Per le strade di Roma…
La città di Roma, ha magnifici edifici, immensi palazzi, raffinate case, bagni, tempi,
archi e teatro. I palazzi sono costruiti di sassi e mattoni tenuti insieme da cemento e
ferri.
Gli edifici più importanti venivano costruiti sotto commissione degli Imperatori
e dalla più ricca, nobili. Molti di questi edifici erano ricoperti di un sottile strato di
marmo, che brillava alla luce del sole.
Nel centro vi erano molte piazze e spazi aperti chiamati fori. Vennero costruiti in
diverse epoche e dedicati agli Imperatori. La più antica e la più importante era il
foro di Roma, ritenuto il centro dell’impero. Vi era anche il foro della pace costruito
dall’Imperatore Vespasiano. Era una piazza silenziosa dove era stata costruita
anche una biblioteca per chi voleva leggere in pace.
I romani si recavano alla Basilica, sede economica e amministrativa. Ad
esempio, alla Basilica Amelia si occupavano di affari tipo il cambio del denaro.
Al Senato si riunivano gli uomini più importanti di Roma per discutere del
governo dell’Impero. Gli ambasciatori stranieri potevano assistere alle sedute del
Senato da una piattaforma posizionata giusto di fronte.
Augusto, primo Imperatore di Roma e
nipote di Giulio Cesare, fece costruire un
arco. Come lui molti altri imperatori fecero
costruire archi per celebrare le proprie
vittorie.
Nel tempio delle Vestali, a pianta
rotonda, bruciava perennemente un fuoco, di
cui si occupavano le sacerdotesse. I
sacerdoti portavano animali per offrirli in
sacrificio. Dopo averli scuoiati, un esperto
esaminava le interiora. I Romani credevano
di poter conoscere in questo modo se in
battaglia avevano il favore degli Dei.
L’ARCO DI AUGUSTO
IL FORO DI ROMA
Le domus romane
All’interno delle “domus” romane vivevano gli uomini più ricchi e
famosi di Roma assieme alle loro famiglie, ai lori schiavi e servi. Le
case sono comode e immense nonostante sembrino piuttosto spoglie e
fredde d’inverno per la loro pavimentazione in pietra e i patii aperti.
Le case dei nobili avevano una struttura solida ed erano ben protette
per tener lontani i ladri. Avevano alte mura con piccole finestre nella
parte alta. Solo una porta si affaccia sulla strada. E’ molto solida ed
ha una grande serratura e uno schiavo che la controlla.
L’acqua arriva alla casa dall’acquedotto principale e viene pagata in
base alla dimensione della condotta. Un’altra grossa condotta porta
via le acque di scarico.
I poveri invece vivono in piccole case o appartamenti soggetti spesso a
incendi. Per questa ragione non potevano avere fornelli o cucine ai piani
alti.
Il padre della famiglia, “Pater Familias”, è il padrone della casa. Tutti
dovevano obbedirgli specialmente i figli, sia legittimi che illegittimi,
chiamati “potestas”. I Potestas devono durante tutto l’arco della vita
obbedire ciecamente a ogni ordine o richiesta provenga dal Padre.
Quando il Pater familias desidera una nuova schiava la compra al mercato. Gli
schiavi sono stranieri catturati con la forza, il prezzo dipende dall’età, dalla
salute e dalle capacità.
I romani si svegliano presto al mattino, prima che albeggi, anche d’estate.
Il Pater familias di solito non esce dalla domus, ma le persone lo vanno a
trovare per discutere i propri problemi, per farsi prestare soldi o per chiedere
favori. I nobili vengono invece per fare favori e chiedere consiglio. I visitatori
meno abbienti dovevano aspettare per più tempo nell’atrio o aspettare in piedi
fuori dalla porta.
Mentre i più importanti venivano fatti accomodare immediatamente. Una volta
finite le visite, il pater familias usciva per andare a trovare amici o per occuparsi
di vari affari.
Le scuole romane
I bambini romani venivano mandati a scuola all’età di sei o sette anni. I padri
pagavano i maestri scolastici, mentre i figli dei ricchi avevano l’istruttore privato in casa,
che solitamente erano schiavi Greci.
I maestri scolastici sono molto severi e frustavano i bambini se non studiano le lezioni
o arrivano in ritardo. Le prime lezioni del mattino iniziano quando il cielo è ancora buio.
Infatti, alcuni bambini arrivavano a scuola illuminando la strada con torce. La fine
della scuola era nel primo pomeriggio, in modo che i ragazzi avessero tempo per fare
dei giochi o per andare ai bagni.
Inizialmente scrivevano su tavole di cera con degli appositi bastoncini appuntiti con cui
incidevano parole o somme nella cera. Si poteva anche cancellare con l’estremità piatto
del bastoncino. Furono poi introdotte le pergamene sui quali venivano scritti i libri
romani o usate semplicemente come fogli di carta su cui veniva scritto a mano. Ogni
estremità della pergamena era attaccata a un supporto in legno. Per leggere o scrivere
su di essa, si doveva srotolare la pergamena. Si scriveva con canne o stecchetti di rame,
l’inchiostro era contenuto in una ciotola e fatto da una mistura di fuliggine e inchiostro
dei polpi. Molte scuole erano costruite nei portici degli edifici. Una tenda impedisce ai
passanti di guardarci dentro.
Ogni otto giorni è un giorno di festa e vi sono mercati pieni di gente e rumorosi, ed è
quindi impossibile fare lezione.
Alle scuole elementari i ragazzi imparavano a leggere e a scrivere e a
risolvere semplici quesiti di aritmetica. Dopo cinque o sei anni di scuola
elementare si passa alle scuole secondarie, dove si studia greco, la
grammatica latina, l’aritmetica, la geometria e l’astronomia.
I GIOCHI DEI BAMBINI ROMANI
I Bambini romani giocano a molti giochi quando le lezioni sono finite. Ad
esempio, ruote vengono utilizzate per saltare e correre, giochi con spade di legno,
nuotare, giocare con il giavellotto e palle di pelle e infine giochi con bastoni e
legni, simili all’hockey.
Negozi e mercati
I negozi a Roma sono piccoli e al buio, sono diretti principalmente da
cittadini poveri o schiavi liberi. In alcune strade vi si trovano i negozi dei
lavoratori, ad esempio gli artigiani, i produttori di scarpe o i panettieri. I
cittadini nobili si recano ai negozi solo per comprare vestiti, gioielli e altri
oggetti costosi. Mandano i loro schiavi e i loro servitori a comprare il loro cibo,
il loro vino e a portare i loro vestiti a lavare.
I romani più ricchi mandavano i loro vestiti a negozi speciali per farli
lavare. Dove alcuni signori stendevano i panni sporchi prima di tutto in alcune
cornici, successivamente li mettevano in alcune bacinelle d’acqua e poi ci
aggiungevano della pasta speciale, fatto questo li avrebbero calpestati per bene
per togliere tutte le macchie e lo sporco.
I vestiti verranno ora asciutti e piegati e poi verranno ‘lisciati’, stirati in una
grossa pressa. Verrà poi uno schiavo a ritirare i vestiti e prima di pagare
controllerà che il lavoro sia stato fatto bene.
Carne, frutta e verdura verranno trasportate ai mercati dai campi e gli
allevamenti fuori città.
Usavano carri in legno per trasportare tutto ai mercati molto presto nel mattino.
Il mercato è costituito di bancarelle con sopra disposti teli per mantenere
il più lontano possibile il sole, queste vengono organizzate nella piazza. Viene
venduta la frutta, la verdura, la carne e il pesce.
Si incontrano anche dei musicisti che guadagnano un paio di monete dalla
gente.
Ci sono anche altri negozi ad esempio dove si possono trovare stoffe o materiali,
oppure vi sono farmacie dove i cittadini romani compravano diverse erbe o
‘pozioni magiche, oli che venivano comprati per gli ammalati e si credevano
guaritivi. Vi erano anche altri negozi: il macellaio, solo i cittadini più ricchi
potevano
permettersi di mangiare
carne tutti giorni;
il panettiere; ed altri negozi
dove si vendevano
cibi caldi da mangiare
per le strade o portare a casa,
pochi cittadini avevano i fornelli a
casa
I bagni romani
Ai bagni vi si possono accedere sia donne che uomini. Le donne vanno al mattino
quando non possono gli uomini, anche perché sono a lavoro, oppure vanno ad altri
bagni che sono esclusivamente femminili.
I bagni non sono solo luoghi dove ci può lavare ma sono anche luoghi
d’incontro fra amici, luoghi dove si possono discutere affari politici oppure
chiacchierare o discutere l’ultimo accaduto. Alcuni uomini vi si recano per fare
esercizi, camminare nei giardini o leggere in uno luogo tranquillo.
C’erano moltissimi bagni a Roma, l’entrata in alcuni costava molto poco in
altri invece non costava niente.
All’interno dei bagni ci sono diverse stanze: la prima è uno spogliatoio, dove
vengono lasciati i vestiti e i sandali; poi si passa ad un’altra stanza nella quale ci
si scalda, è la più calda perché è scaldata dal vapore; c’è un’altra stanza alla
quale possono accedere principalmente i cittadini più ricchi, dove vengono
massaggiati con diversi oli; si passa poi ad un’altra stanza dove c’è il bagno caldo,
accanto a questa stanza è situata la caldaia, e un’altra stanza ancora dove c’è un
bagno tiepido e infine uno di acqua fredda, per raffreddarsi dopo un bagno caldo o
dopo una nuotata.
L’acqua giunge ai bagni attraverso acquedotti sotterranei provenienti
dall’esterno della città. L’acqua sporca verrà portata in un tunnel sotto la città di
Roma e verrà poi scaricata nel fiume.
I gladiatori e le corse con i carri
Le lotte dei gladiatori e le corse con i carri erano gli sport preferiti dai romani.
Durante i periodi festivi o durante le vacanze le arena si riempivano di cittadini e
spettatori. Nelle arene venivano portati alla loro morte prigionieri e criminali. Alcuni
vengono attaccati da grossi e affamati animali feroci. Alcuni devono lottare l’uno
contro l’altro oppure vengono uccisi dai gladiatori.
Per assistere agli incontri venivano imperatori, uomini ricchi, donne nobili, cittadini
poveri e bambini per incoraggiare ed incitare con eccitazione tutti carri che correvano per
o stadio.
Il Circo Massimo
Nel circo massimo si tenevano le corse con i carri. Prima dell’inizio delle corse i
sacerdoti camminavano attorno allo stadio, questo era un rito. I cavali dovevano fare
sette volte la corsa dello stadio. Al vincitore veniva regalato un sacco di monetine
d’oro e assumeva i valori e l’importanza dell’eroe.
Ancor prima d’iniziare la corsa i carri devono attendere sulla linea di partenza. Ogni
‘guidatore’ deve bilanciare il proprio peso sul legno leggero e sul carro in pelle.
Appena suona la tromba e viene abbassata la bandiera bianca i carri partono.
Appoggiandosi indietro sulle proprie redini iniziano ad incitare i cavalli ad andare più
veloci frustandoli.
Queste corse sono molto pericolose, specialmente quando si deve affrontare la
curva, infatti solo i guidatori più bravi riescono a restare in gara. Infatti i
guidatori devono portare caschi di metallo, per proteggere la testa, e altre
protezioni in pelle per proteggere le braccia e le gambe.
I Gladiatori
I gladiatori avevano diversi tipi di armi per fare le battaglie più
interessanti. C’è ad esempio un arma simile ad una rete se i gladiatore riesce
ad imprigionare il suo avversario nella rete allora cercherà di ucciderlo con
il forcone. A questo punto sotto richiesta degli spettatori ucciderà o meno il
prigioniero, se il pubblico è favorevole al prigioniero allora lui vivrà se
invece il pubblico contro il prigioniero esso sarà ucciso.
I gladiatori sono uomini che vengono allenati in alcune scuole
speciali a combattere e morire molto coraggiosamente. Gli animali contro
cui lottano i prigionieri o i criminali provengono da luoghi di tutto l’impero
come il nord Africa.
IL COLOSSEO
è lo stadio ginnico più grande a Roma.
Può contenere fino a 45 000 persone. Per
accedere al Colosseo vi sono ben 76
entrate.
IL CIRCO MASSIMO ALLORA
IL CIRCO MASSIMO OGGI
Introduzione
Sotto l’aspetto artistico possiamo considerare i seguenti periodi:
-primo periodo (753 a.C. – 146 a.C.): dalle origini sino alla conquista della
Grecia. L’arte dell’epoca dei re e dei primi tempi della repubblica si identifica
con quella etrusca; in seguito acquisisce elementi greci con lo svilupparsi di
relazioni con la civiltà ellenica e con la conquista della Magna Grecia.
-secondo periodo (146 a.C. – 217 d.C.): dall’occupazione della Grecia a
Caracalla. Dopo un inizio d’influssi greci e di imitazione, l’arte romana
matura per raggiungere, prima sotto Augusto, poi sotto Traiano e Adriano,
l’epoca più gloriosa.
- terzo periodo (217 d.C. – 476 d.C.): da Caracalla alle invasioni barbariche.
Segna il declino dell’arte romana, anche se l’architettura si mantiene ancora
viva. Su questo mondo romano che tramonta sorge una nuova era, quella
cristiana.
Introduzione
L’arte romana vera e propria, con caratteri originali, si definisce a partire dal
II secolo a.C. Di essa sono giunte sino a noi vastissime testimonianze, relative
all’architettura, alla scultura, alla pittura. Le più imponenti e complesse
architetture si realizzano in età imperiale. Nel tardo periodo repubblicano
anche il mondo romano riuscì a elaborare un linguaggio figurativo autonomo,
in strettissimo legame con i fatti storici e con l’evoluzione di Roma.
Per arte romana si intende l'arte della Roma antica, dalla fondazione alla
caduta dell'Impero d'Occidente. Le forme artistiche autoctone, nella fase delle
origini e della prima repubblica, sono piuttosto elementari e poco raffinate.
Il cittadino romano è anzitutto un militare e un politico: ogni attività viene
finalizzata alle esigenze di dominio, sia privato che statale. Di conseguenza
ciò che prevale nelle testimonianze artistiche sono gli aspetti tecnici e pratici,
oppure celebrativi.
Il fine estetico, la ricerca del bello, non ha per i romani quell'importanza che
ha per i greci e non è mai disgiunto da un fine pratico: di qui l'indiscussa
superiorità, nell'espressione artistica dei romani, delle scienze architettoniche e
urbanistiche, che offrono grande utilità pratica nell'organizzazione razionale
degli enormi territori conquistati.
Architettura Romana
Attraverso i ponti, gli acquedotti, le numerose città che impiantano, i
Romani ci dimostrano quanto fossero consapevoli di voler lasciare
una profonda traccia di sé nella storia.
Il grandissimo sviluppo dell’architettura nella civiltà romana serve
ad infondere nei cittadini il senso della potenza dello Stato.
L’architettura è l’espressione dell’arte più utile al governo ed in
questo campo la civiltà romana elabora forme e tecniche del tutto
originali.
Il tufo ed il travertino, pietre porose e ricche di cavità interne, sono,
insieme all’argilla, i materiali di cui dispongono i romani per le loro
architetture: tali materiali suggeriscono l’impiego di piccoli blocchi,
legati da malta cementizia. I costruttori romani ottengono,
dall’impasto di calce, sabbia e pozzolana (sabbia vulcanica), una
malta resistentissima che consente una presa eccezionale. Essi
rielaborano così vari tipi di muratura, dal più semplice, ai più
complessi.
