagne mezzi di sussistenza, né tanto meno prospettive di mobilità sociale ed è costretta a cercarli altrove (aree urbane). - processi che incidono sulla attrattività dei centri urbani. Le grandi città dei paesi a basso sviluppo presentano motivi di attrazione, che rappresentano una molla che agisce “tirando” a sé la popolazione. Dunque la popolazione delle campagne è spinta a trasferirsi in città anche per trovare servizi sanitari, o per usufruire dell’istruzione superiore o universitaria (anche solo saltuariamente). Il gioco incrociato di questi due fattori fa sì che la spinta al gigantismo urbano si crei tanto nelle aree più povere come in quelle in cui già operano processi di sviluppo, talora accelerati. Il doppio circuito dell’economia urbana Un aspetto essenziale dell’economia urbana nei paesi del Sud del mondo è il suo carattere frammentario e la forte frattura che separa il settore “moderno” delle attività industriali e terziarie dai restanti settori. Questa separazione si sovrappone alla distinzione tra le attività formali, vale a dire sottoposte alla regolazione da parte delle leggi e al controllo dello stato, e quelle informali per le quali tale controllo non si applica e che invece si svolgono in base a regole non scritte, di tipo consuetudinario. Dal punto di vista economico le città dei paesi a basso sviluppo presentano due facce molto diverse tra loro: la prima è costituita da attività che si svolgono entro organizzazioni pubbliche e private più o meno efficienti, ma sostanzialmente simili alle omologhe organizzazioni dei paesi sviluppati; la seconda è costituita da attività di servizio, svolte da singoli o da piccole unità non formalizzate, spesso strutturate su base familiare, di quartiere o etnica. Il settore moderno dell’economia è costituito da unità che dipendono da imprese multinazionali. Il settore informale è composto da diversi comparti, i cui confini sono sfumati. In ogni caso potremmo dire che un primo comparto è costituito da un complesso di attività organizzate al di fuori di ogni tipo di mercato, sulla base di uno scambio di favori. 6 Questa forma di “economia morale” esiste anche nelle città ad alto sviluppo. Ruolo fondamentale è rivestito dalle donne. Un secondo comparto è rappresentato da attività che producono beni e servizi per i quali si dà un mercato: servizio domestico, commercio ambulante piccola ristorazione, artigianato tradizionale… Occhio a distinguere il settore informale da quello apertamente illegale. L’urbanesimo fordista e la sua crisi Le “onde lunghe” dello sviluppo industriale Nell’andamento dei processi di sviluppo economico è possibile individuare dei cicli di lungo periodo di espansione e di declino, accompagnati da analoghi cicli di crescita e di contrazione dei prezzi di beni prodotti. Il ciclo di innovazione tecnologica e le sue conseguenze sul ciclo economico potrebbero essere descritti disaggregando ogni onda lunga in quattro fasi: La fase innovativa: corrisponde con un ristagno economico, compare l’innovazione per la prima volta. 1 2 La fase espansiva: crescente adozione dell’innovazione da parte delle imprese. 3 La fase della maturità: è il culmine del ciclo. 4 La fase della stagnazione: inversione di tendenza, la tecnologia è ormai obsoleta I cicli della crescita urbana I cicli in questione incidono sulle capacità attrattive delle città. Molto più importanti sono gli effetti che le specificità di ciascuna ondata hanno sui caratteri qualitativi del fenomeno urbano (struttura occupazionale, stratificazione sociale, modi di vita, etc.). ogni ciclo economico di lungo periodo riplasma in modo radicale il volto della città e ne trasforma i connotati sociali: accresce il peso sociale di alcuni strati sociali e diminuisce quello di altri. Vedi metafora biologica. L’innovazione per incidere in modo profondo sulla struttura urbana, deve integrarsi in essa, interagendo con gli elementi che non mutano. Il periodo fordista e il ruolo della città L’elemento innovativo del modello proposto da Ford ha come primo fondamento una trasformazione tecnologica e una riorganizzazione dell’impresa in chiave Taylorista (scomposizione e ricomposizione del processo produttivo). Questa trasformazione della fabbrica ha come effetto immediato la netta diminuzione dei tempi di produzione, un secondo effetto riguarda la composizione della forza lavoro (cresce il peso degli operai generici). C’è un grande ricambio di manodopera (dovuto alla ripetitività del lavoro e allo scarso controllo sui modi e sui ritmi di produzione) che rende necessario un nuovo sistema di relazioni tra impresa e operai (nuove forme di sostegno). L’impresa è considerata il “cuore” dell’organizzazione sociale. Il fordismo è efficiente solo se i beni sono prodotti in ampia serie e sono fortemente standardizzati. Il reddito deve essere sufficientemente alto da consentire ai lavoratori di risparmiare per poi acquistare beni di consumo durevole. Nel periodo fordista la città viene ad assumere una funzione molto importante, ma al tempo stesso subisce delle trasformazioni che ne mutano la struttura e la sottopongono a tensioni rischiose per la sua identità. L’industria dunque si presenta come un complesso di attività spazialmente non divisibili, il quale ha la necessità di appoggiarsi ad una grande città (come bacino di manodopera, mercato di sbocco dei propri beni, rete di infrastrutture, etc). per questi motivi lo sviluppo fordista ha un carattere inevitabilmente polarizzato; esso cioè si attua per mezzo della crescita di grandi complessi economici che rappresentano le imprese motrici del polo e che stabiliscono con le altre imprese dei rapporti di dominazione, non determinati dal principio del mercato concorrenziale. Questo comporta dei grandi costi sociali (forti flussi migratori, problemi di integrazione, crescita impetuosa delle città, etc..). La crisi del modello fordista Il suo successo poggiava su di un complesso di condizioni allora effettivamente presenti, ma non destinato a riprodursi per un periodo più prolungato; fra queste rientra il quadro di stabilità internazionale venutosi a formare alla fine del secondo conflitto mondiale (egemonia Usa). Gli anelli fondamentali del circolo virtuoso del fordismo sono: Il settore industriale si sviluppa a ritmi sostenuti e, grazie alle innovazioni, aumenta la sua produttività. 7 L’aumento della produttività consente di abbassare i costi del prodotto sul mercato e consente un allargamento dei mercati Per far fronte all’allargamento dei mercati le imprese aumentano la produzione, aumenta l’occupazione e il reddito lavoratori. Questo consente alle famiglie di aumentare i consumi e ciò provoca un aumento globale della domanda di beni La maggiore ricchezza consente allo stato di aumentare il gettito fiscale e di potenziare i servizi, creando nuova occupazione In questo circolo una funzione essenziale è svolta dal costante allargamento dei mercati interni dei paesi sviluppati. Solo questo, infatti, fa sì che l’occupazione industriale cresca anche in presenza di un’innovazione tecnologica che, di per sé ha l’effetto di rendere più produttivo il lavoro e, pertanto, di diminuire il numero di ore lavorate per produrre un bene. Tuttavia, l’intero complesso di circostanze favorevoli sin qui descritto comincia a venire meno agli inizi degli anni ’70, provocando un primo effetto di destabilizzazione del modello fordista. Da segnalare l’impennata del prezzo del petrolio e un aumento dei conflitti sociali; che incidono negativamente sul rendimento economico delle imprese e spinge i grandi gruppi industriali ad attuare strategie di ristrutturazione produttiva, allo scopo di diminuire il costo complessivo del lavoro e di accrescere la produttività. In questo fase viene ad essere compromessa la circolarità dei processi che legano l’aumento della produzione industriale all’aumento dell’occupazione e all’ampliamento dei mercati, all’interno dei paesi sviluppati. Nella fase innovativa basata sulla microelettrica prevale l’innovazione di processo (su quella di prodotto). Nelle industrie automobilistiche hanno sostituito gli operai con i robot mantenendo gli standard quantitativi. In queste condizioni, nei paesi economicamente avanzati la crescita della produzione non significa più aumento dell’occupazione: i nuovi mercati che si aprono non sono più sufficienti a controbilanciare la perdita di posti dovuti all’automazione. Il nuovo ruolo economico della città Lo spazio economico postfordista La crisi del fordismo ha operato una sostanziale rottura di continuità nei processi di sviluppo. Sono numerose le definizioni di questa fase: postfordista, postindustriale, postmoderna, società dell’informazione. Come è facile intuire, la varietà terminologica mette in luce come la sociologia non sia ancora pervenuta a formulare valutazioni unanimi. Nonostante ciò, alcuni punti fermi del dibattito cominciano a manifestarsi con una certa evidenza : 1. L’innovazione tecnologica decisiva per lo sviluppo è quella basata sulle tecnologie microelettriche e su quelle della comunicazione a distanza. Si delinea una nuova ondata innovativa fondata su alcune linee di avanzamento tecnologico (ingegneria genetica, biologia tecnologica). Le conseguenze dell’innovazione riguardano sia la natura dei beni e servizi offerti, sia la trasformazione nelle modalità organizzative dell’attività economica. 2. Diminuisce la centralità relativa della produzione di beni durevoli, mentre un ruolo sempre maggiore è svolto dall’offerta di beni e servizi di varia natura (raccolta ed elaborazioni di informazioni) il cui elemento decisivo è di natura “immateriale”; anche se un forte uso di risorse materiali ed energetiche è, comunque indispensabile. 3. Viene sviluppata al massimo la flessibilità e la capacità di rispondere in tempo reale alle esigenze mutevoli del mercato (produzione diversificata, qualità elevata). Si parla di fabbrica integrata. 4. Gli attori principali sono le imprese che dal punto di vista finanziario, hanno dimensioni ancora più grandi rispetto al periodo fordista, ma che, dal punto di vista produttivo, si avvalgono di stabilimenti più piccoli e territorialmente decentrati. Si passa dalle economie di scala alle economie di diversificazione (vantaggi connessi con la capacità dell’impresa di produrre al proprio interno una vasta gamma di beni e servizi e di coordinarli in modo efficace). 