Diapositiva 1 - Il laboratorio per la didattica della Fisica del Liceo

- Il metodo sperimentale galileiano
-La misura fondamento del metodo scientifico galileiano
-Dalla fisica classica alla quantistica: l’incertezza non è più
indipendente.
-1°crisi della fisica classica a cavallo della luce risolta col
modello ondulatorio di Huygens prima e di Maxwell poi.
-- 2° crisi: le equazioni di Maxwell non sono invarianti per T.G ,
nascita della relatività ristretta
-3° Lo spettro del corpo nero, l’atomo di Bhor, l’effetto
fotoelettrico
-e la M.Q.
-Critica di Einstein ed EPR
--Il teorema di Bell
-(definizione delle leggi di ottica di riflessione e rifrazione)
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La fisica classica iniziò nel ‘600 con il grande Galileo Galilei e il suo
metodo d’indagine sperimentale
Le fasi del metodo sperimentale sono:
1) Osservazione: vuol dire considerare le grandezze in gioco, sollecitare
delle variazioni di una grandezza e registrare l’influenza che ha sul
fenomeno per poter passare alla fase 2.
2) Scelta delle grandezze significative per la descrizione matematica del
fenomeno
3) Ipotesi espressa in termini di relazione matematica fra le grandezze
scelte
4) Esperimento: ideato ad hoc per la verifica dell’ipotesi per mezzo della
“Misura” delle grandezze significative
5) Elaborazione dei dati MISURATI per poter rispondere in modo
univoco alla domanda: l’ipotesi è vera o no?
6) Se l’ipotesi è vera: la relazione diventa legge della fisica.
7) Se l’ipotesi non è vera: occorre riformulare l’ipotesi e ripartire con la
verifica.
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3
Ogni relazione che diventa legge della fisica è inserita nella teoria di
base che fino all’inizio del ‘900 era costituita fondamentalmente
dalla fisica classica: meccanica, ottica, termologia, termodinamica
ed elettromagnetismo.
Ogni osservazione sperimentale implica una MISURA in base
alle ipotesi della teoria, ad ogni misura x è associata
un’incertezza Δx
Ogni esperienza di misura che non può essere spiegata in base alla
teoria induce una crisi della teoria stessa.
Storicamente le crisi hanno indotto un nuovo
sviluppo della fisica.
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La Misura fondamento del metodo
scientifico galileiano
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Il valore x della misura di una grandezza fisica non è un numero, ma un
intervallo di possibili valori compresi fra (X - e) ed (X + e)
cioè
(X - e) < x < (X + e)
per questo motivo il
risultato di una misura va scritto nel seguente modo, riportando sempre
anche l'incertezza:
x=X +e
X = valore letto sullo strumento o valor medio delle misure se è
possibile ripetere più volte la misura ed effettuarne uno studio statistico
per migliorarne l'incertezza.
e = errore assoluto di misura, che è dovuto alla realizzazione pratica della
misura e all'imperfezione dei nostri sensi e degli strumenti.
N.B. Ciascuna grandezza può essere misurata con incertezza qualsiasi
indipendente dall’incertezza associata alle altre grandezze significative
considerate.
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La misura x è sempre associata ad una
incertezza (Δx) o errore (e) a causa della non
perfezione degli strumenti e dei nostri sensi

Il valore vero esiste come realtà in sè sottostante alle
nostre misure imperfette. Ciascuna grandezza può
essere misurata con un'incertezza che è indipendente
da quella di un'altra grandezza correlata.
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Dalla Fisica Classica alla
Fisica Quantistica
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Quando si misurano grandezze fisiche
posizione, velocità, quantità di moto, di
un corpo macroscopico e si applicano
le leggi della fisica classica

Si osserva il moto interagendo con strumenti di misura, si applicano
le leggi della fisica classica (F = ma) per conoscere posizione e
velocità iniziali, si determina la posizione del corpo in ogni istante,
ossia la sua traiettoria e si può determinare la sua velocità (o la sua
quantità di moto) entro limiti d'incertezza che dipendono dagli
strumenti e che sono indipendenti tra loro.
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Quando si misurano le stesse
grandezze per particelle atomiche
Si arriva al principio di indeterminazione di Heisenberg (1927):
 Non è possibile misurare posizione e quantità di moto di un
elettrone allo stesso istante t L'incertezza della misura sulla
posizione influenza l'incertezza sulla misura della quantità di
moto, in modo quantificato da Heisenberg:
Δx . Δp > h / 2 π oppure ΔE . Δt > h / 2π
( L’incertezza sulla misura di x cresce se diminuisce
l’incertezza sulla quantità di moto p = mv)
Il concetto di traiettoria non ha senso, è impossibile determinare
dove si trova l'elettrone e qual è la sua velocità e la sua quantità
di moto. Quanto più precisa e accurata (piccolo Δx) è la misura
di x tanto meno lo è la misura di p (grande Δp).
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La realtà fisica della particella è incomprensibile con la fisica classica
deterministica perchè l'atto del misurare perturba la grandezza da
misurare (Spiegazione di Heisenberg).
Il principio di indeterminazione viene scolasticamente spiegato ancora
in questi termini sostenendo che la misura della posizione disturba
necessariamente il momento lineare della particella.
Secondo la nuova M.Q. invece il disturbo non gioca nessun ruolo, in
quanto il principio è valido anche quando la posizione viene misurata in
un sistema e il momento viene misurato in una copia identica del primo
sistema.