Nel periodo imperiale i mattoni di argilla
seccata all’aria vengono sostituiti da quelli
cotti nelle fornaci: ne derivano strutture
murarie ben più solide, che favoriscono la
costruzione di superfici curve e il sistema
costruttivo che caratterizza l’architettura
romana diviene l’arco. Strade ponti, teatri e
anfiteatri, templi circhi colonne e archi
commemorativi di vittorie militari,
unitamente ai tracciati schematici delle
nuove città, rappresentano il meglio della
produzione artistica e architettonica romana.
Le opere architettoniche ed urbanistiche,
realizzate tra il I sec. a.C. e il IV sec. d.C.,
non rispondevano solo a esigenze politiche
e militari, ma venivano anche incontro ai
bisogni della popolazione, per cui dovevano
rispondere a criteri di funzionalità e
praticità e furono così ben edificate da essere
utilizzate anche nei secoli successivi alla
caduta dell'impero, fino ai nostri giorni.
Una volta compiuta la conquista militare, i romani badavano
soprattutto a tracciare e a pavimentare strade, a costruire ponti, a
rifornire le città di abbondante acqua attraverso imponenti acquedotti,
a costruire servizi igienici pubblici come terme, bagni e fognature.
Tecnicamente gli architetti romani si servivano di due tipologie
costruttive: la muratura e l'arco.
La muratura, cioè l'utilizzo di materiali come il mattone cotto nelle
fornaci, non conosciuto dai greci, che veniva abbinato al cemento,
consentiva la costruzione di alte masse murarie in grado di
sopportare enormi pesi.
L'arco permetteva di coprire ampi spazi vuoti. Proprio l'arco a tutto
sesto, che già gli etruschi usavano, è il principale segno caratteristico
dell'architettura romana.
Gli archi e colonne vengono usati dai romani anche come monumenti,
per ornamento della città, con un certo valore simbolico: l'arco è
simbolo di trionfo del condottiero e la colonna è un monumento
commemorativo di grandi imprese imperiali.
L’arco, con il suo andamento curvo, permette di scaricare meglio il
peso della costruzione sui sostegni verticali, distanziandoli anche
maggiormente. Gli ambienti risultano così più spaziosi e le colonne o
pilastri che sorreggono la copertura diminuiscono di numero.
Dall’arco si originano le coperture a volta:
-più archi successivi determinano la volta a botte;
- due volte a botte incrociate ortogonalmente determinano la volta
a crociera, compresa fra sei archi, quattro laterali e due trasversali.
Gli Archi e le volte vengono costruiti con l’aiuto di
centine, sostegni lignei sagomati ad arco su cui si
dispongono i mattoni e si gettano gli impasti di malta:
quando la muratura è secca la centina viene rimossa.
L’architettura romana, riflette inizialmente gli influssi
della civiltà etrusca. Nel II secolo a.C. Roma era già
una città di rispettabili dimensioni, ed era cresciuta
adattandosi come meglio poteva all’ambiente
sfavorevole e aveva assunto un aspetto simile a quello
delle città etrusche dell’Italia centrale.
Le case d’abitazione romane in epoca repubblicana possono essere
distinte in due tipi fondamentali: da un lato le dimore dei cittadini
benestanti, le case unifamiliari ad atrio di derivazione italicoellenistica, le domus; dall’altro i grandi condomini “popolari” a più
piani divisi in appartamenti, le insulae.
Con il pretesto di dare asilo alle masse, avevano strutture in
conglomerato cementizio rivestito di laterizio, tetti generalmente
inclinati coperti con tegole, balconi e ballatoi retti da mensole di
legno o pietra.
Gli appartamenti, in cui spesso coabitavano più nuclei familiari, erano
distribuiti su quattro o cinque piani. Le stanza erano piccole, buie,
fredde (l’uso di bracieri per cucinare e scaldarsi era causa di frequenti e
disastrosi incendi), senza acqua corrente né scarichi fognari.
Naturalmente differente l’esistenza che si conduceva nelle abitazioni
patrizie, spaziose, areate, igieniche, fornite di bagni e gabinetti e
riscaldate d’inverno dagli ipocausti, complessi dispositivi che facevano
passare correnti d’aria calda sotto i pavimenti.
Già nel IV- III secolo a.C. la casa “ad
atrio” era già definita nei suoi elementi
essenziali: una porta preceduta da un
ingresso e seguita da uno stretto corridoio
di accesso, affiancato da stanze di servizio;
un’ampia sala centrale coperta dalle
quattro falde del tetto spiovente verso
l’interno per poter convogliare l’acqua
piovana in una vasca al centro dell’atrio
da dove si raccoglie in una cisterna
sotterranea. Intorno all’atrio si
dispongono alcune camere dal letto e due
ambienti di disimpegno aperti alle sue
estremità, mentre in fondo all’atrio si trova
una sala di soggiorno affiancata da un
corridoio di passaggio all’orto-giardino
alle spalle della casa, che nel II secolo
a.C. si trasformò in un leggiadro giardino
con fontane e statue, che era circondato da
quattro ali di portico a colonne sul quale,
si affacciavano le principali stanze di
soggiorno.
Gli interni si arricchirono di marmi policromi,
affreschi, statue, mosaici.
Fu nell’ambiente privato, che i Romani poterono
dare libero sfogo al nuovo gusto per l’arte,
alimentato dai bottini di guerra ma ancora
condannato dalla pubblica morale.
Un altro complesso architettonico di grande
importanza è costituito dalle terme.
I primi edifici termali sorgono in età repubblicana.
Le terme del periodo imperiale, frequentate
soprattutto dai patrizi, divengono costruzioni
grandiose.
Un vasto edificio centrale contiene le aule termali
con piscine di acqua fredda, tiepida e calda, le
palestra per la lotta ed i giardini; esso appare
isolato in un grande recinto lungo il quale sono
disposte biblioteche e servizi e che accoglie anche
una gradinata per il pubblico che assiste agli
spettacoli ginnici.
Anche molti teatri vennero costruiti, ma gli attori erano spesso degli schiavi o dei
liberti.
Il teatro romano si sviluppò nell’ultimo secolo della repubblica. Le strutture
precedentemente adibite a questa funzione erano in legno e provvisorie per legge. Il
teatro romano, riprende lo schema del teatro greco, ma lo modifica sia nella
costruzione della scena, che nella cavea. Le poderose strutture ad arco che sostengono
le gradinate diventano parte essenziale dell’edificio e lo caratterizzano esternamente.
Il vero luogo di divertimento per i romani restava
l'anfiteatro, dove si svolgevano i giochi, le gare
atletiche, le sfide a morte tra i gladiatori, la lotta
tra schiavi e bestie feroci, le esecuzioni dei cristiani
o di altri dissidenti.
L’anfiteatro, elaborazione ulteriore del teatro, è un
edificio tipicamente romano ed il suo nome
significa proprio doppio teatro. Ha una forma
ellittica, con l’arena posta generalmente più in
basso rispetto al piano stradale per limitare lo
sviluppo in altezza dell’edificio e consentire, al
tempo stesso, di ricavare tutta l’ampiezza
necessaria alla grande cavea, divisa in settori
destinati a differenti tipi di pubblico.
In basso, in prossimità dell’arena, siedono l’imperatore ed i
personaggi di maggior rilievo; via via, risalendo, si arriva alla zona
riservata alla plebe, che assiste in piedi agli spettacoli. L’arena
scavata nel terreno può essere inoltre allagata e consentire lo
svolgersi di battaglie navali.
L’anfiteatro Flavio, detto popolarmente Colosseo, eretto in epoca
imperiale, costituisce l’esempio più grandioso di questo tipo di
costruzione. Un altro luogo di divertimento per i romani era il circo:
qui si svolgevano le corse dei carri trainati dai cavalli - bighe o
quadrighe - o addirittura venivano inscenate battaglie terrestri o
navali, dove naturalmente i vincitori erano sempre i romani. Anche
questa forma era ellittica ma molto più allungata rispetto a
quella dell'anfiteatro.
Fuori delle città
sorgono in epoca
imperiale grandiose
ville, dimore di
campagna dei ricchi
proprietari e degli
imperatori. Sia che
assumano una forma
aperta e articolate
nel territorio, oppure
chiusa e di carattere
militare, le ville
imperiali, con la loro
varietà di ambienti,
costituiscono edifici
di insuperabile
monumentalità, che
riassumono tutte le
più raffinate tecniche
costruttive del mondo
romano.
I Romani privilegiano l’architettura fra le arti e l’attività del progettista è
considerata più nobile di quella dello scultore o del pittore, perché meno «manuale».
Tutte le arti concorrono a tramandare la grandezza di Roma: pittura e scultura sono
considerati efficaci strumenti di informazione e propaganda, perché raccontano gli
eventi e li commentano con un linguaggio comprensibile a tutti.
La città romana rispecchia nella pianta il tracciato dell'accampamento militare: una
scacchiera di strade che si intersecano perpendicolarmente, impostate sulla croce di
due vie principali, chiamate cardo e decumano.
Il centro della città è costituito da una piazza (foro di Augusto, foro romano), sulla
quale si affacciano i principali edifici pubblici, sedi di attività politiche,
amministrative, commerciali e religiose.
Lo spazio interno è sempre enorme, monumentale, come se volesse esprimere la
stabilità dello Stato ed affermarne la potenza e l'immutabilità. Solo il tempio
romano ha caratteristiche riprese dai templi greci o etruschi, ma con una
fondamentale differenza: la tradizione greca modella plasticamente gli edifici,
creando soprattutto degli "esterni", ed ha un carattere rettilineo (elementi verticali
delle colonne e orizzontali delle trabeazioni); la tradizione romana definisce
soprattutto degli "interni", modellandone le spazio con gli andamenti curveggianti
degli archi e delle volte. Il tempio più importante è il Pantheon.
La basilica, di pianta rettangolare
circondata da fila di colonne, è la
sede dell'amministrazione
giudiziaria romana (il tribunale).
Il foro di Augusto, foro romano
doveva rappresentare per
l'osservatore le qualità principali
dell'arte romana: dominio dello
spazio, solida compostezza,
potenza scenografica.
L'imperatore Augusto fu il primo
tra i governanti di Roma a
intravedere nella cultura e
nell'arte una forma di
propaganda celebrativa del
primato politico-militare
dell'impero: in suo onore furono
eretti nelle province ben 17 archi di
trionfo.
Scultura
Il patrimonio scultoreo romano rimastoci, a differenza di
quello pittorico, è cospicuo.
La matrice prevalente è quelle ellenistica, ma si avvertono
anche influenze etrusche. Questi caratteri rimasero vivi
anche dopo il II secolo a.C., quando Roma fu
letteralmente presa dalla mania per l’arte greca: i
Romani gareggiarono nell’adornare case e giardini con le
statue importate dalla Grecia e dall’oriente, e poiché gli
originali non bastavano a soddisfare le richieste, si
cominciò a produrre copie.
I Romani, lungi dall’apprezzare il valore estetico e
formale dell’arte greca, si preoccupavano soprattutto che
il contenuto delle loro opere fosse coerente con la loro
ambientazione architettonica, con motivi maggiormente
decorativi (ispirandosi al mondo animale e vegetale),
oppure figurativi e narrativi (ispirandosi ai testi sacri).
Questa propensione all’eclettismo produsse anche opere
interessanti. La scultura romana troverà accenti originali solo
alla vigilia dell’impero, quando dalla fusione del verismo
ellenistico e del crudo realismo medio-italico si svilupperà uno
stile con forti legami terreni, oggettivi, vicino alla mentalità
civile e religiosa di Roma.
Questo stile si manifesterà soprattutto nel rilievo storico e nel
ritratto. Presso i Romani, fin dal periodo repubblicano, è diffusa
l’usanza di onorare i cittadini importanti con ritratti, che fissano
realisticamente le caratteristiche del loro volto per
tramandarne ai posteri la memoria e la fisionomia.
Il ritratto onorario si diffonde rapidamente fra le famiglie dei
patrizi e non riproduce quindi solo le sembianze di personaggi
storici, ma anche di capi di famiglia o parenti illustri.
Molto in uso è anche la ritrattistica funeraria già assai diffusa
presso gli Etruschi, ed entrata a far parte della tradizione
romana; la figura del defunto, generalmente a mezzo busto,
avvolta nella toga ed in posizione frontale, appare spesso
accompagnata da uno o più parenti.
Probabilmente eseguiti quando il personaggio è
ancora in vita, questi ritratti funerari riflettono un
forte senso della famiglia, tipico
dell’espressione popolare romana. Dal I secolo
a.C. vengono realizzate anche moltissime statue
dell’imperatore. Con l’espandersi dell’impero ed
il rafforzarsi della potenza romana, il ritratto
dell’imperatore, venerato come un dio, perderà via
via le sue caratteristiche umane, fino ad
acquistare dimensioni ingigantite, frontalità e
totale mancanza di espressione. L’autorità
imperiale è raffigurata in immagini monumentali
in cui il realismo della rappresentazione è ormai
completamente perduto. Nei bassorilievi e
altorilievi, in tutti i periodi della civiltà romana,
prevalgono i soggetti storici. I soggetti storici
vengono rappresentati anche sulle pareti dei
sarcofagi, insieme ad episodi della mitologia
che si riallacciano al tema della morte. Sempre
nei sarcofagi sono anche frequenti le scene che si
riferiscono alla vita quotidiana ed all’attività
lavorativa del defunto.
Pittura
Discorso a parte va fatto per la pittura. Anzitutto bisogna dire
che i dipinti che oggi possiamo ammirare sono sostanzialmente
quelli delle pareti delle case domestiche.
Nulla è rimasto della pittura su tavola.
Questi affreschi venivano dipinti a encausto, ossia a caldo e non
a fresco, come invece si farà dal Medioevo in poi, e si rifacevano
spesso alla mitologia greca, inserendo i personaggi in contesti
naturali e paesaggistici molto ampi ed ariosi.
Nella pittura romana i soggetti che sono rappresentati ad
affresco, sono generalmente tratti dalla mitologia che ispira
immagini decorative e scene di grande vitalità; le figure sono
ricche di movimento e rilievo ed i paesaggi e le architetture
creano effetti illusori di profondità.
Oltre all’affresco anche il mosaico viene utilizzato per la
decorazione degli ambienti, sia delle pareti che, più spesso, dei
pavimenti. I soggetti sono ancora di carattere mitologico; non
mancano però quelli di tipo storico o di tipo naturalistico, ispirati
alla fauna ed alla flora.
Il mosaico viene realizzato con tecniche diverse, chiamate:
-opus tessellatum: che utilizza tessere bianche e nere per disegni
geometrici, incorniciature;
-opus vermiculatum: che utilizza piccolissime tessere disposte in linee
secondo l’andamento delle forme delle immagini raffigurate;
-opus sectile: che utilizza strette lamelle di marmo colorato,
ritagliate secondo i particolari delle forme delle figure e sistemate a
intarsio.
La consuetudine di pavimentare le stanze con mosaici si sviluppò in tutto l'impero.
Spesso i mosaici colpiscono per la loro ricchezza di toni e di tinte, per la
precisione del disegno e per lo spiccato naturalismo.
Anche durante i cortei trionfali i cartelloni dipinti raccontavano le gesta dei
soldati, nei processi illustravano i reati commessi dall’imputato e nelle vie
cittadine caratterizzavano le insegne dei negozi.