5. Più importanti le relazioni tra i luoghi di produzione. Lo spazio si configura come un insieme di flussi (non di posti). Reti globali e sistema economico urbano Nella sociologia urbana “classica” e nell’economia dello spazio, si tende a considerare la città come sede di un complesso di attività economiche, i cui addetti sono, in larga parte, forniti dal mercato del lavoro locale. Gli economisti 8 classificano le attività economiche urbane in due tipi: da un lato vi sono le attività di base (producono non solo per il mercato locale), dall’altro lato vi sono le attività di servizio (producono per i residenti). Aumenta l’importanza della connessione a rete con le funzioni complementari. Per alcuni autori la città contemporanea non ha più il carattere di sistema economico, in quanto non rappresenta più un’unità territorialmente significativa: essa si riduce a essere una raccolta di nodi appartenenti a reti disparate, non effettivamente integrati. Per altri si continua ad affermare il carattere sistemico dell’economia urbana pur riconoscendo il modificarsi della natura delle relazioni che lo determinano . Reti economiche, reti urbane I fattori di concentrazione delle attività I fattori che contribuiscono a rendere alcuni nodi territoriali particolarmente importanti possono essere suddivisi in due ampi gruppi: 1. Secondo una distinzione terminologica proposta da Berry e Kasarda, le relazioni sociali si dividono in primarie (gli individui si conoscono reciprocamente in quanto soggetti che svolgono più ruoli), in secondarie (ciascuno conosce l’altro in quanto svolgente un unico ruolo), in terziarie (rapporto di ruoli).Quanto detto vale per le relazioni di routine (fortemente ripetitive), non vale invece per le relazioni più qualificate (in queste è insostituibile il ruolo della singola persona, conta la sua “firma” e la sua peculiare esperienza e specializzazione). In sostanza per tutte le attività in cui ha forte peso la comunicazione diretta tra personale ad alta qualificazione, la localizzazione urbana produce insostituibili vantaggi di natura economica 2. Un secondo ordine di fattori si riferisce alla presenza, nella città di infrastrutture non divisibili e di funzioni, spesso interagenti tra loro, che sono atte a creare condizioni favorevoli allo sviluppo industriale e terziario (importanza della interconnessione tra le infrastrutture). Per quanto concerne le funzioni: il ruolo cruciale svolto da quelle connesse con la ricerca scientifica e tecnologica e con l’attività culturale. Sistemi urbani e milieux innovativi Modalità con cui i fattori di concentrazione concorrono a stabilire delle interrelazioni tra le unità economiche localizzate in un’area urbana: 1. Commensalismo (le imprese si appoggiano alle stesse infrastrutture, usano gli stessi servizi e gli stessi strumenti di comunicazione. La forza di coesione è relativamente debole) 2. Simbiosi (si tratta di una forza di coesione più forte della precedente) L’agire congiunto di relazioni indirette e dirette, di vincoli di commensalismo e di simbiosi , fa sì che molte aree urbane e metropolitane possano essere considerate come sistemi economici locali dotati di un elevato grado di integrazione interna e di identità individuale. Milieu innovateur: strutture sociali, istituzionali, organizzative, economiche e territoriali che creano le condizioni per la continua creazione di sinergia. Polo tecnologico: evoca la presenza di una nuova forma di polarizzazione, basata essenzialmente sulla complementarità fra centri di ricerca e attività produttive che applicano in tempi rapidi i risultati di tale ricerca. 3 LA CITTA’, I CONFLITTI, IL GOVERNO la crisi del governo urbano La città, luogo di governo 9 Accanto alla dimensione economica la città ha una dimensione politica e una socioculturale. La città è dunque un fenomeno politico, un entità sociale che è in condizione di esercitare forme di autogoverno. In altri termini è un’espressione locale della società, nella quale si esercita un potere (capacità sociale di prendere decisioni vincolanti che hanno conseguenze fondamentali sulle direzioni verso cui una società si muove. Weber forzando la mano dice addirittura che è possibile parlare di “città” solo per quei centri in cui i cittadini formano un’unità sociale atta a governare se stessa (riferimento alla polis greca o alla città medioevale). Parlando di autogoverno a scala urbana si riassumono diversi aspetti: 1. La città come un luogo specifico per l’attività di governo. Ogni centro urbano ha una struttura sociale caratteristica, modalità peculiari di espressione del conflitto e delle alleanze politiche. 2. La città come un soggetto specifico dell’attività politica. Quasi sempre ha delle istituzioni di governo dotate di una qualche autonomia. 3. La città come oggetto dell’attività del governo urbano. Questa si propone in primo luogo di favorire e regolare lo sviluppo economico locale, di garantire ai cittadini la presenza di infrastrutture e servizi. Il patto fordista e il welfare state Il fordismo ha rappresentato qualcosa di più di un modello di sviluppo economico; ha fatto emergere un insieme ben definito di attori sociali e ha creato le condizioni per la creazione di schemi tipici di regolazione dei rapporti fra gli attori. Esso ha anche influito sulle modalità di esercizio di governo. Non si è determinata una tendenza verso indirizzi politici comuni nei vari stati; piuttosto, in ciascuno di questi contesti, l’attività di governo ha dovuto affrontare alcuni nodi problematici tipici e ha dovuto confrontarsi con attori sociali dotati di caratteri ricorrenti. Gli attori fondamentali del fordismo sono: 1. La grande impresa (grande borghesia industriale): ha forte influenza nell’orientare le richieste e gli atteggiamenti politici del resto della classe borghese. Forte presenza sociale anche di altri soggetti operanti nell’impresa: dirigenti, quadri, impiegati, etc. 2. L’operaio massa: figura a scarsa qualificazione, con basse prospettive di mobilità, concentrata in stabilimenti di ampie dimensioni collocati nelle zone periferiche delle aree metropolitane. condivide, in fabbrica, condizioni di lavoro fortemente standardizzate e, nella città, modi di vita e schemi di comportamento tendenzialmente omogenei. Questo conferisce alla classe un’elevata potenzialità conflittuale e favorisce lo sviluppo di forme centralizzate di organizzazione collettiva degli interessi. 3. Lo stato: concetto di Welfare (stato in cui il potere organizzato è usato per modificare il gioco delle forze di mercato in tre direzioni: reddito minimo, riduzione dell’insicurezza, servizi sociali). La sua finalità è di garantire condizioni di vita almeno minimali a tutti i cittadini (tramite l’organizzazione di servizi pubblici e il trasferimento diretto di fondi ai cittadini). 4. I dipendenti pubblici: mossi da interessi specifici e da peculiari forme di comportamento sociale. Il welfare state e la città La città comprende anche la cerchia dei sobborghi, ove vivono i lavoratori pendolari, e rappresenta il luogo di principale radicamento e di evoluzione del modello sociale fordista. In questo periodo la grande impresa, sebbene ormai a carattere internazionale, conserva un rapporto stretto con la città in cui è sorta e in cui si situano i suoi centri direzionali. Si può osservare che il complesso dei grandi attori sociali in ogni centro urbano è chiamato a compartecipare al mantenimento di quell’equilibrio dinamico da cui dipende il successo del modello di sviluppo. In alcuni casi il ruolo ricoperto dalle città è secondario per via del carattere centralizzato dei processi decisionali. Tuttavia questo non sminuisce l’importanza della città nella costruzione del welfare. Crisi del welfare state, neoliberismo e governo urbano. I fattori di logoramento del welfare sono molteplici: alcuni a radice strettamente economica (meno interventi statali, ristagno economia, rincaro materie prime e inflazione alta), altri invece vanno ricondotti al mutato atteggiamento dei diversi gruppi sociali in campo politico (meno attraente per larghe masse di cittadini). Il welfare invece di essere visto 10 come una garanzia per tutti (contro l’insuccesso e la povertà), viene reinterpretato come un vincolo che grava sui ceti più dinamici (avvantaggiando i meno attivi). Lo smantellamento delle politiche di assistenza pubblica va di pari passo col tentativo di ridare fiato all’iniziativa economica dei privati. Il neoliberismo tende a legittimare la propria opera di indebolimento del ruolo sociale dello stato sulla scorta di un richiamo all’attivismo economico e all’individualismo. La crisi del welfare e l’affermarsi di indirizzi conservatori producono anche radicali trasformazioni nel governo della città. Le amministrazioni urbane si trovano spiazzate, soprattutto dinanzi alla resistenza da parte delle città nei confronti delle politiche di taglio alla spesa pubblica operate dai governi centrali. Vecchi e nuovi squilibri sociali L’esaurimento del patto fordista La crisi congiunta di fordismo e welfare fa venire meno le condizioni di quello che era definito il “patto fordista”. Tra le ragioni fondamentali la perdita di efficacia della funzione mediatrice dello Stato, il quale non è più capace di mettere sul piatto della bilancia una politica di continua espansione della spesa sociale allo scopo di riequilibrare le ineguaglianze sociali. Le differenze tra le classi riprendono ad aumentare (non accompagnate da conflitti). Per quanto riguarda la grande impresa, il mutamento di ruolo non significa un indebolimento, al contrario un rafforzamento (c’è solo uno spostamento rapido degli interessi in punti sempre diversi dello spazio economico e geografico). Assume più importanza la flessibilità, alle imprese interessa liberarsi dai vincoli che determinano rigidità. Per quanto concerne i lavoratori, subiscono un ridimensionamento del peso gli operai-massa a causa dei cambiamenti tecnologici e organizzativi intervenuti a livello produttivo (robotizzazione + tecnici qualificati, decentramento produttivo). Il nuovo quadro che si delinea appare segnato da una tendenza all’aumento delle disparità sociali, da una maggiore frammentazione degli attori sociali e da una continua mutevolezza delle situazioni (impossibile ragionare a lungo termine) La struttura sociale urbana Cambiano anche i cleavages che definiscono le principali linee di conflitto e di alleanza attorno alle quali si organizza la struttura sociale. Nel fordismo l’asse di divisione era tra grande impresa e la classe operaia. Nella società post-fordista questo asse perde di rilievo. L’asse di divisione che contrappone l’impresa agli operai vede come linea di frattura quella tra due classi sociali (proprietari e non), non c’è spazio per una terza polarità (Marx). Perulli propone una disaggregazione del mercato in 4 strati sovrapposti : 1. Lavori d’ingresso: provvisori, svolti da giovani alle prime armi. Non c’è strutturazione del rapporto di lavoro, temporaneità, basso livello di qualificazione, bassa retribuzione (volantinaggio, porta a porta, pulizia, scarico merci). 2. Lavori periferici: maggiore strutturazione del rapporto di lavoro, bassa qualificazione e salario. Sono svolti in unità di piccoli dimensioni (non centrali nell’economia). 