È più accurato dire che in meccanica quantistica le particelle hanno
alcune proprietà tipiche delle onde, non sono quindi oggetti puntiformi,
e non possiedono una ben definita coppia posizione e momento.
Quando si eseguono misure facendo interagire “l’ente fisico
osservato”con qualche dispositivo, esso “si comporta” come onda o
come corpuscolo secondo il tipo di MISURA che si esegue, generando
le imbarazzanti domande:
-la realtà fisica di questo ente dipende allora dalla decisione
dell’osservatore?,
-qual è la realtà sottostante le misure che il fisico va a rilevare con le
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sue indagini di misura?
In termini di M.Q….
All'interno della diffusa (ma non universalmente accettata)
interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica, il
principio di indeterminazione è inteso come il fatto che a un livello
elementare, l'universo fisico non esiste in forma deterministica, ma
piuttosto come una collezione di probabilità, o potenziali.
Secondo tale interpretazione non ha senso chiedere “Qual era la
realtà fisica della particella prima che ne misurassi la posizione?“
perché:
Onde o corpuscoli?
La realtà è uno stato non determinabile prima della misura,
per principio di natura è possibile conoscere solo la
probabilità Ψ associata a ciascuna grandezza.
Ogni radiazione (elettroni, fotoni, ecc) che si propaga va
pensata come costituita da pacchetti d'onda di ampiezza di
probabilità Ψ……per saperne di più torna all’indice e vai a
“Meccanica Quantistica”
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II° CRISI della fisica classica causata dagli studi della LUCE
Le leggi della dinamica sono invarianti rispetto a Trasformazioni Galileiane
cioè sono le stesse rispetto a sistemi di riferimento in moto rettilineo uniforme
fra loro.
Ciò vuol dire anche che se l’osservatore O esegue misure su un fenomeno
che avviene nel sistema S in cui O risulta fermo, trova valida ad es. la legge
F = ma e se un altro osservatore O’ ripete l’esperienza e le misure nel suo
sistema S’ (in cui è fermo O’) trova valide le stesse leggi.
Così né O né O’ può sapere se è il sistema S che si muove a velocità v
rispetto ad S’ oppure è il sistema S’ che si muove a velocità – v rispetto ad S.
QUANDO MAXWELL COMPLETO’ L’ELETTROMAGNETISMO CON LE SUE 4
EQUAZIONI, I FISICI QUINDI SI CHIESERO
Le leggi dell’elettromagnetismo come si comportano rispetto alle
trasformazioni galileiane?
La risposta fu: Esse cambiano forma cioè NON sono invarianti.
Allora, se variano con il sistema di riferimento, vuol dire che sarà possibile
distinguere due sistemi di riferimento inerziali, perché in essi avverranno
fenomeni elettromagnetici descritti e misurati in modi diversi.
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TRASFORMAZIONI GALILEIANE
Le trasformazioni galileiane sono le relazioni fra le coordinate spaziotemporali di uno stesso evento considerato rispetto a due sistemi di
riferimento S ed S’ inerziali in moto rettilineo uniforme con velocità v
dell’uno rispetto all’altro.
Il tempo è assoluto cioè indipendente dal sistema di riferimento:
Se due orologi sono sincronizzati nel sistema S, restano sincronizzati
anche se uno dei due si muove di moto rettilineo uniforme rispetto
all’altro e quindi appartiene ad S’. Questo implica che è sempre t = t’.
Se all’istante t = 0 xOy coincide con x’O’y’ e all’istante t il sistema S’ si
mette in moto rettilineo uniforme con velocità v di traslazione lungo x e x’
si ricava facilmente che:
x’ = x – vt
y’ = y
z’ = z
t’ = t
Rispetto a tali trasformazioni sono invarianti le grandezze massa, forza,
accelerazione e quindi anche le leggi della dinamica.
Non è invariante la velocità infatti è: u’ = u – v
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Sia
u = x / t la velocità di un corpo rispetto al sistema S
e sia u’ = x’ / t’
la velocità dello stesso corpo rispetto al sistema S’
in moto con velocità v rispetto ad S.
Sostituiamo x’ = x – vt e t’ = t e otteniamo:
u’ = ( x – vt ) / t = x / t - vt / t = x / t - v = u – v
u’ = u – v
y’
y
H
P
H’
O
OO’ = vt
O’
x = x’
PH = x
PH’ = PH – OO’
PH’ = x’
quindi x’ = x - vt
Etere xOy
Terra x’O’y’
P luce
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Consideriamo il fenomeno elettromagnetico luce che viaggia con
l’etere, sistema privilegiato, a velocità c
La Terra S’ viaggia a velocità v rispetto all’etere S
La luce P viaggia a velocità u = c rispetto all’etere S = xOy
Quindi la luce P rispetto alla Terra S’ deve viaggiare ad una velocità
u’ = u + v
cioè
c+v
cioè
c–v
oppure
u’ = u – v
secondo il verso di percorrenza del moto a velocità v della Terra S’ rispetto
all’etere S (al variare delle stagioni)
Dalle misure sulla Terra della velocità della luce in diversi periodi dell’anno
e con raggi di diversa direzione dovrebbe essere misurabile v e
distinguibile S da S’.
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La misura fu sperimentata da Michelson e Morley
Misurando la velocità della luce, lungo diverse direzioni, doveva essere
possibile, in linea di principio, riuscire a determinare il moto della Terra
rispetto al sistema di riferimento assoluto etere, rispetto al quale
evidentemente l’etere stesso risultava a riposo.