Anche la ritrattistica, influenzata dagli etruschi, è presente, soprattutto in occasione
di rituali funerari in uso presso il patriziato, in cui si portava in processione una
maschera di cera che raffigurava con notevole fedeltà la fisionomia e il colorito
del defunto. Ma l'aspetto più significativo è che la pittura romana è dominata
dagli effetti prospettici, cioè non è una pittura piatta e bidimensionale, ma
tridimensionale, arricchita dall'illusione della profondità spaziale: nelle pareti
delle stanze questo effetto viene ottenuto dipingendo i personaggi non
frontalmente ma di scorcio, e badando a rispettare le proporzioni, le diverse
dimensioni degli oggetti riprodotti.
Nella pittura romana si possono distinguere tre stili: quello dell'illusionismo
architettonico (basato sulla presenza di elementi che definiscono lo spazio), quello
delle figure plastiche e geometrizzate ( che non è quella della continuità del
tempo, come nella Colonna Traiana) e quello compendiarlo ( una rappresentazione
schematica della realtà, con sommarie macchie di colore, a forti colpi di pennello).
Noi non conosciamo per nome gli artisti romani.
Il Colosseo: l’anfiteatro più famoso di
Roma e l’opera architettonica romana forse
più nota.
Esempio di Tempio romano: Tempio di
Vesta
I Romani, furono fin dalle origini un popolo di
agricoltori, e come tali usavano le potenze divine della terra,
e gli spiriti agresti.
La religione romana, ha sempre avuto delle caratteristiche proprie, che
rivelano la mentalità storica, giuridica, e politica della società del tempo.
A differenza di quelli greci, gli dei romani, non litigavano fra loro, e tanto
meno avevano storie d'amore.
Quindi i Romani più che alle vicende degli dei erano interessati al rapporto
tra la comunità umana e le forze divine. Di fatto l'adulazione degli dei per i
romani, era il dovere del buon cittadino, e quindi tanto si dava agli dei,
tanto si chiedeva in compenso ("do ut des" cioè "io ti do affinché tu mi dia"):
buoni raccolti, assenza di malattie, terreni fertili ecc... La religione romana
non si espresse attraverso il mito, si esprimeva piuttosto attraverso pratiche
di culto collegate alla vita quotidiana, spesso pubblica, o al ciclo della
vita agricola, militare e politica.
Nella religione troviamo infatti dei numi tutelari per ogni aspetto, dal dio
delle porte "Giano", al dio protettore dei viandanti, fino al protettore della
famiglia e molti altri ancora.
Quella romana fu comunque una religione aperta, che accanto agli dei
ufficiali dello Stato (Giove, Giunone, Minerva. . . ) ammetteva l'inclusione di
nuove divinità (talvolta di origine orientale, come Iside, Dionisio o
l'africano Baal) e ciò diede luogo al sincretismo religioso: ossia la
fusione tra la religione romana e quella orientale
.
Altre volte alcuni dei stranieri finivano con il trasfigurarsi con divinità
romane, e quindi cambiavano nome.
In tal modo lo Stato romano lasciando una certa libertà di culto, si
assicurava una salda supremazia sull'Impero.
Pratiche religiose
Tra le pratiche religiose dei Romani forse la più importante era
l'interpretazione dei segni e dei presagi, che indicavano il volere degli dei.
Prima di intraprendere qualsiasi azione rilevante era infatti necessario
conoscere la volontà delle divinità e assicurarsene la benevolenza con riti
adeguati.
Le pratiche più seguite riguardavano:
-il volo degli uccelli: l'augure tracciava delle linee nell'aria con un
bastone ricurvo (lituus), delimitando una porzione di cielo, che scrutava per
interpretare l'eventuale passaggio di uccelli .
-la lettura delle viscere degli animali: solitamente un fegato di un animale
sacrificato veniva osservato dagli aruspici di provenienza etrusca per
comprendere il volere del dio.
-i prodigi: qualsiasi prodigio o evento straordinario, quali calamità
naturali, epidemie, eclissi, etc, era considerato una manifestazione del favore
o della collera divina ed era compito dei sacerdoti cercare di interpretare
tali segni.
Lo spazio sacro
Lo spazio sacro per i Romani era il templum, un luogo consacrato, orientato
secondo i punti cardinali, secondo il rito dell'inaugurazione, che corrispondeva allo
spazio sacro del cielo. Gli edifici di culto romani erano di vari tipi e funzioni.
L‘altare o ara era la struttura sacra dedicata alle cerimonie religiose, alle offerte
ed ai sacrifici.Eretti dapprima presso le fonti e nei boschi, progressivamente gli
altari furono collocati all'interno delle città, nei luoghi pubblici, agli incroci delle
strade e davanti ai templi. Numerose erano anche le aediculae e i sacella,che
riproducevano in piccolo le facciate dei templi.
Il principale edificio cultuale era rappresentato dall'aedes, la vera e propria
dimora del dio, che sorgeva sul templum, l'area sacra inaugurata. Col tempo i due
termini diventarono sinonimi per indicare l'edificio sacro. Il tempio romano risente
inizialmente dei modelli etruschi, ma presto vengono introdotti elementi
dall'architettura greca ellenistica. La più marcata differenza del tempio romano
rispetto a quello greco è la sua sopraelevazione su un alto podio, accessibile da
una scalinata spesso frontale.
Inoltre si tende a dare maggiore importanza alla facciata, mentre il retro è spesso
addossato a un muro di recinzione e privo dunque del colonnato.
Evoluzione
Lo sviluppo storico della religione romana passò per tre fasi: una prima fase che durò
fino al VI secolo a.C., contrassegnata dall'influenza delle religioni autoctone; una
seconda contraddistinta dall'assimilazione di idee e pratiche religiose etrusche e greche;
una terza, durante la quale si affermò il culto dell'imperatore e si diffusero le religioni
misteriche di provenienza orientale.
Età arcaica
La fase arcaica fu caratterizzata da una tradizione religiosa legata
soprattutto all'ambito agreste, tipica dei culti indigeni mediterranei, sul
quale si inserì il nucleo di origine indoeuropea. Questa fase primitiva
della religione romana è riscontrabile in divinità quali Cerere, Fauno,
Giano, Saturno e Silvano. Il periodo delle origini è caratterizzato anche
dalla presenza di numina, divinità indeterminate, come i Lari ed i Penati. A
queste divinità arcaiche si affiancarono presto quelle di origine italica,
come Giove, Marte e Quirino.
Età repubblicana
La mancanza di un pantheon definito favorì l'assorbimento delle divinità
etrusche, come Venere (Turan), e soprattutto greche.
A causa della grande tolleranza e capacità di assimilazione, tipiche della
religione romana, alcuni dei romani furono assimilati a quelli greci,
acquisendone l'aspetto, la personalità ed i tratti distintivi, come nel caso di
Giunone assimilata ad Era. Mentre altre divinità furono importate ex novo,
come nel caso di Apollo o dei Dioscuri.
Il controllo dello stato sulla religione, infatti, non proibiva l'introduzione
di culti stranieri, a condizione che questi non costituissero un pericolo sociale
e politico.
Nel II secolo a.C. furono ad esempio proibiti i Baccanali ed il culto
dionisiaco fu represso con la forza.
Età imperiale
Iniziata nella tarda età repubblicana la crisi della religione romana si intensificò in
età imperiale. Le cause del lento degrado della religione pubblica furono molteplici.
Già da qualche tempo vari culti misterici di provenienza medio-orientale, quali quelli
di Cibele,
Iside e Mitra, erano entrati a far parte del ricco patrimonio religioso romano. Col
tempo le nuove religioni assunsero sempre più importanza per le loro caratteristiche
escatologiche e soteriologiche in risposta alle insorgenti esigenze della religiosità
dell'individuo, al quale la vecchia religione non offriva che riti vuoti di significato. La
critica alla religione tradizionale veniva anche dalle correnti filosofiche
dell'Ellenismo, che fornivano risposte intorno a temi propri della sfera religiosa,
come la concezione dell'anima e la la natura degli dei. Un'altra caratteristica tipica
del periodo fu quella del culto imperiale.
Dalla divinizzazione post-mortem di Gaio Giulio Cesare e di Ottaviano Augusto si
arrivò alla assimilazione del culto dell'imperatore con quello del Sole ed alla
teocrazia dioclezianea.
Nella congerie sincretistica dell'impero durante il III secolo, permeata da dottrine
neoplatoniche, gnostiche ed orfiche, fece la sua comparsa il cristianesimo. La nuova
religione lentamente andò affermandosi quale religione di stato, decretando la fine
del paganesimo romano, sancito dalla chiusura dei templi nel IV secolo.
Organizzazione religiosa
Secondo la tradizione, fu Numa Pompilio ad istituire i vari sacerdozi ed a
stabilire i riti e le cerimonie annuali.
Tipica espressione dell'assunzione del fenomeno religioso da parte della
comunità è il calendario, risalente alla fine del VI secolo a.C. ed organizzato in
maniera da dividere l'anno in giorni fasti e nefasti con l'indicazione delle varie
feste e cerimonie sacre.
Il calendario romano
Il calendario romano primitivo, introdotto probabilmente nel VII secolo a.C.,
prevedeva che l'anno fosse composto da 304 giorni ripartiti in 10 mesi e che
iniziasse con marzo; i mesi gennaio e febbraio furono forse aggiunti più tardi.
Inoltre poiché i mesi erano di soli 29 o 30 giorni, era necessario introdurre un mese
circa ogni due anni. I giorni del mese erano indicati rispetto a tre date: le calende
o primo giorno del mese; le idi, o giorno di mezzo, che cadevano nel tredicesimo
giorno di alcuni mesi e nel quindicesimo di altri, e le none, ovvero il nono giorno
prima delle idi. Il calendario romano divenne irrimediabilmente confuso quando i
funzionari addetti all'aggiunta dei giorni e dei mesi abusarono della propria
autorità per allontanare la scadenza dei loro incarichi e per affrettare o ritardare
le elezioni. Nel 46 a.C. Giulio Cesare, su consiglio dell'astronomo greco Sosigene,
decise di promulgare una riforma e di adottare un calendario solare, noto come
calendario giuliano, della durata di 365 giorni; egli introdusse un anno bisestile
di 366 giorni, ogni quattro anni. L'anno bisestile deve il suo nome al fatto che il
giorno che veniva aggiunto era inserito dopo il 23 febbraio (nella denominazione
latina il "sesto" giorno prima delle calende di marzo), divenendo così il "bisesto".
L'ordine dei mesi e dei giorni della settimana previsto dal calendario giuliano
rimane sostanzialmente valido ancora oggi. Nel 44 a.C. Giulio Cesare diede il
proprio nome al mese quintilis che divenne julius (luglio); il mese sextilis fu poi
rinominato augustus (agosto) in onore del successore di Giulio Cesare, Augusto.
Sodalizi
A Roma vi erano tre grandi confraternite religiose, che avevano la gestione
di specifiche cerimonie sacre.
-Arvali ("fratelli dei campi"), in numero di dodici, erano sacerdoti addetti
al culto della Dea Dia, una divinità arcaica romana, più tardi identificata
con Cerere. Durante il mese di Maggio compivano un'antichissima
cerimonia di purificazione dei campi, gli Arvalia.
-Luperci, presiedevano la festa dei Lupercalia, che si teneva il 15 febbraio, il
mese dei morti.
-Salii, dodici sacerdoti di Marte, addetti alle cerimonie in onore della
guerra, che si svolgevano nei mesi di marzo e ottobre.
Collegi sacerdotali
La gestione dei riti religiosi era affidata ai vari collegi sacerdotali dell'antica Roma,
i quali costituivano l'ossatura della complessa organizzazione religiosa romana Al
primo posto della gerarchia religiosa troviamo il rex sacrorum, sacerdote al quale
erano affidate le funzioni religiose compiute un tempo dai re.
Flamini, che si dividevano in 3 maggiori e 12 minori, erano i sacerdoti addetti al culto
delle divinità;
Pontefici, in numero di 16, con a capo il Pontefice massimo, presiedevano alla
sorveglianza e al governo del culto religioso;
Auguri, in numero di 16 sotto Gaio Giulio Cesare, addetti all'interpretazione degli
auspici ed alla verifica del consenso degli dei;
Feziali, in numero di 20, erano i sacerdoti depositari del diritto internazionale
nell'antica Roma;
Vestali, 6 sacerdotesse consacrate alla dea Vesta
Decemviri o Quimdecemviri sacris faciundis, addetti alla divinazione ed alla
interpretazione dei Libri Sibillini;
Epuloni, addetti ai banchetti sacri.
-Feziali, Erano i sacerdoti dediti al compito di dichiarare la guerra, e di concludere i
trattati di pace secondo un rituale di tipo magico.
-Pontefici, I sacerdozi più importanti erano i pontefici. in numero di 16, con a capo il
Pontefice massimo, presiedevano alla sorveglianza e al governo del culto religioso;
La parola deriva da pontifix, cioè pons (ponte) e facere (fare), e sta ad indicare che la
costruzione dei ponti era considerata originariamente un atto magico-sacrale (il
Tevere era considerato un fiume sacro). Il pontificio di fatto era una magistratura,
nella quale si riunivano i vari pontefici, presieduti da un pontefice massimo pontifix
maximus.
-Auguri, Gli auguri erano coloro che interpretavano il volere divino, venivano
interpellati ogni qual volta bisognava convocare i comizi, intraprendere
una campagne militare, in caso di un responso negativo queste venivano rinviate. in
numero di 16 sotto Gaio Giuli Cesare; Feziali, in numero di 20, erano i sacerdoti
depositari del diritto internazionale nell'antica Roma;
-Vestali, le vestali erano le protettrici del fuoco sacro, simbolo
della presenza dello Stato. erano l'unico sacerdozio femminile,
dedite ovviamente anche all'adulazione della dea Vesta. Erano
scelte tra le figlie nobili, ed erano vincolate con un voto di castità
per trenta anni.
-Decemviri o Quimdecemviri sacris faciundis, addetti alla
divinazione ed alla interpretazione dei Libri Sibillini;
-Epuloni, addetti ai banchetti sacri.
Mitologia romana
La mitologia romana narra di come la Sibilla Cumana una delle sibille mitologiche- avesse offerto libri, che erano
in numero di nove, a Tarquinio il Superbo, il quale però
considerò il prezzo di quest'ultimi troppo esoso. La sibilla
allora bruciò tre di questi libri e offrì di nuovo i sei rimasti
al re.Tarquinio rifiutò ancora, quindi la sibilla né brucio
altri tre.Riformulò quindi la proposta a Tarquinio, che
questa volta accettò,però al prezzo iniziale dei nove
volumi.I libri sibillini furono quindi affidati alla custodia
di due membri Patrizi (duumviri sacris faciundis), che in
seguito furono aumentanti fino ad un numero di quindici,
comprendendo fra essi anche cinque rappresentanti del
popolo.Il loro ruolo consisteva nel consultare gli oracoli
su richiesta del Senato (i lectisternia), per evitare di
contrariare gli dèi con nuove imprese.
