- Il metodo sperimentale galileiano -La misura fondamento del metodo scientifico galileiano -Dalla fisica classica alla quantistica: l’incertezza non è più indipendente. -1°crisi della fisica classica a cavallo della luce risolta col modello ondulatorio di Huygens prima e di Maxwell poi. -- 2° crisi: le equazioni di Maxwell non sono invarianti per T.G , nascita della relatività ristretta -3° Lo spettro del corpo nero, l’atomo di Bhor, l’effetto fotoelettrico -e la M.Q. -Critica di Einstein ed EPR --Il teorema di Bell -(definizione delle leggi di ottica di riflessione e rifrazione) 1 La fisica classica iniziò nel ‘600 con il grande Galileo Galilei e il suo metodo d’indagine sperimentale Le fasi del metodo sperimentale sono: 1) Osservazione: vuol dire considerare le grandezze in gioco, sollecitare delle variazioni di una grandezza e registrare l’influenza che ha sul fenomeno per poter passare alla fase 2. 2) Scelta delle grandezze significative per la descrizione matematica del fenomeno 3) Ipotesi espressa in termini di relazione matematica fra le grandezze scelte 4) Esperimento: ideato ad hoc per la verifica dell’ipotesi per mezzo della “Misura” delle grandezze significative 5) Elaborazione dei dati MISURATI per poter rispondere in modo univoco alla domanda: l’ipotesi è vera o no? 6) Se l’ipotesi è vera: la relazione diventa legge della fisica. 7) Se l’ipotesi non è vera: occorre riformulare l’ipotesi e ripartire con la verifica. 2 3 Ogni relazione che diventa legge della fisica è inserita nella teoria di base che fino all’inizio del ‘900 era costituita fondamentalmente dalla fisica classica: meccanica, ottica, termologia, termodinamica ed elettromagnetismo. Ogni osservazione sperimentale implica una MISURA in base alle ipotesi della teoria, ad ogni misura x è associata un’incertezza Δx Ogni esperienza di misura che non può essere spiegata in base alla teoria induce una crisi della teoria stessa. Storicamente le crisi hanno indotto un nuovo sviluppo della fisica. 4 La Misura fondamento del metodo scientifico galileiano 5 Il valore x della misura di una grandezza fisica non è un numero, ma un intervallo di possibili valori compresi fra (X - e) ed (X + e) cioè (X - e) < x < (X + e) per questo motivo il risultato di una misura va scritto nel seguente modo, riportando sempre anche l'incertezza: x=X +e X = valore letto sullo strumento o valor medio delle misure se è possibile ripetere più volte la misura ed effettuarne uno studio statistico per migliorarne l'incertezza. e = errore assoluto di misura, che è dovuto alla realizzazione pratica della misura e all'imperfezione dei nostri sensi e degli strumenti. N.B. Ciascuna grandezza può essere misurata con incertezza qualsiasi indipendente dall’incertezza associata alle altre grandezze significative considerate. 6 La misura x è sempre associata ad una incertezza (Δx) o errore (e) a causa della non perfezione degli strumenti e dei nostri sensi Il valore vero esiste come realtà in sè sottostante alle nostre misure imperfette. Ciascuna grandezza può essere misurata con un'incertezza che è indipendente da quella di un'altra grandezza correlata. 7 Dalla Fisica Classica alla Fisica Quantistica 8 Quando si misurano grandezze fisiche posizione, velocità, quantità di moto, di un corpo macroscopico e si applicano le leggi della fisica classica Si osserva il moto interagendo con strumenti di misura, si applicano le leggi della fisica classica (F = ma) per conoscere posizione e velocità iniziali, si determina la posizione del corpo in ogni istante, ossia la sua traiettoria e si può determinare la sua velocità (o la sua quantità di moto) entro limiti d'incertezza che dipendono dagli strumenti e che sono indipendenti tra loro. 9 Quando si misurano le stesse grandezze per particelle atomiche Si arriva al principio di indeterminazione di Heisenberg (1927): Non è possibile misurare posizione e quantità di moto di un elettrone allo stesso istante t L'incertezza della misura sulla posizione influenza l'incertezza sulla misura della quantità di moto, in modo quantificato da Heisenberg: Δx . Δp > h / 2 π oppure ΔE . Δt > h / 2π ( L’incertezza sulla misura di x cresce se diminuisce l’incertezza sulla quantità di moto p = mv) Il concetto di traiettoria non ha senso, è impossibile determinare dove si trova l'elettrone e qual è la sua velocità e la sua quantità di moto. Quanto più precisa e accurata (piccolo Δx) è la misura di x tanto meno lo è la misura di p (grande Δp). 