La luce avrebbe dovuto avere velocità c rispetto al mezzo etere e c – v
oppure c + v rispetto al sistema S’ cioè rispetto alla Terra.
Con un’esperienza di interferenza Michelson e Morley intendevano
misurare la velocità della Terra rispetto all’etere ma misurarono v = 0
generando un’altra crisi della teoria classica.
BISOGNAVA RIVEDERE LE IPOTESI
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BISOGNAVA RIVEDERE LE IPOTESI
Le ipotesi della teoria erano:
1) Valide le eq. Di Maxwell che NON sono invarianti per T.G.
2) Valide le T.G
3) Esiste il sistema privilegiato etere in cui la luce ha velocità c.
Per comprendere il risultato sperimentale si poteva pensare:
1) Le equazioni errate nella formulazione di Maxwell e quindi in realtà esse
saranno aggiustate e saranno invarianti per TG.
2) Non sono valide le T.G. per la luce e quindi non vale la u’ = u + v
3) Non esiste il sistema privilegiato etere
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INTANTO:
1) I sostenitori dell’esistenza dell’etere si resero conto che la loro
teoria era artificiosa e che le equazioni di Maxwell non prevedevano
affatto l’esistenza di un mezzo per la propagazione di un’onda e.m.
che era la vibrazione del campo magnetico e del campo elettrico che
può avvenire sia in un mezzo sia nel vuoto. L’etere non esisteva.
2) Il fisico Lorentz scoprì che le equazioni di Maxwell erano
invarianti rispetto alle seguenti trasformazioni:
x' 
x  vt
1
2
v
c2
y’ = y
z’ = z
vx
t 2
c
t' 
v2
1 2
c
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SOLUZIONE DI EINSTEIN
Nel 1905 il geniale Einstein pubblicò la relatività ristretta che risolveva
ogni problema nel seguente modo:
Le trasformazioni Galileiane devono essere modificate quando si
considerano i fenomeni elettromagnetici.
Accettando i seguenti postulati si può dimostrare che le trasformazioni
valide sono quelle di Lorentz.
a) le leggi della fisica (meccanica ed elettromagnetismo) sono valide in
tutti i sistemi di riferimento inerziali (per cui valgono le trasformazioni di
Lorentz)
b) La velocità della luce nel vuoto è 300.000 km/s indipendentemente dal
moto della sorgente e dell’osservatore.
N.B. Quest’ultimo postulato viene a sostituire quello del tempo assoluto
della fisica classica!
Nella nuova fisica l’assoluto è la velocità della luce!
Le trasformazioni di Galileo restano un caso valido per velocità v<<c
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Ipotesi fondamentali della fisica classica:
-Esiste uno spazio tridimensionale
-Esiste il tempo assoluto e indipendente dal sistema di riferimento
-La materia è costituita da particelle aventi massa e carica elettrica.
-Una particella avente massa che oscilla da origine ad un’onda
meccanica, una carica che oscilla da origine ad un’onda e.m.
-In un sistema di riferimento inerziale, date le condizioni iniziali di un
corpo in moto, è possibile prevedere la sua posizione negli istanti
successivi.
-Le trasformazioni Galileiane permettono di passare da un sistema
inerziale all’altro per la descrizione di uno stesso moto.
-Le leggi della fisica sono invarianti rispetto ai sistemi di riferimento in
moto rettilineo uniforme gli uni rispetto agli altri e quindi per
trasformazioni galileiane
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La fisica classica nacque con il metodo sperimentale di Galileo Galilei e gli
studi e le leggi di Newton. Fino a tutto il ‘700 tutti i fenomeni erano spiegati
efficacemente considerando il moto e l’equilibrio di corpi considerati come
insieme di particelle.
Lo studio dei fenomeni di meccanica riguarda l’equilibrio e il moto dei corpi
e la materia costituita di particelle caratterizzate dalle grandezze
significative: massa, velocità, accelerazione, energia potenziale e
gravitazionale.
I corpi possono essere costituiti di più particelle e possono avere moti di
traslazione e rotazione o loro combinazioni, le cause del moto sono le forze
di interazione, per descrivere i moti occorre un sistema di riferimento
ortogonale e inerziale e un cronometro per la misura del tempo.
Il moto di oscillazione di una particella conduce all’introduzione delle
grandezze frequenza, pulsazione, periodo, ampiezza, che derivano dalle
grandezze velocità, spazio e tempo ed evidenziano la loro ripetitività
periodica.
La descrizione matematica di un moto periodico è utile per la descrizione di
un’onda.
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Si era in pieno illuminismo “secolo dei numi” e la luce della
ragione risplendeva sull’Europa.
L’intero creato sembrava che potesse essere spiegato con due
diversi tipi di struttura:
“onde e particelle materiali! “
Le particelle sono caratterizzate dall’avere una massa m, sono
localizzabili nello spazio e nel tempo e interagiscono seguendo le
leggi della dinamica e i suoi principi di conservazione.
Le onde meccaniche di frequenza f hanno caratteristiche molto
diverse, non sono localizzabili e trasportano solo energia,
ciò che si muove oscillando è sempre una particella, ma essa
appartiene al mezzo in cui si propaga l’onda.
I fenomeni osservabili che le distinguono dalle particelle
riguardano la loro interazione di sovrapposizione che genera:
interferenza e diffrazione.