I libri venivano conservati in una camera scavata sotto il tempio di Giove
Capitolino I libri bruciarono in un incendio nell'83 a.C. e si tentò di
ricostruirli cercandone i testi presso altri santuari.Queste nuove raccolte
furono ricollocate nel tempio di Apollo sul Palatino grazie
all'interessamento dell'imperatore Augusto.Qui rimasero fino al V secolo
d.C., dopo di che se ne persero le tracce.Rutilio Namaziano nel suo poema
De Reditu suo accusa aspramente il generale Stilicone di averli bruciati
nel 408.
Sibilla Cumana, 1622 ca.,
olio su tela di Domenichino
(Domenico Zampieri,
Bologna 1581 - Napoli 1641
La galleria dell'Antro della Sibilla a Cuma
Apollo, che l'amava, le aveva promesso di esaudire il suo
più grande desiderio, ed ella aveva chiesto lunga vita,
omettendo di associarla alla giovinezza. E così, via via che
il tempo passava, la Sibilla diveniva sempre più piccola e
rinsecchita, finché assunse l'aspetto e le dimensioni di una
cicala e fu chiusa in una gabbia nel tempio di Apollo a
Cuma.
Durante il regno di Tarquinio il Superbo era andata a
Roma e aveva dato al Re tre raccolte di oracoli, che furono
collocati nel tempio di Giove Capitolino: furono oggetto
di consultazione fino all'epoca di Augusto, tenuti in gran
conto dai Romani che ad essi ricorrevano in ogni
circostanza di qualche rilievo, attraverso la mediazione di
appositi magistrati incaricati della conservazione e
interpretazione dei "libri sibillini".
Virgilio affida alla Sibilla Cumana il compito di guidare
Enea nella discesa agli Inferi.
Gli Dei dell’età Arcaica
La religione romana arcaica distingueva due tipologie di dei, detti di
indigetes e di novensiles; gli indigetes erano gli dei romani autoctoni,
trenta dei quali venivano onorati con festività speciali, mentre i
novensiles erano divinità assimilate in epoche successive.
Le più antiche divinità romane comprendevano, oltre agli indigetes, una
serie di divinità specifiche, o numina, designabili genericamente come
"divinità custodi" o "ausiliarie", i cui nomi riflettevano le parole
indicanti le attività durante le quali venivano invocati; il culto che
veniva loro tributato era accomunato a quello rivolto alle divinità
maggiori.
Essendo queste divinità prive di una identità personale definita, più che
una forma di politeismo, la religione latina antica è stata definita
come "polidemonismo".
Tintoretto: Origine della Via Lattea Giunone, sposa di Giove
e regina degli dei, era considerata la protettrice delle
donne e della maternità. In questo dipinto, opera del
Tintoretto, Giove affida a Giunone Ercole neonato.
Ingres: Giove e Teti. Sono molte le caratteristiche che Giove, sovrano
del pantheon romano, condivide con il dio che ha il medesimo
ruolo nel pantheon greco, Zeus, prima fra tutte quella di ricorrere
ai fulmini per imporre la propria autorità. Giove generò molte altre
divinità ed eroi venerati nella religione romana quali Apollo,
Minerva ed Ercole. In questo dipinto del 1811, l'artista francese
Jean-Auguste-Dominique Ingres ritrae la ninfa marina Teti mentre
invoca la benevolenza di Giove nei confronti del figlio
Achille.Musee Granet, Aix-en-Provence, France/Bridgeman Art
Library, London/New York .
Domenichino: Caccia di Diana, venerata come dea
della caccia presso i romani e identificata con
l’Artemide del pantheon greco, è il soggetto di
questo dipinto del Domenichino (Galleria Borghese,
Roma), ritratta con un nutrito gruppo di ninfe in una
gaia scena campestre.
Gli dei rappresentavano distintamente le necessità pratiche della vita quotidiana, secondo
le esigenze della comunità alla quale appartenevano: a loro venivano scrupolosamente
offerti sacrifici rituali e le loro immagini venivano esposte intorno a tavole imbandite, in
simbolici banchetti detti lectisternia, cui venivano "invitate" di volta in volta le divinità che si
volevano maggiormente vicine alla comunità nel frangente specifico. Figura principale del
pantheon primitivo era la triade capitolina formata da Giove,Giunone e Minerva.
La Triade Capitolina
La triade capitolina = ossia Giove, Giunone, Minerva, che erano i tre dei del
culto ufficiale dello Stato romano. Le divinità si dividono in maggiori e minori;
quelle maggiori sono molte e si dividono fra acquatiche, terrestri, infernali.
Giove (Iuppiter, o Iovis pater), è il padre degli dei e degli uomini. E'
rappresentato sopra un trono d'avorio, col fulmine nella destra, lo scettro
nella sinistra, e l'aquila ai piedi, quale fedele interprete dei suoi voleri.
Giunone (Iuno), moglie di Giove, è la maggiore divinità femminiile. Regina
degli dei, porta il diadema e lo scettro, presiede alle nozze, alle nascite. E'
chiamata anche Iugalis, Lucina, Regina. Il pavone è il suo simbolo, e Iride la
sua messaggera.
Minerva, è la dea della sapienza e delle arti. E' rappresentata con un'elmo,
uno scudo e una lancia. Ha come animale sacro la civetta, e come albero
l'ulivo.
Altre Divinità Maggiori
Cerere (Ceres), è la protettrice della vegetazione, e del frumento. E' rappresentata con il
viso adorno di spighe.
Vesta, è la dea del focolare domestico. Il suo culto è affidato alle vestali, che hanno il
compito di mantenere viva sull'altare la fiamma purificatrice, simbolo della potenza
dello Stato. Le è sacro l'asino che gira il mulino.
Diana, è la dea della caccia. E' rappresentata vicino ad un cervo, o un capriolo, animali a
lei sacri. Si identifica spesso con la Luna o con Proserpina.
Mercurio (Mercurius), è il dio del commercio e il protettore dei ladri, è inoltre il
mesaggero degli dei. E' rappresentato con dei calzari alati, e un cadduceo con delle serpi
intrecciate, che gli serve per condurre i morti nei campi elisi.
Marte (Mars), è il dio della guerra, e anche padre di Romolo. Il suo simbolo sacro è
l'olivo, emblema della pace vittoriosa. Da lui deriva il nome del Campo Marzio
(Capmpus Martium) dove già dagli albori dell'Urbe si praticavano le esercitazioni
militari.
Venere (Venus), è la dea della bellezza e dell'amore. ha presso di se le Grazie intente ad
adornarla, e ha Cupido, il piccolo dio alato.
Nettuno (Neptunus), è il dio dei mari e delle aque. E' solitamente raffigurato su una
biga trainata da tritono o delfini, ed ha in mano un tridente.
Apollo, si può considerare il dio delle quattro discipline: la divinazione, il tiro con
l'arco, la poesia e la medicina. E rappresentato con una cetra, e una corona d'alloro sul
capo.
Alcune Divinità Minori
Muse (Musae), sono nove figlie di Giove e di Memosine, la dea della
memoria. Euterapia, è la dea della memoria, Eterpe della lirica, Clio
della storia, Melpòmene della tragedia, Tersicore della danza, Erato
della poesia d'amore, Polinnio della poesia sacra, Urania della scienza
deglia stri, Calìope della poesia epica.
Bacco (Bacchus), è il dio del vino. Ha di solito presso di se le Baccanti, i
Centauri metà uomini metà cavalli, e i Satiri. Di solito è rappresentato
con una corona di edera sul capo, una pelle di pecora sulle spalle, e
tiene in mano un boccale di vino.
Furie (Furiae), sono le così dette figlie della notte, le filatrici della vita.
Di esse Cloto, è la filatrice che produce il filo a cui la vita di ogni uomo
è legata. Làchesi, la dispensatrice, la quale tiene in mano un libro dove
sono tenuti tutti i destini degli uomini. Atropo colei che taglia i fili
della vita quando l'ora fatale è arrivata.
Bacco
Giove
Minerva
marte
Diana
Nettuno
Apollo
Venere
Mercurio
Declino della religione romana
L'influenza della mitografia ellenistica sulla letteratura latina e la diffusione
della filosofia greca tra i romani di buona cultura condussero al declino
progressivo degli antichi riti civili, a partire dal I secolo a.C. Una riforma del
sistema religioso venne condotta dall'imperatore Augusto, egli stesso pontifex
maximus e membro di tutti gli ordini sacerdotali, il quale promosse un recupero
dell'antica religione a salvaguardia della stabilità sociale; durante questo
periodo acquistò importanza il mito, cantato nell'Eneide di Virgilio, che faceva
risalire le origini di Roma all'eroe Enea, superstite della guerra di Troia. Con
l'impero si accentuò ulteriormente la tendenza a identificare il divino con lo
stato, personificato nella figura dell'imperatore: come già Giulio Cesare, ancor
prima della fondazione dell'impero, furono divinizzati Augusto, Claudio,
Vespasiano e Tito; dopo Nerva, soltanto a pochi imperatori non fu concesso
questo omaggio. Durante l'impero acquisirono popolarità e diffusione culti
stranieri, come l'adorazione del dio persiano Mitra; infine, nonostante le
persecuzioni che si estesero dal regno di Nerone a quello di Diocleziano, il
cristianesimo riuscì ad affermarsi e venne persino incoraggiato ufficialmente
sotto Costantino il Grande (324-337). Tutti i culti pagani vennero infine proibiti
nel 392 con il cosiddetto editto di Costantinopoli, promulgato dall'imperatore
Teodosio I.
La condizione femminile
Nella Roma arcaica, il pater familias aveva dei privilegi relativi al fatto ch'era titolare
dei propri beni, a differenza della donna, che, come i figli, non poteva possedere
qualcosa di proprio. Nei primi secoli della sua storia il diritto romano rifletteva le
regole di una società in cui capo indiscusso era l'uomo, con un potere di vita e di morte,
padrone della casa e della familia, comprensiva anche dell'intera servitù. Soltanto
l'uomo godeva dei diritti politici (votare, eleggere e farsi eleggere, percorrere la carriera
politica). La donna ne era del tutto esclusa; anche per esercitare i diritti civili (sposarsi,
ereditare, fare testamento) aveva bisogno del consenso di un tutore, di un uomo che
esercitasse su di lei la tutela: questi era il padre, poi il marito e, all'eventuale morte
del marito, il parente maschio più prossimo. Da una legge che figura nelle XII Tavole
si può ricavare la posizione giuridica della donna nell'antica Roma: "(E' stabilito che),
sebbene siano di età adulta, le donne devono essere sotto tutela. " (che però erano sotto
la tutela del pontefice massimo). La donna romana era costantemente sotto tutela, cioè
in manu: dalla manus protettiva e imperativa del padre passava, anche senza il suo
consenso, a quella del marito.
Tuttavia, è documentata la presenza di un matrimonio senza manus, cioè senza
potere del marito, in epoca precedente alle Dodici Tavole. E' con la legislazione
attribuita a Romolo che si sancisce definitivamente una situazione iniqua nel
rapporto tra i sessi (la stessa leggenda sul ratto delle Sabine fa capire in quale
considerazione tenessero i romani le donne). Le limitazioni alla capacità giuridica
della donna romana vengono spiegate dai giuristi latini con pretese qualità
negative come l'ignorantia iuris (ignoranza della legge), imbecillitas mentis
(inferiorità naturale), infirmitas sexus (debolezza sessuale), levitatem animi
(leggerezza d'animo) ecc. La rivendicazione di questa radicale diversità tra uomo e
donna rifletteva una netta contrapposizione già esistente tra uomo e uomo, tipica
delle società antagonistiche.
Al pari degli impotenti o degli eunuchi, la donna romana, nel periodo
arcaico, non poteva adottare; non poteva neppure rappresentare interessi
altrui, né in giudizio, né in contrattazioni private; non poteva fare
testamento o testimoniare, né garantire per debiti di terzi, né fare
operazioni finanziarie; non poteva neppure essere tutrice dei suoi figli
minori.
Le veniva preclusa la facoltà d'intervenire nella sfera giuridica di terzi
semplicemente perché (e con questo in pratica si chiudeva il cerchio della
discriminazione) non aveva mai ufficialmente gestito alcun tipo di potere su altri.
Sotto questo aspetto la società maschilista romana non faceva molta differenza
tra donne ignobili e donne rispettabili, come p.es. le matrone. Le differenze erano di
carattere etico-sociale, non certo politico.
Tra le prime, spesso indicate come non romane, sono coloro che provengono dal
mondo del teatro, del circo, della prostituzione.
Queste donne appartengono ad uno status sociale inferiore, riconoscibile ad
esempio nel fatto che era loro consentito di non coprirsi il capo o nel divieto di
portare la stola, quel manto che è considerato proprio della rispettabile matrona.
Queste donne di rango inferiore, come pure quella ufficialmente dichiarate adultere,
vengono private a scopo punitivo del diritto di contrarre un legittimo matrimonio e
della facoltà di trasmettere pieni diritti civili. A differenza delle donne egiziane le
romane non avevano diritto al nome proprio. Nel caso avesse un nome proprio,
questo non doveva essere conosciuto se non dai più stretti familiari e non doveva
mai essere pronunciato in pubblico.
(1) Alla nascita infatti venivano assegnati tre nomi al maschio: il praenomen (p.es.
Marco; in tutto erano circa una ventina), il nomen (p.es. Tullio) e il cognomen (p.es.
Cicerone); e uno solo alla femmina, quello della gens a cui apparteneva, usato al
femminile. La donna veniva considerata non come individuo, ma come parte di un
nucleo familiare. Cicerone, p.es., chiamerà la figlia col nome di Tullia. Se le figlie
erano più di una, accanto al nome della gens portavano il nome generico di Prima,
Secunda, ecc. Ma questo era la plebe a farlo, i patrizi preferivano attingere alle
antenate illustri. Per distinguere due sorelle oppure madre e figlia si usavano
l'aggettivo senior o junior. I liberti, maschi o femmine, assumevano il nome del
patrono. A volte, ma solo per i maschi, si aggiungeva un soprannome per meriti
civili o militari: p.es. l'Uticense, il Censore, l'Africano... D'altra parte avere un nome
proprio contava relativamente: nella Roma repubblicana venivano censite solo le
donne che, in quanto ereditiere, avevano l'obbligo di contribuire a mantenere
l'esercito. Si noti che a differenza di quella romana, la donna etrusca poteva essere
identificata anche col nome della madre, poteva partecipare ai banchetti
sdraiandosi sui letti con gli uomini (mentre a Roma le donne dovevano stare
sedute), si occupava di affari pubblici, discutendo di politica (anche se non poteva
votare né essere eletta), usciva di casa quando voleva, talvolta era libera di
scegliersi lo sposo e in genere aveva una libertà che scandalizzava molto gli
scrittori greci e romani, che descrissero gli etruschi come un popolo privo di
moralità.
L’ istruzione
Le bambine romane imparavano a leggere, scrivere e far di conto se i genitori potevano
permettersi di pagare un maestro privato. Quando arrivavano a dodici anni ed erano
già in età da marito, potevano continuare con lo studio, sempre a pagamento, delle
lettere, della danza e della musica. L'istruzione dei ricchi è sempre stata privata: i
primi precettori delle grandi famiglie provengono dall'Italia stessa, e parlano
latino, greco, osco. Mentre le legioni romane portano il latino ovunque, nell'Urbe
diventa di moda il greco. Si considerava chic per le ragazze conversare in greco. E gli
intellettuali greci, la cui superiore cultura era apprezzata a Roma, emigravano
volentieri in questa città. Ma sono anche gli schiavi e le schiave greche che insegnano
la loro lingua ai bambini delle famigliepatrizie. Col tempo però i romani cercano di
favorire anche la scuola pubblica, pagandola di tasca propria, in quanto lo Stato,
restio a interferire nel potere del "pater familias", comincerà a provvedere solo a
tardo impero. Da Cesare a Costantino verranno accordati regolarmente compensi e
privilegi agli educatori pubblici, poiché si riteneva fosse un dovere sociale imparare a
leggere e scrivere, senza differenze di sesso.