10 La realtà fisica della particella è incomprensibile con la fisica classica deterministica perchè l'atto del misurare perturba la grandezza da misurare (Spiegazione di Heisenberg). Il principio di indeterminazione viene scolasticamente spiegato ancora in questi termini sostenendo che la misura della posizione disturba necessariamente il momento lineare della particella. Secondo la nuova M.Q. invece il disturbo non gioca nessun ruolo, in quanto il principio è valido anche quando la posizione viene misurata in un sistema e il momento viene misurato in una copia identica del primo sistema. È più accurato dire che in meccanica quantistica le particelle hanno alcune proprietà tipiche delle onde, non sono quindi oggetti puntiformi, e non possiedono una ben definita coppia posizione e momento. Quando si eseguono misure facendo interagire “l’ente fisico osservato”con qualche dispositivo, esso “si comporta” come onda o come corpuscolo secondo il tipo di MISURA che si esegue, generando le imbarazzanti domande: -la realtà fisica di questo ente dipende allora dalla decisione dell’osservatore?, -qual è la realtà sottostante le misure che il fisico va a rilevare con le 11 sue indagini di misura? In termini di M.Q…. All'interno della diffusa (ma non universalmente accettata) interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica, il principio di indeterminazione è inteso come il fatto che a un livello elementare, l'universo fisico non esiste in forma deterministica, ma piuttosto come una collezione di probabilità, o potenziali. Secondo tale interpretazione non ha senso chiedere “Qual era la realtà fisica della particella prima che ne misurassi la posizione?“ perché: Onde o corpuscoli? La realtà è uno stato non determinabile prima della misura, per principio di natura è possibile conoscere solo la probabilità Ψ associata a ciascuna grandezza. Ogni radiazione (elettroni, fotoni, ecc) che si propaga va pensata come costituita da pacchetti d'onda di ampiezza di probabilità Ψ……per saperne di più torna all’indice e vai a “Meccanica Quantistica” 12 II° CRISI della fisica classica causata dagli studi della LUCE Le leggi della dinamica sono invarianti rispetto a Trasformazioni Galileiane cioè sono le stesse rispetto a sistemi di riferimento in moto rettilineo uniforme fra loro. Ciò vuol dire anche che se l’osservatore O esegue misure su un fenomeno che avviene nel sistema S in cui O risulta fermo, trova valida ad es. la legge F = ma e se un altro osservatore O’ ripete l’esperienza e le misure nel suo sistema S’ (in cui è fermo O’) trova valide le stesse leggi. Così né O né O’ può sapere se è il sistema S che si muove a velocità v rispetto ad S’ oppure è il sistema S’ che si muove a velocità – v rispetto ad S. QUANDO MAXWELL COMPLETO’ L’ELETTROMAGNETISMO CON LE SUE 4 EQUAZIONI, I FISICI QUINDI SI CHIESERO Le leggi dell’elettromagnetismo come si comportano rispetto alle trasformazioni galileiane? La risposta fu: Esse cambiano forma cioè NON sono invarianti. Allora, se variano con il sistema di riferimento, vuol dire che sarà possibile distinguere due sistemi di riferimento inerziali, perché in essi avverranno fenomeni elettromagnetici descritti e misurati in modi diversi. 13 TRASFORMAZIONI GALILEIANE Le trasformazioni galileiane sono le relazioni fra le coordinate spaziotemporali di uno stesso evento considerato rispetto a due sistemi di riferimento S ed S’ inerziali in moto rettilineo uniforme con velocità v dell’uno rispetto all’altro. Il tempo è assoluto cioè indipendente dal sistema di riferimento: Se due orologi sono sincronizzati nel sistema S, restano sincronizzati anche se uno dei due si muove di moto rettilineo uniforme rispetto all’altro e quindi appartiene ad S’. Questo implica che è sempre t = t’. Se all’istante t = 0 xOy coincide con x’O’y’ e all’istante t il sistema S’ si mette in moto rettilineo uniforme con velocità v di traslazione lungo x e x’ si ricava facilmente che: x’ = x – vt y’ = y z’ = z t’ = t Rispetto a tali trasformazioni sono invarianti le grandezze massa, forza, accelerazione e quindi anche le leggi della dinamica. Non è invariante la velocità infatti è: u’ = u – v 14 Sia u = x / t la velocità di un corpo rispetto al sistema S e sia u’ = x’ / t’ la velocità dello stesso corpo rispetto al sistema S’ in moto con velocità v rispetto ad S. Sostituiamo x’ = x – vt e t’ = t e otteniamo: u’ = ( x – vt ) / t = x / t - vt / t = x / t - v = u – v u’ = u – v y’ y H P H’ O OO’ = vt O’ x = x’ PH = x PH’ = PH – OO’ PH’ = x’ quindi x’ = x - vt Etere xOy Terra x’O’y’ P luce 15 Consideriamo il fenomeno elettromagnetico luce che viaggia con l’etere, sistema privilegiato, a velocità c La Terra S’ viaggia a velocità v rispetto all’etere S La luce P viaggia a velocità u = c rispetto all’etere S = xOy Quindi la luce P rispetto alla Terra S’ deve viaggiare ad una velocità u’ = u + v cioè c+v cioè c–v oppure u’ = u – v secondo il verso di percorrenza del moto a velocità v della Terra S’ rispetto all’etere S (al variare delle stagioni) Dalle misure sulla Terra della velocità della luce in diversi periodi dell’anno e con raggi di diversa direzione dovrebbe essere misurabile v e distinguibile S da S’. 