Disagio Giovanile Dott.ssa Maria Riello L’adolescenza E’ un’età di passaggio dall’assetto familiare (caratterizzato da protezione e dipendenza da figure idealizzate)all’assetto sociale (piu’ legato al gruppo e alla sessualità) Di trasformazione del corpo da infantile a sessualizzato Di tematiche di morte (lutto e controllo) Compiti evolutivi Un compito si trova a meta’ strada tra un bisogno individuale e una richiesta sociale, ha la funzione di mettere alla prova e di stimolare il ragazzo a superare positivamente la fase di sviluppo in cui si trova Compiti dell’adolescente Sapersi adattare a rapidi cambiamenti somatici Accettare le proprie pulsioni e padroneggiarle secondo valori condivisi Sviluppare indipendenza ed autonomia Operare scelte relative ad un proprio sistema di valori Saper instaurare e mantenere rapporti coi coetanei Partecipare a gruppi Stabilire un’interazione adeguata con le istituzioni sociali (scuola, lavoro..) Progettare il proprio futuro Oggi è molto arduo distinguere tra uno sviluppo normale e uno sviluppo che tendi al disagio. Sarebbe più corretto interpretare il disagio giovanile non come uno stato, ma come un processo, un percorso tra le difficoltà, che va gestito mettendo a frutto le proprie risorse e le opportunità offerte dall’ambiente. Fattori di rischio Problematiche familiari Dispersione scolastica Educazione “abdicata” Marginalita’ socio-economica Carenti offerte di aggregazione Gruppo dei pari devianti Degrado urbano Società “tossicomanica” Malessere scolastico I giovani vivono la scuola come luogo dove apprendere competenze cognitive, sempre meno come luogo di relazioni e di amicizie. La scuola tende a privilegiare la crescita psicofisica della persona senza prendersi cura degli aspetti emozionali dell’adolescente. Il disagio non patologico ha caratteri non persistenti nel tempo, polimorfi, che non compromettono l’adeguamento alla realtà, non interferiscono con il generale sviluppo della persona, non procurano eccessiva fatica emotiva. Sintomi del disagio Isolamento, apatia, ansia Condotte auto-lesionistiche (comportamenti rischiosi, disturbi alimentari, consumo di droghe ed alcool..) Bullismo (rapporto vittima-carnefice) Devianza (violenza quasi sempre collettiva) Segnali d’allarme Tristezza, pianto Stanchezza, svogliatezza Aumento o diminuzione di sonno Aumento o diminuzione dell’appetito Cambiamenti repentini di umore, irritabilità Litigiosità, mutismo Sensi di colpa Riduzione dell’autostima Assenza di progettualità Allusioni alla morte nei temi e in altri scritti Diminuzione della capacità di concentrarsi e prendere decisioni Noia, calo dell’attenzione Peggioramento del rendimento scolastico Disattenzione, distraibilità in classe Abbandono delle attività sociali, isolamento Perdita di interessi sociali e sportivi Improvviso disinteresse per la vita di relazione Comportamenti a rischio (correre in moto, sport estremi..) Uso di droghe, alcol, psicofarmaci Negligenza nella cura dell’igiene e dell’aspetto personale Malesseri fisici frequenti IL DISAGIO GIOVANILE è un fenomeno assai diffuso nella società moderna. Spesso sfocia in comportamenti gravi e autolesivi come: la violenza individuale o di gruppo, uso di sostanze stupefacenti, alcool, gare spericolate talvolta mortali e altri atteggiamenti che violano le più elementari norme di comportamento, peraltro puniti dalla legge. A ciò si aggiunge la crisi della famiglia non più punto di riferimento, ma, con il passare del tempo, divenuta una sorta di comunità allargata ad altri membri; spesso destinata a destabilizzare gli adolescenti che ne fanno parte. I fattori predisponenti sono di varia natura: il consumismo sfrenato, la globalizzazione, i mass-media, l’ingordigia e l’odio. Naturalmente non è da trascurare il modello di società che ci viene imposto, che non deriva dalla logica evoluzione dei modelli della tradizione, ma piuttosto da modelli prestabiliti e “forzatamente” inculcati dai