Spesso alle lezioni della scuola pubblica assistono nutrici e custodi degli stessi
studenti, ma è possibile anche per genitori, parenti, amici: la scuola è aperta a
tutti. L'istruzione pubblica è suddivisa in primaria (fatta col maestro elementare),
secondaria (fatta col grammatico) e superiore (fatta col retore).
Alla secondaria accedono in maggior numero ragazzi e ragazze delle famiglie
più agiate. Si studiano lingua e letteratura latina e greca, fisica, astronomia,
mitologia e storia.
Alla scuola del retore vanno solo i figli destinati all'attività forense o politica,
quindi solo i maschi, anche se si conoscono casi di donne istruite che si difendono
da sole in tribunale o tengono discorsi pubblici. Gli studenti maschi a scuola
apprendono soprattutto la retorica, cioè l'arte di persuadere e di commuovere, così
come è stata elaborata in Grecia.
Gli aristocratici furono sempre contrari all'apprendimento pubblico di quest'arte,
perché la vedevano come una minaccia ai loro interessi. Poi vi sono scuole
specializzate, professionali, come quelle per l'edilizia e l'agrimensura, ma anche
quelle, prevalentemente femminili, ove s'impara il canto, la musica e la danza.
Il lavoro delle donne romane
Le donne svolgono prevalentemente lavori domestici. Alla donna era affidata la prima
educazione del bambino, il primissimo insegnamento orale. Era la donna che formava i
figli sul piano morale e comportamentale, affiancata, in questo, dai comites, cioè dai
parenti, nonni e nonne, zie e zii. Scopo della sua vita era quello di diventare un'esperta
amministratrice della casa, circondata, se possibile, da ancillae e famulae che ne
eseguivano gli ordini. Infatti la stessa etimologia della parola "donna" ci avvicina ad
una domus (casa) oppure ad una domina (padrona). In casa essa ha diritti non scritti
ma reali sulla famiglia, sui figli, sulle dispense. Era lei che aveva tutte le chiavi e
controllava ogni cosa: solo l'accesso alla cantina le era vietato. Il vino resterà
proibito alle donne sino alla fine del periodo repubblicano.
Il matrimonio delle donne romane
A differenza che nell'antico Egitto, nella Roma arcaica una figlia, ancora giovanissima,
poteva essere promessa in sposa o fidanzata a un giovane anche contro la propria volontà e
questo rito era giuridicamente valido; consisteva in un vero e proprio impegno, perseguibile in
caso di inadempimento, che vincolava la donna ad una sorta di fedeltà pre-matrimoniale nei
confronti del futuro sposo. Il matrimonio si perfezionava con il trasferimento della donna
dalla famiglia paterna a quella del marito. Il fidanzato consegnava alla ragazza un
pegno per garantire l'adempimento della sua promessa di matrimonio, un anello che
lei si metteva all'anulare della mano sinistra. Sembra che tra il dono e quel dito
esista una certa relazione.
Pensavano che anatomicamente questo era l'unico dito a presentare un sottilissimo nervo che
lo collega direttamente con il cuore. I matrimoni venivano decisi dai parenti dei due giovani
e i motivi erano sempre di natura economica. Questo soprattutto in età repubblicana. Una
donna romana può essere ceduta dal padre al marito già a 12 anni.
La donna dipendeva totalmente dal padre e dal marito e poiché si mirava
all'indissolubilità del vincolo matrimoniale, l'assenza di un vero amore reciproco non
rendeva l'istituto del matrimonio meno stabile.
D'altra parte i romani si sposavano soprattutto per garantirsi una discendenza. le
donne dovevano servire ed amare il marito, i figli e accudire la casa. Non c'è
dovere di reciprocità nell'amore, non c'è obbligo alla reciproca fedeltà coniugale.
In famiglia la moglie sta vicino al marito in ogni occasione, pur essendone
subordinata Nel 18 a.C., per far fronte al crollo delle nascite e ai divorzi facili,
Ottaviano prevedeva una serie di misure allo scopo di aumentare il tasso
demografico: si stabilivano premi per i cittadini con famiglie numerose e pene
pecuniarie per i celibi e i coniugi senza figli.
Il divorzio
Romolo praticamente non permetteva mai alle donne di divorziare, mentre lo
permetteva ai mariti in alcuni casi: tentato avvelenamento, uso di chiavi false,
adulterio. Fin dall'epoca repubblicana la fanciulla poteva uscire a capo scoperto,
ma gli uomini potevano divorziare da una donna sposata che non copriva il capo
con un velo o con un lembo del mantello.
Di regola un marito che sorprendeva la donna a bere, la cacciava di casa tenendosi la dote
ricevuta all'atto del matrimonio. Il ripudio, che sotto il tardo impero cristiano verrà
ammesso solo nei casi di adulterio, omicidio, maleficio e avvelenamento del coniuge, in
tutta l'epoca classica era invece possibile in ogni momento. Bastava recapitare al coniuge
un biglietto con su scritto "riprenditi quello che è tuo". Se il divorzio era la possibilità di
sciogliere il matrimonio per potersi risposare, il ripudio invece poteva avvenire per ragioni
molto meno gravi. Lo Stato cercò di porre un freno minacciando la perdita dei beni.
La procreazione ed assistenza
Nella civiltà romana, abbastanza facilmente gli uomini potevano liberarsi dei figli
indesiderati. Era sufficiente non riconoscerli e abbandonarli. C’era una legge secondo
cui il padre deve riconoscere "almeno" la figlia primogenita. Ciò ad evitare
l'eccessivo abbandono di neonate di sesso femminile. Quest'uso, praticato da ricchi e
poveri, durerà più di mille anni. La sterilità era comunque considerata una grave
disgrazia. Ma il parto rappresentava un rischio mortale per tutte le classi sociali.
Muore di parto o per le sue conseguenze il 5-10% delle partorienti. Si sa che
l'ampiezza del bacino di donne, spesso giunte ancora
impuberi alle nozze, influisce sull'esito del parto. Nelle famiglie agiate, la nutrice o
la madre fasciano spalle e petto alle spose-bambine e lasciano libere le anche per
ottenere un bacino più ampio. La donna romana, specialmente quella di classe
sociale più elevata, comincia a rifiutare la prole a fine repubblica. addirittura di
proibire il celibato. E Augusto, alla fine del primo secolo, constatata una forte
contrazione nelle nascite, incentiva nozze e natalità e promette alle donne maritate la
liberazione da ogni tipo di tutela alla morte del padre, purché siano portate a
termine almeno tre gravidanze.
Al contrario la donna che tra i 18 ed i 50 anni risultasse ancora nubile non potrà
ricevere eredità. Bisogna dunque tentare almeno tre gravidanze, altrimenti, in forza
delle leggi augustee, ogni lascito ereditario finisce in mano ai parenti paterni o
allo Stato e si resta per tutta la vita sotto l'amministrazione di un tutore. Limitare
le nascite, specie nelle classi più elevate, diventa il principale obiettivo della ricca
matrona, che è riuscita a portare a termine le tre gravidanze.
La matrona può fare anche uso di pozioni contraccettive ed abortive, che impiegano
ingredienti rischiosi come la ruta, l'ellèboro, l'artemisia (in epoca repubblicana
s'ingerivano sostanze, anch'esse nocive alla salute, nella speranza di ottenere più
facilmente la gravidanza).
I medici si rifiutano di assistere aborti, che possono nascondere un adulterio, di cui
essi diverrebbero complici, subendo le stesse pene previste per gli amanti. Può
accadere che la donna muoia per effetto della pratica abortiva. In ogni caso
l'aborto non è punito in sé, ma solo se procura la morte della donna.
L’adulterio ed il concubinato nell’Antica Roma
Nella Roma arcaica l'adulterio era considerato reato solo se veniva commesso
dalla donna, e veniva punito in modo più severo della vicina Grecia.
Era addirittura prevista la pena di morte se il pater familias lo riteneva necessario.
Le donne ufficialmente dichiarate adultere, come le donne di rango inferiore vengono
private a scopo punitivo del diritto di contrarre un legittimo matrimonio e della
facoltà di trasmettere pieni diritti civili.
Si pretendeva che le ragazze arrivassero vergini al matrimonio. Una cosiddetta donna
di "facili costumi", se non ha solo occasionali rapporti con il marito della matrona
(un romano libero non è mai colpevole di adulterio), può ufficialmente convivere in
famiglia come concubina. Il concubinato, importato con molte modifiche da Atene,
diviene un istituto tipicamente romano.
Emancipazione delle donne romane
La sicurezza, la stabilità e l'ordine interno della società civile, che si verificano dopo
la fine delle guerre puniche e civili, rendono il ruolo protettivo del marito romano
largamente superfluo. Nel più sicuro ed opulento ambiente sociale, già ben visibile
nell'età ciceroniana (85 - 31 a.C.), di protettivo è rimasto solo il materno ed
insostituibile ruolo femminile. Il ruolo della materfamilias tende inevitabilmente a
rafforzarsi e la donna comincia a partecipare alla vita sociale e intellettuale. In
epoca imperiale, attraverso l'istituto della coemptio fiduciae causa, le donne
potevano sostituire il tutor legittimo con uno di loro fiducia: questi era un semplice
prestanome e permetteva loro di disporre dei propri beni e di se stesse come meglio
credevano. Altra conquista giuridicamente rilevante, già presente in epoca
repubblicana, fu il riconoscimento della parentela anche in linea femminile. Se in un
primo tempo il rapporto fra madre e figlio non aveva alcuna rilevanza giuridica, in
seguito a questo intervento fu concesso ad alcune donne di avere persino la tutela dei
propri figli, nel caso di padre indegno. Ora, se è benestante, per governare la domus le
basta dare poche direttive alla servitù.
Quanto ai figli la matrona ricca ne affida l'educazione al pedagogo di casa; la
povera invece li manda alla scuola pubblica, dove vengono formati da magistri
sottopagati.
A volte sole, a volte con il marito o con un'amica vanno alle terme, dove
prendono il bagno in piena promiscuità con gli uomini, finché nel II sec. d.C.
l'imperatore Adriano interviene a frenare comportamenti eccessivamente disinvolti
e separa ambienti ed orari di donne e uomini.
Nelle immagini pervenute e nelle fonti letterarie non si vede mai una donna tra
quelli che a prima mattina devono correre a porgere l'obsequium, il deferente
saluto ai potenti, né tra la povera gente che, tessera annonaria alla mano, si
presenta nei luoghi di distribuzione gratuita di generi alimentari.
Sono cose che fanno gli uomini, i quali fanno anche la spesa. Si vedono invece
donne alla fullonica (tintoria), che si fanno restituire la biancheria, dal
calzolaio, dal sarto.
Quanto all'impegno politico bisogna considerare che l'unico imperatore che
permise a una donna, sua madre, di entrare in senato per svolgere mansioni
tradizionalmente riservate agli uomini, fu Eliogabalo. Questo ovviamente non
significa che importanti donne romane non parteciparono, seppure indirettamente,
alla politica. L'emancipazione sociale, morale e politica d'altra parte è
direttamente collegata a quella economica: solo tardivamente la legislazione
autorizza la donna romana a trattenere per sé tutta la sua proprietà (a eccezione
della dote che passa al coniuge), a essere padrona dei beni ereditati e a
conservarli in caso di divorzio. Tutto ciò però non le permetterà mai di acquisire dei
veri diritti politici. Nell'epoca di massima conquista delle libertà femminili a
Roma era forte l'influsso delle religioni egiziane, e venivano largamente praticati
riti sacri ad Iside e ad altre divinità importate dall'antico Egitto. Nella religione
egiziana, infatti, la figura della donna appare sempre e costantemente collegata
a quella di grande madre di tutti gli esseri viventi e di grande sposa. Alla natura
femminile si riconosceva l'origine della vita, la sua tutela ed il suo armonioso
sviluppo. Molti storici, di allora e di oggi, fanno coincidere il decadere
dell'istituto familiare, la crisi dei valori sociali e familiari con l'emancipazione
femminile e con l'istituto del divorzio, senza rendersi conto che con questa
emancipazione le donne chiedevano semplicemente di poter avere gli stessi diritti
degli uomini.
La Legge a Roma
Nei primi secoli dalla nascita di Roma fondamento del diritto (ius) fu
considerata la tradizione. Da principio non vi erano leggi scritte, ma soltanto
una coscienza collettiva e ogni ramo della vita quotidiana era regolato da
una prassi universalmente accettata, secondo le usanze degli antenati (mos
maiorum). Il primo documento di legge scritta in Roma furono le Dodici
tavole (V secolo a.C.). Successivamente le leggi venivano proposte dal
magistrato e votate dai comizi. Il più antico ius civile fu chiamato ius
quiritium, cioè dei cittadini romani. Lo ius honorarium (o praetorium)
comprendeva le leggi introdotte dai magistrati (in particolare pretori) per
interpretare, correggere o ampliare lo ius civile, costituito anche dalla
legislazione promulgata dai comizi (leges), dai concilia plebis (plebiscita),
dal senato (senatus consulta) e, in età imperiale, dalle constitutiones. Una
divisione generale esisteva tra publicum e privatum.
Il primo riguardava la costituzione dello stato e le regole d'interesse comune;
il secondo concerneva i diritti dei singoli. Lo ius gentium concerneva sia le
norme legali per le relazioni tra stati indipendenti (corrispondendo all'odierno
diritto internazionale), sia il complesso di regole giuridiche che, attraverso il
contatto con gli altri popoli, arricchirono il diritto romano.
. Lo ius italicum si esercitava sul territorio italiano, esente da tassazione
fondiaria (tribum soli); questo privilegio durante l'impero poteva essere
accordato ad alcune municipalità provinciali.
Tuttavia alla legge si ricorreva solo eccezionalmente ed essa era
considerata un mezzo per intervenire sulle tradizioni e cambiarle quando
queste si rivelavano, agli occhi delle autorità e dei giuristi, inique, dannose
o inadeguate alle nuove esigenze della collettività. Essa non aveva per lo
più un rigido carattere normativo, ma si poneva come un'alternativa alla
tradizione, lasciando la facoltà ai cittadini, a seconda dei casi, se attenersi
al vecchio canone oppure ai nuovi istituti.
Roma era la città del diritto .Nessuna civiltà era riuscita a sviluppare
tante leggi e procedimenti legali così articolati. I romani erano molto
litigiosi. 180 erano i giudici che lavoravano nella BASILICA GIULIA .I
processi si svolgevano così:
al centro c’era il giudice capo il DECENVIRO affiancato ad ogni lato da
22 giudici e d’avanti a loro sedevano i due contendenti con i rispettivi
avvocati e infondo alla sala c’era la folla perchè alla gente piaceva
assistere ai processi tanto quanto assisteva al combattimento dei
gladiatori.
Le 12 Tavole
Il termine italiano legge deriva da legem, accusativo del latino lex.
Lex significava originariamente norma, regola di pertinenza religiosa.
Queste regole furono a lungo tramandate a memoria, ma la tradizione orale che implicava il rischio di travisamenti - fu poi sostituita da quella scritta.