3. Lavori centrali: in grandi organizzazioni, comportano retribuzioni elevate e garantite (operai specializzati, tecnici, impiegati). 4. Lavori direttivi: svolti da imprenditori, dirigenti, liberi professionisti . Effetto clessidra. Dove si collocano i ceti medi nella struttura sociale postfordista ? Bagnasco e Negri per rispondere considerano due distinti approcci: il primo (classico) dice che dipende dal ruolo che i soggetti svolgono nel processo di produzione di beni e servizi. Il secondo distingue le posizioni sociali in base alle loro potenzialità di consumo. Le nuove povertà urbane Secondo Mingione il concetto di povertà ha alla sua base l’idea che per varie ragioni, una parte della popolazione non ha accesso a risorse sufficienti per consentirle di sopravvivere ad uno standard minimo di vita determinato storicamente e geograficamente, e ciò conduce a gravi conseguenze in termini di comportamento e di relazioni sociali (valore relativo del concetto: sono povero in relazione alla differenza della mia condizione di vita rispetto a quella del gruppo di riferimento. Povertà anche in relazione ad una scarsità di risorse). Alcuni sociologi hanno insistito sull’importanza che riveste il concetto di reti sociali (la povertà può essere considerata come una condizione che dipende da un 11 indebolimento delle relazioni sociali che ciascun soggetto ha con molti altri: più mi connetto e più sono aiutato, e viceversa. Anche il contesto residenziale può svolgere un ruolo importante. Gli studi recenti sulle povertà urbane hanno spesso focalizzato la loro attenzione non solo sulla dimensione statica del fenomeno, ma anche su quella dinamica. Goffman ha elaborato il concetto di carriera morale. Il termine “carriera” è riservato abitualmente ad un tipo di privilegi goduti da chi progredisce in una professione di successo, in questo senso, le “carriere” non sono necessariamente ascendenti. L’idea di una carriera morale comporta che entrino in gioco condizioni di tipo soggettivo (prestigio, immagine di sé, etc) oltre a quelle di tipo oggettivo (livello di reddito, standard di consumo). Si può quindi affermare che la povertà è una condizione entro cui un soggetto transita per effetto di una carriera morale negativa scandita da eventi sfavorevoli (uno tira l’altro). In definitiva le politiche volte alla lotta contro la povertà e l’esclusione sociale non devono offrire un sostegno globale; è sufficiente che riescano ad invertire il corso di una carriera morale discendente producendo un evento positivo e stimolando una relazione personale (basta spezzare la catena !). Il dualismo urbano Castells dice che il dualismo deriva da un complesso di fattori che sono strettamente collegati alle trasformazioni stesse della base produttiva. L’economia urbana tende oggi ad essere trasformata per effetto dell’ascesa di due settori egualmente dinamici, ma di ben diversa natura: 1. Settore economico formale: basato sulle tecnologie microelettriche e sulla elaborazione dell’informazione. Esso recluta i suoi addetti tra la popolazione a più elevati livelli di istruzione. 2. Settore economico informale: occupa una manodopera dequalificata e sotto pagata , presenta un forte dinamismo e garantisce elevati profitti a chi ne organizza le attività (produzione capi di abbigliamento e di mobili in piccole unità produttive, lavori abusivi nell’edilizia, gypsy cabs o taxi abusivi) La compresenza di questi due tipi di addetti rende duale la struttura sociale urbana. Non significa che la città tende ad organizzarsi in due universi sociali internamente omogenei e tra loro contrapposti. Al contrario la natura dei processi di strutturazione della società urbana è tale da provocare frammentazione sociale e chiusura dei gruppi nei propri stili di vita e nelle modalità di uso del territorio. Marcuse preferisce parlare, anziché di “città duale”, di quartered city, espressione che richiama l’idea di una città divisa in quartieri, ma anche una città fatta a pezzi (squartata) dalle ineguaglianze tra gli ambiti residenziali che la compongono. In particolare egli distingue: 1. Città delle abitazioni di lusso (luxury housing): “isole” in cui si concentra il vertice della gerarchia economica, sociale, politica. 2. Città imborghesita (gentrified city): forte presenza di persone sole, che svolgono ruoli dirigenziali, tecnici, manageriali. 3. Città suburbana: con abitazioni unifamiliari occupate dalle “tipiche” famiglie Usa (strati inferiori della piccola borghesia). 4. Città delle case di appartamenti (tenement city): case talora fatiscenti. Abitate da minoranze etniche e lavoratori a basso redditto. 5. Ghetto: luogo della povertà e dell’emarginazione, privo di servizi e di infrastrutture. Sovraffollato, con attività illegali. Marcuse approfondisce la sua analisi cercando di distinguere gli aspetti della diseguaglianza urbana nuovi da quelli vecchi. Da questa riflessione risulta un’immagine complessivamente negativa della città contemporanea. Anche se sembra sterile disputare sul fatto che la città sia duale o divisa in più parti, non si può negare questo fatto inquietante: che la città postindustriale continua ad essere suddivisa da invisibili “mura” (barriere sociali). Competizione e partecipazione nella politica urbana Coalizioni di interessi e governo urbano. L’incremento delle difficoltà per azione di governo urbano deriva, sul piano economico dalla mondializzazione dell’economia, sul piano politico, pesa la minor disponibilità do risorse messe a disposizione delle città dai governi 12 centrali, come pure la frammentazione dei gruppi sociali e degli interessi organizzati. Tuttavia l’azione di governo ha più margini di manovra. In sostanza il governo locale è costretto a operare in un contesto ad alta competitività, nel quale crescono tanto i rischi quanto le poste in gioco; esso deve essere in grado di trovare soluzioni efficaci su un duplice piano: sul terreno interno (garantire la qualità della vita), sul piano esterno (creare condizioni per lo sviluppo postindustriale). Le forze economiche e sociali sono quindi costrette a giocare in prima persona le proprie carte e a formare coalizioni sufficientemente potenti per volgere a proprio favore l’azione di governo. Senso civico, partecipazione, conflitto Per spiegare il calo di interesse possono essere adottate molte valide ragioni (risultati scarsi nella precedente spinta alla partecipazione nei ‘70, mutamento struttura sociale : frammentazione interessi ed emarginazione dei gruppi più deboli). Con questo non si vuol dire che la partecipazione è scomparsa dall’orizzonte analitico della sociologia, semplicemente che il problema è posto in termini diversi dal passato e più complessi. Nella città fordista si poteva dare per scontato che la comunanza di interessi costituisse una condizione necessaria e sufficiente per lo sviluppo di un movimento rivendicativo… Nella città postfordista questo non basta più per superare la dispersione degli interessi e a favorire l’azione collettiva. Putnam intende chiarire le cause delle diseguaglianze, nelle diverse regioni italiane, relative al grado di funzionalità delle istituzioni regionali e alla qualità del rapporto con i cittadini. Per fare ciò misura l’intensità con cui si manifesta il senso civico degli abitanti. Secondo putnam un elevato grado si evidenzia nelle comunità locali in cui è diffusa la presenza di cittadini che interpretano attivamente il proprio ruolo, entro un tessuto sociale in cui operano principi di cooperazione e di fiducia nel prossimo (derivano dall’esercizio di un “interesse illuminato” votato al bene comune). Un senso civico debole prevale nelle comunità caratterizzate da relazioni tra diseguali (principi di autorità e sudditanza). Per quanto riguarda le manifestazioni delle spinte partecipative si potrebbe operare una distinzione globale tra quelle che hanno un carattere esplicito e intenzionale (gruppi di interesse organizzati che riescono ad esercitare pressioni continue sulle amministrazioni…) e quelle che non lo hanno (attività di volontariato a scala locale. Lavoro nella comunità locale). L’insieme di queste forme di partecipazione, nonché la produzione di informazione significativa ai fini della politica urbana, vengono a configurare una presenza influente dei cittadini, anche se non necessariamente organizzata nelle tradizionali forme partitiche o sindacali. Verba definisce questa modalità attiva di esercizio della cittadinanza con il termine citizenry. Accanto alle manifestazioni partecipative ora richiamate, vi sono poi modalità più radicali di espressione di atteggiamenti conflittuali. Pianificazione e politiche urbane Queste profonde trasformazioni hanno come conseguenza la crisi delle forme tradizionali di esercizio del governo, da parte dei poteri locali. La pianificazione rappresenta una metodologia per l’intervento pubblico in campo urbano: essa presuppone una rappresentazione della città e dei processi che ne inducono le trasformazioni. Per “pianificazione territoriale e urbanistica” si può intendere l’uso di strumenti che si ritengono capaci di garantire coerenza nello spazio e nel tempo alle trasformazioni territoriali. La pianificazione si propone di influenzare la dinamica dello sviluppo dei sistemi spaziali, definendo dei percorsi desiderabili dal punto di vista del bene comune, garantendo al tempo stesso ragionevole flessibilità alle singole scelte che intervengono a regolare aspetti specifici di tale sviluppo. Oggetto della pianificazione sono le trasformazioni significative dell’assetto spaziale in un’area (in senso fisico e funzionale). Nel dibattito urbanistico la concezione dominante della pianificazione nei ’60 e ’70 è spesso designata con l’espressione modello razionalcomprensivo (Mc Loughlin 1969). Essa sottolinea alcuni aspetti di tale concezione: 1. La città e il territorio sono interpretate come sistemi e alla pianificazione è attribuito il compito di regolazione globale del loro funzionamento, secondo uno schema che richiama il controllo ingegneristico sui sistemi produttivi. 