mezzi di comunicazione di massa, da falsi miti, dalla pubblicità e da stereotipi che lasciano poco spazio alla fantasia e alla creatività individuale Il termine disagio esprime, dal punto di vista psicologico, una condizione di malessere fisico e psichico determinata da fattori frustranti che impediscono o rallentano il normale svolgimento del processo di socializzazione del soggetto in età evolutiva. Questo status è dato, in generale, dal rapporto che intercorre tra: 1. le prove che il giovane deve affrontare nella sua difficile transizione verso l’età adulta, cioè quei fatti, impegni, tappe, che caratterizzano i compiti evolutivi e che si manifestano in rapporto alle diverse fasi di sviluppo della persona; 2. i condizionamenti derivati dal confronto con la società post-industriale. Quest’ultima, detta anche società complessa, caratterizzata da una vastissima differenziazione strutturale e culturale, dal totale caos e dalla mancanza di punti di riferimento; 3. i fattori-rischio, cioè tutte quelle problematiche (familiari, culturali, socioeconomiche, input nocivi dei mass-media), che possono determinare casi in cui il disagio tende a sfociare nel disadattamento. Il nodo centrale è legato al bisogno di realizzazione dell’individuo; il dare senso alla vita; l’aumentare le proprie competenze sviluppando le proprie attitudini ed esercitando il proprio talento, la stima di sé, consolidando, così, il senso d’identità, di personalità. Due conquiste, queste, fondamentali e vitali per lo sviluppo psicologico del soggetto ma che paradossalmente vengono messe in dubbio dalle inadempienze delle agenzie formative tradizionali che, con la loro azione inefficace, alimentano un clima di sfiducia e di insicurezza nel bambino. Nella famiglia un atteggiamento coerente, che integri l’azione di sollecitazione, di conferme psicologiche all’operato del bambino, atteggiamenti, cioè, che consentano di soddisfare le continue curiosità, correggendo e spiegando gli errori e incrementando, così, la crescita della consapevolezza dei propri mezzi, non può che favorire l’aumento del senso di autostima e le spinte motivazionali del soggetto. Al contrario un atteggiamento iperprotettivo o troppo autoritario dei genitori nei confronti del bambino non può portare che a stati di frustrazioni, infantilismo affettivo, instabilità, ansia ed isolamento, che possono sfociare in atti di aggressività. Il bambino, quindi, percepisce se stesso in rapporto al tipo di reazioni dell’ambiente familiare verso di lui, elaborando un’immagine di sé positiva o negativa. Gli atteggiamenti genitoriali, esercitano indubbie influenze su tale processo, favorendo il riconoscimento nel figlio di stati emotivi, bisogni, impulsi, desideri valutati positivamente o negativamente. Un’azione educativa malsana della famiglia può portare ad una visione negativa della vita, ad una mancanza di prospettiva, ad una chiusura su se stessi. Le radicali e rapide trasformazioni dell’organizzazione produttiva hanno spiazzato completamente la Scuola che è diventata una fabbrica delle illusioni, non riuscendo a dotare il giovane di quei mezzi per affrontare il lungo e difficile cammino nella giungla della globalizzazione. Nell’era dell’economia globale, il disagio giovanile è esasperato a causa di un processo di socializzazione sempre più defamiliarizzato e descolarizzato, connotato com’è dalla invadenza e dalla prevaricazione dei mass-media. Gli errori di cui sono colpevoli famiglia e scuola con la loro inefficacia educativa, se da un lato non assolvono la televisione dal peccato di condizionare negativamente i giovani utenti, dall’altro ne hanno accresciuto l’importanza. E’ dimostrato come l’eccessiva esposizione al video, a prescindere dagli aspetti contenutistici dei messaggi, costituisce già di per sé una condizione sufficientemente nociva per la formazione della personalità. Infatti, non possiamo non rimarcare che l’esasperata partecipazione allo