16 La misura fu sperimentata da Michelson e Morley Misurando la velocità della luce, lungo diverse direzioni, doveva essere possibile, in linea di principio, riuscire a determinare il moto della Terra rispetto al sistema di riferimento assoluto etere, rispetto al quale evidentemente l’etere stesso risultava a riposo. La luce avrebbe dovuto avere velocità c rispetto al mezzo etere e c – v oppure c + v rispetto al sistema S’ cioè rispetto alla Terra. Con un’esperienza di interferenza Michelson e Morley intendevano misurare la velocità della Terra rispetto all’etere ma misurarono v = 0 generando un’altra crisi della teoria classica. BISOGNAVA RIVEDERE LE IPOTESI 17 BISOGNAVA RIVEDERE LE IPOTESI Le ipotesi della teoria erano: 1) Valide le eq. Di Maxwell che NON sono invarianti per T.G. 2) Valide le T.G 3) Esiste il sistema privilegiato etere in cui la luce ha velocità c. Per comprendere il risultato sperimentale si poteva pensare: 1) Le equazioni errate nella formulazione di Maxwell e quindi in realtà esse saranno aggiustate e saranno invarianti per TG. 2) Non sono valide le T.G. per la luce e quindi non vale la u’ = u + v 3) Non esiste il sistema privilegiato etere 18 INTANTO: 1) I sostenitori dell’esistenza dell’etere si resero conto che la loro teoria era artificiosa e che le equazioni di Maxwell non prevedevano affatto l’esistenza di un mezzo per la propagazione di un’onda e.m. che era la vibrazione del campo magnetico e del campo elettrico che può avvenire sia in un mezzo sia nel vuoto. L’etere non esisteva. 2) Il fisico Lorentz scoprì che le equazioni di Maxwell erano invarianti rispetto alle seguenti trasformazioni: x' x vt 1 2 v c2 y’ = y z’ = z vx t 2 c t' v2 1 2 c 19 SOLUZIONE DI EINSTEIN Nel 1905 il geniale Einstein pubblicò la relatività ristretta che risolveva ogni problema nel seguente modo: Le trasformazioni Galileiane devono essere modificate quando si considerano i fenomeni elettromagnetici. Accettando i seguenti postulati si può dimostrare che le trasformazioni valide sono quelle di Lorentz. a) le leggi della fisica (meccanica ed elettromagnetismo) sono valide in tutti i sistemi di riferimento inerziali (per cui valgono le trasformazioni di Lorentz) b) La velocità della luce nel vuoto è 300.000 km/s indipendentemente dal moto della sorgente e dell’osservatore. N.B. Quest’ultimo postulato viene a sostituire quello del tempo assoluto della fisica classica! Nella nuova fisica l’assoluto è la velocità della luce! Le trasformazioni di Galileo restano un caso valido per velocità v<<c 20 Ipotesi fondamentali della fisica classica: -Esiste uno spazio tridimensionale -Esiste il tempo assoluto e indipendente dal sistema di riferimento -La materia è costituita da particelle aventi massa e carica elettrica. -Una particella avente massa che oscilla da origine ad un’onda meccanica, una carica che oscilla da origine ad un’onda e.m. -In un sistema di riferimento inerziale, date le condizioni iniziali di un corpo in moto, è possibile prevedere la sua posizione negli istanti successivi. -Le trasformazioni Galileiane permettono di passare da un sistema inerziale all’altro per la descrizione di uno stesso moto. -Le leggi della fisica sono invarianti rispetto ai sistemi di riferimento in moto rettilineo uniforme gli uni rispetto agli altri e quindi per trasformazioni galileiane 21 La fisica classica nacque con il metodo sperimentale di Galileo Galilei e gli studi e le leggi di Newton. Fino a tutto il ‘700 tutti i fenomeni erano spiegati efficacemente considerando il moto e l’equilibrio di corpi considerati come insieme di particelle. Lo studio dei fenomeni di meccanica riguarda l’equilibrio e il moto dei corpi e la materia costituita di particelle caratterizzate dalle grandezze significative: massa, velocità, accelerazione, energia potenziale e gravitazionale. I corpi possono essere costituiti di più particelle e possono avere moti di traslazione e rotazione o loro combinazioni, le cause del moto sono le forze di interazione, per descrivere i moti occorre un sistema di riferimento ortogonale e inerziale e un cronometro per la misura del tempo. Il moto di oscillazione di una particella conduce all’introduzione delle grandezze frequenza, pulsazione, periodo, ampiezza, che derivano dalle grandezze velocità, spazio e tempo ed evidenziano la loro ripetitività periodica. La descrizione matematica di un moto periodico è utile per la descrizione di un’onda. 22 Si era in pieno illuminismo “secolo dei numi” e la luce della ragione risplendeva sull’Europa. L’intero creato sembrava che potesse essere spiegato con due diversi tipi di struttura: “onde e particelle materiali! “ Le particelle sono caratterizzate dall’avere una massa m, sono localizzabili nello spazio e nel tempo e interagiscono seguendo le leggi della dinamica e i suoi principi di conservazione. Le onde meccaniche di frequenza f hanno caratteristiche molto diverse, non sono localizzabili e trasportano solo energia, ciò che si muove oscillando è sempre una particella, ma essa appartiene al mezzo in cui si propaga l’onda. I fenomeni osservabili che le distinguono dalle particelle riguardano la loro interazione di sovrapposizione che genera: interferenza e diffrazione. 