2. Gli elementi della realtà urbana su cui si è concentrata l’attenzione sono quelli funzionali (quelli che hanno per oggetto una valutazione quantitativa) 3. Il processo di pianificazione tende ad essere definito secondo uno schema “ a cascata”: dall’individuazione di obiettivi di carattere generale si procede deduttivamente verso l’individuazione di un quadro complessivo della 13 struttura spaziale della città, per poi giungere alla precisazione dell’assetto di specifici sottoinsiemi funzionali (residenza, attività produttive, servizi, trasporti) e di particolari ambiti territoriali. Questo modello è stato sottoposto a critiche: viene messa in discussione l’idea che i processi di crescita urbana possano essere interpretati come l’effetto del funzionamento di un semplice “meccanismo”, regolabile dall’esterno, mediante l’intervento del piano. Una linea spinge la critica al modello razional-comprensivo sino al punto di negare radicalmente il carattere sistemico della città, in alcuni casi a negare che sia ancora sensato parlare della città come di un’entità significativa (intersezione di reti economiche e sociali di dimensione internazionale, connesse da flussi di informazione sempre più indifferenti alla fisicità dei luoghi e al peso delle distanze. In questa prospettiva pensare di esercitare un controllo mediante il piano rappresenta una pretesa insensata. Sul versante opposto la riflessione critica sulle debolezze e sugli errori del modello sta producendo ipotesi di ridefinizione di una politica di piano. Si teorizza una distinzione su due livelli: 1 Pianificazione strategica: è un quadro di riferimento che registra gli accordi raggiunti e quelli potenziali. Serve a consolidare un’immagine della città e delle sue linee di trasformazione che favorisce un’efficace presentazione della città all’esterno 2 Intervento operativo: ogni decisione deve essere giustificata di per se stessa e non può configurarsi come semplice esecuzione operativa di scelte già esplicitate sul piano strategico Grande importanza assume il momento del monitoraggio dei risultati raggiunti (consente ai propri attori di definire e ridefinire gli scenari della propria azione, offrendo anche gli strumenti per valutare, in corso d’opera, l’efficacia delle iniziative intraprese). Compito essenziale dell’intervento pubblico è quello di stabilire regole del gioco atte a garantire trasparenza ed efficacia della contrattazione tra le parti interessate. Lungo questa linea occorre fare rilevare l’importanza assunta dal mediatore (attore neutrale senza interessi specifici. Favorisce l’interazione tra le parti. Anche il ruolo della sociologia ha visto diverse definizioni nel periodo più recente (da una concezione “globalista” ad una delimitazione più puntuale dei suoi contributi). 4 LA CITTA’, I SIMBOLI, LE CULTURE La condizione postmoderna e la città Le dimensioni della cultura Città come luogo di elaborazione culturale e simbolica. Da un lato è caratterizzata fin dal suo sorgere dalla produzione di cultura “alta”. Dall’altro è un luogo nodale dello sviluppo delle culture (norme, valori, tradizioni, simboli, credenze, modi di vita diffusi). La sua caratteristica peculiare è quella di essere un luogo di confronto tra culture eterogenee. Storicamente è il luogo in cui si è operata l’incubazione delle trasformazioni culturali e in cui sono compiuti quei grandi processi di riorientamento dei valori e dei comportamenti diffusi che hanno accompagnato la modernità. Grazie ai mass media quasi ogni manifestazione di vita quotidiana viene resa visibile e può divenire l’oggetto di una comunicazione ad ampio raggio. Lo spirito del postmodernismo Nell’accostamento paradossale tra due elementi semantici intrinsecamente contraddittori sta la forza evocativa del termine suggerisce che i fenomeni indicati dai sostantivi cui esso si accosta (la cultura, l’arte) si trovino oggi in una fase di transizione, nella quale vengono meno i caratteri che ad essi erano attribuiti nel periodo “moderno”. L’idea generale è quella di un esaurimento del mondo moderno, di una progressiva uscita da quello che esso ha rappresentato, e di una obsolescenza degli schemi interpretativi usati per comprendere e giustificare la modernità. Postmoderno e città Ciò che viene negata è la premessa dei pianificatori di poter regolare la dinamica socio economica e spaziale della città, adattandola a modelli definiti a priori in vista della risoluzione di problemi funzionali di natura universale. In questo atteggiamento nei confronti della città i postmodernisti scorgono un tentativo di imporre una logica unificante che 14 sminuisce le caratteristiche dei microcosmi urbani, dei luoghi che riflettono il simbolismo dei vari gruppi. In alternativa viene esaltata la vitalità caotica delle pratiche urbane, la loro irriducibilità a schemi precostituiti. La critica postmodernista ha portato alla riaffermazione della centralità delle differenze dell’esperienza umana. L’esperienza quotidiana della città contemporanea Il postmoderno ha anche a che fare con l’esperienza vissuta quotidianamente da milioni di donne e di uomini, infatti il senso di incertezza, la perdita di punti di riferimento… sono sensazioni condivise da ampi strati della popolazione. Le metropoli sono il teatro principale di quei grandi fenomeni di trasformazione, che hanno segnato la fine del fordismo. (minore linearità delle carriere lavorative, più incertezza sul futuro). La percezione dello spazio tende a cambiare (specializzazione spaziale; vi sono spazi residenziali, per il lavoro, per la cultura, il divertimento, il consumo e così via). Le residenze si trovano sempre meno nel quadro delle città centrali e sempre più nelle larghe fasce suburbane. Si assiste ad una diffusa perdita di punti di orientamento con il territorio. Ciascuno vive un’esperienza urbana “individualizzata” sempre più povera di riferimenti collettivi e non riesce a farsene una mappa mentale globale. Nel periodo fordista c’erano ruoli rigidi e prestabiliti (poca possibilità di scelta). Nella metropoli moderna i ruoli sono meno rigidi e si allargano i margini di scelta (questo non significa più libertà individuale o collettiva). Il soggetto è posto in condizioni per cui deve scegliere tra schemi alternativi, ma manca di criteri che ne rendano “sensata” la scelta e giustificabile nei confronti di sé stesso e degli altri. Le conseguenze sulla personalità portano al narcisismo (Freud) Differenze, culture, movimenti L’esplosione delle differenze Due ordini di fattori concorrono a determinare l’esplosione delle differenze: Quelli che favoriscono l’effettivo aumento della eterogeneità nei contesti urbani. Quelli che concorrono a rendere più acuta la percezione delle differenze e a far sì che sulla base di esse vengano e prodursi attese, rivendicazioni e atteggiamenti diversi dal passato. Tra i fattori di incremento effettivo dell’eterogeneità: le nuove migrazioni, nuovi squilibri dinamici (dualismo, ineguaglianze), le trasformazioni della famiglia e degli squilibri demografici (aumento singles, famiglie ricomposte, coppie di fatto, etc). Su questi si innestano elementi di natura specificamente culturale: Evoluzione dei mezzi di comunicazione di massa (contribuiscono a produrre informazione sulle differenze. Ruolo dei movimenti che si organizzano in base alle differenze. La città e le differenze di genere Si parla del movimento di rivendicazione femminista. Simboli urbani e identità Identità e sentimenti di appartenenza La città è anche un complesso di simboli, stratificati nel corso della storia; che si esprimono tanto nelle strutture fisiche (strade, piazze, monumenti), quanto nei modi di vita, nelle cerimonie, nei rituali della vita urbana, nelle immagini e nei discorsi che parlano della città. La dimensione simbolica della città non è un fatto estraneo alla vita sociale e all’esperienza quotidiana degli abitanti. Al contrario essa è collegata a quelle da un profondo vincolo che costituisce relazioni in duplice senso. Da un lato il simbolismo costituisce un punto di riferimento che struttura e condiziona in molti modi l’attività sociale. Dall’altro, l’attività sociale stessa e l’interazione tra soggetti titolari di identità eterogenee contribuiscono a riprodurre e al tempo stesso, a modificare in continuazione i simboli connessi con la città. Per un soggetto che opera in un sistema sociale, l’identità è il risultato di un continuo confronto con gli altri, che porta il soggetto a costruire una rappresentazione di sé stesso, della sua unità personale, della distinzione tra il proprio io e quello degli altri, del ruolo e della gerarchia sociale ricoperti. Essere originari di una certa città (quartiere) significa anche essere posti 15 in rapporto con un insieme di simboli che rappresentano dei termini ineludibili per la costruzione dell’identità personale. Viene altresì sottolineato il carattere quasi inconsapevole dell’individuo nella fase di attribuzione di identità. La costruzione sociale del patrimonio simbolico E’ altrettanto importante anche la relazione inversa: quella che va dagli abitanti alla città. La concezione simbolica non può essere concepita come una qualità astratta; al contrario, essa è prodotta dall’agire concreto dei cittadini: da quelli passati a quelli presenti. Suttles parla di immagini della città. Shields di spazializzazione sociale per designare il continuo processo di elaborazione simbolica dello spazio. Al contrario Bourdin concentra l’attenzione sui processi di trasformazione urbanistica e architettonica della città e delle sue aree di interesse storico: questi sono visti come un tentativo continuamente rinnovato di “reinventare” il patrimonio simbolico urbano, con l’intervento di molteplici operatori e per mezzo di innumerevoli transazioni. Benjamin parla di “aura”. Per la città possedere un’aura significa presentarsi come un’entità unica e non riproducibile, essere un’opera dell’attività umana che può bensì essere fonte di ispirazione per altre opere, ma mai oggetto di pura e semplice imitazione. Lo spazio pubblico e l’estetica della città Spazi pubblici e comunicazione La città presenta una risorsa essenziale: essa abbonda di spazi pubblici, nei quali il contatto avviene non solo in modo agevole, ma anche ponendo gli interlocutori in situazione di parità. Naturalmente una comunicazione diretta può avere luogo anche in uno spazio privato (anche se comunque uno dei due interlocutori giocherà “in casa” appropriandosene). Al contrario, uno spazio aperto è un territorio non appropriato da nessuno: è un punto di incontro su cui tutti possono accampare gli stessi diritti (strade, parchi, piazze, etc). Ciò non vuol dire che in questi luoghi vengano annullate le diseguaglianze sociali, ma significa trovarsi su di un terreno neutro, che non predetermina l’esito del confronto. La città senza il suo spazio pubblico sarebbe un agglomerato di insediamenti riservati a soggetti diversi (etimologicamente “privato” riguarda uno spazio con accesso condizionato, non per tutti), consentendo solo alcuni incontri e impedendone altri. La città contemporanea però presenta un significativo mutamento di condizioni; infatti, lo stesso significato degli spazi pubblici tende a modificarsi e, con esso, la loro potenzialità di rappresentare terreno di incontro e luogo privilegiato dell’innovazione culturale e dell’elaborazione simbolica. Le piazze e le strade da luoghi di incontro (e di sosta) a canali di comunicazione. Cresce la sensazione di insicurezza di alcuni cittadini. Inoltre l’enorme incremento degli