Sono così giunte fino a noi testimonianze preziose come le Tavole Eugubine, una
raccolta di disposizioni che riguardavano sacrifici ed altre pratiche di culto
dell’antico popolo italico di Iguvium, l’attuale Gubbio.
A Roma, in età repubblicana, vennero promulgate ed esposte pubblicamente le
Leggi delle Dodici Tavole, che si riferivano non più solamente a questioni
religiose: il termine lex assunse così il valore di norma giuridica che regola la
vita e i comportamenti sociali di un popolo.
Sul finire dell’età antica l’imperatore Giustiniano fece raccogliere tutta la
tradizione legislativa e giuridica romana nel monumentale Corpus Iuris, la
raccolta del diritto, che ha costituito la base della civiltà giuridica occidentale.
Le leggi delle XII tavole (duodecim tabularum leges) è un corpo di leggi
compilato nel 451-450 a.C. dai decemviri legibus scribundis, contenenti regole di
diritto privato e pubblico.
Rappresentano una tra le prime codificazioni scritte del diritto romano. Sotto
l'aspetto della storia del diritto romano, le Tavole costituiscono l'unica redazione
scritta di leggi dell'età repubblicana. Secondo la versione tradizionale, tramandata
dagli storici antichi, la creazione di un codice di leggi scritte sarebbe stata voluta
dai plebei nel quadro delle lotte tra patrizi e plebei che si ebbero all'inizio
dell'epoca repubblicana. In particolare, i plebei chiedevano un'attenuazione delle
leggi contro i debitori insolventi e leggi scritte che limitassero l'arbitrio dei patrizi
nell'amministrazione della giustizia. In quell' epoca, infatti, l'interpretazione del
diritto era affidata al collegio sacerdotale dei pontefici, che era di esclusiva
composizione patrizia.
Le Dodici Tavole (non sappiamo se di legno di quercia, d'avorio o di bronzo) vennero
affisse nel foro, dove rimasero fino al sacco ed all'incendio di Roma del 390.
Cicerone narra che ancora ai suoi tempi (I sec. a.C.) il testo delle Tavole veniva
imparato a memoria dai bambini come una sorta di poema d'obbligo (ut carmen
necessarium), e Livio le definisce come “fonte di tutto il diritto pubblico e privato
[fons omnis publici privatique iuris]”. Il linguaggio delle tavole è ancora un
linguaggio arcaico ed ellittico.
TABVLA I (Procedura civile)
I Si membrum rupsit, ni cum eo pacit, talio esto.
Se un tale romperà un membro a qualcuno, se non interviene un accordo, si
applichi la legge del taglione.
II Si pater filum tre venumduit, filus a patre liber esto
Se un padre ha venduto un figlio per tre volte, il figlio sia libero dall'autorità
paterna.
III Hominem mortuum in urbe ne sepelito neve urito
Non si seppellisca nè si cremi nessun cadavere in città.
IX Si in ius vocat, ito. Ni it, antestamino. Igitur em capito.
Se qualcuno è chiamato in giudizio, vada. Se non va, deve essere chiamato un
testimone. Quindi lo si acchiappi.
Si calvitur pedemve struit, manum endo iacito. Si morbus ævitasve
vitium escit, iumentum dato. Si nolet, arceram ne sternito.
Se si sottrae o tenta di fuggire, si imponga la mano. Se la malattia o
l'età avanzata sono un impedimento, sia dato un carro. Se non lo
vuole, questo non deve essere coperto.
X Adsiduo vindex adsiduus esto. Proletario iam civi quis volet vindex
esto.
solo un proprietario terriero può essere garante per un altro. Per un
proletario,sia garante chiunque vorrà.
Rem ubi pacunt, orato. Ni pacunt, in comitio aut in foro ante meridiem
caussam coiciunto. Com peroranto ambo præsentes. Post meridiem
præsenti litem addicito. Si ambo præsentes, solis occasus suprema
tempestas esto.
Quando i partiti hanno preso un accordo, che si annunci. Se non sono
d'accordo, devono renderlo noto al foro entro mezzogiorno. Dovranno
esporre le loro ragioni insieme e di persona. Dopo mezzogiorno, la
lite sia assegnata a colui che è presente. Se entrambi sono presenti, il
caso deve finire entro il tramonto.
TABVLA II (Procedura civile)
. . . morbus sonticus . . . aut status dies cum hoste . . . quid horum
fuit unum iudici arbitrove reove, eo dies diffensus esto.
Grave malattia. . . o un giorno stabilito contro il nemico . . . se
qualcuno di questi è un impedimento per il giudice o qualsiasi
partito, quel giorno i procedimenti devono essere sospesi.
Cui testimonium defuerit, is tertiis diebus ob portum obvagulatum
ito.
Uno che cerca testimonianza da un assente deve urlare davanti
alla sua porta ogni terzo giorno
TABVLA III (Procedure esecutive)
Æris confessi rebusque iure iudicatis XXX dies iusti sunto.
A una persona che ammette di dovere denaro o è stata giudicata di doverne devono
essere dati trenta giorni per pagare.
Post deinde manus iniectio esto. In ius ducito. Ni iudicatum facit aut quis endo eo in
iure vindicit, secum ducito, vincito aut nervo aut compedibus XV pondo, ne maiore aut si
volet minore vincito. Si volet suo vivito, ni suo vivit, qui eum vinctum habebit, libras faris
endo dies dato. Si volet, plus dato.
Dopo ciò, il creditore può mettergli le mani addosso e trascinarlo in giudizio. Se il
debitore non paga la condanna e nessuno garantisce per lui, il creditore può portare via
con sé il convenuto in catene. Lo può legare con pesi di almeno 15 libbre. Il debitore può
sfamarsi come desidera. Se egli non riesce a sfamarsi da solo, il creditore deve dargli
una libbra di grano al giorno. Se vuole può dargliene di più.
Tertiis nundinis partis secanto. Si plus minusve secuerunt, se fraude esto.
Al terzo giorno di mercato, (i creditori) possono tagliare i pezzi. Se prendono più di
quanto gli spetti, non sarà un illecito.
Adversus hostem æterna auctoritas esto.
Nei confronti dello straniero, è perpetuo l'obbligo di garantire la proprietà della
merce.
Questo è il modo di procedere della LEGIS ACTIO PER MANUS INIECTIONEM.
TABVLA IV (Genitori e figli)
Cito necatus insignis ad deformitatem puer esto.
Un bambino chiaramente deformato deve essere messo a morte.
Si pater filium ter venum duit, filius a patre liber esto.
Se un padre vende il figlio tre volte, il figlio sia libero dal padre.
TABVLA V (Eredità)
Si intestato moritur, cui suus heres nec escit, adgnatus proximus familiam habeto. Si
adgnatus nec escit, gentiles familiam habento.
Se una persona muore senza aver fatto testamento, il parente maschio prossimo
erediterà il patrimonio. Se questo non c'è erediteranno gli uomini della sua gens.
Si furiosus escit, adgnatum gentiliumque in eo pecuniaque eius potestas esto.
Se qualcuno impazzisce, il suo parente più prossimo maschio avrà autorità sulla
sua proprietà.
TABVLA VI (Proprietà)
Cum nexum faciet mancipiumque, uti lingua nuncupassit, ita ius esto.
Quando qualcuno fa un accordo o un trasferimento lo annuncia
oralmente, gli sarà data ragione.
Tignum iunctum ædibus vineave sei concapit ne solvito.
Nessuno deve spostare travi da edifici o vigne.
TABVLA VII (Proprietà)
Viam muniunto: ni sam delapidassint, qua volet iumento agito.
Costruite strade: se cadono in rovina, i passanti possono guidare le loro
bestie ovunque vogliono.
Si aqua pluvia nocet . . . iubetur ex arbitrio coerceri.
Se la pioggia fa danni. . . la questione sarà risolta da un giudice.
TABVLA VIII (Illeciti)
Qui malum carmen incantassit . . .
Coloro che hanno cantato un maleficio. . .
Si membrum rupsit, ni cum eo pacit, talio esto.
Se una persona mutila un'altra e non addiviene ad un accordo con essa, vi sia il
taglione.
Manu fustive si os fregit libero, CCC, si servo, CL poenam subit sestertiorum; si iniuriam
[alteri] faxsit, viginti quinque poenae sunto.
Chiunque rompa l'osso di un altro, a mano o con un bastone, deve pagare trecento se è
un libero; per uno schiavo, centocinquanta; se abbia commesso altrimenti offesa la pena
sia di venticinque.
Qui fruges excantassit . . . neve alienam segetem pellexeris
Chi fa sparire il raccolto o il grano di un altro. . .
Patronus si clienti fraudem fecerit, sacer esto.
Se un patrono froda il cliente, incorra nella sacertà.
Qui se sierit testarier libripensve fuerit, ni testimonium fatiatur, inprobus intestabilisque
esto.
Chi sia stato chiamato a testimoniare o a fare il libripens, se non testimonia, sia
disonorato e reso incapace di ulteriore testimonianza.
Si telum manu fugit magis quam iecit, arietem subicito.
Se una lancia vola dalla mano senza scopo, si sacrifichi un ariete.
TABVLA IX (Principi costituzionali)
Privilegia ne irroganto.
Non devono essere proposte leggi private (privilegi).
TABVLA X (Regole per i funerali)
Hominem mortuum in urbe ne sepelito neve urito.
Nessun morto può essere cremato né sepolto in città.
Qui coronam parit ipse pecuniave eius honoris virtutisve ergo arduitur ei . . .
Quando un uomo vince una corona, o il suo schiavo o bestiame vince una corona per
lui, . . .
Neve aurum addito. at cui auro dentes iuncti escunt. Ast in cum illo sepeliet uretve, se
fraude esto.
Nessuno deve aggiungere oro (a una pira funebre). Ma se i suoi denti sono tenuti
insime dall'oro e sono seppelliti o bruciati con lui, l'azione sia impunita.
TABVLA XI (Matrimonio)
Conubia plebi cum patribus sanxerunt.
è vietato il matrimonio fra plebei e patrizi
TABVLA XII (Crimini)
Si servo furtum faxit noxiamve noxit.
Se uno schiavo ha commesso furto o un male . . .
Si vindiciam falsam tulit, si velit is . . . (?prae?)tor arbitros tris dato, eorum
arbitrio . . .(?rei et?) fructus duplione damnum decidito.
Se qualcuno abbia portato in giudizio una falsa vindicia (il pretore?) dia tre
arbitri, e paghi il doppio (del bene) e dei frutti.
L’Ordinamento Politico
-Tre erano le principali istituzioni di governo nell'antica Roma: il re, il senato e comizi curiati.
La carica di re non era ereditaria; il sovrano aveva anche il potere religioso (era sommo
sacerdote) militare (era comandante dell'esercito) e giudiziario (era giudice supremo del
popolo).
-Se il re pronunciava delle condanne a morte, però, il cittadino poteva fare appello
all'assemblea de popolo (provocatio ad populum) e rimettersi al suo giudizio. Le funzioni
di governo, compresi i poteri legislativo e giudiziario, erano svolte con l'assistenza di due
assemblee: il senato e i comizi curiati. Il senato era composto da membri dell'aristocrazia
scelti dal re e consultati per decisioni sia di politica estera che di politica interna; il senato
doveva anche approvare o respingere le proposte di legge del sovrano e le deliberazioni dei
comizi curiati.
-Alla morte del re dieci senatori sceglievano un nuovo candidato e lo proponevano ai comizi
curiati. Questi ultimi erano formati da cittadini facenti parte delle 30 curie (ripartizioni
della popolazione); ogni curia era formata da 10 genti (o gentes, gruppi gentilizi) doveva
fornire all'esercito 100 fanti (una centuria) e 10 cavalieri oltre a un senatore per ogni gens (i
senatori erano così 300, secondo la riforma di Servio Tullio). Le curie potevano riunirsi in
assemblea, dichiarare la guerra, nominare il re, approvarne le proposte di legge e ratificare
le condanne a morte. La sede delle riunioni era il Foro.
Le Classi Sociali
-Due erano le grandi classi sociali: i patrizi, aristocratici proprietari terrieri, e i
plebei, contadini, commercianti e artigiani, utilizzati anche dall'esercito. I patrizi
avevano l'accesso alle cariche pubbliche, mentre i plebei ne erano esclusi.
-Con il miglioramento delle condizioni economiche, anche alcuni plebei
divennero benestanti e iniziarono una serie di lotte per ottenere la parità di
diritti. Al servizio dei patrizi vi erano i clienti che ricevevano dai loro padroni
terreni da lavorare, bestiame e protezione in cambio del servizio militare e di un
aiuto nella vita pubblica.
-Gli schiavi, prigionieri di guerra o plebei insolventi ai debiti, erano
completamente nelle mani dei loro padroni, che potevano decidere della loro
vita o anche donare loro la libertà; gli schiavi liberati erano detti liberti.
La Repubblica Romana
-Cacciato l'ultimo re, Tarquinio il Superbo, la monarchia venne sostituita
da un governo repubblicano a carattere aristocratico. In quel periodo, per
alcuni anni, Roma dovette combattere contro Porsenna e contro le
popolazioni latine preoccupate della sua ascesa.
-All'interno, il nuovo ordinamento provocò dei contrasti tra le due
principali classi sociali, i patrizi e i plebei. Infatti, nonostante i vari poteri,
legislativo, esecutivo, giudiziario e militare, fossero affidati a magistrature
diverse, erano comunque nelle mani di pochi cittadini patrizi, mentre tutti i
plebei ne erano esclusi. Le lotte tra patrizi e plebei si susseguirono per
parecchi anni, fino a quando i plebei ottennero alcune concessioni:
I'accesso al consolato, il tribunato, I'emanazione di leggi scritte, la
cancellazione del divieto di matrimoni misti.
-Nel frattempo, I'esercito romano, dopo aver combattuto l'invasione dei
Galli a nord, si preparò a nuove conquiste nell‘Italia meridionale,
sconfiggendo i Sanniti, occupando Taranto e la Magna Grecia.
Le Prime Guerre Repubblicane
•Le città latine, preoccupate del rafforzamento di Roma, la
affrontarono federate nella Lega latina, nel 496 a.C. uscendo
sconfitte. Nei 493 a.C. il console Spurio Cassio firmò con queste
città il Foedus Cassianum, un'alleanza di tipo difensivo. Altre
guerre furono combattute (fino al 430 a.C.) contro Volsci ed Equi;
di Volsci ed Equi; di esse rimasero nella leggenda le gesta di
Coriolano, che passò dalla parte dei Volsci ma poi si ritirò
andando incontro alla morte, e di Cincinnato, che ritornò
all'attività di agricoltore dopo aver sconfitto valorosamente i
Volsci, senza pretendere alcun tributo di ringraziamento. Motivi
economici spinsero Roma alla guerra contro la città etrusca di
Veio che, dopo un lungo assedio, fu espugnata da Furio Camillo
nel 396 a.C.
L’Ordinamento Repubblicano
- Le maggiori cariche della Repubblica romana, delineatasi tra il V e il IV sec. a.C., erano di
carattere elettivo, venivano rinnovate periodicamente, erano un servizio prestato gratuitamente
ed erano collegiali, cioè vi erano almeno due magistrati per ogni carica. I due consoli, che
restavano in carica un anno, comandavano l'esercito, convocavano il senato e i comizi, e
giudicavano i reati più gravi. Parte dei compiti dei consoli venne in seguito affidata ai
questori che si occupavano della finanza.