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Lo studio del fenomeno LUCE nel ‘700 condusse alla prima crisi
dell’uso del modello corpuscolare.
Ironia della sorte proprio la luce che era ragione d’orgoglio e vessillo
dell’epoca “Illuminista” sfuggiva ad ogni spiegazione scientifica!
A proposito! La luce è un’onda o una particella?
Secondo il grande Newton non c’erano dubbi!
La luce era costituita da un insieme di particelle
- aventi massa m
- perfettamente localizzabili.
- in moto rettilineo uniforme
- e che interagivano con altre particelle secondo le leggi della
dinamica.
Prove sperimentali a favore di tale modello corpuscolare
erano le caratteristiche ottiche della luce
spiegate con l’applicazione delle leggi della dinamica.
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Le caratteristiche ottiche della luce spiegate con l’applicazione
delle leggi della dinamica:
- La formazione delle ombre: moto rettilineo
- Le leggi della riflessione: dinamica degli urti
-Le leggi della rifrazione e colori: ciascun colore corrisponde a
particelle di massa diversa, quando esse interagiscono con un
mezzo trasparente più rifrangente subiscono una forza
attrattiva ( F = m a ) e quindi un’accelerazione e una velocità
diverse che si manifestano con angoli di deviazione diversi.
1° crisi Tutto ok, ma solo se NON SI MISURA la velocità della
luce nel mezzo che la rifrange!
Altrimenti il modello corpuscolare non riesce a spiegare come
mai in un mezzo più rifrangente la velocità diminuisce.
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Secondo Huygens invece la LUCE è un’onda:
- La luce è un’onda
- La direzione di propagazione è quella del raggio perpendicolare al
fronte d’onda
- La descrizione geometrica dell’ottica, con le sue leggi di riflessione e
rifrazione, resta la stessa se ai raggi (traiettorie dei corpuscoli) si fa
corrispondere le perpendicolari ai fronti d’onda.
- La scomposizione in diversi colori che si ottiene con la rifrazione è
dovuta alle diverse frequenze delle onde componenti.
CON TALE MODELLO si spiega il dato
sperimentale della diminuzione della
velocità della luce in un mezzo più
rifrangente.
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SECONDO IL MODELLO CORPUSCOLARE
Teoricamente le particelle di massa maggiore aumentano la loro
velocità entrando nel mezzo più rifrangente (più denso cioè maggiore
massa per unità di volume), il quale agisce su di esse una forza attrattiva
(F = ma) che dovrebbe aumentare la velocità delle particelle luce: V2 > V1
i
1
r
2
2 = mezzo più rifrangente
i>r
e
seni > senr
n12 = indice di rifrazione del
mezzo 2 rispetto al mezzo 1
Dovrebbe essere quindi
n12 = seni / senr = V2 / V1
Es: velocità nell’acqua (mezzo 2 più rifrangente) = 4/3 velocità nell’aria
(mezzo 1 meno rifrangente) cioè V2 > V1
Sperimentalmente invece risulta esattamente il contrario:
Es: velocità nell’acqua V2 = 3/4 velocità nell’aria V1 cioè V2 < V1
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SECONDO IL MODELLO ONDULATORIO
Teoricamente
Un’onda che si rifrange nel mezzo 2 con i > r ha sempre la stessa
frequenza dell’onda incidente e della sorgente.
L’onda si propaga con velocità V = λ / T = λ f dove la frequenza
f = 1 / T = V / λ . La velocità V è direttamente proporzionale a λ.
Se la frequenza è costante nei due mezzi risulta:
f = V1 / λ1 = V2 / λ2
cioè V1 : λ1 = V2 : λ2 e V1 : V2 = λ1 : λ2
cioè la velocità V è direttamente proporzionale a λ.
Sperimentalmente
La lunghezza d’onda nel mezzo più rifrangente è misurata ed è minore
dell’onda incidente cioè λ2 < λ1 quindi dalla diretta proporzionalità si
deduce facilmente che anche anche V2 < V1
Cioè l’inverso di quanto risulta col modello corpuscolare e
perfettamente adeguata a spiegare i dati sperimentali.
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Per alcuni anni la potenza del nome di Newton vinse anche sui dati
sperimentali!
Per decidere sulla validità di tali modelli occorreva considerare
esperimenti tali da ottenere risposte univoche, quindi bisognava
considerare caratteristiche specifiche delle onde che le particelle non
avessero o viceversa.
Tali caratteristiche sono:
L’nterferenza e la diffrazione.
Nel 1801 il fisico britannico Thomas Young confermò il modello
ondulatorio della luce eseguendo una esperienza che dimostrò che la luce
diffrange.
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Nel 1801 il fisico britannico Thomas Young eseguì una esperienza
decisiva:
Egli proiettò un fascio di luce su di uno schermo in cui erano state
create due fessure piccolissime dell’ordine di grandezza della
lunghezza d’onda della luce.
1) Se la luce è un’onda, all’uscita dalle due fessure la luce dovrebbe
interferire creando un effetto di sovrapposizione che in alcuni punti
aumenta l’intensità dell’onda e in altri lo distrugge completamente
2) Se invece la luce fosse composta di particelle, sulla parete
dovrebbero formarsi due puntini luminosi in corrispondenza delle
fessure.
Sulla parete dietro lo schermo si formarono lunghe strisce di luce
parallele.