strumenti per la comunicazione a distanza sembra delineare una situazione nella quale si rompe il tradizionale nesso tra spazi pubblici e comunicazione. Verso una comunicazione “aspaziale”. Che cosa significano questi cambiamenti per il destino della città e del suo spazio ? Essi aprono una fase diversa nel rapporto tra città, cultura e comunicazione. Della Pergola sostiene che il destino attuale delle metropoli è quello di una crescita reticolare e una integrazione in sistemi più vasti, con successiva perdita di “linguaggio” e inizio del declino (spaesamento sociospaziale e sociotemporale). Castells afferma che la tendenza evolutiva del sistema mondiale comporta la sostituzione di uno spazio di luoghi con uno spazio di flussi. Tuttav9ia questo spazio è quello del potere, però se esso si esercita attraverso flussi, è anche vero che la popolazione vive in precisi luoghi e che in essi si attuano processi di riproduzione sociale. Le località non sono completamente fuori gioco (anche se il sistema di potere basato sui flussi tende ad emarginare tutto ciò che è locale), anzi è probabile una reazione contro le tendenze emarginanti che porti ad una città dell’informazione. Sul versante più ottimista si collocano le posizioni di quanti esaltano il ruolo degli spazi pubblici come momento insostituibile della vita urbana (Amendolea) e affermano che comunicazione diretta e comunicazione per via informatica non sono destinate a scontrarsi, ma, piuttosto a rafforzarsi a vicenda. In questo senso è abbastanza esplicita la posizione di Gottmann, il quale sostiene che la città continuerà ad esercitare una funzione essenziale anche negli scenari futuri, nonostante le grandi trasformazione che la interessano. Cresce il bisogno di interagire face to face. La città come testo Nell’analisi del rapporto tra città e cultura c’è un aspetto che non deve essere trascurato: quello che riguarda la dimensione estetica. L’ambiente urbano non può essere associato con la vivacità della vita intellettuale e con 16 l’innovazione culturale, senza che venga richiamato anche il suo contributo allo sviluppo delle arti e al raffinamento del gusto. Hannerz afferma che la città è un luogo nel quale, cercando una cosa, se ne può trovare un’altra. Questo suggerisce a Bagnasco l’idea che la tonalità estetica della vita culturale urbana possa essere definita ricorrendo al termine serendipity (sta ad indicare una scoperta casuale, si addice alla città perché questa lascia sempre aperta la possibilità di sintesi culturali felici e impreviste. Questa potenzialità è al tempo stesso una risorsa sociale ed una proprietà estetica della città. Questa analisi sembra attribuire alla città un carattere analogo a quello del testo poetico. L’estetica della città postmoderna 1. Le tribù urbane. Sta prendendo forma una sorta di tribalismo. Infatti, i protagonisti della cittadinanza, quelli che sono maggiormente attivi negli spazi pubblici e nei luoghi di ritrovo, sono gruppi caratterizzati da modi di vita, forme di espressività e rituali diversi, ma accomunati dal desiderio di rendersi visibili agli occhi degli altri accentuando i propri tratti distintivi (esempio della musica pop e del rock). Questo paradigma non deve essere preso troppo alla lettera, né spinto all’eccesso: la frammentazione degli spazi espressivi non impedisce il continuo rinnovamento delle tendenze né la contaminazione degli stili e delle subculture, né l’appartenenza dello stesso soggetto a molte “tribù”. 2. La poetica della città caotica. Molti spunti vengono dal cinema: vedi Blade Runner, in cui la città appare popolata da un miscuglio di popolazioni (umani e replicanti), con edifici in preda a un’inarrestabile decadenza fisica, ma con all’interno congegni ad elevata tecnologia. 3. Spazzatura e monumenti. La poetica della città indugia con particolare compiacimento su aspetti tetri e squallidi dello scenario urbano, ricavandone una immagine urtante, ma altamente suggestiva (pop art, arte povera) Questo non esclude che nella città contemporanea sia anche in atto il tentativo di ricreare opere di carattere monumentale, ad alto impatto simbolico (grattacieli, stadi, impianti fieristici). Le politiche culturali urbane Le fasi dell’intervento pubblico La riflessione sul rapporto tra la città e la cultura sarebbe incompleta se non venisse fatto cenno a un ulteriore terreno di incontro fra di esse, un terreno sul quale diventa particolarmente importante trovare dei punti di convergenza fra le due dimensioni che sono state associate al concetto di “cultura”: quello alto e quello diffuso. Il riferimento è al campo delle politiche culturali urbane (che favoriscono la vita culturale della città). John Rex afferma che nella discussione su tali politiche, assumono particolare rilievo non solo le due dimensioni prima richiamate della cultura, ma, più analiticamente, quattro differenti aspetti: 1. Le forme espressive universalmente riconosciute come parte della cultura nel senso “alto” del termine (letteratura, pittura). 2. La cultura “popolare”, tipica di un paese o di una regione (musica tradizionale, poesia pop, artigianato). 3. Le culture, nel senso antropologico del termine, ovvero le usanze, il linguaggio, gli stili di vita propri di specifici gruppi. 4. Gli elementi delle manifestazioni simboliche dei gruppi che posseggono una dichiarata valenza estetica. Si può notare che, mentre i primi due aspetti della cultura si manifestano spesso nelle città (soprattutto il primo), ma che non sono legati in modo esclusivo a peculiari ambienti urbani, il terzo e il quarto individuano fenomeni culturali per i quali l’ambientazione in particolari luoghi (ad esempio, in quartieri etnicamente connotati) rappresenta un carattere essenziale del fenomeno stesso. Al variare del contesto variano anche le politiche. Tuttavia limitando il campo di osservazione al contesto dell’Europa occidentale, si potrebbe dire che una sommaria descrizione degli orientamenti e delle finalità prevalenti nelle politiche culturali urbane potrebbe essere compiuta seguendo una traccia di ordine cronologico e dunque, individuando le seguenti fasi successive: L’epoca del rilancio della cultura “alta”. Questa prima fase inizia nell’immediato dopoguerra e si conclude alla fine dei ’60. In essa i diversi governi urbani hanno puntato soprattutto al potenziamento delle infrastrutture e delle istituzioni per la produzione “alta” (la prima di Rex) (costruzione di musei, sale concerti, finanziamento pubblico a 17 compagnie teatrali, orchestre, etc). Nei paesi in cui si è sviluppato maggiormente il welfare state, la spesa pubblica è stata indirizzata oltre che al potenziamento dell’offerta, anche all’allargamento della domanda culturale (ampliamento del pubblico dei fruitori delle attività culturali). L’epoca della partecipazione. Anni ’70 e ’80. Questa fase subisce l’impatto dei movimenti sociali del ’68 e soprattutto risente dell’enfasi che essi hanno posto sull’importanza della partecipazione sociale alla vita urbana e sulla valorizzazione delle forme culturali che si sviluppano dal basso. Vengono privilegiati il 3° e il 4° tipo di cultura. Tendenza a incrementare la spesa per eventi di carattere “effimero” (singole manifestazioni, mostre concerti, etc). Si cerca di riequilibrare il peso dei centri storici. L’epoca della cultura come strumento dello sviluppo. Dalla metà degli ’80 le politiche urbane nel loro complesso entrano in crisi sia per il cronico disavanzo delle finanze pubbliche, sia per l’affermarsi di ideologie contrarie all’espansione dell’intervento dello stato. I tagli alla spesa si manifestano con particolare forza nei settori ritenuti di minore importanza economica, come quello della cultura, e mettono in discussione gli orientamenti delle amministrazioni urbane; che reagiscono in duplice modo: da un lato gli operatori pubblici cercano di coinvolgere nell’opera di promozione culturale i soggetti economici privati (sponsor), dall’altro si opera un cambiamento negli stessi obiettivi dell’intervento pubblico (cultura come strumento del rilancio dell’economia urbana) Cultura e rigenerazione urbana Le modalità con cui gli interventi nel settore culturale si propongono di favorire il rilancio economico urbano possono essere di natura tanto diretta, quanto indiretta. Nel primo caso gli investimenti producono un ritorno immediato in termini economici (turismo, più occupazione nell’indotto culturale). L’effetto indiretto invece si produce a causa di un miglioramento dell’immagine della città, della crescita del livello qualitativo del milieu urbano e di un aumento della capacità attrattiva che la città esercita nei confronti degli operatori di vario tipo. Non sempre però l’intervento ha successo, questo dipende dall’alto numero di variabili che possono favorire l’iniziativa. C’è anche il rischio di identificare la cultura unicamente con le attività espressive e spettacolari ad immediato ritorno economico, a danno di tutte le altre (accrescendo gli squilibri interni alla città). Per questo motivo da anni si invoca la necessità di adottare forme di programmazione culturale (cultural planning) che favoriscano le iniziative promosse da soggetti eterogenei nei più svariati campi (arte, sport, musica) cercando di ottenere ricadute positive in molti ambiti della vita urbana. 