Nei momenti di grande pericolo per lo stato, poteva essere nominato un dittatore che, in
carica per sei mesi, sostituiva i consoli. Altri magistrati erano i pretori, in origine comandanti
delle truppe fornite dalle tre tribù dei Ramnii, Tizii e Luceri e poi amministratori di funzioni
giudiziarie, e i censori (dal 443 a.C.) che rimanevano in carica diciotto mesi, ogni cinque anni,
con l'incarico di compilare le liste del censo e dei senatori, in seguito, di vigilare sulla
condotta morale dei cittadini.
- Il senato era composto da coloro che avevano già esercitato una delle magistrature
superiori. Aveva un potere di tipo consultivo ma di fatto divenne l'organo più importante in
quanto doveva approvare le proposte di legge, controllare le finanze, deliberare sulla
guerra e sulla pace, concedere la cittadinanza e l'autonomia a città e popolazioni e istituire
le province.
- I comizi curiati e centuriati costituivano le assemblee popolari. I primi, già esistenti
nell'età dei re, conservarono il solo compito di conferire la formale investitura sacrale ai
magistrati. I secondi eleggevano consoli e magistrati, approvavano le proposte del senato
ed esercitavano funzioni giudiziarie. La popolazione fu divisa in 193 centurie, ognuna
portatrice di un voto; le prime 98 erano costituite dai cittadini più ricchi (anche plebei) che
così avevano la maggioranza.
Il Contrasto Tra Patrizi E Plebei
- Fin dai primi anni della Repubblica si diffuse il malcontento tra i plebei
costretti al servizio militare senza ricevere il ricavato dei bottini, esclusi
dall'accesso alle magistrature e dal matrimonio con i patrizi.
- La prima forma di protesta fu attuata nel 494 a.C. quando, ritiratisi sul Monte
Sacro o, secondo un'altra tradizione sull'Aventino, decisero di non lavorare e di
non combattere. Il patrizio Menenio Agrippa riuscì a convincerli a tornare,
promettendo delle riforme in loro favore.
- I plebei ottennero così l'istituzione dei tribuni della plebe, che difendevano i loro
interessi e avevano diritto di veto sulle decisioni dei magistrati e dell'assemblea,
e dell'edilità, una magistratura in cui due rappresentanti plebei (edili),
affiancando i tribuni, curavano gli interessi della plebe.
- Nel 451-450, alcuni patrizi, riuniti nel collegio dei decemviri, redassero un corpo
scritto di leggi penali e civili, la Legge delle XII tavole, con cui i plebei
ottenevano diritti pari ai patrizi. La lotta continuò e i plebei ottennero l'abolizione
del divieto dei matrimoni misti (445 a.C.), l'accesso alla questura (421 a.C.), al
consolato (leggi Licinie Sestie, 367 a.C.) e ai collegi sacerdotali (300a.C.), e il
riconoscimento giuridico delle assemblee della plebe, dette comizi tributi (287
a.C., legge Ortensia) le cui deliberazioni (plebisciti) erano vincolanti per tutto il
popolo.
La Crisi Della Repubblica
-Profondi cambiamenti avvennero in Roma dopo le guerre puniche e la
conquista della Grecia e dell'Oriente. La diffusione della cultura ellenistica
(molti artisti greci si stabilirono a Roma mentre i ricchi romani trascorrevano
sempre più tempo in Grecia e in Oriente) mandò in crisi i valori della moralità
romana. I ricchi senatori cominciarono a impossessarsi delle terre dello
Stato reclamate anche dalla classe equestre; le classi medie, soprattutto i
piccoli agricoltori che costituivano il nerbo dell'esercito, si andarono
impoverendo sempre più. Tiberio e Caio Gracco si fecero promotori di una
riforma agraria, ma il loro tentativo fallì, finendo addirittura nel sangue.
- Dopo un decennio di pace, garantito dai senatori oligarchici, iniziò un
periodo molto difficile, percorso da rivalità accese tra i diversi partiti politici.
Si combatté la prima guerra civile, tra ottimati guidati da Silla e popolari
guidati da Mario. Silla ebbe la meglio ma, dopo aver restaurato il potere dei
patrizi ed esautorato i tribuni della plebe, si ritirò a vita privata e morì poco
dopo. Le rivalità non erano però terminate e Roma era ormai alle soglie
della seconda guerra civile.
La Fine Della Repubblica: Il Primo E Il Secondo Triumvirato
La Repubblica E L’Impero: Il Principato Di Augusto
- L'ultimo secolo della Repubblica, percorso da conflitti civili e instabilità
politica, aveva messo in evidenza l'inadeguatezza del sistema di governo
romano.
- Tutti sentivano il bisogno di una pacificazione. La classe dirigente non
ammetteva la cancellazione delle istituzioni e considerava la monarchia
assoluta come una negazione della libertà.
- Ottaviano comprese questa situazione: il suo potere, ottenuto tramite il
cumulo di diverse magistrature, con prerogative giuridicamente definite, fu
incentrato sul rispetto formale delle tradizioni istituzionali repubblicane e
non trasmissibile ereditariamente.
- La solidità del governo di Augusto (titolo ottenuto dal senato) fu
determinata dalla larga adesione del popolo al suo programma e dal senso
di riconoscenza per l'instaurazione della pace.
- Augusto e i suoi più stretti collaboratori si impegnarono in una capillare
attività ideologico-propagandistica, di cui furono cardini la pace civile (Pax
Augusta), il recupero e il rinnovamento della storia gloriosa di Roma, il
nuovo ordine morale e la ripresa della religione tradizionale, messaggi
diffusi soprattutto da letterati e artisti protetti da Augusto stesso.
La crisi dell' Impero Romano e l’ affermarsi del Cristianesimo
- La gestione dell'impero ideata da Diocleziano (tetrarchia) invece di facilitare il
problema della successione lo complicò. Costantino, prevalso tra i pretendenti,
rinsaldò il potere centrale, riorganizzò in modo efficiente l'esercito e cercò di porre
fine ai conflitti religiosi e culturali
- Con l'Editto di Milano, con cui si concedevano ampie libertà ai cristiani, il destino
dell'impero cominciò a legarsi a quello della Chiesa. Negli ultimi decenni del IV
sec. i Goti, stanziatisi nell'impero per concessione dell'imperatore d'Oriente Valente,
sconfissero l'esercito romano, penetrarono in Tracia e minacciarono Costantinopoli.
- La pace fu stipulata dal nuovo imperatore d'Oriente, Teodosio e i Goti si allearono
all'impero fornendo sempre più soldati all'esercito romano. Teodosio e Graziano
(imperatore d'Occidente), con l'Editto di Tessalonica, fecero del Cristianesimo
l'unica religione dell’impero. Alla morte di Teodosio, il generale vandalo Stilicone,
al servizio di Roma, non riuscì a impedire l'invasione dei Goti e la nascita del primo
Regno barbarico nelle Gallie.
- Nel 410 il visigoto Alarico saccheggiava Roma. Anche i Vandali e gli Unni
invasero l'impero, che nessun imperatore seppe risollevare.
- Nel 476 il capo dell'esercito barbaro Odoacre depose l'ultimo imperatore
d'Occidente Romolo Augustolo.
Cambiamenti Politici E Economici
- Mentre nel I sec. terminò la supremazia agricola e commerciale che l'Italia aveva
esercitato nei secoli precedenti, crebbero le esportazioni (olearie e vinarie soprattutto)
della Gallia meridionale, della Tarraconense e della Betica.
- Col sec. III iniziò per queste province una fase di regresso economico e subentrò una
nuova egemonia, quella africana, fondata sull'esportazione dell'olio e, collateralmente,
di ceramiche. Caduto l'Impero d'Occidente e occupata l'Africa dai Vandali nella prima
metà del V sec., iniziarono a prevalere nel Mediterraneo le esportazioni di merci e derrate
provenienti dalle province dell'Egeo, dell'Asia Minore e dell'area siropalestinese.
- In generale, si può dire che l'economia seguì i tempi della politica. Considerato il lungo
arco dell'età imperiale, i secoli I e II furono interessati da un generale movimento
espansivo che rallentò ed entrò in crisi nella seconda metà del sec. III, quando l'Impero
fu scosso da alcuni decenni di insicurezza politica e militare.
- Con l'avvento di Diocleziano anche la compagine produttiva recuperò vigore ma
all'interno di una forma autoritaria di governo che interveniva pesantemente nel
funzionamento dei meccanismi economici per mezzo della fiscalità. Il IV sec.segnò in
complesso un momento di recuperata floridezza che cominciò a declinare in Occidente a
seguito delle invasioni barbariche del V sec. e seguirà, sia pure con recuperi parziali un
andamento discendente sotto i Regni romano-barbarici dei secoli. VI-VII.
Gli Ottimati
•Gli Ottimati (in latino Optimates cioè i migliori) erano i componenti della
fazione aristocratica conservatrice della tarda Repubblica romana
Nascita Della Frazione
•In origine la plebe ed il ceto medio non avevano la minima influenza sulla
vita politica romana, essendo la gestione della Res Pubblica appannaggio
soltanto di quella ristretta cerchia di nobili che avevano la possibilità e la
cultura per dedicarsi alla politica. In seguito alla Secessione dell'Aventino,
però, le classi popolari e piccolo e medio borghesi riuscirono a ritagliarsi una
fetta di potere, da esercitare mediante loro rappresentanti: i tribuni delle plebe,
magistrati dotati di grande potere (per esempio il diritto di veto su qualsiasi
legge o decisione del Senato). Per rispondere a questa organizzazione politica
del popolo, anche i patrizi romani si allearono tra di loro nel movimento
politico degli "optimates" (it. "ottimi", "nobili"), cioè il partito aristocratico.
Organizzazione Del Movimento
- In effetti la fazione aristocratica non era un vero e proprio partito politico secondo
l'accezione moderna del termine (nonostante sia a volte chiamata Partito
Aristocratico). Era bensì una confederazione di nobili, ciascuno dei quali era
politicamente indipendente (o quasi) dagli altri, grazie ad una diffusa rete di
clientele e di alleanze che ciascun nobile gestiva in modo autonomo. L'appartenenza
ad un'unica fazione era resa però evidente dall'alleanza di tutti i nobili "optimates"
con il Senato, dal comune interesse a conservare tutti i privilegi nobiliari, nonché
dalla comune avversione nei confronti dei "Populares" (l'organizzazione politica dei
ceti popolari e borghesi) e dei "Tribuni della Plebe". Gli Ottimati, infatti, desideravano
limitare il potere delle Assemblee della plebe ed estendere il potere del Senato
romano, che era considerato più stabile e più dedicato al benessere di Roma. Si
opponevano anche all'ascesa degli uomini nuovi (plebei, di solito provinciali, la cui
la famiglia non aveva avuta esperienza politica precedente) nella politica romana.
L'ironia era che uno dei principali campioni degli ottimati, Marco Tullio Cicerone, era
egli stesso un nuovo uomo.
- Oltre ai loro obiettivi politici, gli ottimati si opposero all'estensione della
cittadinanza romana fuori dall'Italia (e si opposero perfino ad assegnare la
cittadinanza alla maggior parte degli Italici). Favorirono generalmente alti tassi di
interesse, si opposero all'espansione della cultura ellenistica nella società romana
e lavorarono duramente per fornire la terra ai soldati congedati (erano convinti che
soldati felici erano probabilmente meno disposti a sostenere generali in rivolta).
-La causa degli ottimati raggiunse l'apice con la dittatura di Lucio Cornelio
Silla (81 a.C.-79 a.C.). Sotto il suo potere, le Assemblee furono private di quasi
tutto il loro potere, il totale dei membri del Senato fu portato da 300 a 600,
migliaia di soldati si stabilirono nell'Italia del Nord e un numero
ugualmente grande di popolari fu giustiziato con le liste di proscrizione.
Limitò i poteri dei tribuni della plebe, ridusse i consoli e i pretori ai compiti
cittadini della direzione politica e dell’amministrazione della giustizia e vietò
di ricoprire una carica prima che fossero trascorsi dieci anni. Tuttavia, dopo le
dimissioni e la successiva morte di Silla, molti dei suoi provvedimenti politici
furono gradualmente ritirati, ma furono più durature le innovazioni nel campo
del diritto e del processo penale.
- Appartenevano agli "optimates" importanti uomini politici quali Lucio
Cornelio Silla, Marco Licinio Crasso, Catone il Censore e Catone Uticense, Tito
Annio Milone, Marco Giunio Bruto e, a parte il periodo del Triumvirato, Gneo
Pompeo.
Le tattiche utilizzate dall'esercito romano erano abbastanza semplici. Per
difendersi dalle frecce e dagli attacchi frontali veniva usata la formazione a
"testuggine", in cui i soldati mettevano scudi davanti, dietro e sopra di loro. Nei
passaggi stretti l'esercito si rinchiudeva in una colonna a due, nel combattimento
in campo stretto la cavalleria si sistemava sulle ali mentre gli ausiliari davanti.
Dietro si schieravano i legionari e, a chiudere il tutto, la riserva mobile. In campo
aperto invece il grosso dell'esercito (i legionari) si sistemava al centro, con i
meglio addestrati sulla destra. Sui lati si posizionava l‘artiglieria, composta da
fanti arcieri artiglieri, lasciando davanti gli ausiliari. Dietro questi fanti scelti si
posizionavano gli arcieri che lasciavano dietro i cavalieri artiglieri. In riserva
restavano la cavalleria scelta, la guardia del corpo ufficiali e 200 legionari.
La caratteristica per la quale la tattica manipolare è più nota è l’opera di
sostegno che le linee della legione romana schierata si danno l’un l’altra.
Non è affatto chiaro come questo avvenisse. Innanzitutto sono pochissimi i
resoconti storici nei quali l’avvenimento è narrato in modo più o meno
esplicito, ma in nessuno è spiegato esaurientemente, per cui siamo alle
congetture.In primo luogo ci doveva essere la normale sostituzione tra i
caduti: immaginiamo un manipolo di hastati che, sotto la pressione di un
nemico vincitore, inizia ad indietreggiare. Qualche nemico si fa largo tra i
legionari e penetra in profondità: il rischio che si apra una breccia, portando al
collasso la schiera degli hastati è reale.In questo caso, è spontaneo che il
centurione in comando del manipolo di principes schierato appena 8-10 metri
dal manipolo in crisi (distanza che inoltre si è ridotta per effetto
dell’arretramento) o più probabilmente il centurione primipilo, dia l’ordine che
vengano dispiegate le centurie, opponendo i loro ranghi al movimento
rinculante dei commilitoni: la spinta di forze fresche e il loro mischiarsi al
combattimento, vale a riequilibrare quando non a capovolgere la situazione.
Le fasi della battaglia
Questo movimento è troppo complesso per avvenire sotto la pressione di un nemico
incalzante, ma poteva invece avere luogo in una delle molte pause che i combattenti
erano costretti a prendersi a causa dell’enorme fatica fisica e psicologica legata ad uno
scontro corpo a corpo. Il procedimento più probabile era diviso in tre fasi. La prima fase
vede la centuria posterior del manipolo da rilevare tornare dietro alla centuria prior,
mentre quest’ultima continua a fronteggiare il nemico: distanza percorsa 15 metri, in circa
9”.