23 Lo studio del fenomeno LUCE nel ‘700 condusse alla prima crisi dell’uso del modello corpuscolare. Ironia della sorte proprio la luce che era ragione d’orgoglio e vessillo dell’epoca “Illuminista” sfuggiva ad ogni spiegazione scientifica! A proposito! La luce è un’onda o una particella? Secondo il grande Newton non c’erano dubbi! La luce era costituita da un insieme di particelle - aventi massa m - perfettamente localizzabili. - in moto rettilineo uniforme - e che interagivano con altre particelle secondo le leggi della dinamica. Prove sperimentali a favore di tale modello corpuscolare erano le caratteristiche ottiche della luce spiegate con l’applicazione delle leggi della dinamica. 24 Le caratteristiche ottiche della luce spiegate con l’applicazione delle leggi della dinamica: - La formazione delle ombre: moto rettilineo - Le leggi della riflessione: dinamica degli urti -Le leggi della rifrazione e colori: ciascun colore corrisponde a particelle di massa diversa, quando esse interagiscono con un mezzo trasparente più rifrangente subiscono una forza attrattiva ( F = m a ) e quindi un’accelerazione e una velocità diverse che si manifestano con angoli di deviazione diversi. 1° crisi Tutto ok, ma solo se NON SI MISURA la velocità della luce nel mezzo che la rifrange! Altrimenti il modello corpuscolare non riesce a spiegare come mai in un mezzo più rifrangente la velocità diminuisce. 25 Secondo Huygens invece la LUCE è un’onda: - La luce è un’onda - La direzione di propagazione è quella del raggio perpendicolare al fronte d’onda - La descrizione geometrica dell’ottica, con le sue leggi di riflessione e rifrazione, resta la stessa se ai raggi (traiettorie dei corpuscoli) si fa corrispondere le perpendicolari ai fronti d’onda. - La scomposizione in diversi colori che si ottiene con la rifrazione è dovuta alle diverse frequenze delle onde componenti. CON TALE MODELLO si spiega il dato sperimentale della diminuzione della velocità della luce in un mezzo più rifrangente. 26 SECONDO IL MODELLO CORPUSCOLARE Teoricamente le particelle di massa maggiore aumentano la loro velocità entrando nel mezzo più rifrangente (più denso cioè maggiore massa per unità di volume), il quale agisce su di esse una forza attrattiva (F = ma) che dovrebbe aumentare la velocità delle particelle luce: V2 > V1 i 1 r 2 2 = mezzo più rifrangente i>r e seni > senr n12 = indice di rifrazione del mezzo 2 rispetto al mezzo 1 Dovrebbe essere quindi n12 = seni / senr = V2 / V1 Es: velocità nell’acqua (mezzo 2 più rifrangente) = 4/3 velocità nell’aria (mezzo 1 meno rifrangente) cioè V2 > V1 Sperimentalmente invece risulta esattamente il contrario: Es: velocità nell’acqua V2 = 3/4 velocità nell’aria V1 cioè V2 < V1 27 SECONDO IL MODELLO ONDULATORIO Teoricamente Un’onda che si rifrange nel mezzo 2 con i > r ha sempre la stessa frequenza dell’onda incidente e della sorgente. L’onda si propaga con velocità V = λ / T = λ f dove la frequenza f = 1 / T = V / λ . La velocità V è direttamente proporzionale a λ. Se la frequenza è costante nei due mezzi risulta: f = V1 / λ1 = V2 / λ2 cioè V1 : λ1 = V2 : λ2 e V1 : V2 = λ1 : λ2 cioè la velocità V è direttamente proporzionale a λ. Sperimentalmente La lunghezza d’onda nel mezzo più rifrangente è misurata ed è minore dell’onda incidente cioè λ2 < λ1 quindi dalla diretta proporzionalità si deduce facilmente che anche anche V2 < V1 Cioè l’inverso di quanto risulta col modello corpuscolare e perfettamente adeguata a spiegare i dati sperimentali. 28 Per alcuni anni la potenza del nome di Newton vinse anche sui dati sperimentali! Per decidere sulla validità di tali modelli occorreva considerare esperimenti tali da ottenere risposte univoche, quindi bisognava considerare caratteristiche specifiche delle onde che le particelle non avessero o viceversa. Tali caratteristiche sono: L’nterferenza e la diffrazione. Nel 1801 il fisico britannico Thomas Young confermò il modello ondulatorio della luce eseguendo una esperienza che dimostrò che la luce diffrange. 29 Nel 1801 il fisico britannico Thomas Young eseguì una esperienza decisiva: Egli proiettò un fascio di luce su di uno schermo in cui erano state create due fessure piccolissime dell’ordine di grandezza della lunghezza d’onda della luce. 1) Se la luce è un’onda, all’uscita dalle due fessure la luce dovrebbe interferire creando un effetto di sovrapposizione che in alcuni punti aumenta l’intensità dell’onda e in altri lo distrugge completamente 2) Se invece la luce fosse composta di particelle, sulla parete dovrebbero formarsi due puntini luminosi in corrispondenza delle fessure. Sulla parete dietro lo schermo si formarono lunghe strisce di luce parallele. 30 L’esperimento di Young per essere ad hoc ha considerato le condizioni corrette di diffrazione: -fenditure di dimensioni dell’ordine di grandezza della lunghezza d’onda della luce incidente-. La risposta fu univoca: nessun dubbio dunque. Thomas Young è vincente, la luce è un’onda che si propaga. Tuttavia restano difficoltà; in particolare un’onda si propaga attraverso un mezzo, cosa che la luce sembra restia a fare. Qual è il mezzo di propagazione della luce? I fautori della teoria corpuscolare di Newton insistevano su questa domanda i fautori della teoria ondulatoria riesumarono “l’etere” mezzo dalle caratteristiche fisiche impossibili che avrebbe dovuto riempire il vuoto dell’universo. 