spettacolo televisivo attenti continuamente alla vita fisica e psichica mietendo sempre più vittime, specialmente tra i giovani utenti il cui comportamento affettivo-emotivo viene danneggiato in maniera, talvolta, irreversibile. Il soggetto che si nutre smodatamente di immagini televisive, manifesta, modalità reattive permeate da introversione, asocialità, da una povertà di interessi e da un disimpegno verso le varie attività. L’influenza della tv diventa catastrofica se si tiene conto delle forti dosi di violenza somministrate giornalmente dai vari programmi. Il soggetto, metabolizzando la violenza assorbita attraverso il piccolo schermo, rimane condizionato nei suoi rapporti intra ed eterofamiliari con atteggiamenti molto spesso aggressivi, ansiosi, timorosi, o d’indifferenza verso la sofferenza altrui. Assistiamo, così, ad una sovraeccitazione dell’intero fronte sensoriale che condiziona sfavorevolmente il comportamento d’apprendimento del bambino, per il quale è facile lo scambio dell’immaginario con il reale. Alla prevaricazione che il mezzo televisivo attua sulla formazione della personalità del soggetto in età evolutiva sono da sommare anche i condizionamenti negativi determinati, a partire dagli anni ’80, dal rapporto che s’è venuto ad instaurare tra il sistema dell’informazione con le connesse tecnologie audiovisive, informatiche e telematiche. I nuovi media, con la loro pervasività di informazioni provocano un’estensione dello spazio ed una polverizzazione del tempo, accompagnate dalla trasformazione sensoriale, da un tipo di sistema oraleuditivo, ad uno prevalentemente visivo e cinestico, intaccando non solamente i comportamenti individuali, ma anche ogni settore della vita comunitaria (famiglia, scuola, lavoro, tempo libero) trasformando il “come”, il “dove” e il “che cosa fare”. Quindi, con il passaggio dall’era post-industriale all’era della comunicazione, l’informazione assume la configurazione di vera e propria risorsa su cui si possono costruire i nuovi equilibri sociali, ma può comportare danni collaterali, come la diffusione di una monocultura che appiattisce le differenze e le caratteristiche proprie di ogni identità personale e di gruppo. Un pensiero, cioè, unidirezionale, che tende a comprimere gli spazi della creatività, ad uniformare, omogeneizzare, a prescrivere atteggiamenti e condotte ad un uomo sempre più eterodiretto, che pensa ed opera sotto dettatura, dalla personalità estremamente fragile per i deboli legami che mantiene con il proprio passato. Occorre riscoprire i valori del senso di appartenenza, oggi indebolito per altro da un ambiente urbano che assume i caratteri della repressione, dell’aggressività e del nonsenso. I giovani di oggi vivono un disagio da città che genera forme di solitudine rendendoli stranieri in patria. Le loro esperienze sono impoverite e segregate da uno spazio fisico che, lungi dal configurarsi quale campo di contatto affettivo, è privo di una qualunque forza di attrazione emotiva. Ecco perché i giovani spesso si rinchiudono in un mondo artificiale, virtuale, ricorrendo alla video socializzazione quale rimedio alle difficoltà dei rapporti relazionali. Un tipo di socializzazione, quest’ultima, che, fondamentalmente, è il risultato dell’indebolimento delle agenzie educative tradizionali il cui approccio con i new media si è mosso lungo i sentieri di una continua fluttuazione fra la disponibilità al nuovo e la difesa della tradizione. Le strutture educative, intrise come sono a condotte moralistiche o diagnostiche, all’emissione di giudizi e all’adozione di comportamenti freddi o direttivi, devono, pena il fallimento della loro ragione sociale, saper avviare, mantenere o ripristinare un rapporto di empatia con il mondo giovanile. Solo ristabilendo quel processo relazionale di comunicazione tra le parti potremo nutrire la speranza di vincere la sfida con il disagio giovanile, anticamera di condotte antisociali e criminali.