LA COMUNICAZIONE DELLA
VERITA’ AL MALATO
La relazione con il paziente: i
contenuti e il fine
La verità al malato in chirurgia
T. Pazzaia
Savigliano, 22 maggio 9 e 23 Novembre 2012
PREMESSA
• Una diagnosi errata, l’insuccesso, la complicanza,
l’evento avverso o l’evoluzione negativa di una
malattia, fino a qualche decennio fa accettati
comunemente come un qualcosa di inevitabile, insiti
e compresi sia nella concezione fatalistica della vita e
della sopravvivenza umana , che della scienza
medica, un tempo tutt’altro che lontano rispettata,
sebbene piena di incertezze e caratterizzata dalla
fallibilità, possono avere conseguenze giuridiche
gravissime, soprattutto in campo oncologico
PREMESSA
• La prestazione medica, come tutte le attività
cosiddette intellettuali, non presenta l’obbligo di
risultato, ma quello di porre in atto tutti i mezzi a
disposizione per adempiere al meglio e con impegno
l’opera che si è chiamati a compiere. Va tuttavia
sottolineato come la responsabilità professionale sia
mutata negli anni, dalla forma affatto
extracontrattuale a quella contrattuale, e il
malato/creditore reclama per l’eventuale danno
subito, e spetta al debitore/medico l’onere di
dimostrare che l’inadempimento della prestazione è
stato determinato da cause a lui non imputabili.
IMPATTO DELLA DIAGNOSI
• La diagnosi di neoplasia genera, in chi ne è colpito e
nei suoi familiari, una profonda crisi e uno
sconvolgimento emotivo legato all’incognita
dell’evolversi della malattia e alle conseguenze
funzionali ed estetiche dell’intervento chirurgico
• Le neoplasie della testa e del collo hanno un
notevole impatto psicologico perché colpiscono una
parte del corpo che, più di altre, è immediatamente
visibile all’esterno ed è carica di significato simbolico
e comunicativo
INFORMAZIONE
• La doverosa, necessaria e corretta informazione del
paziente si ripercuote necessariamente e
immediatamente nella successiva fase
dell’acquisizione del consenso. Secondo la
Cassazione (Pen. Sez. VI, 21.03.1997 n. 137)
“…l’informazione non costituisce un “quid”
eventuale, ma una imprescindibile integrazione della
prestazione sanitaria…”.
IL “CONSENSO INFORMATO”
• L’espressione “informed consent” è stata
traslitterata in modo grossolano ed ambiguo
nella locuzione “consenso informato”, anziché
nella forma più corretta ed esplicativa
“informazione per il consenso”; ciò ha
erroneamente promosso il concetto che
l’informazione sia un connotato implicito nel
principio del consenso, ed in esso conglobato.
IL “CONSENSO INFORMATO”
• L’informazione quindi rappresenta il
necessario presupposto etico e giuridico per
ottenere il consenso, e risulta estremamente
importante in quanto attiene alla qualità e alla
profondità del rapporto medico-paziente,
rientrando nella cosiddetta pre-contrattualità
(art. 1337 del Codice Civile).
IL RAPPORTO CON IL PAZIENTE
• Il work-up diagnostico, la pianificazione del
trattamento terapeutico, l’esecuzione di un
intervento chirurgico, fanno parte del bagaglio
tecnico che anni di studio, di pratica sul campo, di
aggiornamento professionale, ci consentono di
affrontare con competenza.
• Comunicare con un paziente . . . . . . . è molto
importante aver avuto dei buoni Maestri, e aver
fatto tesoro del loro esempio, essere aperti
all’ascolto e generare un feed-back interiore
costante con le esperienze precedenti.
IL RAPPORTO CON IL PAZIENTE
• E’ pertanto necessario “sintonizzarsi”, nel più breve
tempo possibile, con il livello di comunicazione
dell’interlocutore, comprenderne l’atteggiamento e
indagare il vissuto di precedenti esperienze dirette o
indirette, scandagliare l’ambiente familiare
(conflittualità, supporto collaborativo, indifferenza,
etc.), il contesto sociale, al fine di poter stabilire
l’approccio più immediato ed efficace.
• Figura in questo ambito determinante, ma purtroppo
troppo spesso poco coinvolta, è quella del MEDICO DI
FAMIGLIA, che meglio di chiunque altro conosce il
paziente e il suo ambito socio-familiare.
IL RAPPORTO CON IL PAZIENTE
• Importante è chiarire in modo esplicito e
inequivocabile con il paziente se questi voglia
restare interlocutore esclusivo, o se voglia
condividere l’atto informativo con i familiari, e se
in particolare ritenga di individuare un
interlocutore alternativo privilegiato, o intenda
escludere qualche altro soggetto. E’ spesso
possibile farsi un’idea abbastanza precisa durante
la fase diagnostica, durante la quale paziente e
familiari possono essere osservati e si possono
intravedere le dinamiche interpersonali.
IL RAPPORTO CON IL PAZIENTE
• Ritengo non corretto, anzi pericoloso, fornire
anticipazioni riguardanti l’ipotesi diagnostica, ed
è prudente evitare di inoltrarsi in dettagli inerenti
le strategie terapeutiche senza disporre di dati
oggettivi; una eventuale sovra o sottostima della
gravità della malattia, e quindi la necessità si
dover successivamente “correggere il tiro” e
rimangiarsi affermazioni fatte
intempestivamente, esporrebbe inutilmente
all’incrinarsi del necessario rapporto di fiducia fra
medico-paziente-familiari.