31 Il secolo dei lumi si conclude senza una teoria completa, l’ottocento romantico scopre l’elettricità e il magnetismo e si entusiasma per le ricerche di Edison, Ampère e Nicola Tesla. Maxwell, un brillante fisico matematico, riesce a incorporare le nuove teorie in un costrutto logico completo: Quattro semplici equazioni che descrivono elettricità e magnetismo come un unico fenomeno. Nasce la nozione di campo elettromagnetico e di onda elettromagnetica che si propaga a velocità finita anche nel vuoto. L’etere è inesistente e le equazioni sono pur sempre valide. Intanto alcune esperienze di sofisticata ingegneria misurano la velocità della luce nel vuoto. Ed ecco, sorpresa! La luce si propaga alla stessa velocità del campo elettromagnetico. La luce è un’onda elettromagnetica di particolare frequenza. L’intervallo delle frequenze delle onde elettromagnetiche percepibili dai nostri occhi è detto visibile e corrisponde a ciò che chiamiamo “luce”. 32 Planck e lo spettro del corpo nero TUTTO sembra coerente e semplice ma ancora una volta le osservazioni sperimentali promuovono uno sviluppo della fisica L’incidente primario ha luogo quando si prova a spiegare lo spettro di emissione di onde elettromagnetiche (o radiazione) di un corpo nero. Nessuna spiegazione basata su argomenti classici riesce a dare un responso sulla curiosa forma a campana dello spettro. (Intensità , λ) Un fisico tedesco, conservatore e tradizionalista, tale Max Planck, si rende conto che introducendo una piccola ipotesi ad hoc diventa possibile interpretare il mistero. Esiste un quanto minimo di scambio e dipende dalla frequenza. È sufficiente supporre che la radiazione emessa (che grazie a Maxwell sappiamo essere una frequenza invisibile della luce) sia composta di piccoli corpuscoli, ognuno dotato di una energia ben precisa. L’energia di questi corpuscoli dipende soltanto dalla frequenza: E = hf Il fatto fastidioso è che l’ipotesi di “corpuscoli di luce” reintroduce l’idea della luce come particella, localizzata in un luogo ben preciso e dotata di una traiettoria. 33 La spallata definitiva alla teoria ondulatoria arriva però nel 1905, anno della pubblicazione della relatività ristretta e della spiegazione del moto Browniano ad opera di Albert Einstein. Si tratta della spiegazione brillante di un fenomeno noto come effetto fotoelettrico. 34 Effetto fotoelettrico Non occorre illustrare l’intera esperienza, una parte del fenomeno è sufficiente. Immaginiamo di bombardare con della radiazione elettromagnetica (anche detta luce) una placchetta di metallo. La placchetta è legata ad un circuito (un filo); la luce ha un’energia, può dunque strappare elettroni dalla placchetta di metallo. Se così avviene gli elettroni sono liberi di muoversi nel circuito, e si forma della corrente. Il fatto strano è questo: se si irradia la placchetta con della luce, e pensiamo che la luce è un’onda, allora i successivi fronti d’onda incidenti trasportano dell’energia che si accumula. Dopo un certo periodo di tempo ne dovrebbe essere arrivata abbastanza da strappare gli elettroni e far passare la corrente nel circuito. Un’idea analoga sono le onde del mare che colpiscono una strada che costeggia la riva. Dopo un po’ di tempo, qualsiasi sia l’altezza delle onde, riusciranno a strappare via la strada. In modo abbastanza sorprendente invece, quello che accade è che se si irradia con della luce a bassa frequenza, nel circuito non passa corrente. Significa che nessun elettrone è stato spostato. 35 In compenso esiste una frequenza limite oltre la quale improvvisamente comincia a passare corrente. Come è possibile? L’idea geniale di un giovane svizzero nel 1905 fu di supporre che la luce sia fatta di minuscoli corpuscoli, ognuno dotato di un’energia che dipende dalla frequenza (come proposto da Planck). Ognuno di essi colpisce gli elettroni come farebbero due biglie da biliardo. L’elettrone è imprigionato intorno ad un atomo; potete pensare che si trova all’interno di un cratere; al centro del cratere si trova il nucleo, l’elettrone si trova sulla parete in una nicchia che gli impedisce di muoversi. Se la particella di luce che colpisce l’elettrone ha abbastanza energia riesce a spararlo fuori dal cratere. Se invece non è così l’elettrone percorre un tratto di parete e poi ricasca all’indietro e torna nella sua nicchia. Visto che le particelle di luce hanno un’energia che dipende soltanto dalla frequenza, solo la particella di luce avente una frequenza (energia E = hf) che supera un certo valore può sparare l’elettrone fuori dalla sua nicchia. Ecco spiegato l’effetto fotoelettrico. 