5 IL TERRITORIO URBANO La città, fenomeno ecologico Prospettive dell’analisi ecologica Occorre operare una distinzione tra gli aspetti empirici e quelli teorici dell’approccio ecologico, inoltre bisogna distinguere tra tematiche classiche del filone e tematiche emergenti. Nel periodo più recente le scienze sociali hanno fortemente risentito dell’influenza di schemi concettuali derivanti da nuovi apporti della biologia e della fisiologia. Negli ultimi decenni il riferimento congiunto ai problemi della città e all’approccio ecologico non evoca più soltanto i temi classici della scuola di Chicago; al contrario, sempre più richiama alla mente il rapporto tra l’urbanesimo, inteso come trasformazione “artificiale” dell’ambiente, e il contesto naturale e biologico. Deurbanizzazione e riurbanizzazione 18 Negli ultimi 20-25 anni in quasi tutti i paesi sembra essersi esaurita la spinta a una crescita demografica ed economica prevalentemente concentrata nei grandi agglomerati urbani e si è assistito, al contrario, a un’espansione assai più rapida degli insediamenti suburbani (tendenza alla diffusione urbana). Sino ai ’70 tutte le grandi aree urbanizzate del Nord del mondo avevano fatto osservare modalità di crescita essenzialmente “centripeta”. In seguito lo sviluppo ha cominciato a dirigersi verso l’esterno (dopo aver saturato le parti centrali), inglobando nel suo cammino centri minori (in precedenza autonomi dal p.d.v. socioeconomico e amministrativo). In tal modo le frontiere della città compatta si allargano in continuazione, mentre all’esterno di esse, si apre una vasta fascia di aree suburbane, fatte di sobborghi residenziali o industriali strettamente interdipendenti con il polo principale. Si formano le aree metropolitane. Nonostante questa espansione urbana verso l’esterno, questa modalità di sviluppo ha ancora caratteri centripeti, perché investe il territorio a partire dalla città centrale con un movimento simile alle onde di marea (tidal Wave). Dunque anche se la città centrale smette di aumentare la propria popolazione, l’area metropolitana prosegue il proprio processo di crescita. Tra la fine dei ’60 e tutto il decennio successivo la tendenza si inverte. Intanto le città centrali cominciano a perdere popolazione in modo consistente e anche le prime cinture industriali tendono a fermarsi (dopo la ristrutturazione industriale). Proseguono il loro sviluppo le cinture più esterne, ma non in maniera sufficiente da controbilanciare la perdita delle aree centrali. Si determina in tal modo una complessiva stagnazione o addirittura una contrazione della popolazione dell’intera area metropolitana (deurbanizzazione). Al tempo stesso si assiste a una ripresa di capacità attrattiva da parte di regioni precedentemente scartate dai principali assi dello sviluppo economico e demografico (negli Usa non accadeva da 150 anni). Berry parla di controurbanizzazione. Anche se si può dire che la diffusione urbana prosegue anche nel periodo più recente, occorre riconoscere che si è avviata verso la fine degli ’80 una riqualificazione di numerose zone della città centrale, che ha comportato una loro nuova attrattività residenziale (anche se è un fenomeno limitato ad alcuni gruppi sociali, esso è sufficiente a contrastare, almeno parzialmente, i processi centrifughi e il declino demografico delle aree centrali). La riurbanizzazione e la spinta centrifuga rappresentano due tendenze coesistenti e non necessariamente contraddittorie. Suburbanizzazione e gentrification Ecco due fenomeni di redistribuzione residenziale che, sommandosi, contribuiscono a definire lo spazio di crescita urbana: Suburbanizzazione. E’ un fenomeno legato alla fuoriuscita dalla città centrale di popolazione che va a vivere nelle fasce esterne, a distanza maggiore o minore dal centro, compiendo movimenti pendolari giornalieri per lavoro o per studio. Per ciò che riguarda le funzioni che contengono, possiamo distinguere 4 tipi di aree suburbane: insediamenti di carattere residenziale (notevole grado di omogeneità interna, basso status sociale) insediamenti di carattere industriale (forte presenza di attività produttive; molti pendolari) insediamento con un relativo bilanciamento tra le funzioni. insediamenti con forte presenza di attività terziarie. Mentre le prime tre corrispondono a situazioni consolidatesi già nei decenni passati, l’ultimo corrisponde ad una tendenza più recente: quella che comporta la formazione di significative concentrazioni di attività commerciali e di centri direzionali a fianco di poli residenziali suburbani, connessi al polo centrale per mezzo di avanzate tecnologie della telecomunicazione (edge city). Nonostante l’omogeneità di cui sopra, gli insediamenti urbani sono fortemente differenziati gli uni dagli altri: si può dunque parlare tanto di zone suburbane destinate a ospitare i ceti medi, quanto di aree di status privilegiate, quanto ancora di di insediamenti destinati ad ospitare popolazione operaia. Per quanto riguarda le modalità storiche di formazione degli insediamenti suburbani possiamo distinguere tre casi tipici: centri urbani di antico impianto, successivamente raggiunti dallo sviluppo della città centrale e inglobati nella conurbazione centri di nuova formazione, sorti in assenza di pianificazione e sviluppatisi in modo incontrollato città nuove, sorte per effetto di interventi di pianificazione e con uno sviluppo controllato dall’operatore pubblico In Italia sono comuni i centri del 1° e del 2° tipo. In molti paesi europei ed extra europei, invece è stata perseguita dai pubblici poteri una politica di creazione di città nuove (new towns, villes nouvelles) allo scopo di controbilanciare le 19 tendenze alla crescita disordinata delle periferie urbane e di far convergere lo sviluppo urbano in un quadro di programmazione che consentisse lo sviluppo bilanciato di residenze, posti di lavoro, servizi. Se si combinano tra loro queste tipologie è facile osservare come il territorio suburbano si possa articolare in una molteplicità di centri con tratti sociali e funzionali assai dissimili. Anche gli stili di vita sono diversificati e le modalità con cui ci si sposta per fruire delle risorse urbane e per svolgere le proprie attività. A questo punto è necessario distinguere tra: famiglie pendolari per le quali la città l’insediamento suburbano rappresenta il luogo dell’abitazione e della fruizione dei servizi più comuni (commercio di generi alimentari), mentre la città centrale rappresenta il luogo del lavoro e della fruizione dei servizi rari (spettacoli, attività culturali, universitarie). E famiglie che grazie ad una elevata mobilità (mezzi di trasporto pubblici e privati) sono in grado di combinare i vantaggi di una residenza in centri di piccole dimensioni, con ampia disponibilità di spazio e contigue ad aree di interesse naturale, e quelli di una fruizione di servizi in diverse parti del territorio metropolitano. Gentrification. È un processo connesso con i numerosi interventi di rinnovo urbano (anni ’80 e ’90) che consistono nella distruzione di interi quartieri di abitazione, posti nel centro o in prossimità di esso, e nelle loro sostituzione con complessi di edilizia di lusso, integrati con servizi qualificati, residence e alberghi di elevata qualità, destinati a ceti ad alto reddito. I fattori che la producono sono da identificare nello sfruttamento da parte dei proprietari terrieri e dai promotori immobiliari, di opportunità che si determinano. Non bisogna trascurare anche fattori sociali e culturali: i protagonisti della gentrification non vanno ricercati in modo indiscriminato fra tutti gli appartenenti ai ceti ad alto reddito, ma soprattutto tra coloro che traggono maggiori benefici da una stretta connessione con le opportunità del centro urbano, in ragione delle loro attività professionali o del loro stile di vita (managers, dirigenti pubblici ad elevata istruzione, professionisti, addetto al settore della finanza, della comunicazione, della moda dello spettacolo, etc) in conclusione tra la gentrification e la spinta alla diffusione urbana si verifica compresenza e si danno effetti di reciproco rafforzamento (l’uscita dalle zone del centro provoca una situazione di minor pressione edilizia che favorisce le operazioni di rinnovo. Viceversa il successo di tali operazioni spinge all’esterno della città la popolazione a reddito medio basso. Le nuove correnti migratorie Dinamiche e misure della segregazione La problematica dei fenomeni di segregazione si riferisce a una varietà di processi, che coinvolgono gruppi sociali di vario tipo. Due sono i tipi di segregazione: a base etnica e quella a base socioeconomica. Nello studio della segregazione etnica sono stati usati due schemi interpretativi: il primo deriva dalla scuola di Chicago, è afferma che la segregazione di un gruppo etnico è una funzione dello status sociale prevalente al suo interno. Inizialmente un gruppo di nuova immigrazione tende a collocarsi ai gradini più bassi della scala sociale, ed è costretto ad occupare i quartieri più degradati e più economici. Tali quartieri diventano aree di segregazione etnica fino a quando gli immigrati accrescono i propri redditi; una parte di essi si sposta verso aree più vantaggiose, rompendo la compattezza del gruppo e iniziando il processo di dispersione (fino al melting pot). Si adatta ai percorsi seguiti dai gruppi etnici europei. Il secondo viene designato come modello dello status etnico, in questa interpretazione i fattori etnici giocano un ruolo indipendente da quelli economici (un gruppo etnicamente omogeneo può mantenere la sua compattezza anche se sale il reddito, per conservare intatta la propria identità e i propri lineamenti culturali). Il gruppo può dotarsi di forme organizzative e di istituzioni autonome (scuole, luoghi di culto, etc). Interpreta le vicende di gruppi provenienti dal sud del mondo. Rispetto a questi due modelli, un tentativo di offrire un’interpretazione meno sommaria viene da Boal, che prende in considerazione l’ampiezza della differenza culturale che esiste tra il gruppo etnico di nuova immigrazione e quello dominante. Più è ampia tale differenza, maggiore sarà la difficoltà incontrata nei processi integrativi.(dalla dispersione, alla colonia, alla enclave volontaria o al ghetto involontario). Lo schema offerto da Boal soffre di un eccesso di semplificazione, in quanto si affida 20 ad una valutazione globale e implicitamente quantitativa delle differenze culturali tra due gruppi etnici. Un altro filone è quello delle analisi empiriche con intenti descrittivi, secondo le quali il concetto di segregazione tende ad assumere un significato più blando e puramente descrittivo: esso infatti non sottende più la presenza di cause interne o esterne a un gruppo, ma si limita a osservare la presenza, nelle città prese in esame, di schemi di distribuzione residenziale che comportino una maggiore mescolanza o separazione dei gruppi sociali o etnici (la segregazione è misurata su una scala continua). Gli indici di segregazione sono spesso usati negli Stati Uniti, per lo studio del comportamento residenziale dei gruppi etnici. Le popolazioni urbane Da leggere. Parte riguardante il lavoro svolto da Martinotti. Schemi ecologici della città postindustriale Il tentativo di individuare degli schemi spaziali sintetici era stato perseguito con tenacia dagli studiosi direttamente influenzati dalla scuola “classica” di Chicago. In epoca più recente invece la ricerca di schemi sintetici dotati di valore universale è stata in larga parte dimenticata, a vantaggio di una preoccupazione analitica: studio della morfologia sociale nei diversi contesti urbani (grazie anche alla tecnologia informatica: analisi fattoriale). Lughod, Rees e Knox, come già la Social Area Analysis di Shevky e Bell, hanno individuato i principali fattori di differenziazione dello spazio residenziale della città: Lo status sociale, che riflette la distribuzione residenziale socioprofessionali (determina un’articolazione della città in settori). Lo status familiare che riflette la diversa composizione delle famiglie nella città (dà luogo ad un modello a cerchi concentrici). Lo status etnico che riproduce fenomeni di concentrazione dei gruppi etnici (struttura spaziale per nuclei a macchie di leopardo). Fattore connesso alla stabilità o alla