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L’esperimento di Young per essere ad hoc ha considerato le condizioni
corrette di diffrazione:
-fenditure di dimensioni dell’ordine di grandezza della lunghezza d’onda
della luce incidente-.
La risposta fu univoca: nessun dubbio dunque. Thomas Young è
vincente, la luce è un’onda che si propaga.
Tuttavia restano difficoltà; in particolare un’onda si propaga attraverso un
mezzo, cosa che la luce sembra restia a fare.
Qual è il mezzo di propagazione della luce?
I fautori della teoria corpuscolare di Newton insistevano su questa
domanda
i fautori della teoria ondulatoria riesumarono “l’etere” mezzo dalle
caratteristiche fisiche impossibili che avrebbe dovuto riempire il vuoto
dell’universo.
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Il secolo dei lumi si conclude senza una teoria completa, l’ottocento
romantico scopre l’elettricità e il magnetismo e si entusiasma per le
ricerche di Edison, Ampère e Nicola Tesla.
Maxwell, un brillante fisico matematico, riesce a incorporare le nuove teorie
in un costrutto logico completo:
Quattro semplici equazioni che descrivono elettricità e magnetismo come
un unico fenomeno.
Nasce la nozione di campo elettromagnetico e di onda elettromagnetica
che si propaga a velocità finita anche nel vuoto. L’etere è inesistente e le
equazioni sono pur sempre valide.
Intanto alcune esperienze di sofisticata ingegneria misurano la velocità
della luce nel vuoto.
Ed ecco, sorpresa!
La luce si propaga alla stessa velocità del campo elettromagnetico.
La luce è un’onda elettromagnetica di particolare frequenza.
L’intervallo delle frequenze delle onde elettromagnetiche percepibili dai
nostri occhi è detto visibile e corrisponde a ciò che chiamiamo “luce”.
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Planck e lo spettro del corpo nero
TUTTO sembra coerente e semplice ma ancora una volta le osservazioni
sperimentali promuovono uno sviluppo della fisica
L’incidente primario ha luogo quando si prova a spiegare lo spettro di
emissione di onde elettromagnetiche (o radiazione) di un corpo nero.
Nessuna spiegazione basata su argomenti classici riesce a dare un
responso sulla curiosa forma a campana dello spettro. (Intensità , λ)
Un fisico tedesco, conservatore e tradizionalista, tale Max Planck, si rende
conto che introducendo una piccola ipotesi ad hoc diventa possibile
interpretare il mistero. Esiste un quanto minimo di scambio e dipende dalla
frequenza.
È sufficiente supporre che la radiazione emessa (che grazie a Maxwell
sappiamo essere una frequenza invisibile della luce) sia composta di
piccoli corpuscoli, ognuno dotato di una energia ben precisa.
L’energia di questi corpuscoli dipende soltanto dalla frequenza: E = hf
Il fatto fastidioso è che l’ipotesi di “corpuscoli di luce” reintroduce l’idea
della luce come particella, localizzata in un luogo ben preciso e dotata di
una traiettoria.
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La spallata definitiva alla teoria ondulatoria arriva però nel 1905, anno della
pubblicazione della relatività ristretta e della spiegazione del moto
Browniano ad opera di Albert Einstein.
Si tratta della spiegazione brillante di un fenomeno noto come
effetto fotoelettrico.
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Effetto fotoelettrico
Non occorre illustrare l’intera esperienza, una parte del fenomeno è
sufficiente.
Immaginiamo di bombardare con della radiazione elettromagnetica
(anche detta luce) una placchetta di metallo.
La placchetta è legata ad un circuito (un filo); la luce ha un’energia, può
dunque strappare elettroni dalla placchetta di metallo. Se così avviene gli
elettroni sono liberi di muoversi nel circuito, e si forma della corrente.
Il fatto strano è questo: se si irradia la placchetta con della luce, e
pensiamo che la luce è un’onda, allora i successivi fronti d’onda incidenti
trasportano dell’energia che si accumula.
Dopo un certo periodo di tempo ne dovrebbe essere arrivata abbastanza
da strappare gli elettroni e far passare la corrente nel circuito.
Un’idea analoga sono le onde del mare che colpiscono una strada che
costeggia la riva. Dopo un po’ di tempo, qualsiasi sia l’altezza delle onde,
riusciranno a strappare via la strada.
In modo abbastanza sorprendente invece, quello che accade è che se si
irradia con della luce a bassa frequenza, nel circuito non passa corrente.
Significa che nessun elettrone è stato spostato.
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In compenso esiste una frequenza limite oltre la quale
improvvisamente comincia a passare corrente.
Come è possibile?
L’idea geniale di un giovane svizzero nel 1905 fu di supporre che la
luce sia fatta di minuscoli corpuscoli, ognuno dotato di un’energia che
dipende dalla frequenza (come proposto da Planck).
Ognuno di essi colpisce gli elettroni come farebbero due biglie da
biliardo.
L’elettrone è imprigionato intorno ad un atomo; potete pensare che si
trova all’interno di un cratere; al centro del cratere si trova il nucleo,
l’elettrone si trova sulla parete in una nicchia che gli impedisce di
muoversi.
Se la particella di luce che colpisce l’elettrone ha abbastanza energia
riesce a spararlo fuori dal cratere.
Se invece non è così l’elettrone percorre un tratto di parete e poi
ricasca all’indietro e torna nella sua nicchia.