36 Torna di nuovo la teoria corpuscolare della luce!!! L’analogia luce-particella non è più soltanto un’ipotesi, ma diventa una necessità. Il visionario fisico svizzero, Albert Einstein, chiamerà questa particella di luce “quanto”. La sua teoria si chiamerà teoria dei quanti di luce e gli varrà un premio Nobel, malgrado le origini ebree e l’infelice momento politico. Più tardi il quanto di luce verrà ribattezzato “fotone”. Tale particella viaggia nel vuoto alla velocità c (da celeron) si distingue da quella di Newton perché la sua energia E = h f ( equivalente ad una massa m = E / c2) È evidente che il sussistere dell'effetto fotoelettrico e dell'effetto di diffrazione, spiegabili attraverso due ipotesi contrastanti, quali quella corpuscolare e quella ondulatoria, assicura alla luce la duplice natura: ondulatoria e corpuscolare. L’idea di “quantizzare” anche la natura ondulatoria delle particelle come gli elettroni darà invece il nome alla fisica quantistica. 37 Una incredibile successione di scoperte metterà in evidenza che la luce si comporta “talvolta ma non solo. come onda e talvolta come particella”, Anche gli elettroni che sono solitamente ritenute particelle di massa m si comportano anche come onde. Nel 1924 Louis de Broglie ipotizzò che tutta la materia avesse proprietà ondulatorie: ad un corpo con quantità di moto p=mv veniva infatti associata un'onda di lunghezza d'onda λ = h / mv Tre anni dopo i fisici Joseph Clinton Davisson e Halbert Lester Germer confermarono le previsioni della formula di De Broglie sparando un fascio di elettroni contro un reticolo cristallino e osservando le figure d'interferenza previste. L’interferenza è un fenomeno caratteristico delle onde soltanto! Esperimenti simili furono poi condotti con neutroni, protoni e particelle più pesanti. 38 La meccanica quantistica spiega bene i risultati dell'esperimento di Young e giustifica il dualismo onda-particella. Questa diglossia ontologica spingerà i fisici dapprima a parlare di “dualità onda-particella”, poi, davanti al numero spropositato di paradossi generati, ad abbandonare questa nomenclatura in favore di un formalismo quantistico, basato su concetti matematici estremamente complessi. L’essenza della natura quantistica è questa: la capacità di una “realtà” che non è onda né particella ma un misto delle due. In modo abbastanza imbarazzante la Meccanica quantistica mostra una forte dipendenza dalla scelta dell’osservatore di voler guardare l’una oppure l’altra. Una realtà quindi non più esistente di per sé indipendente dalle misure e dalle decisioni degli osservatori 39 Nella fisica quantistica, il principio di indeterminazione di Heisenberg sostiene che: non è possibile conoscere simultaneamente posizione x e quantità di moto p di un dato oggetto con precisione arbitraria, inoltre quantifica esattamente l'imprecisione Δx Δp > h / 4π in cui Δx è l'errore sulla posizione e Δp quello sulla quantità di moto, mentre h / 2 π è la costante di Planck rinormalizzata. È una delle chiavi di volta della meccanica quantistica e venne formulato da Werner Heisenberg nel 1927. Il principio non si applica soltanto alla posizione e alla quantità di moto, ma a qualsiasi coppia di variabili canonicamente coniugate. Nelle formulazioni moderne della meccanica quantistica il principio non è più tale ma è un teorema facilmente derivabile dai postulati. 40 La realtà fisica della particella è incomprensibile con la fisica classica deterministica perchè l'atto del misurare perturba la grandezza da misurare (Spiegazione di Heisenberg). Il principio di indeterminazione viene scolasticamente spiegato ancora in questi termini sostenendo che la misura della posizione disturba necessariamente il momento lineare della particella. Secondo la nuova M.Q. invece il disturbo non gioca nessun ruolo, in quanto il principio è valido anche quando la posizione viene misurata in un sistema e il momento viene misurato in una copia identica del primo sistema. È più accurato dire che in meccanica quantistica le particelle hanno alcune proprietà tipiche delle onde, non sono quindi oggetti puntiformi, e non possiedono una ben definita coppia posizione e momento. Quando si eseguono misure facendo interagire “l’ente fisico osservato”con qualche dispositivo, esso “si comporta” come onda o come corpuscolo secondo il tipo di MISURA che si esegue, generando le imbarazzanti domande: -la realtà fisica di questo ente dipende allora dalla decisione dell’osservatore?, -qual è la realtà sottostante le misure che il fisico va a rilevare con le sue indagini di misura? 41 Nel classico esperimento di diffrazione della "doppia fenditura", quando la luce passa attraverso una lastra con una doppia fenditura, posta di fronte a uno schermo, si ottengono bande alternate di chiaro e scuro. Queste possono essere spiegate come aree in cui le onde luminose si rinforzano o si cancellano per interferenza. E’ sperimentalmente evidente che la luce ha alcune caratteristiche proprie delle particelle (effetto fotoelettrico), e anche oggetti come gli elettroni possiedono proprietà ondulatorie perchè possono produrre schemi di interferenza (esperienza di Davisson Germer). 42 Tutto ciò pone alcune questioni interessanti. Supponiamo di fare l'esperimento della doppia fenditura, questa volta riducendo il fascio di luce in modo che un solo fotone alla volta passi per le fenditure. Si vedrà che i fotoni colpiscono lo schermo uno alla volta, ciononostante, sommando i punti colpiti dai fotoni, si ritrovano gli schemi risultanti dall'interferenza tra onde, anche se nell'esperimento abbiamo avuto a che fare con un fotone alla volta. 