mobilità residenziale della popolazione nei diversi quartieri. Un uso diverso di schemi ecologici della città è quello che compare in alcuni contributi degli anni ’80 e ’90, nei quali si cerca di delineare uno schizzo ipotetico della possibile struttura residenziale della città del futuro. Un esempio viene dal lavoro di White; in esso la città Usa del XXI secolo sarà composta da: - Il cuore, senza funzioni residenziali e commerciali, ricco di funzioni del terziario superiore e di attività culturali. - La zona di stagnazione occupata da edifici obsoleti in attesa del rinnovo edilizio. - Le sacche della povertà e delle minoranze, poste ai margini della zona precedente. - Le enclaves di élite, poste in aree esterne e nelle aree centrali di pregio - Le zone della classe media, diffuse in ampie parti del territorio urbano. - Le aree delle sedi istituzionali - Gli epicentri e i corridoi (aree a sviluppo economico esterne al centro urbano, di forma compatta o assiale). Molto più suggestiva è invece l’immagine che della città futura ci offre Davis; il quale sostiene che la Los Angeles del futuro è quasi l’incarnazione di un’utopia negativa, una rappresentazione nera che supera che supera quella di Blade Runner. In essa la morfologia sociale e la stessa forma fisica della città sono definite non solo dagli effetti della speculazione edilizia e dalle operazioni fondiarie promosse dai grandi centri finanziari. Nell’immagine di Davis le parti della città si distinguono non solo per le differenze di classe e di composizione etnica, ma anche per le minacce alla sicurezza fisica dei cittadini, e per la varietà di risposte a tali minacce (polizia urbana, iniziative private). Sono previste anche zone di contenimento nelle quali sono confinati i “pericolosi”, zone di vigilanza di quartiere (ruolo attivo dei cittadini nella sorveglianza e nella repressione del crimine). Ci sono i simulatori urbani (riproducono l’ambiente urbano consolidato ricostruendo le zone più sicure. Oltre i confini dell’ampia area urbanizzata si estendono le frange tossiche dove si concentrano attività ad impatto fortemente negativo sull’ambiente naturale (industrie inquinanti) 21 Nuovi approcci all’ecologia urbana I modelli delle dinamiche ecologiche Negli studi urbani, la modellizzazione matematica è molto usata per la simulazione della dinamica economica. Provare a leggere !!!! La città come sistema auto-organizzato Gli indirizzi di analisi teorica e di modellizzazione della città non configurano un complesso teorico, ma piuttosto una gamma eterogenea di studi di diversa rilevanza. Gli aspetti salienti possono essere individuati nel modo seguente: La città è un sistema complesso, che deriva dall’interdipendenza di numerose interazioni fra attori. Tale complessità fa sì che al livello della totalità urbana si manifestino delle proprietà globali, non presenti al livello delle singole rappresentazioni. L’apparizione inattesa di tali proprietà ha la sua origine nella relativa autonomia che si determina tra livello “locale” e “globale”. A quest’ultimo livello, il sistema urbano evidenzia proprietà auto-organizzative, ossia è in grado di autoelaborare la propria configurazione interna in modo da garantire il mantenimento della propria identità. L’auto-organizzazione non implica tuttavia che il sistema urbano tenda a una condizione di equilibrio: al contrario essa evolve da una condizione di instabilità a un’altra…. Alcuni modelli di simulazione cercano di riprodurre i percorsi evolutivi che generano la forma urbana e le modalità di uso del suolo La città e il suo ambiente Ambiente esterno e ambiente interno Negli approcci sin qui esaminati si è considerata la città come se fosse un sistema dotato di proprietà analoghe a quelle di un ecosistema naturale. Tuttavia in tempi più recenti ci si sta accorgendo che la città costituisce davvero un particolare tipo di sistema biologico, con caratteri fortemente problematici. La città non può esistere e svilupparsi se non utilizzando un insieme di risorse ambientali non sempre rinnovabili. Solo negli ultimi anni si è venuta sviluppando una crescente attenzione dei sociologi per l’ambiente e questo ha prodotto anche studi che riguardano direttamente la città. Guardare schema e leggere tutto (pag 202!!!). Qualità della vita e sostenibilità della città Qualità della vita urbana: per definire la lista delle condizioni ambientali da cui dipende la qualità dell’esistenza si è fatto ricorso a tentativi di classificazione dei bisogni umani fondamentali, ai quali vengono fatte corrispondere delle aree sociali, o campi istituzionali che presiedono alla loro soddisfazione. La città sostenibile: è un obiettivo che deve essere raggiunto dal sistema urbano; in particolare è sostenibile un sistema che si dimostra capace: 1. di soddisfare i bisogni attuali dei suoi abitanti. 2. di svilupparsi secondo modalità che non danneggiano il sistema ecologico. 3. di riprodurre le risorse necessarie per il soddisfacimento di bisogni futuri. In primo luogo devono essere individuate le risorse ambientali fondamentali, di cui dispone il sistema e dalle quali dipende il soddisfacimento dei gruppi attuali e futuri (aria, acqua, suolo, fonti energetiche). In secondo luogo si tratta di definire analiticamente le attività umane che operano una “pressione” su tali risorse, utilizzandole e modificandole dal p.d.v quantitativo e qualitativo (industria, trasporti urbani, etc). Infine deve essere definito l’insieme di attori, le cui scelte influenzano le modalità d’uso delle risorse e le loro potenzialità riproduttive (pubblici e privati) Città e comportamenti Ambiente interno, istinti territoriali (esempio della spiaggia: disposizione dei bagnanti), determinismo architettonico (influenze sul comportamento sociale), spazio difendibile, spazi iperregolati e sottoregolati. Uno dei rischi che la metropoli contemporanea sembra correre è, appunto quello di vedere, al proprio interno una moltiplicazione di ambienti 22 iperregolati, intervallati da parti di città sottoregolate; tutto a detrimento dello spazio pubblico ”normale”, di quello in cui è garantita la libertà e la varietà dei comportamenti di tutti i soggetti, forti o deboli che siano. 6 VERSO UNA SOCIOLOGIA SPAZIALISTA Il livello “micro”: lo spazio dell’agire sociale La strategia teorica spazialista In questo capitolo l’angolo di osservazione è del tutto diverso; si ispira ad un complesso di contributi teorici che prendono in considerazione il rapporto tra l’azione e i sistemi sociali, da un lato, e lo spazio dall’altro (essi portano lo spazio nel cuore stesso della teoria sociologica, contribuendo allo sviluppo dell’intera sociologia, rinnovando la strategia teorica della sociologia “classica” in una direzione definita spazialista). Se facciamo riferimento all’insieme della sociologia classica, occorre ammettere che il rapporto tra la dimensione sociale e quella spaziale non è oggetto di particolare considerazione (non include le variabili spazio-temporali nella propria struttura esplicativa). La strategia teorica spazialista rovescia questa impostazione. I fenomeni sociali sono posti in essere dalla combinazione di un insieme di azioni e di esperienze compiute da una molteplicità di attori, individualmente o collettivamente. (tali azioni non si compiono in un vuoto pneumatico, ma nell’ambito di situazioni ben definite e inevitabilmente connotate da riferimenti spaziali e temporali). L’azione situata, il corpo e lo spazio La concezione dell’azione ha consentito l’elaborazione di teorie astratte e formalizzate, dotate di ampio potere esplicativo soprattutto in campo economico. La teoria dell’azione situata, proposta da Suchman, insiste sul fatto che un corso d’azione intelligente si sviluppa in stretto rapporto con le circostanze presenti nella situazione e opera un continuo adattamento a esse. Il soggetto non solo cerca di reperire nella situazione gli strumenti meglio adeguati ai propri fini, basandosi sulle informazioni di cui dispone, ma è anche disposto a negoziare i fini stessi in base agli stimoli provenienti dalla situazione, modificandoli, precisandoli, ecc. questa concezione non sostiene che, nell’agire, il soggetto non formuli dei piani; afferma però che tali piani sono attivati nel corso stesso dell’azione e a contatto con una situazione “locale”. Allargando poi l’orizzonte per comprendervi altri contributi, non è difficile trovare ulteriori strumenti concettuali per un’interpretazione dell’agire sociale in cui abbiano forte peso le variabili fisiche e spaziali e il soggetto stesso. Schilder propone il concetto di schema corporeo: è l’immagine tridimensionale che ciascuno di noi ha di sé stesso (in base ad un complesso di sensazioni di varia natura: visive, tattili, etc). E’ la percezione dell’unità del corpo. Un secondo concetto è quello di orientamento spaziale. A partire dallo schema corporeo, l’identificazione di elementi nello spazio circostante e la definizione di punti di riferimento sono presupposti essenziali del comportamento. La capacità di orientamento viene acquisita anche tramite un processo di progressiva familiarizzazione con lo spazio. Si potrebbe dire che persone di culture diverse abitano dei mondi sensoriali distinti, in quanto la loro esperienza dello spazio è filtrata da “griglie” culturali, capaci di selezionare in modo difforme gli stimoli sensoriali che pervengono dall’ambiente. Hall propone una nuova linea di ricerca psico-antropologica, denominata prossemica. Con questo termine, si intende designare le osservazioni e le teorie che concernono l’uso dello spazio nell’uomo, inteso come una specifica elaborazione della cultura. Un aspetto molto noto dell’analisi di Hall è quello relativo al ruolo della distanza fisica nella definizione della natura dell’interazione sociale, presso i ceti medi statunitensi. Egli distingue: 1. Distanza intima (dal contatto fino a 45 cm di distanza): la presenza dell’altro è invadente e sin troppo coinvolgente, per l’intensificarsi degli apporti sensoriali. A meno di motivi di particolare intimità, è percepita come un’intrusione inopportuna. 2. Distanza personale (da 45 a 120 cm): potrebbe essere rappresentata come una sorta di piccola sfera protettiva che separa un soggetto dagli altri in una fase in cui non c’è contatto corporeo, ma vi è la possibilità di instaurarlo facilmente. 23 3. Distanza sociale (da 1,2 a 3,6 m): il contatto fisico non è più possibile, se non a patto di uno sforzo speciale, e i dettagli del viso dell’interlocutore cominciano a essere meno percepibili. La conversazione avviene con un tono di voce “normale” e tocca argomenti impersonali. 