Visto che le particelle di luce hanno un’energia che dipende soltanto
dalla frequenza, solo la particella di luce avente una frequenza (energia
E = hf) che supera un certo valore può sparare l’elettrone fuori dalla
sua nicchia. Ecco spiegato l’effetto fotoelettrico.
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Torna di nuovo la teoria corpuscolare della luce!!!
L’analogia luce-particella non è più soltanto un’ipotesi, ma diventa una
necessità.
Il visionario fisico svizzero, Albert Einstein, chiamerà questa particella di
luce “quanto”.
La sua teoria si chiamerà teoria dei quanti di luce e gli varrà un premio
Nobel, malgrado le origini ebree e l’infelice momento politico.
Più tardi il quanto di luce verrà ribattezzato “fotone”.
Tale particella viaggia nel vuoto alla velocità c (da celeron) si distingue da
quella di Newton perché la sua energia E = h f ( equivalente ad una
massa m = E / c2)
È evidente che il sussistere dell'effetto fotoelettrico e dell'effetto di
diffrazione, spiegabili attraverso due ipotesi contrastanti, quali
quella corpuscolare e quella ondulatoria, assicura alla luce la
duplice natura: ondulatoria e corpuscolare.
L’idea di “quantizzare” anche la natura ondulatoria delle particelle come
gli elettroni darà invece il nome alla fisica quantistica.
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Una incredibile successione di scoperte metterà in evidenza che la luce si
comporta “talvolta
ma non solo.
come onda e talvolta come particella”,
Anche gli elettroni che sono solitamente ritenute
particelle di massa m si comportano anche come onde.
Nel 1924 Louis de Broglie ipotizzò che tutta la materia avesse
proprietà ondulatorie: ad un corpo con quantità di moto p=mv veniva
infatti associata un'onda di lunghezza d'onda λ = h / mv
Tre anni dopo i fisici Joseph Clinton Davisson e Halbert Lester Germer
confermarono le previsioni della formula di De Broglie sparando un fascio
di elettroni contro un reticolo cristallino e osservando le figure
d'interferenza previste.
L’interferenza è un fenomeno caratteristico delle onde soltanto!
Esperimenti simili furono poi condotti con neutroni, protoni e particelle
più pesanti.
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La meccanica quantistica spiega bene i risultati dell'esperimento di
Young e giustifica il dualismo onda-particella.
Questa diglossia ontologica spingerà i fisici dapprima a parlare di
“dualità onda-particella”, poi, davanti al numero spropositato di
paradossi generati, ad abbandonare questa nomenclatura in favore di
un formalismo quantistico, basato su concetti matematici
estremamente complessi.
L’essenza della natura quantistica è questa:
la capacità di una “realtà” che non è onda né particella ma un misto
delle due.
In modo abbastanza imbarazzante la Meccanica quantistica
mostra una forte dipendenza
dalla scelta dell’osservatore
di voler guardare l’una oppure l’altra.
Una realtà quindi non più esistente di per sé indipendente dalle
misure e dalle decisioni degli osservatori
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Nella fisica quantistica, il principio di indeterminazione di
Heisenberg sostiene che:
non è possibile conoscere simultaneamente posizione x e
quantità di moto p di un dato oggetto con precisione arbitraria,
inoltre quantifica esattamente l'imprecisione
Δx Δp > h / 4π
in cui Δx è l'errore sulla posizione e Δp quello sulla quantità di moto,
mentre h / 2 π è la costante di Planck rinormalizzata.
È una delle chiavi di volta della meccanica quantistica e venne
formulato da Werner Heisenberg nel 1927.
Il principio non si applica soltanto alla posizione e alla quantità di
moto, ma a qualsiasi coppia di variabili canonicamente coniugate.
Nelle formulazioni moderne della meccanica quantistica il principio
non è più tale ma è un teorema facilmente derivabile dai postulati.
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La realtà fisica della particella è incomprensibile con la fisica classica
deterministica perchè l'atto del misurare perturba la grandezza da
misurare (Spiegazione di Heisenberg).
Il principio di indeterminazione viene scolasticamente spiegato ancora in
questi termini sostenendo che la misura della posizione disturba
necessariamente il momento lineare della particella.
Secondo la nuova M.Q. invece il disturbo non gioca nessun ruolo, in
quanto il principio è valido anche quando la posizione viene misurata in
un sistema e il momento viene misurato in una copia identica del primo
sistema.
È più accurato dire che in meccanica quantistica le particelle hanno
alcune proprietà tipiche delle onde, non sono quindi oggetti puntiformi, e
non possiedono una ben definita coppia posizione e momento. Quando
si eseguono misure facendo interagire “l’ente fisico osservato”con
qualche dispositivo, esso “si comporta” come onda o come corpuscolo
secondo il tipo di MISURA che si esegue, generando le imbarazzanti
domande:
-la realtà fisica di questo ente dipende allora dalla decisione
dell’osservatore?,
-qual è la realtà sottostante le misure che il fisico va a rilevare con le sue
indagini di misura?
41
Nel classico esperimento di diffrazione della "doppia fenditura",
quando la luce passa attraverso una lastra con una doppia
fenditura, posta di fronte a uno schermo, si ottengono bande
alternate di chiaro e scuro. Queste possono essere spiegate come
aree in cui le onde luminose si rinforzano o si cancellano per
interferenza.