43 Le questioni poste da questo esperimento sono: Le regole della meccanica quantistica ci dicono statisticamente, dove le particelle colpiranno lo schermo, e identificano le zone chiare con alta probabilità di essere colpite e le zone scure con bassa probabilità di essere colpite. Per una singola particella però le stesse regole della meccanica quantistica non sono in grado di prevedere dove essa andrà a colpire lo schermo. Cosa succede alla particella nel tempo trascorso tra la sua emissione e la sua osservazione? La particella sembra interagire con entrambe le fenditure, e questo è inconsistente con la natura puntiforme della particella, eppure una particella puntiforme è ciò che viene osservato. Cos'è che fa sì che la particella sembri passare da un comportamento statistico a uno non statistico? Quando la particella passa attraverso le fenditure, il suo comportamento sembra essere descritto da una funzione d'onda non localizzata, che attraversa entrambe le fenditure allo stesso tempo. Eppure, quando la particella viene osservata non appare mai come un pacchetto d'onda diffuso e non localizzato, ma appare essere una singola particella puntiforme. 44 L'interpretazione di Copenaghen risponde a queste domande nel modo seguente: La realtà è uno stato non determinabile prima della misura, per principio di natura è possibile conoscere solo la probabilità Ψ associata a ciascuna grandezza. Ogni radiazione (elettroni, fotoni, ecc) che si propaga va pensata come costituita da pacchetti d'onda di ampiezza di probabilità Ψ Nella fisica classica, la probabilità viene usata per descrivere il risultato del lancio di un dado, anche se si pensa che il processo sia deterministico, la probabilità viene usata per sostituire la conoscenza completa. In Meccanica quantistica invece le affermazioni probabilistiche sono irriducibili cioè non riflettono la nostra conoscenza limitata di qualche variabile nascosta. Per contro, l'interpretazione di Copenaghen sostiene che in meccanica quantistica, i risultati delle misurazioni sono fondamentalmente non deterministici e non locali (esistono possibilità di supporre comunicazione a distanza) 45 La fisica è la scienza che studia i risultati dei processi di misurazione. Le speculazioni che vanno oltre questo fatto non possono essere giustificate. L'interpretazione di Copenaghen rifiuta domande come "Dov'era la particella prima che ne misurassi la posizione?" in quanto senza senso. L'atto della misurazione causa un istantaneo collasso della funzione d'onda. Questo significa che il processo di misurazione sceglie a caso esattamente uno dei possibili stati permessi dalla funzione d'onda, e la funzione d'onda cambia istantaneamente per riflettere questa scelta. A questo proposito Einstein parla di inaccettabile e ridicola comunicazione a distanza. 46 Molti fisici e filosofi hanno mosso obiezioni all'interpretazione di Copenaghen, sia sulla base che non è deterministica sia su quella che essa include un processo di misurazione indefinito, che converte funzioni probabilistiche in misurazioni non probabilistiche. Le celebri frasi di Albert Einstein: "Dio non gioca a dadi" e "Credi veramente che la Luna non sia lì quando non la stai guardando?" ne sono una esemplificazione. Tuttavia, recenti prove sperimentali, hanno dimostrato che esiste un'azione istantanea a distanza dovuta all'entanglement (intreccio) delle particelle. Su tali esperimenti si basano i tentativi di costruzione di un teletrasporto (per ora limitato ai fotoni e piccoli atomi) e buona parte dell'informatica quantistica. Alternative Molti fisici hanno sottoscritto l'"interpretazione nulla" della meccanica quantistica, riassunta da Feynman nel famoso detto: "Zitto e calcola!" 47 CRITICA DI EINSTEIN All'interno della diffusa (ma non universalmente accettata) interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica, il principio di indeterminazione è inteso come il fatto che a un livello elementare, l'universo fisico non esiste in forma deterministica, ma piuttosto come una collezione di probabilità, o potenziali. Ad esempio, il modello (probabilità di distribuzione) prodotto da milioni di fotoni che passano attraverso una fenditura di diffrazione, può essere calcolato usando la meccanica quantistica, ma il percorso esatto di ogni fotone non può essere predetto da nessun metodo conosciuto. L'interpretazione di Copenaghen sostiene che non può essere predetto da nessun metodo. Ed è questa interpretazione che Einstein stava mettendo in discussione quando disse: "Non credo che Dio abbia scelto di giocare a dadi con l'universo". 