4. Distanza pubblica (da 3,7 a 7,5 m): è nettamente al di là della sfera del coinvolgimento personale ed è sufficiente ampia da consentire un’azione di fuga o difesa in caso di minaccia, la voce è alta e il modo di parlare tende a diventare formale. Il comportamento in pubblico Lavoro svolto da Goffman, che ha a che fare con le regole che guidano il comportamento quotidiano degli attori sociali, specie nelle conversazioni e nelle interazioni faccia a faccia. Egli elabora concetti di forte rilevanza; alcuni si riferiscono ai territori del sé. Goffman considera molto importante il riconoscimento di uno spazio personale (circostante un individuo e compreso entro una distanza dal soggetto analoga a quella che Hall chiama distanza personale). Il posto è invece uno spazio esterno ben definito (sul tram, cabina telefonica) che viene rivendicato temporaneamente, in quanto non può essere condiviso con altri. Il territorio di possesso è costituito da un insieme di oggetti che possono essere identificati con il soggetto e che sono disposti intorno al corpo (guanti, cappello, etc). I contrassegni sono invece oggetti che segnalano la rivendicazione di un territorio o ne delimitano i confini (borsa sul sedile di un tram, divisorio in cassa al supermercato, etc). Le forme e l’estensione dei territori del sé varia in funzione delle culture, ma anche dell’età e della classe sociale. Le violazione degli spazi rivendicati da un soggetto sono dette offese territoriali: possono avere luogo attraverso l’intrusione diretta di un altro soggetto, o indiretta (voce alta). Uno spazio che circonda l’individuo, ma è più ampio di quello personale, è detto da Goffman Umwelt o ambiente circostante (contorno del soggetto al cui interno si trovano e hanno origine i segni d’allarme che egli può percepire e anche le fonti dell’allarme); anch’esso si sposta. Poi introduce una serie di concetti che si riferiscono a comportamenti stereotipati del soggetto, messi in atto nel corso delle interazioni in pubblico e, in alcuni casi, riferiti all’uso dello spazio e ai movimenti del corpo. Possiamo citare le glosse del corpo: corrispondono a comportamenti ostentati ed evidenti che servono a favorire un’interpretazione benevola del proprio agire, evitando equivoci o fraintendimenti che potrebbero essere fonte di imbarazzo o di giudizio negativo (esempi a pag 223). Le cornici spaziali dell’azione L’attore sociale è costantemente rivolto a operare in un contesto spaziale in modo tale da conferire alla propria azione un significato comprensibile da parte degli altri attori, cercando di prevederne le reazioni ed evitando di generare equivoci e interpretazioni sfavorevoli. Per agire efficacemente in una situazione configurata nello spazio e nel tempo, i soggetti devono continuamente operare un’interpretazione della situazione medesima, cercando nel contempo di porre tale interpretazione in sintonia con quelle che si suppone diano gli altri, a partire dai soggetti effettivamente compresenti. L’idea di cornice corrisponde a un concetto proposto da Goffman (frame). Frame può essere definito in generale come una cornice simbolica che rende unica una determinata situazione sociale, delimitandola rispetto ad altre situazioni. All’interno di questa cornice, ciò che fanno gli attori acquista un senso specifico. Particolarmente significativo è l’esempio delle cornici che distinguono le situazioni scherzose nelle quali “si fa per gioco” da quelle in cui “si fa sul serio” (in questo caso, la cornice può essere costituita di elementi puramente immateriali: vale a dire di segnali comunicativi o metacomunicativi). In altri casi a definire il frame possono concorrere anche elementi spaziali dell’ambiente, e anche coordinate temporali (esempio della ribalta e del retroscena). La città è un ambiente particolarmente denso di segni che aiutano a definire le cornici dell’azione: i suoi spazi sono scanditi da divisioni funzionali, sono pieni di simboli architettonici “forti” e di elementi di arredo, spesso costruiti proprio allo scopo di trasmettere messaggi che incanalino i comportamenti. Inoltre la varietà dei soggetti compresenti, e delle culture di cui essi sono portatori, conduce spesso a discordanze e a conflitti nella interpretazione delle cornici. Il livello “meso”: l’interazione sociale nello spazio Interazioni in compresenza e a distanza 24 Il livello “meso” vede come oggetto fondamentale di interesse l’interazione tra più soggetti agenti, nonché le relazioni che vengono a definirsi per effetto di tale interazione e della sua ripetizione nel tempo. Per interazione si intende, in generale, una relazione tra due o più soggetti, nel corso della quale questi ultimi modificano reiteratamente i rispettivi comportamenti, in modo da tener conto delle risposte degli altri soggetti, sia anticipandole, che adeguandosi a esse dopo che sono state messe effettivamente in atto. Essa implica uno scambio di messaggi che non necessariamente si svolge in modo del tutto consapevole. Lo scambio dei messaggi implica l’emissione e la ricezione di segnali, cui vengono fatti corrispondere dei significati attraverso la mediazione di un codice di comunicazione, il quale si compone di un insieme di simboli e di regole per la loro combinazione. Ovviamente serve un canale attraverso il quale trasmettere il messaggio. Si distingue tra interazione in compresenza (messaggi attraverso l’uso del corpo), e interazione a distanza (serve la tecnologia…). Il mezzo di comunicazione non è neutrale nei confronti della natura dell’interazione, ma influisce talora notevolmente sulle modalità con cui essa si attua. Le situazioni di compresenza consentono agli attori di usare contemporaneamente più codici di comunicazione. Riferimenti al flaming: uso di un linguaggio scortese e di modalità brusche e maleducate (chat…) Il coordinamento delle interazioni La maggior parte delle interazioni ha un carattere casuale e contingente; però in ampia parte hanno un carattere ripetuto ed intenzionale. Giddens definisce integrazione l’instaurarsi di questa trama di rapporti di rapporti di interdipendenza e di reciprocità. Lockwood distingue tra integrazione sociale (reciprocità che si stabilisce in contesti di compresenza), e integrazione sistemica (interconnessioni con coloro che sono fisicamente assenti nel tempo e nello spazio). Una routine è una striscia di azioni, ovvero una sequenza fissa, predisposta in modo tale da ottenere in partenza effetti di coordinamento spazio-temporale. I supporti artificiali vanno intesi come una strumentazione sociale, che comporta l’applicazione di metodi codificati e l’uso di tecnologie che, a loro volta, presuppongono conoscenze relativamente sofisticate. Si possono distinguere due tipi essenziali di supporti: gli emblemi simbolici (moneta) e i sistemi esperti (campo dei trasporti e delle comunicazioni). La città è un luogo in cui la presenza di emblemi simbolici e di sistemi esperti si concentra in modo del tutto particolare. Anzi, la città nel suo complesso potrebbe essere considerata come una sorta di supporto al coordinamento dell’interazione. Ambiti locali e regionalizzazione Differenza tra punti (luoghi ben individuabili nello spazio fisico proprio di un sistema locale, in cui si compiono particolari tipi di interazione) e ambiti (tempi sociali in cui si attuano forme peculiari di interazione). Giddens ha elaborato due importanti concetti: il sostantivo locale (luogo o scena di specifici avvenimenti), che si differenzia dal più generico place (che richiama solo l’idea di un posto nello spazio). Sempre in Giddens l’ambito locale è definito come una regione fisica coinvolta come parte dell’ambiente nell’interazione, dotata di confini definiti che contribuiscono a concentrare in qualche modo l’interazione (è un punto di riferimento in una mappa mentale e simbolica che tutti i soggetti interagenti usano in modo analogo). Augé definisce non luoghi spazi privi di identità specifica e ad alta standardizzazione (supermercati, aeroporti, stazioni): costituiscono uno spazio che non crea identità né singola né relazionale, che non integra nulla, autorizza solo la coesistenza di individualità distinte, simili e indifferenti le une alle altre. Giddens parla poi di regionalizzazione per indicare la differenziazione spaziale, temporale o spazio-temporale di regioni, in un ambito locale o fra un ambito locale e un altro (designa un processo che si compie in ogni società e ad ogni livello, anche se con modalità differenti). Alcuni esempi vengono dall’alloggio (si distingue in parti, nelle quali l’interazione assume tonalità distinte…), dalla città (divisa in quartieri, a loro volta divisi in spazi pubblici, privati, di lavoro, di residenza, di con sumo). Alle regioni spaziali si sovrappongono poi quelle temporali (la piazza di giorno è differente dalla piazza di notte) Il livello “macro”: reti sociali e società locali Le reti sociali e il loro spazio Un contributo importante viene dalla network analysis, che ha alle spalle una tradizione che risale ai ’50. Barnes si serve del concetto di rete sociale per descrivere la struttura di relazioni di conoscenza diretta tra gli abitanti. Hannerz 25 distingue poi tra rete egocentrata, parziale, egocentrata parziale. Si fa poi riferimento a concetti quali densità (rapporto tra relazioni effettive e potenziali), intensità, legami (forti e deboli). Le reti ad alta densità si avvicinano al modello comunitario, quelle a bassa densità al modello societario. Le società locali Il termine società è solitamente usato per indicare una collettività umana organizzata in modo sufficientemente stabile e considerata nella globalità delle relazioni che la riguardano. Dickens distingue tra società locale (dimensione sistemica della vita sociale) e ambito locale (spazio fisico, socialmente connotato dalle relazioni sociali che vi si svolgono). La società locale, dunque, è un sistema; essa manifesta una coerenza interna capace di conferirle delle proprietà autoorganizzatrici e un’identità riproducibile nel tempo, anche se ciò non implica in alcun modo che l’identità rimanga invariata, né che sia assente il conflitto tra soggetti individuali o tra organizzazioni appartenenti al sistema. Integrazione orizzontale e verticale L’integrazione orizzontale: processo che produce l’integrazione di reti parziali di diversa natura sul piano locale, ovvero a scala urbana. In tal modo le reti si sovrappongono e si condensano, stabilendo canali di collegamento tra soggetti eterogenei e definendo, sul piano spaziale, contatti e sinergie tra ambiti locali differenziati (rete delle reti) L’integrazione verticale: processo che produce l’integrazione di ciascuna rete parziale, riferita a un contesto urbano, con altre reti della medesima natura in un contesto spaziale più allargato. Così le reti locali si prolungano verso l’esterno, stabilendo connessioni tra soggetti operanti a scala urbana e soggetti con più ampio raggio d’azione (città come contenitore di nodi locali di reti globali).