Inizia una seconda fase. Appena questa centuria ha liberato lo spazio che aveva
occupato, il manipolo di seconda schiera inizia ad avanzare velocemente contro il
nemico: per giungere sulla linea del fronte deve percorrere circa m. 12.5, che comportano
altri 7” circa. Contemporaneamente anche la centuria prior del manipolo arretrante
volta le spalle al nemico e si dirige velocemente verso le retrovie.
La terza fase vede il movimento della sola centuria posterior del manipolo avanzante:
che impiegherà circa altri 9” per affiancarsi alla propria centuria prior. Sono trascorsi 25”.
Nello stesso tempo, un nemico a piedi potrebbe forse compiere 50-60 metri, ma dovrebbe
partire come uno scattista appena viene annunciato l’ordine del ripiegamento: il che
appare un po’ improbabile. E’ invece più plausibile che nemici poco avvezzi a una
manovra tanto complessa rimanessero sconcertati e immobili, consentendo una sua
(quasi) tranquilla esecuzione.
Durante l’azione il fronte è sempre presidiato da almeno un’unità rivolta contro il nemico,
e se c’è un momento di debolezza questo è limitato alla seconda fase, tra il nono ed il
sedicesimo secondo. L’ipotesi sulla quale mi baso per fare questi calcoli è la velocità di 6
piedi romani al secondo equivalente a circa 1,80 m/s, che non pare una velocità
stratosferica: è un po’ più veloce del passo di carica di una linea di fanteria inglese
durante le guerre napoleoniche, ma va considerato che viene effettuata per tragitti molto
brevi e da unità con un fronte molto più ristretto e che mantengono agevolmente
l’allineamento. Lo stesso movimento poteva avvenire, con lievi modifiche, arretrando, in
circa 35”, ma in questo caso doveva essere l’intera linea di hastati di una legione ad
indietreggiare o si sarebbero aperti dei varchi nella fronte: ad un ordine del comandante in
capo, il suono dei corni lanciava un segnale al quale rispondeva tutta la linea
simultaneamente.
L’assedio
Esaminiamo come esempio di tattiche di difesa strategica di una
postazione fortificata due casi interessanti, quello dell'operazione
condotta nel 52 a.C. dal valoroso e sfortunato comandante dei
Galli, Vercingetorige, a protezione della città di Avarico (oggi
Bourges), assediata e poi espugnata dai Romani, ed in seguito
quello di Alesia, che, con la sua caduta, determinò in ultima analisi
la fine alla campagna di Cesare contro i Galli con il successo dei
Romani. (De Gallico VII, 14 - 31 e 68 - 90). Vi sarà modo di osservare
che, nonostante i Galli avessero adottato per proteggere le proprie
città e garantirsi il successo nella rivolta una serie di tattiche che
avrebbero potuto consegnare loro la vittoria – non da ultimo anche
modernissime strategie di guerriglia e di “terra bruciata”-, tuttavia
non seppero sfruttarle al meglio e questo inevitabilmente portò alla
loro rovinosa sconfitta da parte delle truppe romane, guidate dal
grande stratega Cesare.
Il Corvo
Data l’enorme superiorità dei romani nel corpo a
corpo sugli avversari, i romani trovarono il modo
anche sul mare di far valere questa grande loro
abilità. Inventarono “il corvo” una specie di ponte con
uno spuntone che serviva ad abbordare le navi
nemiche e rendere inarrestabile la superiorità dei
romani.
CESARE
Riassunto:
Ebbe un ruolo cruciale nella transizione del sistema di governo dalla forma
Repubblicana a quella Imperiale. Le sue conquiste militari in Gallia estesero il
dominio della Repubblica fino all’Atlantico e al Reno. Portò gli eserciti romani ad
invadere per la prima volta la Briatnnia, nel 55 A.C..
La spartizione del potere con Pompeo Magno e Crasso (Primo triumvirato) segnò
l'inizio della sua ascesa. Alla morte di Crasso (53 A.C.), Cesare si scontrò con Pompeo
e la fazione degli Optimates per il controllo dello stato. Di ritorno dalla Gallia,
guidando le sue legioni attraverso il Rubicone, Cesare scatenò nel 49 a.C. la guerra
civile, che lo consacrò capo indiscusso di Roma: sconfisse Pompeo nel 48 A.C. e
successivamente gli altri Ottimati in Africa e in Spagna. Divenne dittatore a vita. Un
gruppo di senatori capeggiati da Marco Bruto cospirò contro di lui, uccidendolo, nel
44 A.C.. Nel 42 A.C., appena due anni dopo il suo assassinio, il Senato lo santificò
ufficialmente elevandolo a divinità. L'eredità riformatrice e storica di Cesare venne
quindi raccolta da Ottaviano Augusto, suo nipote e figlio adottivo.
La Storia di Cesare:
Giulio Cesare nacque a Roma da un'antichissima e nota famiglia patrizia.
Nonostante le aristocratiche origini, la famiglia di Cesare non era ricca per
gli standard della nobiltà romana; ciò rappresentò inizialmente un serio
ostacolo alla sua carriera politica e militare (dovette contrarre ingenti
debiti per ottenere le sue prime cariche politiche); inoltre, negli anni della
giovinezza di Cesare, suo zio Caio Mario era stato dichiarato nemico della
Repubblica.
A Roma era in corso la Guerra Civile, con la città divisa in due fazioni
contrapposte: gli Optimates, favorevoli al potere aristocratico, e i
Populares o democratici, che sostenevano la possibilità di rivolgersi
direttamente all‘elettorato. Pur se di nobili origini, fin dall'inizio della
sua carriera Cesare si schierò dalla parte dei Populares.
Le Prime Esperienze Politiche:
Dopo due anni di potere assoluto, Silla si dimise da dittatore ristabilendo il
governo consolare. Cesare rientrò a Roma solo quando ebbe notizia della morte
di Silla (78 A.C.), e il suo ritorno coincise con il tentativo di ribellione antisilliana capeggiato da Marco Emilio Lepido e bloccato da Gneo Pompeo. Cesare,
non fidandosi delle capacità di Lepido, non partecipò alla ribellione, e iniziò
invece a dedicarsi alla carriera forense come pubblico accusatore e quella
politica come esponente dei popolari e nemico dichiarato degli ottimati.
Cesare sostenne l'accusa contro Gneo Cornelio Dolabella per concussione e
contro Gaio Antonio Ibrida per estorsione nei confronti dei Greci; entrambi gli
accusati erano membri influenti del partito degli ottimati e in entrambi i casi,
anche se l'accusa fu sostenuta abilmente, perse le cause; tuttavia in questo modo
si accreditò come importante rappresentante tra i popolari, anche se l'esito per lui
negativo dei processi lo convinse a lasciare Roma una seconda volta. Mentre si
recava a Rodi fu rapito, e egli stesso convinse i rapitori a chiedere un riscatto
molto alto, in modo da aumentare così il suo prestigio a Roma. Dopo la
liberazione organizzò una spedizione, catturò i rapitori e li fece condannare a
morte.
Dopo aver retto la carica di questore in Spagna (69 A.C.), fu eletto pontefice
massimo nel 63 A.C. e pretore nel 62 A.C..Cesare era stato anche al servizio del
generale Pompeo. Nel 61 A.C. Cesare fu governatore della provincia della
Spagna superiore, e nel 60 A.C. fu eletto console.
Il Primo Triumvirato:
Nel 59 A.C., l'anno del suo consolato, Cesare formò una alleanza strategica con
due altri capi politici, Crasso e Pompeo. Crasso era l'uomo più ricco di Roma;
Pompeo era in quel momento il generale con più successi alle spalle. Cesare
portò al servizio dell'alleanza la sua popolarità politica e il suo prestigio.
Pompeo sposò Giulia, figlia di Cesare. Questo accordo non ufficiale fu poi
chiamato dagli storici Primo TRIUMVIRATO.
Guerra in Gallia:
Nel 59 A.C. fu anche governatore della Gallia Narbonese, della Gallia
Cisalpina e dell‘Illiria. Come Proconsole in Gallia (58 A.C. – 49 A.C.)
ingaggiò la guerra contro vari popoli, sconfiggendo gli Elvezi nel 58
A.C., i Belgi e i Nervii nel 57 A.C. nonchè i Veneti nel 56 A.C..Il
Comandante gallico Vercingetorige si trovava assediato ad Alesia,
capitale del suo regno, mentre Cesare lo attaccava cingendo la città con
una robusta palizzata. Nel frattempo un immenso esercito gallico si era
radunato e marciava su Alesia per rompere l'assedio, ma Cesare,
avendolo saputo, eresse una seconda palizzata per coprirsi le spalle. I
Galli attaccanti furono in questo modo duramente sconfitti e Cesare
assicurò a Roma il dominio sull'intera regione.
La Guerra Civile:
Dopo la morte di Crasso, ucciso nel 53 A.C. durante la guerra contro i Parti, si aprì
una spaccatura fra Cesare e Pompeo, ingigantita anche dalla morte di Giulia, figlia
di Cesare nonché moglie di Pompeo, in seguito a un parto. Invitato nel 50 A.C. dal
Senato a sciogliere il suo esercito di ritorno dalla Gallia, Cesare rifiutò provocando
lo scoppio della Guerra Civile.
Nel 49 A.C. Cesare raggiunse Pompeo a Brindisi, sperando di poter ricostituire
un'alleanza ormai vecchia di dieci anni. Tuttavia Pompeo lo evitò. Cesare compì
allora una sorprendente marcia di 27 giorni sino in Spagna, per incontrarvi Pompeo.
Successivamente si diresse di nuovo verso oriente, per sfidare Pompeo in Grecia. Il 10
luglio del 48 A.C. evitò di poco una catastrofica sconfitta a Durazzo, mentre la
battaglia decisiva ebbe luogo a Farsalo, il 9 Agosto del 48 A.C.: Cesare sconfisse il
suo ex alleato e amico e fu quindi nominato console per 5 anni, mentre Pompeo
fuggì in Egitto, dove fu poi assassinato da un sicario del re Tolomeo XIII.
Non contento del vantaggio guadagnato, Cesare si recò egli stesso in Egitto, e qui si
impegnò per sostenere Cleopatra, che per la legge egiziana divenne sua moglie e
dalla quale ebbe un figlio(Cesarione).
Cronologia:
Cesare Come Scrittore:
Le sue principali opere letterarie giunte sino a noi sono:
-I commentari sulle campagne per sottomettere i Galli, tra il 58 e il 52 a.C. (Commentarii de
Bello Gallico). L'opera è formata da sette libri;
-I commentari sulla guerra civile contro le forze di Pompeo e del Senato (Commentarii de
Bello Civili). In tre libri Giulio Cesare spiega la guerra civile del 49 a.C. ed il suo rifiuto di
ubbidire al Senato.
La Morte:
Cesare fu assassinato in Campo Marzio nei pressi del Teatro di Pompeo (dove si riuniva il
Senato dopo che la sua sede era andata distrutta in un incendio), il 15 Marzo del 44 A.C..
Fu accoltellato da un gruppo di cospiratori nostalgici della Repubblica, che mal
sopportavano il suo potere assoluto e lo accusavano di avere ambizioni monarchiche . Fra i
cospiratori c'era Bruto, forse suo figlio naturale; il secondo attentatore eccellente fu Gaio
Cassio Longino, altro repubblicano che, come Bruto, aveva ottenuto da Cesare la grazia.
Cesare cadde ai piedi della statua di Pompeo, pronunciando le sue ultime parole:
Tu quoque, Brute, fili mi! ("Anche tu Bruto, figlio mio!")
Dopo la sua morte si accese una lotta per accaparrarsi il potere: il figlio adottivo
Ottaviano, il suo luogotenente Marco Antonio, ed i suoi assassini Bruto e Cassio.
Ottaviano in seguito prevalse e divenne il primo Imperatore romano, con il nome di
"Cesare Augusto".
OTTAVIANO
La Conquista del Potere:
Il senato, e in particolare Cicerone, lo credettero per la sua giovane età un principiante
inesperto, pronto ad essere manovrato dall'aristocrazia senatoria - in realtà da subito il
giovane rivelò un'autonomia e un'abilità politica notevolissime.
Nel 43 A.C., su incarico del senato, sconfisse Marco Antonio nella battaglia di
Modena. Subito dopo marciò su Roma con l'esercito e si fece eleggere console,
malgrado la giovane età. Insieme ad Antonio e a Lepido formò il secondo triumvirato.
Nel 38 A.C. il triumvirato venne prorogato per altri cinque anni con il trattato di
Brindisi, che definì i limiti della sfera di influenza dei triumviri: ad Antonio l'Oriente, ad
Augusto l'Occidente e a Lepido l'Africa.
Nonostante gli accordi i contrasti aumentarono sfociando in una vera e propria guerra
civile: il triumvirato non venne rinnovato alla sua scadenza, nel 33 A.C. e Ottaviano
sconfisse infine Marco Antonio e la sua alleata Cleopatra, ultima regina tolemaica di
Egitto, nella Battagli Di Azio nel 31A.C..
Le Cariche Politiche:
Dopo Azio, Ottaviano era divenuto il padrone dello stato, anche se formalmente Roma era
ancora una Repubblica e Ottaviano stesso non è rivestito di alcun potere ufficiale, dato che
la sua potestas di triumviro non era stata più rinnovata: nelle Res Gestae riconosce di aver
governato in questi anni in virtù del “ consenso generale”.
Il senato gli conferì progressivamente onori e privilegi.
Nel 27 a.C. Ottaviano restituì formalmente i poteri straordinari, assunti per la guerra contro
Marco Antonio, nelle mani del senato e del popolo romano, ricevendo in cambio il titolo
di augusto e il comando militare sulle province non pacificate. Da questo momento le
province furono dunque suddivise tra senatorie, rette dal senato, e imperiali, rette da
Augusto: questi aveva ottenuto i poteri consolari, senza essere console e gli erano state
conferite funzioni esecutive, legislative e militari, disgiunte dall'assunzione effettiva della
carica.
Nel 23 a.C. fu conferita ad Augusto, la tribunicia potestas a vita, la quale divenne la vera
base costituzionale del potere imperiale: comportava infatti l'inviolabilità della persona e
il diritto di intervenire in tutti i rami della pubblica amministrazione, e questo senza i
vincoli repubblicani della collegialità della carica e della sua durata annuale.
Particolarmente significativo era il diritto di veto, che garantiva ad Augusto la facoltà di
bloccare qualunque iniziativa legislativa che considerasse pericolosa per la propria
autorità. Nel 22 A.C. tutte le forze armate dello stato romano dipendevano da lui.
Quando il pontefice massimo, Lepido, morì, nel 12 a.C., egli ne prese il titolo divenendo il
capo religioso di Roma.
Infine, gli fu conferito nel 2 a.c. il titolo di "Padre della patria", esattamente come a
Cesare. Muorì nel 14 d.c.
- I diversi aspetti della vita all’epoca dell’impero romano: Flavia Levi e
Sarah Horenstein
- L’arte romana:Alessandra Nobis e Silvia Ottaviani
- La religione romana: Marta Bartolucci e Chiara Porati
- La condizione femminile nella Roma antica: Rebecca Mentana e Alessandra
Broglio
-La politica romana: Campi Carlandrea
-L’ordinamento politico romano: Gianluca Pisarra e Filippo Zingales
-Le tattiche romane: Jacopo Silvestri
- Giulio Cesare e Ottaviano: Marco Cappelletti e Vladislav