48 Bohr, che era uno degli autori dell'interpretazione di Copenaghen rispose: "Einstein, smettila di dire a Dio cosa deve fare", e Feynman aggiunse "Non solo Dio gioca a dadi, ma li lancia dove non possiamo vederli". Einstein era convinto che questa interpretazione fosse errata. Il suo ragionamento era che tutte le distribuzioni di probabilità precedentemente conosciute, sorgessero da eventi deterministici : -La distribuzione di un lancio di moneta può essere descritta con una distribuzione di probabilità (50% testa e 50% croce). Ma questo non significa che i movimenti fisici siano impredicibili. La meccanica classica può essere usata per calcolare esattamente come ogni moneta atterrerà, se le forze agenti su di essa sono conosciute. E la distribuzione testa/croce si allineerà con la distribuzione di probabilità (date forze iniziali casuali) - 49 La completezza della meccanica quantistica è stata attaccata dall'esperimento mentale di Einstein-Podolsky-Rosen che era inteso a mostrare che ci devono essere variabili nascoste, se si vogliono evitare effetti a distanza istantanei e non locali. Einstein assunse che ci fossero delle variabili nascoste nella meccanica quantistica che sottostanno alle probabilità osservate. Né Einstein né altri sono mai riusciti a costruire una teoria della variabile nascosta soddisfacente, e la disuguaglianza di Bell illustra alcuni aspetti critici di questa ricerca. Anche se il comportamento di una particella individuale è casuale, esso è sempre correlato al comportamento delle altre particelle. Quindi, se il principio di indeterminazione è il risultato di qualche processo deterministico, deve essere il caso che particelle poste a grande distanza trasmettano istantaneamente l'informazione a tutte le altre, per assicurare che ci sia una correlazione nel comportamento. 50 Il Teorema di Bell è il più famoso lascito del fisico irlandese John Bell. È notevole perché mostra che le predizioni della meccanica quantistica differiscono da quelle dell'intuizione. È semplice ed elegante, e tocca questioni fondamentali per la filosofia della fisica moderna. Nella sua forma più semplice il teorema afferma: Nessuna teoria fisica a variabili locali nascoste può riprodurre le predizioni della meccanica quantistica. L'articolo di Bell del 1965 era intitolato "Sul paradosso Einstein-PodolskyRosen". Il Paradosso Einstein-Podolsky-Rosen presume il realismo locale, ossia le nozioni intuitive che gli attributi delle particelle abbiano valori definiti indipendentemente dall'atto di misura, e che gli effetti fisici abbiano una velocità di propagazione finita. Bell ha dimostrato che il realismo locale impone delle restrizioni su certi fenomeni, che non sono richieste dalla meccanica quantistica. Queste restrizioni sono chiamate disuguaglianze di Bell. Le disuguaglianze riguardano misure fatte da osservatori (solitamente chiamati Alice e Bob) su coppie di particelle "entangled (intrecciate)" che hanno interagito e sono state separate. 51 I presupposti delle teorie a variabili nascoste limitano le correlazioni possibili nelle successive misure sulle particelle. Bell ha scoperto che, invece, per la meccanica quantistica, questo limite alla correlazione può essere violato. Gli esperimenti ad oggi dimostrano abbondantemente che le disuguaglianze di Bell sono violate. Questo fornisce una prova empirica contro il realismo locale, e dimostra che alcune delle "raccapriccianti azioni a distanza" previste dall'esperimento ideale EPR di fatto accadono realmente. Nel 1982 il fisico Aspect ha considerato due fotoni uscenti da uno stesso atomo in verso opposto. Il primo fotone devia dal suo percorso quando incontra una lente sul suo cammino, istantaneamente viene registrata la stessa deviazione spontanea del secondo fotone che invece non interagisce con nessuna lente! Questi esperimenti sono quindi considerati prova positiva a favore della meccanica quantistica. 52 Rifrazione 1 2 Ogni volta che la luce (onda o corpuscolo che sia) interagisce con un altro corpo, in parte viene riflessa, in parte viene assorbita e in parte viene trasmessa (se il corpo è trasparente). 53 Il raggio incidente, il raggio rifratto e la normale alla superficie di separazione fra i due mezzi giacciono sullo stesso piano; Legge di Snell: al variare dell’angolo di incidenza, il rapporto fra il seno dell’angolo di incidenza e il seno dell’angolo di rifrazione è costante ed è detto indice di rifrazione relativo del mezzo 2 in cui avviene la rifrazione rispetto al mezzo 1 in cui incide. n 12 = sin i sin r n 12 è costante al variare dell’angolo d’incidenza di un raggio H monocromatico (un solo colore, unica lunghezza d’onda) e dipende unicamente dalla particolare coppia di mezzi considerati. L’indice di rifrazione del mezzo 2 è detto assoluto (n) se il mezzo 1 è il vuoto. 54 Leggi della riflessione Il raggio incidente, il raggio riflesso e la normale alla superficie di separazione dei due mezzi giacciono sullo stesso piano. L’angolo d’incidenza i e quello di riflessione r1 sono uguali: i=r Anche quando la superficie è scabra si ha il fenomeno della riflessione: i singoli raggi riflessi vengono sparpagliati in tutte le direzioni. L’effetto che risulta è quello della diffusione della luce. Lo stesso fenomeno di diffusione si verifica anche per rifrazione e diffrazione 55