IL RAPPORTO CON IL PAZIENTE
• L’eventuale ricorso a indagini diagnostiche più
approfondite, che il paziente a giusto titolo
interpreta come segno di maggiore gravità
della sua malattia, è opportuno spiegare che
oggigiorno fanno parte nella routine
diagnostica nella maggioranza dei casi,
rinviando al completamento del work-up
diagnostico ogni considerazione in merito.
IL RAPPORTO CON IL PAZIENTE
• Molto dipende poi dal fatto che la “verità da
comunicare” comporti una o più opzioni
terapeutiche, una prognosi molto o poco
favorevole, o completamente sfavorevole,
un’intervento più o meno demolitivo, il rischio
di complicanze postoperatorie e di esiti
chirurgici più o meno invalidanti, una
convalescenza e un periodo di riabilitazione
complessi e irti o meno di ostacoli.
IL RAPPORTO CON IL PAZIENTE
• Nella maggioranza dei casi, inoltre, è difficile
fornire una informazione corretta, completa e
equilibrata riguardante le opzioni terapeutiche
senza esercitare pressioni, anche involontarie,
legate allo specifico ambito di competenza
specialistica.
• Alla fine del colloquio, il paziente in genere
conclude: “e lei che cosa mi consiglia di fare?”
QUAL E’ IL MIO ATTEGGIAMENTO
• Fisso il colloquio dopo aver accuratamente studiato e
discusso la documentazione clinica con i collaboratori, in
particolare con colui che ha in carico il paziente.
• Agevolo la presenza del/dei familiari con i quali il
paziente desidera condividere l’informazione.
• Condivido il momento informativo con le figure
professionali che da quel momento in poi si faranno
carico delle cure e dell’assistenza.
• In caso di opzione chirurgica, pianifico prima del
colloquio la data dell’intervento, così da fornire al
paziente una risposta precisa e definita temporalmente.
QUAL E’ IL MIO ATTEGGIAMENTO
• Visito di nuovo il paziente alla luce dei risultati degli
esami (ritengo determinante il contatto fisico).
• Mi avvalgo, quando necessario a fini esplicativi, di
schemi o disegni per favorire la comprensione della
tecnica chirurgica proposta.
• Mi rendo disponibile a incontri successivi, con il
paziente e/o familiari espressamente da lui delegati,
per integrare l’aspetto informativo o dirimere dubbi.
• Alla fine del colloquio stilo una relazione sintetica, ma il
più possibile esaustiva, per il Medico di Famiglia.
• Se sussistono ancora dubbi, lascio al paziente la
documentazione e qualche giorno per riflettere.
QUAL E’ IL MIO ATTEGGIAMENTO
• NO ad atteggiamento paternalistico o, peggio, pietistico.
• SI’ alla netta partecipazione e solidarietà, ma con
atteggiamento propositivo.
• Guardo il paziente negli occhi, per fargli sentire che in
quel momento è soggetto attivo, non oggetto.
• Pongo estrema attenzione al linguaggio non verbale e
nella scelta delle parole.
• Non banalizzo mai la diagnosi e cerco di non peccare di
presunzione.
• Tengo presente che siamo nell’era di internet, e spesso il
paziente, o qualcuno dei familiari, si è già documentato.
QUAL E’ IL MIO ATTEGGIAMENTO
• Cerco sempre di sottolineare gli aspetti positivi, o
comunque “meno negativi”: in caso di intervento
mutilante, una degenza più breve e una ripresa più
rapida della alimentazione orale rispetto ad una
chirurgia conservativa; al contrario, in caso di
intervento conservativo, ma gravato da una fase
riabilitativa potenzialmente complessa e gravosa,
vengono sottolineati la temporaneità della
tracheostomia e il progressivo ripristino di una
funzionalità d’organo, comunque alterata, ma
compatibile con una vita di relazione piena e
soddisfacente.
CONCLUSIONI
• Solo se durante l’iter diagnostico saremo
riusciti a creare un solido rapporto di fiducia
con il paziente e con i suoi familiari, potremo
addentrarci nel percorso, spesso intricato,
delle opzioni terapeutiche .
• Potremo così affrontare le successive e
conseguenti tappe, che condurranno alla
formulazione del consenso e all’intervento
chirurgico.
CONCLUSIONI
• Non esiste una “ricetta standard” per comunicare
la verità al malato, ma si può in sintesi concludere
che non importa che il paziente sappia molto, ma
IMPORTA CHE SAPPIA BENE E IL MASSIMO
COMPRENSIBILE DI TUTTO CIO’ CHE RIGUARDA IL
SUO PROBLEMA DI SALUTE: tutte le possibili e
ritenute necessarie tappe diagnostiche, inclusi
rischi e complicanze ad esse correlate; raggiunta
la diagnosi, l’informazione si concentrerà sulle
strategie terapeutiche, sui rischi, sulle possibili
complicanze, sugli esiti funzionali ed estetici da
esse derivanti.
CONCLUSIONI
• Ciò che è soprattutto importante è che il
paziente si senta “preso in carico” durante
tutto il percorso diagnostico, terapeutico, nel
follow-up postoperatorio e nell’eventualità di
un insuccesso terapeutico, che non si senta
mai abbandonato a sé stesso, che non si lesini
nel chiarire via via tutti i dubbi che
manifesterà nel tempo, tenendo sempre ben
vivo nella nostra mente il concetto che
curiamo persone malate, e non malattie.