E’ sperimentalmente evidente che
la luce ha alcune caratteristiche proprie delle particelle (effetto
fotoelettrico),
e anche oggetti come gli elettroni possiedono proprietà ondulatorie
perchè possono produrre schemi di interferenza (esperienza di
Davisson Germer).
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Tutto ciò pone alcune questioni interessanti.
Supponiamo di fare l'esperimento della doppia fenditura,
questa volta riducendo il fascio di luce in modo che un solo
fotone alla volta passi per le fenditure.
Si vedrà che i fotoni colpiscono lo schermo uno alla volta,
ciononostante, sommando i punti colpiti dai fotoni, si
ritrovano gli schemi risultanti dall'interferenza tra onde, anche
se nell'esperimento abbiamo avuto a che fare con un fotone
alla volta.
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Le questioni poste da questo esperimento sono:
Le regole della meccanica quantistica ci dicono statisticamente, dove le
particelle colpiranno lo schermo, e identificano le zone chiare con alta
probabilità di essere colpite e le zone scure con bassa probabilità di essere
colpite.
Per una singola particella però le stesse regole della meccanica quantistica
non sono in grado di prevedere dove essa andrà a colpire lo schermo.
Cosa succede alla particella nel tempo trascorso tra la sua emissione e la
sua osservazione? La particella sembra interagire con entrambe le
fenditure, e questo è inconsistente con la natura puntiforme della particella,
eppure una particella puntiforme è ciò che viene osservato.
Cos'è che fa sì che la particella sembri passare da un comportamento
statistico a uno non statistico?
Quando la particella passa attraverso le fenditure, il suo comportamento
sembra essere descritto da una funzione d'onda non localizzata, che
attraversa entrambe le fenditure allo stesso tempo.
Eppure, quando la particella viene osservata non appare mai come un
pacchetto d'onda diffuso e non localizzato, ma appare essere una singola
particella puntiforme.
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L'interpretazione di Copenaghen risponde a queste domande nel modo
seguente:
La realtà è uno stato non determinabile prima della misura, per principio di
natura è possibile conoscere solo la probabilità Ψ associata a ciascuna
grandezza.
Ogni radiazione (elettroni, fotoni, ecc) che si propaga va pensata
come costituita da pacchetti d'onda di ampiezza di probabilità Ψ
Nella fisica classica, la probabilità viene usata per descrivere il risultato del
lancio di un dado, anche se si pensa che il processo sia deterministico,
la probabilità viene usata per sostituire la conoscenza completa.
In Meccanica quantistica invece le affermazioni probabilistiche sono
irriducibili cioè non riflettono la nostra conoscenza limitata di qualche
variabile nascosta.
Per contro, l'interpretazione di Copenaghen sostiene che in meccanica
quantistica, i risultati delle misurazioni sono fondamentalmente non
deterministici e non locali (esistono possibilità di supporre comunicazione
a distanza)
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La fisica è la scienza che studia i risultati dei processi di misurazione.
Le speculazioni che vanno oltre questo fatto non possono essere
giustificate.
L'interpretazione di Copenaghen rifiuta domande come "Dov'era la
particella prima che ne misurassi la posizione?" in quanto senza
senso.
L'atto della misurazione causa un istantaneo collasso della funzione
d'onda. Questo significa che il processo di misurazione sceglie a caso
esattamente uno dei possibili stati permessi dalla funzione d'onda, e
la funzione d'onda cambia istantaneamente per riflettere questa
scelta.
A questo proposito Einstein parla di inaccettabile e ridicola
comunicazione a distanza.
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Molti fisici e filosofi hanno mosso obiezioni all'interpretazione di
Copenaghen, sia sulla base che non è deterministica sia su quella che
essa include un processo di misurazione indefinito, che converte
funzioni probabilistiche in misurazioni non probabilistiche.
Le celebri frasi di Albert Einstein: "Dio non gioca a dadi" e "Credi
veramente che la Luna non sia lì quando non la stai guardando?" ne
sono una esemplificazione.
Tuttavia, recenti prove sperimentali, hanno dimostrato che esiste
un'azione istantanea a distanza dovuta all'entanglement (intreccio)
delle particelle. Su tali esperimenti si basano i tentativi di costruzione
di un teletrasporto (per ora limitato ai fotoni e piccoli atomi) e buona
parte dell'informatica quantistica.
Alternative
Molti fisici hanno sottoscritto l'"interpretazione nulla" della meccanica
quantistica, riassunta da Feynman nel famoso detto: "Zitto e calcola!"
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CRITICA DI EINSTEIN
All'interno della diffusa (ma non universalmente accettata) interpretazione
di Copenaghen della meccanica quantistica, il principio di
indeterminazione è inteso come il fatto che a un livello elementare,
l'universo fisico non esiste in forma deterministica, ma piuttosto
come una collezione di probabilità, o potenziali.
Ad esempio, il modello (probabilità di distribuzione) prodotto da milioni di
fotoni che passano attraverso una fenditura di diffrazione, può essere
calcolato usando la meccanica quantistica, ma il percorso esatto di ogni
fotone non può essere predetto da nessun metodo conosciuto.
L'interpretazione di Copenaghen sostiene che non può essere predetto da
nessun metodo.
Ed è questa interpretazione che Einstein stava mettendo in discussione
quando disse: "Non credo che Dio abbia scelto di giocare a dadi con
l'universo".
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Bohr, che era uno degli autori dell'interpretazione di Copenaghen
rispose: "Einstein, smettila di dire a Dio cosa deve fare",
e Feynman aggiunse "Non solo Dio gioca a dadi, ma li lancia dove non
possiamo vederli".
Einstein era convinto che questa interpretazione fosse errata.
Il suo ragionamento era che tutte le distribuzioni di probabilità
precedentemente conosciute, sorgessero da eventi deterministici :
-La distribuzione di un lancio di moneta può essere descritta con una
distribuzione di probabilità (50% testa e 50% croce).
Ma questo non significa che i movimenti fisici siano impredicibili.
La meccanica classica può essere usata per calcolare esattamente
come ogni moneta atterrerà, se le forze agenti su di essa sono
conosciute. E la distribuzione testa/croce si allineerà con la
distribuzione di probabilità (date forze iniziali casuali) -
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La completezza della meccanica quantistica è stata attaccata
dall'esperimento mentale di Einstein-Podolsky-Rosen che era inteso a
mostrare che ci devono essere variabili nascoste, se si vogliono evitare
effetti a distanza istantanei e non locali.
Einstein assunse che ci fossero delle variabili nascoste nella meccanica
quantistica che sottostanno alle probabilità osservate.
Né Einstein né altri sono mai riusciti a costruire una teoria della variabile
nascosta soddisfacente, e la disuguaglianza di Bell illustra alcuni aspetti
critici di questa ricerca.
Anche se il comportamento di una particella individuale è casuale, esso
è sempre correlato al comportamento delle altre particelle.
Quindi, se il principio di indeterminazione è il risultato di qualche
processo deterministico, deve essere il caso che particelle poste a
grande distanza trasmettano istantaneamente l'informazione a tutte le
altre, per assicurare che ci sia una correlazione nel comportamento.
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Il Teorema di Bell è il più famoso lascito del fisico irlandese John
Bell. È notevole perché mostra che le predizioni della meccanica
quantistica differiscono da quelle dell'intuizione.
È semplice ed elegante, e tocca questioni fondamentali per la filosofia
della fisica moderna.
Nella sua forma più semplice il teorema afferma:
Nessuna teoria fisica a variabili locali nascoste può riprodurre le
predizioni della meccanica quantistica.
L'articolo di Bell del 1965 era intitolato "Sul paradosso Einstein-PodolskyRosen". Il Paradosso Einstein-Podolsky-Rosen presume il realismo locale,
ossia le nozioni intuitive che gli attributi delle particelle abbiano valori
definiti indipendentemente dall'atto di misura, e che gli effetti fisici abbiano
una velocità di propagazione finita.
Bell ha
dimostrato che il realismo locale impone delle restrizioni su certi
fenomeni, che non sono richieste dalla meccanica quantistica.
Queste restrizioni sono chiamate disuguaglianze di Bell.
Le disuguaglianze riguardano misure fatte da osservatori (solitamente
chiamati Alice e Bob) su coppie di particelle "entangled (intrecciate)" che
hanno interagito e sono state separate.
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I presupposti delle teorie a variabili nascoste limitano le correlazioni
possibili nelle successive misure sulle particelle.
Bell ha scoperto che, invece, per la meccanica quantistica, questo limite
alla correlazione può essere violato.
Gli esperimenti ad oggi dimostrano abbondantemente
che le disuguaglianze di Bell sono violate.
Questo fornisce una prova empirica contro il realismo
locale, e dimostra che alcune delle "raccapriccianti azioni a distanza"
previste dall'esperimento ideale EPR di fatto accadono realmente.
Nel 1982 il fisico Aspect ha considerato due fotoni uscenti da uno stesso
atomo in verso opposto. Il primo fotone devia dal suo percorso quando
incontra una lente sul suo cammino, istantaneamente viene registrata la
stessa deviazione spontanea del secondo fotone che invece non
interagisce con nessuna lente!
Questi esperimenti sono quindi considerati prova
positiva a favore della meccanica quantistica.
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Rifrazione
1
2
Ogni volta che la luce (onda o corpuscolo che sia) interagisce con un
altro corpo, in parte viene riflessa, in parte viene assorbita e in parte
viene trasmessa (se il corpo è trasparente).
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Il raggio incidente, il raggio rifratto e la normale alla superficie di
separazione fra i due mezzi giacciono sullo stesso piano;
Legge di Snell: al variare dell’angolo di incidenza, il rapporto fra il
seno dell’angolo di incidenza e il seno dell’angolo di rifrazione è
costante ed è detto indice di rifrazione relativo del mezzo 2 in cui
avviene la rifrazione rispetto al mezzo 1 in cui incide.
n 12 =
sin i
sin r
n 12 è costante al variare dell’angolo d’incidenza di un raggio
H
monocromatico (un solo colore, unica lunghezza
d’onda) e dipende
unicamente dalla particolare coppia di mezzi considerati.
L’indice di rifrazione del mezzo 2 è detto assoluto (n) se il mezzo 1 è il
vuoto.
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Leggi della riflessione
 Il raggio incidente, il raggio riflesso e
la normale alla superficie di
separazione dei due mezzi giacciono
sullo stesso piano.
 L’angolo d’incidenza i e quello di
riflessione r1 sono uguali:
i=r
Anche quando la superficie è scabra si ha il fenomeno
della riflessione: i singoli raggi riflessi vengono
sparpagliati in tutte le direzioni. L’effetto che risulta è
quello della diffusione della luce. Lo stesso fenomeno di
diffusione si verifica anche per rifrazione e diffrazione
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